Cerca nel blog

martedì 13 febbraio 2018

Petrolio - Intramonia: Noises for Angela

#PER CHI AMA: Drone/Noise Sperimentale
La Low Noise Productions promuove progetti sonori di confine accomunati tra loro dalla predilizione verso generi come l'IDM, il noise, la techno, l'industrial, l'ambient e la sperimentazione. Una fucina di suoni interessantissima per un'etichetta underground che suscita grande interesse per i ricercatori di nuovi intrugli rumorosi. Tra questi vi troviamo il folle prodotto della one man band italiana, Petrolio, intitolato 'Intramonia: Noises for Angela'. Un EP assai suggestivo in perfetta sintonia con lo stile della Low Noise, fatto di tre pezzi dalla media lunghezza, identificati con il solo titolo di "Work no. 1", "Work no. 2" e "Work no.3", a sottolineare il significato occulto ed impenetrabile di questo lavoro partorito probabilmente tra le nebbie, in una casa isolata dal mondo e in preda a delirio psichico. La musica rotea su circolari forme elettro rumoristiche che si muovono a vortice sia che si presentino come drone o come riff acidamente alterato o sottratto a qualche band digital core. Il sound è sintetico, plasticato e di umore grigio, non esageratamente dark ma soffertissimo, sempre pronto al collasso, carico di sospensione e tristezza cinematica, notevole è la stretta parentela con la colonna sonora del cult film "Eraserhead". Il suo incedere è lento e i ritmi sono minimali quasi a voler tentare di esportare il digital noise in territori funeral doom. Stupendo il terzo brano che devasta l'ascoltatore portando in un impasto dark/industrial, lacerato, rallentato e sporco, un carico di tensione che alla fine risulta una tortura emotiva, tra echi dei primi Front 242, Throbbing Gristle e Nitzer Ebb con un lieve ma splendido accenno di voce femminile. Le registrazioni sono basate su performance live da parte dell'artista Angela Teodorowsky. Il progetto Petrolio è la reincarnazione di Enrico Cerrato, musicista attivo in vari ambiti musicali estremi dal metal al jazz noise punk, che qui si ripresenta dopo l'ottimo, 'Di Cosa si Nasce' ed il precedente, 'Il Destino d e l'Hombre', con un lavoro cerebrale e ancor più destabilizzante, quasi una forma di resa e conseguente prigionia nei confronti di un ambient assassino pieno di circuiti e transistor impazziti, un'ossessiva colonna sonora trasmessa dal profondo degli abissi. (Bob Stoner)

sabato 10 febbraio 2018

Def&Kate - I'mperfect

#PER CHI AMA: Kraut Rock/Avantgarde
Quando c'è di mezzo Bob Stoner, non si può mai stare tranquilli su quello che salterà fuori da una delle sue produzioni. Dopo i progetti Cardiac, Agatha, De La Croix e Shelly Webster Trio, ecco la nuova creatura partorita dallo storico scribacchino del Pozzo dei Dannati, i Def&Kate. 'I'mperfect' è un lavoro di cinque deliranti pezzi, una release quasi completamente strumentale (direi interamente se escludiamo le poche parole proferite all'inizio di alcuni brani e nel finale della song di chiusura) che già dalla opening track, "Illusion Est", lascia intravedere spiragli di follia del buon Bob, che con questo nuovo progetto, si muove tra ritmiche a cavallo tra stoner e pura psichedelia settantiana, miscelate con divagazioni elettro-avanguardistiche care alla scuola kraut-rock. Oltre all'ipnotico sound delle tastiere, che non fungono decisamente da riempitivo, ma anzi assurgono al più rilevante ruolo di star, vorrei sottolineare lo straordinario lavoro in sottofondo di un basso che propaga vibrazioni tonanti, sostenute da riff a tratti ubriacanti, e fughe lisergiche nella migliore tradizione "doorsiana", come accade ad esempio in "Virgo Without Mother", song davvero intrigante, soprattutto nel suo finale che coniuga l'ambient allo space rock. Chissà di quale pericolosa sostanza si saranno fatti i nostri per concepire le note sperimentali della lunga "Memento Mori", undici stralunati minuti tra chitarristici strali ipnotici, break atmosferici e saliscendi ritmici più vicini all'effetto provocato dalle spaventose montagne russe dalle quali, oltre al rilascio di una elevatissima dose di adrenalina, è lecito aspettarsi anche una copiosa vomitata. L'ascolto della terza song, unita ai suoi continui cambi di tempo, umore e suggestioni varie, provoca interferenze cerebrali che rischiano di nuocere le persone deboli di cuore. Fortunatamente "Omniscience" è più classica nel suo incedere prog rock anche se la band veronese si diletta in alcune schermaglie ritmiche nella seconda metà del brano, a tratti decisamente tirato e selvaggio. A sigillare il disco, arrivano i quasi 12 folgorati minuti di "Frakture & Victims", un'altra canzone che prosegue sulla linea noise rock sperimentale sin qui tracciata dai Def&Kate, che tra l'abuso di funghi allucinogeni e drink a base di mescal, hanno pensato bene di rilasciare questo concentrato di folle musica sciamanica. Impavidi. (Francesco Scarci)

(Gwenedmusic - 2018)
Voto: 75

Deadspace - The Liquid Sky

#PER CHI AMA: Black/Shoegaze/Depressive Rock, Novembre, Katatonia
È stato un po' un amore a prima vista quello che ho avuto con gli australiani Deadspace: ho dato un ascolto quasi per sbaglio al loro ultimo 'The Liquid Sky' e in un battibaleno, mi sono ritrovato ad aver acquistato la loro intera discografia. Perché mai penserete voi? Ebbene, vi basti premere il tasto play del vostro lettore e dopo l'intro, affidata a "The Aching...", farvi rapire dalle splendide melodie di "Void", cangiante, melodica ed aggressiva in un connubio artistico in bilico tra post-black e sonorità più intimistiche, tipiche dei nostri Novembre, e ancora fughe in territori progressive (splendida a tal proposito la sezione solistica) che appunto, hanno fatto in modo che mi perdessi la testa cosi precocemente per questo ensemble originario di Perth. Più cupa "Below The Human Scumline", forte di un'ottima sezione ritmica e di un dualismo vocale scream/clean che ne conferisce dinamicità e drammaticità. "Reflux" richiama per linee melodiche 'Brave Murder Day' dei Katatonia, sebbene l'irruenza musicale sfoci ancora in partiture black, stemperate però da cori puliti che ne fuorviano il risultato complessivo. La durata non eccessiva dei brani (che si assesta sui quattro minuti, a parte un paio di picchi oltre i sette) agevola non poco l'ascolto e l'assimilazione della proposta sonora dei Deadspace, che anche in "The Worms Must Feed" fanno stropicciare gli occhi per l'eleganza mista a ferocia. "Kidney Bleach" è una ballad, si avete letto bene, in cui fa la sua comparsa anche una gentil donzella, Portia Gebauer, che ben duetta con il fratello Chris, frontman della band. Con "Comatose" si esplorano i territori del dark-depressive rock, in una song che vede una seconda ospitata, Drew Griffiths dei Ur Draugr, e che si dilaterà nella suadente strumentalità di "Only Tears", prima del gran finale affidato alla title track. Gli ultimi minuti della storia narrata dai Deadspace (trattasi di un concept album) culminano con un'altra song dall'inizio rilassato che ben presto sfocerà in un arrembante progressione mozzafiato sempre a cavallo tra black, rock dalle tinte progressive, shoegaze, dark e gothic, che sanciscono l'emozionalità di un disco davvero interessante e che per lungo tempo ci darà modo di parlare di questi notevolissimi Deadspace. (Francesco Scarci)

(Talheim Records - 2017)
Voto: 85

Nordlumo - Embraced by Eternal Night

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Ea
Ho ricevuto le nuove release targate Endless Winter e per la scelta della prima recensione, ho preferito lasciarmi guidare dalla cover più suggestiva. I russi Nordlumo (in realtà una one-man-band guidata da Nordmad) hanno vinto alla grande con il loro nuovo 'Embraced by Eternal Night', grazie ad un'aurora boreale che avvolge un enigmatico tutt'uno formato da una chiesa incastonata in una montagna, strana combinazione. Il musicista siberiano, seguendo poi la politica tracciata dalla propria label, propone un cupissimo funeral doom che si esplica attraverso sei tracce, di cui l'ultima, "Weathered", è una riuscitissima quanto nostalgica cover dei finlandesi Colosseum. Il disco parte alla grande con la lunga "The Autum Fall", oltre otto minuti di suoni decadenti, dove la voce del mastermind di Severomorsk, non si palesa mai, lasciando invece largo spazio a melodie oscure. Per godere dei vocalizzi in growl del bravo factotum russo, basta giungere alla seconda traccia, dove il funeral s'incastra meravigliosamente con passaggi sognanti, a tratti ambient, corredati dai vocalizzi imperiosi del frontman, srotolati in oltre 23 minuti di musica che incorporano un profondo struggimento, segno di un forte disagio interiore, risultando alla fine assai spettacolare. La traccia è infatti cosi varia nella sua progressione, tra cambi di tempo, accelerazioni, squarci melodici e angoscianti rallentamenti abissali, che alla fine delineano per sommi capi la proposta musicale di Nordmad, peraltro encomiabile anche a livello strumentale. "Scripts" ha un ritmo più baldanzoso, per quanto questo aggettivo essere applicabile possa in un ambito cosi funereo. Comunque, la song è più ritmata forse in apparenza meno varia (non fosse altro per un catacombale pianoforte che irrompe a metà brano), mentre le vocals si dilettano tra un profondo grugnito animalesco, qualche urlaccio ed un tenebroso sussurrato. Il dolore alberga incontrastato anche in "Dreamwalker", un'altra maratona di quasi un quarto d'ora di lugubri atmosfere, ottime melodie a rallentatore evocanti un ipotetico mix tra Ea e Saturnus, dove fanno capolino anche delle clean vocals. A chiudere (ma ci sarà ancora tempo di gustare la spettralità della già menzionata cover dei Colosseum) ci pensano le celestiali atmosfere di "Millenium Snowfall" che confermano la bravura e la vena creativa del bravo Nordmad. (Francesco Scarci)

(Endless Winter - 2017)
Voto: 80

Fragarak - A Spectral Oblivion

#FOR FANS OF: Techno Death
One of the things I really like from Internet, is the chance of discovering bands from unusual metal scenes. Back in time, it was almost impossible to find them, but nowadays, it’s great to be aware about bands coming from very far countries. Something I also realized is that quality doesn’t know about political or geographic limits, which is great. 

A good example of this fact is given by the Indians Fragarak. The band´s initial inception goes back to 2011, when two young musicians, called Karikeya and Ruben, co-founded Fragarak, deciding to express their musical ideas. The band didn’t become a complete entity until the arrival of Arpit and Supratim. From the very beginning, the aim was to create a very intense sound, technically and melodically complex. Ideas were flowing constantly so in less than one year, the act was capable of releasing a very solid debut entitled 'Crypts of Dissimulation'; it was 2013. Their first effort received very good reviews which strenghtened their ambition to push the sound forward. 

Two thousand and seventeen was the year of Fragarak comeback, with the release of their sophomore album called 'A Spectral Oblivion'. The improvement is clear since the very first moment, even the artwork looks more elaborated and complex. Another aspect which is clear as soon as you listen to the album, is that the guys had tons of ideas to propose, considering that the new Lp contains eleven long songs, lasting more than 80 minutes. I am not a huge fan of such a long albums, but I must admit that Fragarak is capable of maintaining a good level through the whole work, which is something very respectable. Musically speaking, the release is a more refined work, although their early ideas haven´t changed. Their offering is a technical death metal with progressive metal influences, very rich details and with a gloomy and an atmospheric touch. Each song has many changes of time and twists, which made this album a gem, though it requires several listens to be fully enjoyed. “This Chasing Masquerade” is a good example of what I am saying, being one of my favourite tracks: Supratim´s powerful and solid growls are accompanied by excellent and intricate riffs with great melodies. Those melodies change from time to time, from the most brutal and complex sections to the most melodic ones. Apart from that, the ensemble tries to enrich their songs with some good arrangements, like acoustic sections or some choirs with quite somber clean vocals, as in the opener, “In Rumination I-The Void”, or in the epic track “Of Ends Ethereal”, that could represent fine examples of this. I do enjoy those arrangements because they give an atmospheric touch to the album. Due to its length, I imagine as a part of the concept behind the music, the band includes some short interludes which look like moments of calm in the middle of an oceanic storm. Those tracks are mainly acoustic and sometimes include also female vocals (the closer “Ālūcinārī IV-The Fall”) with an interesting ethnic touch. It’s really nice when a band coming from a country with a very different culture tries to include in their music, a slice of their heritage. 

In conclusion, Fragarak´s sophomore album is a step forward in every aspect. Both musically and composition wise, this is a very elaborated and consistent work. Furthermore, the production, which is excellent, only enhances the strongest aspects of the band´s music. My only little complain is related to the album´s length which in my opinion is a little bit excessive, but who can complain if the level is very good from the beginning to end? (Alain González Artola)

(Transcending Obscurity India - 2017)
Score: 85

giovedì 8 febbraio 2018

Electric Beans - De Retour en Noir

#PER CHI AMA: Punk Rock
La gradevolissima, fanculosa copertina Hellacotterizzata (avete in mente "Supershitty to the Max"? No? Molto male), ancorché un cicinino troppo nitida, tipo effetto aerografo, suggerisce atmosfere garage-punk, pareti annerite, odore di lubrificanti, diluente, piscio e muffa. Eppure la direzione intrapresa dall'album appare opposta, perlomeno concettualmente: un neoclassicismo rock che-più-neoclassicismo-di-così accompagnato da testi sagaci e decisamente ficcanti, al limite del comedy ("Jeudi" è la indovinata riscrittura di "Jodie", secondo singolo de Les Innocents, storica pop-wave band fransé anni-secondi-80. Mai sentiti? Nemmeno io). Altrimenti, street-punk americano dalle parti di Social distortion ("De Retour en Noir") o Ramones ("J'ai Perdu Mon Télephone") o blandamente punk-blues ("Berceuse Éléctrique"). I mid-tempo ("Moeurs Cathodiques", ma soprattutto "Jack") invece vi potrebbero ricordare un Meat Loaf rimbambito di croissant che frontmaneggia dei Guns n' Roses strafatti di pastis. Ascoltate questo terzo album dei Fagioli Elettrici mentre sistemate lo scaffale dei CD domandandovi come tradurreste in inglese il titolo dell'album, oppure mentre sistemate i vostri romanzi di Philip K. Dick in ordine cronologico domandandovi se per caso "do electric beans release magnetic farts"? (Alberto Calorosi)

Alex Cordo - Origami

#PER CHI AMA: Guitar hero, Joe Satriani
'Origami'. Raggiungere la semplicità attraverso una minuziona e complessa codifica della materia prima. Ci vuole pazienza e dedizione. Altruismo. Abnegazione. Occorre affinare la tecnica e poi nasconderla dietro la semplicità. A volte scoccia farlo. Ditelo a uno come Tortellozzo Malmsteen, per esempio. Ma il suono è bizzoso. Duro come pietra, talvolta. Serve un chitarrismo opportunamente cesellato. Serve esperienza. Servono riferimenti. Il guitar-rock anni '80-'90, qualche flavour di prog-metal tardo '90. Instrumental guitar rock. Il Joe Satriani più classico che potete immaginare ("Straight" e "Hands Up"), il John Petrucci più classicista che non riuscite a dimenticare ("Memories"?), il Ritchie Blackmore più permanentato che fareste di tutto pur di dimenticare ("Himalaya"). Soprattutto sensazioni hard & prog, s'è detto prima, ma anche melodic ("Sunny Day for an Opossum") e pure vagamente, molto vagamente post/math ("Above the Clouds"). O, se preferite, più massicciamente power ("The Car Test"). Allora, che ne pensate? (Alberto Calorosi)

Harmonic Generator - Heart Flesh Skull Bones

#PER CHI AMA: Grunge/Glam, Alice in Chains
Reggisen-ballatonze tardo-hair-metallare più (i Tesla con le dita nella presa di "I Feel Fine") o meno folkeggianti (i Bon Jovi dal parrucchiere di "By Your Side") di chiara derivazione zeppeliniana (il glam n' roll IV-zeppeliniano "Dance on Your Grave") intersecate a (opportunamente ammorbidite) istanze grungey (gli Alice in Chains che ascoltano 'Physical Graffiti' sull'ottovolante di "Lamb and Lion") ed estemporanee virate heavy/power (lo Ian Astbury con le adenoidi di "The End"). Il secondo album dei Generatori di Armoniche transalpini (il nome proverrebbe però da un vecchio singolo degli australiani Datsuns), in realtà un concept (quadri)tematico di settantaefottutamenteuno minuti spalmato su quattro ep in tre anni, seppur identitario, mette comunque in mostra una certa istrionica disinvoltura nel manipolare i sottogeneri in questione. Ma la produzione, solitamente appropriata nei numerosi momenti hair/glam, risulta eccessivamente nitida quando ci s'inzacchera nel grunge/comediavolo/nu-grunge. Per bilanciare, ascoltate questo disco a tutto volume con due boccali da birra sulle orecchie. E levatevi dalla faccia quell'espressione idiota. (Alberto Calorosi)