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mercoledì 16 novembre 2016

Demikhov - Experimental Transplantation of Vital Organs

#PER CHI AMA: Noise/Drone/Experimental
Demikhov Vladimir fu un chirurgo russo del '900, pioniere delle trapiantologia, infatti viene ricordato per i suoi innumerevoli esperimenti, tra cui il trapianto della testa di un pastore tedesco morto in un incidente prima di essere sottoposto alla stessa procedura per il cuore. Demikhov è anche il moniker di una band di Desenzano (Brescia), per l'esattezza un trio formato da basso/chitarra/batteria dediti a "musica brutta fatta di fuzz e martello" (come dichiarato dai nostri). Lunga la lista delle label che hanno prodotto/supportato la fatica del terzetto lombardo (le prolifere Dio Drone e Cave Canem D.I.Y. tra gli altri), contenuta in un bel digipak dalla grafica vintage. Il disco contiene otto brani che navigano nelle acque del noise/post hardcore/sludge non cantato, un mix di malessere sia a livello di suoni che di arrangiamenti. L'obiettivo del trio bresciano è di colpire, infastidire e lasciare il segno in questo panorama musicale che offre infiniti prodotti musicali per tutti i gusti. Nonostante il progetto sia strumentale, l'impatto sonoro sconvolge e attira l'ascoltatore negli oscuri meandri della mente, tra pazzia e genialità, dove spesso il confine è talmente sottile che è impossibile discernerlo. "Accumulating Failures Magnifies Your Heads’ Collection" ha un incipit vigoroso con una batteria scalciante e feedback di chitarra che ricordano il format dei Bachi da Pietra, una devastazione totale, che emerge proprio da una scelta oculata in fase di registrazione. Dimenticate quindi le finezze dell'era digitale, e fatevi violentare da quel sound grezzo e cattivo che vi riporterà indietro nel tempo di almeno una decade. Mentre basso e batteria continuano su questa linea pulsante, la chitarra lascia gli accordi e si impegna in riff arpeggiati dal suono etereo e lugubre. L'atmosfera diventa meno opprimente grazie al lungo break centrale al limite del drone, poi il crescendo ci prepara al terrore angosciante che esplode e ci conduce fino alla fine del brano ma con qualche neurone in meno. Quasi nove minuti di terapia a base di elettroshock. "My Mind Master Mystic Mademoiselle" inizia con fievoli rintocchi seguiti da un muro di distorsione in puro stile Sunn O))) che ci fa sprofondare nel grembo della lentezza per buona metà del brano. Ad un certo punto il batterista e il bassista vengono colti da un raptus per cui iniziano a martellare in maniera ossessiva, portandoci alla classica esplosione di noise e perdizione, una sorta di Hate & Merda senza voce. Un buon album questo 'Experimental Transplantation of Vital Organs', fatto di suoni giusti e da un concept ben studiato. La scelta della via strumentale funziona e i Demikhov si aggiungono all'ampio stuolo di band che perseguono il genere. A questo punto vincerà chi riuscirà a reinventarsi, staccandosi dagli schemi con soluzioni diverse, anche non convenzionali. Mi immagino già sperimentazioni con strumenti a fiato, archi, voci femminili, elettronica anni '80, sarà necessario solo trovare il coraggio di provare e non temere di uscire dal coro. (Michele Montanari)

(Dio Drone / Toten Schwan / Vollmer Industries / Brigante Records and Productions / Koe Records / Cave Canem D.I.Y. / I Dischi del Minollo - 2016)
Voto: 75

https://demikhov.bandcamp.com/

domenica 13 novembre 2016

Interview with They Seem Like Owls


Follow this link to know much more about this group of stranger, named as They Seem Like Owls, that released in summer 2016 an incredible album of rock progressive:

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/interview-with-they-seem-like-owls.html

sabato 12 novembre 2016

Besides - We Were So Strong/Everything Is


#PER CHI AMA: Post Rock/Shoegaze, Slowdive
A volte mi domando quante gemme mi perderei in ambito discografico se non navigassi nel sottobosco più profondo (il medesimo problema potrebbe essere traslato anche nel cinema o nel mondo dei libri). Mi sento un privilegiato a poter scavare nell'underground alla ricerca di musica che nessuno conosce e probabilmente mai avrà modo di ascoltare. Oggi il mio mouse si è soffermato sul sito di una band polacca, i Besides, in sella alla scena post-rock dal 2011, con un primo disco, 'We Were So Strong', datato 2013 e questo 'Everything Is', uscito nell'autunno del 2015. Il primo album guardava a sonorità più orientate al versante prog rock, mostrando il lato più dirompente dei nostri con brani diretti ("At Night", "Linnet's Fligt" o la title track), altri più dream-pop ("Beyond") votati a proporre atmosfere cariche di plumbea nostalgia ("May I Take You Home?") che nel loro evolversi potevano chiamare in causa alternativamente le primissime uscite dei conterranei Riverside ("Strand") o una versione più onirica dei Porcupine Tree ("Deprived of"), il tutto muovendosi sempre in un puro ambito strumentale. Il nuovo lavoro include otto pezzi, che chiamano in causa i grandi nomi del post rock ma non solo, viste le influenze shoegaze di cui il disco risente palesemente e di cui si ammanta, grazie a quella sua aura ideale per uggiose giornate di novembre, in cui la cosa più stimolante da fare, sarebbe semplicemente pararsi dietro alla finestra e scrutare l'orizzonte, accompagnati da un malinconico sottofondo musicale. Certo, se la sfortuna vuole che di fronte abbiate un bel palazzone che vi ostruisce la vista, come per il sottoscritto, non rimane che stendersi al buio di una stanza, accendere un po' di musica e lasciarsi agguantare dalle melodie soffuse di questo quartetto di Brzeszcze, una cittadina dal nome tanto incomprensibile quanto intrigante, non troppo lontana da Katowice. "Of Joy", "Efflorescent" e "Fluttering" sono i primi tre brani in cui ci si imbatte durante l'ascolto di 'Everything Is', effluvi di musica eterea, fatta di densi e introversi intrecci chitarristici, capaci di evocare gli Slowdive e i My Bloody Valentine, giusto per fare due nomi su tutti, qui però privati di un vocalist. Per arrivare alla mia song preferita, dobbiamo attendere la quarta posizione del cd, "And So Am I", la classica traccia che parte piano e sale in un crescendo umorale fatto di percussioni tribali, riverberi distorti e struggenti linee melodiche, in un'alternanza di chiaroscuri emozionali. "Cauterized" e la seguente "A Threnody" rappresentano invece il lato più oscuro dei Besides, con un sound più notturno e a tratti claustrofobico, ma che comunque permette di godere delle fluttuazioni soniche di questo ensemble polacco, che nella conclusiva "Of Sorrow" apre addirittura con scariche inattese di violenta elettricità. Peccato solo per la mancanza di una voce che avrebbe reso il tutto ancor più gustoso; d'altro canto la fortuna dei già citati Slowdive e My Blood Valentine o ancora Ride e Pale Saints, è passata anche dalla presenza di un vocalist dietro al microfono che modulasse nel migliore dei modi, la loro proposta musicale. (Francesco Scarci)

(Self - 2013)
(Self - 2015)

Voto: 70
Voto: 75

Magoa - Imperial

#PER CHI AMA: Prog/Metalcore/Djent, Periphery, Tesseract
Quando ho visto i Periphery dal vivo di spalla all’inarrivabile Devin Townsend, ho subito pensato: questa è musica da ragazzini. Tecnica pazzesca, intendiamoci, ma sotto sotto il vecchio trucco del metalcore è sempre lo stesso: strofe serratissime e ritornelloni strappamutande, ripetuti all’infinito. Con 'Imperial' dei francesi Magoa temevo di trovarmi di fronte all’ennesima goccia di questo oceano. Ma questa non è roba da ragazzini: è metal contemporaneo tinto di prog e core, sparato con velocità, violenza e una cura degli arrangiamenti e del songwriting davvero notevole. C’è del talento in questo quartetto parigino, e ce n’è parecchio. Sì, d’accordo: la batteria cavalca sulla doppia cassa, le chitarre si sprecano sui palm-mute, c’è qualche poliritmo djent – mai troppo complicato, intendiamoci – e ci sono i già citati ritornelloni melodici (“Faith” e “Afterglow”). Ma la voce di Cyd Cassagne non dà tregua nemmeno un secondo, capace di scream, harsh e pulizia come se non facesse altro nella vita; e le brutali “Kill Us”, “Resistance” e “Endlessly” vi faranno saltare sulla sedia. Non mancano spazi di sperimentazione (“Merge”, che forse assurge al ruolo di inquietante e disperata ballata o “Remember”, cortissima cantilena sussurrata che poi apre su un inferno di urla e tom) e anche qualche intelligente inserto elettronico (come nella title track “Imperial” e, in generale, dove l’arrangiamento apre alla melodia), ma alla lunga i 45 minuti di durata rischiano di stufare un po’. Per come è suonato, registrato e composto, comunque, 'Imperial' è un treno metal-prog riempito di esplosivo e lanciato a tutta velocità. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Ten to One Records - 2016)
Voto: 75

Ascent - Don't Stop When You Walk Through The Hell

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Lamb of God
Una volta c'era Angela Gossow che con i suoi Arch Enemy sbraitava come un'indemoniata al microfono, senza alcun timore reverenziale nei confronti del cantato gutturale dei migliori vocalist death metal del mondo. Angela ha fatto scuola e sempre più spesso ormai si vedono band i cui frontman (ma sarebbe meglio dire frontwoman), sono in realtà cazzutissime donne che si dilettano con un growling da cavernicolo. Gli ultimi scovati sono i siberiani Ascent, che rilasciano per la Sliptrick Records, quest'album dal titolo meraviglioso, 'Don't Stop When You Walk Through The Hell', e che propongono appunto come punto di forza, le killer vocals di Anna Dizendorf. La musica poi non è proprio quanto di più originale ci sia in giro, offrendo infatti un concentrato dinamitardo quanto basico di sparatissimi riff thrash-death metal che non mostrano alcun pietà, scagliandosi contro l'ascoltatore come la più funesta delle intemperie. Aspettatevi quindi ritmiche abrasive ("Useless"), un approccio vocale borderline tra il death e un più arcigno hardcore, taglienti assoli (ottimo quello in "Dead Silence" e ancora "Useless"), qualche atmosfera un po' più lugubre e ritmata ("Matter" e "The Punisher") e poco altro, relegando questo breve dischetto (28 minuti) ahimé ai soli amanti di sonorità estreme. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 60

Orpheus Omega - Partum Vitam Mortem

#PER CHI AMA: Swedish Death, Dark Tranquillity
Che Dark Tranquillity e (primi) In Flames abbiano fatto scuola non lo scopriamo di certo oggi. Migliaia di band si sono infatti ispirate alle evoluzioni dei due ensemble svedesi con esiti più o meno soddisfacenti. Gli ultimi che mi sono capitati in mano, anche se con un certo ritardo (mea culpa), sono gli australiani Orpheus Omega, che hanno confezionato, per la sempre oculata Kolony Records, questo 'Partum Vitam Mortem', terza loro opera che affronta in un concept album, il tema della ciclicità dell'esistenza umana. Le suggestioni scandinave appaiono fin dalle iniziali "I, Architect" e "Karma Favours The Wea", due cavalcate che mostrano palesi riferimenti alla band di Michael Stanne & Co, grazie ad un riffing arrembante, growling vocals che duettano con clean vocals più defilate, ottimi solos, buoni arrangiamenti e una dose spropositata di groove (qui il richiamo è più spinto verso gli In Flames), ma soprattutto una registrazione cristallina cosi potente da farmi esplodere i vetri di casa, quando ho girato la manopola del volume del mio stereo in senso orario. Tutto positivo quindi, anche quando nel mio lettore scorrono altri brani come le impetuose "Practice Makes Pathetic"o la successiva "Our Reminder". Cosa non mi convince allora? Sicuramente il fatto di essere cosi tanto poco originali da apparire come una copia sbiadita dei già citati DT, il che penalizza globalmente il mio giudizio sul quintetto. In secondo luogo, devo dire che l'utilizzo delle tastiere non mi ha proprio esaltato, molto spesso un po' troppo semplici o banalotte ("Tomorrow's Fiends and Yesterday's Ghosts"). Infine, per un album del genere non avrei mai puntato su una durata cosi elevata, prossima ai 60 minuti. Un vero peccato, considerate le elevatissime potenzialità dell'act australiano, il serratissimo tiro di alcuni pezzi ("Unravelling Today" o la funambolica "Silence, The I") o la capacità di cavarsela anche in brani mid tempo dal mood più malinconico ("Echoes Through Infinity"). La mia non vuole essere sicuramente una bocciatura, piuttosto un punto di partenza su cui riflettere e da cui ripartire per futuri sviluppi. (Francesco Scarci)

(Kolony Records - 2015)
Voto: 60

venerdì 11 novembre 2016

Order of 315 - Antipi

#FOR FANS OF: Alternative Metal/Hardcore, Pantera, Korn, Five Finger Death Punch
French metallers Order of 315 have once again strayed relatively far into the modern metal scene that has quickly become a strong part of the French scene that contains far more of their counterparts’ elements into their sound. Mostly employing a heavy, groove-centered mid-tempo approach that interchanges swirling rhythms and tight pattern-changes into a series of vicious, groove styled rhythms that add in touches of hardcore and modern progressive rock, there’s a rather tight, frenetic sound on display which becomes quite enjoyable at times while still utilizing far too many plodding and mid-tempo patterns here to really make much use of them overall here. This one works nicely enough in these more hard-hitting sections and acquits itself well there, but the disparate mix of influences and seemingly blander stylings here make this one quite troubling at times, especially the later half which has a lot of weak tracks there to fill the running time. Still, on the whole the tracks aren’t too terrible. Opener ‘A Slap on the Wrist’ offers explosive, charging rhythms and plenty of charging, hoarse vocals containing the strong churning riffs and steady patterns grinding along through the grooves of the final half for a strong opening impression. ‘Telescope’ features heavier chugging and plenty of tight, swirling grooves with a ferocious and charging series of thrashing rhythms and energetic patterns that generate a strong, frenetic pace here with the grinding grooves working well for a strong highlight. ‘The Feather Factor’ offers some electronica influences into the plodding mid-tempo grooves and swirling breakdowns on display that are somewhat at odds with the pulsating electronics though the swirling rhythms are enjoyable enough to make this a somewhat enjoyable effort. ‘Abelian’ and ‘Meiosis’ return to the charging, hard-hitting grooves with the swirling riffing and simplistic rhythms that charge along to a solid mid-tempo crunch with plenty of strong patterns along with scattered electronics for nice highlight offerings. ‘Rumble Fish’ uses more of the electronica influences to plod along with the simplistic grooves and swirling rhythms introduced alongside the series of simplistic, plodding paces featured along into the finale for a decent-if-unspectacular track. ‘Data Warfare’ comes off as a fine mixture of the chugging grooves and swirling electronics featured throughout into the sprawling, buzzing electronic passages that continue swirling along into the final half for a truly disposable and unnecessary track. ‘Greyscale’ uses the down-tuned rhythms and swirling mid-tempo grooves into a fine series of plodding patterns that bring the simplistic chugging along through the simplistic finale for a decent enough offering. ‘Densen’ uses more straightforward, simplistic riff-work and plodding rhythms with plenty of sprawling electronics spread throughout into a bland series of swirling grooves chugging along into the final half for a rather unimpressive effort. ‘Unperfect Circles’ features plenty of straightforward, simple chugging riffing with sprawling electronics into a series of rather straightforward swirling patterns that continue droning on through plodding tempos through the final half for a somewhat enjoyable if still really flawed effort. Lastly, ‘Drone’ features plenty of tight, swirling chugging and lively groove-filled patterns alongside the influx of mid-tempo swirling patterns with more tight crunchy grooves carrying on through the finale for a much more enjoyable effort and does end this on a high-note. It’s worthwhile enough at times, but does have a few problems with it. (Don Anelli)

(Self - 2016)
Score: 70

mercoledì 9 novembre 2016

Shantak - For the Darkening

#PER CHI AMA: Melo Death, In Flames
Ancora Italia, ancora Sliptrick Records, ancora metal estremo, questa volta con i metallers bresciani Shantak. Dalla cover cd cosi cupa, avrei pensato ad incandescenze black metal, in realtà la proposta del quintetto lombardo guarda alla Svezia, con un sound che chiama in causa un che degli In Flames degli esordi, soprattutto nell'utilizzo di quelle parti acustiche ("The Disinterment") che resero celebri i primi album della band di Anders Fridén e compagnia. Chiaramente, c'è da soppesare le mie parole perché i cinque ragazzi, al debutto con questo 'For the Darkening', sono lontani anni luce dai tanto chiacchierati gods svedesi. Gli ingredienti però per piacere ai fan ci sono tutti: dai succitati arpeggi (penso all'opening dell'oscura "Silent Birches"), alle linee di chitarra assai melodiche e dal piglio marcatamente heavy metal, soprattutto a livello di assoli ("Germination"), passando alle convincenti growling vocals per finire ad un'atmosfera di fondo tenebrosa, in un album che non ha grosse velleità se non quella di presentare con umiltà la propria proposta ad un pubblico più vasto, con la consapevolezza (auspico) di non aver inventato di certo l'acqua calda. Mi piace il taglio tribale a livello ritmico di "Oath of Shadows", song dall'incedere epico che contribuisce a rivelare ulteriori potenzialità della band. La durata non eccessiva dei brani contribuisce a fornire un approccio più easy-listening agli Shantak cosi come le linee di chitarra, non particolarmente pesanti ("Drowned Tears"), rendono il tutto molto più assimilabile. Di strada ce n'è da fare comunque parecchia se ci si vuole scrollare di dosso i facili accostamenti con gli In Flames o altre mille band affini. I dieci brani, dotati comunque di una certa professionalità, finiscono però in un calderone dal quale sarà difficile alla fine ricordarsi qualcosa, in quanto difettano ancora in personalità, che rappresenta il vero limite di questo primo disco targato Shantak. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/ShantakBandOfficial/

CRTVTR - Streamo

#PER CHI AMA: Post Punk/Alternative, Fugazi
I genovesi CRTVTR sono senza dubbio una delle realtà più vitali del rock indipendente italiano, come testimoniato da un’intensa attività live che si è spinta ben aldilà della penisola, come un tour negli USA al fianco dei miei amati Self-Evident e uno persino in Cina (da cui la band ha tratto anche un documentario), a dimostrazione del fatto che, volendo, il rock può essere ancora una splendida avventura. Sulla bontà del loro lavoro erano già arrivati importanti attestati di stima, come quello di “sua bassità” Mike Watt, che aveva suonato in un brano del loro esordio del 2013, 'Here it Comes, Tramontane!', disco nel quale era già possibile intravedere ottime potenzialità e sicuramente uno stile personale. 'Streamo' è il loro secondo album e, a mio avviso, è un deciso passo in avanti nell’evoluzione della band oltre ad essere una delle cose migliori uscite del 2016, e non mi sto limitando al solo panorama italiano. Rinforzata la line-up con l’ingresso di un secondo bassista, il suono di 'Streamo' si è di conseguenza ispessito e fatto più maturo e centrato, laddove l’esordio appariva in alcuni tratti ancora fuori fuoco. Quello dei CRTVTR è un rock che prende le mosse dal post-hc dei Fugazi e si colora di umori wave, innervando sussurri e grida su una sezione ritmica fenomenale (strabiliante il lavoro della batteria lungo tutto il disco), allo stesso tempo marziale e tribale, e va dato loro atto del fatto di essere riusciti a sviluppare un linguaggio che, pur coniugando influenze ben precise, sia allo stesso tempo fortemente personale. Quello che colpisce è il modo in cui la band riesce a contenere la furia punk, facendola correre sotto traccia senza mai far calare la tensione. Ognuno dei sette brani in scaletta brilla di luce propria e offre spunti melodici inaspettatamente accattivanti, come nell’iniziale "A.M, in Wait!" o nella bellissima "Untold". Lavoro splendido, passato forse un po’ in sordina (il disco è uscito a inizio anno), almeno rispetto ad altre cose che hanno ricevuto ben altre attenzioni pur essendo decisamente meno interessanti, col quale bisognerà fare i conti per molto tempo. Avanti così. (Mauro Catena)

(To Lose La Track/Already Dead Tapes/QSQDR - 2016)
Voto: 85

https://crtvtr.bandcamp.com/album/streamo