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lunedì 21 dicembre 2015

Poseidon – Octavius

#PER CHI AMA: Symphonic/Cinematic/Progressive, Arcturus
La band russa di Stravropol, dopo aver pubblicato nel 2014 'Infinity' per Argonauta Records, è tornata in pista, nell'estate del 2015, con questo lungo singolo di quasi dieci minuti, qui proposto in doppio formato composto da una lunga suite cantata e a seguire lo stesso brano in veste strumentale. Devo ammettere che mai riferimento ad un genere fu più azzeccato di quello che gli stessi autori si sono affibbiati, ossia 'cinematic metal'. Il brano è straordinario, carico di suggestioni sonore vicinissime alle colonne sonore, preferibilmente epiche, classicheggianti e sinfoniche, oserei quasi dire perfette sotto ogni profilo. Pur mantenendo una forma molto metal, il suono acquista sfaccettature progressive e moderne con una qualità sonora veramente degna di un colossal, suonato divinamente e concepito per stupire, aiutato poi da un'ottima produzione. Nella versione cantata, la performance vocale fa la differenza, solcando le orme di un death metal sinfonico, in cui il canto dona ulteriore epicità al brano, e l'interpretazione a più voci risulta veramente indovinata e di alta qualità. Nulla è fuori posto, è tutto esageratamente completo e stilisticamente perfetto, cori, synth, tastiere e chitarre dal divino, classico gusto progressivo, una sezione ritmica impeccabile, compatta e peculiare, precisissima, effetto cinematografico ed un modo di intendere il metal senza singoli sfarzi musicali ma una coralità invidiabile, una compattezza adorabile, un'ottima attitudine al suono d'insieme, ideale per raggiungere l'intento sonoro della band, ovvero, un maestoso e potente metal progressivo dal sapore fortemente cinematico. Dieci minuti di intenso piacere, da ascoltare interamente senza riserve. Ottimo lavoro, ora attendiamo il full length! (Bob Stoner)

(Crowford Records - 2015)
Voto: 80

Interview with Windfaerer

Follow this link to know much better the US sensation Windfaerer and their incredible sound in the vein of Australian Ne Obliviscaris:



sabato 19 dicembre 2015

Sky Shadow Obelisk - Beacon

#PER CHI AMA: Prog/Doom, Aarni
Peter Scartabello, cognome tipicamente italiano, è l'uomo che si nasconde dietro al moniker Sky Shadow Obelisk e alla musica assai particolare contenuta in 'Beacon', disco di debutto del polistrumentista americano dopo un paio di EP. La proposta del musicista del Rhode Island non è quanto di più facile potrete ascoltare: è necessaria infatti una certa predisposizione allo sperimentalismo sonoro e avere anche timpani adatti ad accettare il cantato alieno del mastermind statunitense. 'Beacon' consta di cinque brani, alcuni dei quali parecchio lunghi (si sfiorano addirittura i 20 minuti con "Velus Temporum"). Il disco si apre con le atmosfere inquietanti, ma aliene si addice di più, della title track: una melodia stralunata e totalmente dissonante (leggasi Ved Buens Ende) su cui si instaura la voce psicotica del buon Peter, che propone una timbrica pulita ma di assai difficile approccio in quanto appare palesemente stonato. Non ho la più pallida idea se l'effetto sia voluto o meno, ma ascoltando le linee melodiche totalmente sghembe, mi farebbe propendere per una scelta voluta che conduca ad una proposta musicale fuori dagli schemi e da ogni termine di paragone con altre realtà musicali. L'obiettivo alla fine è centrato. Anche nella seconda "The Ancient Yeasts of Yoh-Vombis", titolo che richiama inequivocabilmente l'occulto mondo di H.P. Lovecraft, attraverso una song lenta, e resa triste dal cantato drammatico di Peter (che qui trova sfogo anche in una veste growl), troverete una proposta assai sperimentale e non comune. La musica, nella sua lentezza disarmante, palesa una certa influenza che rimanda al rock progressivo e a fraseggi jazz. Influenze che svaniscono con la più ruvida e death doom oriented "Scepter of the Black Sun", che mette in luce uno splendido assolo e una serie di ubriacanti scale ritmiche conclusive. Non è certo la campana di "For Whom the Bell Tolls" quella che risuona in "The Polymorphic Bell of the Messenger", un'altra song che evidenzia la natura psicotica e sperimentale dell'artista di Providence. Sul suono di una campana infatti si insinuano una serie di improbabili suoni intergalattici e vocals robotiche. La sperimentazione qui raggiunge livelli parecchio elevati e se non vi sentite pronti ad andare oltre i vostri limiti, è molto meglio che vi interrompiate qui. Mr. Scartabello è un pazzo furioso lo devo ammettere, per cui nulla suonerà convenzionale nel delirio musicale in cui vi imbatterete ascoltando 'Beacon'. Frastornato da suoni idiosincratici, mi preparo a scalare gli ultimi 19 minuti di "Velus Temporum", neanche fosse "L'Alpe d'Huez" nel Tour de France. È funeral doom quello che mi attende al valico orrorifico di quest'ultima traccia, che mi fa sprofondare in un dirupo di disperazione e paranoia, consumandomi i pochi neuroni avanzati nel mio cervello. Il connubio voce delirante e growl, instauratosi sul tappeto plumbeo, suona come angosciante e agonizzante per il sottoscritto, pur mostrando tuttavia qualche punto di contatto con i primi Candlemass. Fortunatamente e in modo alquanto inatteso, mi imbatto in 5-6 minuti di silenzio, manna dal cielo per la mia mente già consumata, dopo aver affrontato un album del genere. Ma rimangono ancora gli ultimi due minuti di cui godere: altri estranianti suoni di un folle musicista. Marziano. (Francesco Scarci)

(Yuggoth Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/skyshadowobelisk

Closet Disco Queen - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock/Psichedelia
Oggi parliamo di un interessante duo svizzero, precisamente da La Chaux-de-Fonds, città storicamente conosciuta per essere il centro strategico dell'industria orologiera. Qui, Luc (batteria) e Jona (chitarra) si sono incrociati e hanno unito la loro esperienza pregressa per formare un power duo strumentale che fonde psycheledic kraut rock’n'roll con influenze prog. Il risultato è spumeggiante e il loro album di debutto è da ascoltare con attenzione: molti strati si susseguono ed anche se al primo approccio l'ascolto fila via liscio come l'olio, man mano che 'Closet Disco Queen' girerà nel vostro lettore cd, percepirete sempre nuove sfumature ed intrecci. Un po' come l'idea dell'album che nelle sette tracce vuole raccontare la storia di una brava ragazza, ma che in fondo nasconde un'attitudine da bad girl, la classica bambina cattiva. Nel lavoro troviamo diverse influenze ma volendo sintetizzare si tratta di un post rock unito a passaggi jazz con tappeti ambient che mantengono l'ascoltatore in costante stato di tensione emotiva, pronto a sfociare in un turbine di battute e accordi sgraziati al limite del noise. "Hey Sunshine!" è l'opening track che inganna per quel suo appeal positivo e crescente dove la velocità di esecuzione è al limite delle possibilità umane, ma comunque lascia spazio a melodie meticolose e repentine. Il batterista è probabilmente il musicista più felice su questa terra, infatti trova largo spazio per poter tessere paradiddle vorticosi e trascinanti. Spesso si ha quasi l'impressione che trascini anche la chitarra nel suo mondo di battute alternate, ma è una sensazione che dura poco perchè si viene subito investiti dai riff intrecciati della sei corde. Quest'ultima punta su un suono minimalista, una leggera distorsione e riverbero per non essere incatenata nell'esecuzione e pertanto avere la massima libertà possibile. Ottima sia la progressione che l'evoluzione melodica del brano che termina con un outro ambient-post rock per allacciarsi al pezzo seguente. "Caposhi" rallenta e punta su un riff ossessivo di chitarra che si ripete come un mantra, sempre inserito su una ritmica ostica e puntuale, caratteristica ormai assodata della band. Pian piano il brano si apre, acquista potenza gradualmente e finalmente il riff cambia, rimanendo semplice e di facile ascolto. Sicuramente una song dal discreto impatto prog nei live. L'album si chiude con "Black Saber", una suite di dodici minuti di puro rock psichedelico alla vecchia maniera, dove chitarra e batteria si fondono come due amanti senza tempo a formare un duo perfetto. Anche qui groove a palate con tanto di assolo selvaggio, pochi orpelli, ma musica vera e sudata come nei '70s. A tre quarti del brano i Closet Disco Queen rallentano, si prendono una piccola pausa per riprendere fiato e via che si imbarcano in un crescendo che li porterà a chiudere in bellezza, a suon di feedback. Un gran bell'album, disponibile in digisleeve, vinile e digitale, un lavoro che si incastra perfettamente in una collezione rock con reminiscenze anni '70, ma rivisto in chiave prog/psichedelica. (Michele Montanari)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/closetdiscoqueen/

giovedì 17 dicembre 2015

CONTEST

Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'.



Aggiudicatevi una copia del nuovo album dei Will'o'Wisp, rispondendo correttamente a due semplici domande che riguardano rispettivamente l'esordio e la nuova fatica della band ligure:

1. qual è il titolo dello storico demotape di debutto dei Will'o'Wisp?
2. qual è il titolo della raccolta di poesie pubblicata da N. Roerich su cui si basa il concept di 'Inusto'?

Il concorso prevede che gli intestatari delle prime 3 mail contenenti le risposte corrette inviate a pozzodeidannati@yastaradio.com entro e non oltre il 20 dicembre 2015, riceveranno direttamente a casa una copia del cd, licenziato dalla band nella primavera di quest'anno.

mercoledì 16 dicembre 2015

Void Of Sleep - New World Order

#PER CHI AMA: Psych Rock/Occult Progressive
Stavolta ho fatto le cose per bene. Ho ascoltato il singolo in streaming per il lancio del nuovo album, sono andato ad uno dei primi concerti del tour (il release party era un po' fuori mano, ma mi pento ancora di averlo perso) e ho preso il nuovo album direttamente dalle mani della band. Questo è la breve cronistoria del mio approccio a 'New World Order', secondo album dei Void of Sleep (VoS). Per chi non li conoscesse, il quartetto di Ravenna si è formato nel 2010 ed ha all'attivo un EP prodotto nel 2011 e il primo album, 'Tales Between Reality and Madness', uscito nel 2013. In questi anni di duro lavoro, la band ha riscosso grande successo, sia sul palco (condividendolo con OM, Unsane, Mondo Generator e tanti altri) che a livello di produzioni. I ragazzotti infatti hanno fatto un percorso impegnandosi costantemente e grazie al positivo allineamento astrale del mondo della musica, ora sono una realtà importante della scena musicale nostrana (e non solo). Diciamo subito che rispetto al precedente album c'è stata un'evoluzione del sound, passando infatti da un mix di doom, stoner, sludge e psychedelic rock ad un metal prog dalle venature occulte. Anche questo secondo lavoro è prodotto dalla Aural Music che non ha esitato un momento a prendere sotto la propria egida una band di tale spessore musicale. I sette brani contenuti nel jewel case, peraltro dalla grafica assai curata, sono un perfetto mix di tecnica, arrangiamenti e qualità sonora, che vi avvolgeranno nelle loro lunghe spire e vi porteranno nell'oscuro mondo della band, fatto di poteri occulti che governano il mondo. Non a caso il primo brano si intitola "Devil's Conjuration": qui i riff di Gale sanciscono l'imperioso avanzare della batteria (Allo) e del basso (Paso, peraltro noto produttore della scena metal) che formano assieme una miscela accattivante fatta di ritmiche incalzanti, distorsioni potenti e appaganti all'orecchio. La voce di Burdo ha una timbrica particolare e camaleontica, prima eterea ed elegante quando i riff sono più leggeri, poi aggressiva e d'impatto seguendo l'evoluzione del brano. Quest'ultimo alla fine è ben fatto e consta di quattro minuti dotati di una progressione costante e convincente che si ascolta con gusto e soddisfazione per i nostri timpani. In "Ordo Ab Chao" (motto massone che significa "ordine dal caos") si inizia in modalità stoner/psichedelic rock, a conferma che i Void of Sleed non rinnegano le proprie radici. Dopo questo breve excursus, riff e melodie riprendono il mood attuale della band, con evoluzioni stilistiche e melodiche in un continuo turbinio sonoro, a rispecchiare il senso del brano che richiama appunto l'ideologia che solo attraverso il raggiungimento del massimo livello di caos, le persone saranno disposte ad un regime di ordine e quindi di potere gestito dagli eletti. Si aggiungono poi momenti di claustrofobia, specialmente nella parte del parlato, dove temporaneamente gli strumenti calano di intensità, ma solo per preparare un ulteriore slancio. Alcuni hanno scritto che i VoS richiamano Opeth e Tool, vero in parte, soprattutto perché la band di Ravenna è riuscita a forgiare un proprio sound e uno stile personale che gli permette di essere ben identificabile. La title track probabilmente rappresenta al meglio la band: otto minuti abbondanti in cui troverete tutta l'essenza mistica dei VoS racchiusa in un vaso pronto a liberare gli spiriti ormai oppressi da troppo tempo. Le linee melodiche sono assai complesse, le chitarre si sovrappongono per qualche battuta, poi si allontanano per seguire i propri arrangiamenti e si ricongiungono più avanti per esplodere all'unisono, mentre batteria e basso si occupano della loro sezione in maniera scrupolosa. Ancora una volta il vocalist interpreta il brano in maniera ineccepibile regalando sempre grande enfasi ai vari passaggi della canzone. In definitiva ci troviamo di fronte ad un ottimo full length, pensato, eseguito e registrato con perizia, da una realtà da seguire ed apprezzare. I VoS hanno fatto la loro parte, ora tocca a noi sostenerli e farli crescere ancora di più. (Michele Montanari)

(Aural Music - 2015)
Voto: 85

Appollonia – Dull Parade

#PER CHI AMA: Postcore/Post Grunge/Psichedelia
Ci arriva con un sensibile ritardo questo splendido quarto album, pubblicato nel 2014, dalla band transalpina degli Appollonia, act proveniente da Bordeaux e attivo fin dal 2005. La maestria accumulata in anni di note e sudore, si sente tutta e si mostra alla grande nella sapiente modalità compositiva del trio, nella classica veste rocciosa di basso, chitarra e batteria. Una scrittura musicale completa, capace di creare un potente heavy/rock dalle tinte forti e psichedeliche alla stessa maniera, una vena metal moderna e revisionista come potrebbe essere considerata quella degli ultimi album dei mitici Mastodon, anche se qui la componente progressive è meno evidente e lascia posto ad una vena di pesante rock coperta di delicate e allucinate escursioni in tinta post-core. In realtà gli Appollonia, che già avevo avuto piacere di recensire nel buon precedente album, mostrano un ulteriore passo in avanti, affilando le proprie armi in un sound corposo, suonato divinamente, che non esaspera mai le sue influenze, e che alla fine risulterà potentissimo e intricato al punto giusto, mescolando egregi granitici riff metallici e cori hardcore con una cadenza post grunge devota al suono di certi lavori degli ultimi Alice in Chains. Una punta di leggerezza che caratterizza tutti i brani, ricavata da una verve indie/neo prog/psichedelica molto cara ai visionari Mercury Rev e ai polacchi Riverside. Il risultato è inspiegabile per una band con un simile impatto e la resa dei brani è impressionante. La solidità delle composizioni e la bellezza delle parti cantate a più voci è a dir poco perfetta, affascinante, orecchiabile, in grado di dare un valore aggiunto inestimabile, un'originalità incantevole senza l'obbligo di dover per forza suonare come qualcosa di nuovo. Lo scorrere dei brani è fluido, coinvolgente ed anche la scelta di trascinare l'ascoltatore in una scaletta che parte dalle tracce più potenti per finire dolcemente sulle ultime due tracce, "Anelace" e "Welsh Rarebit", animate da un puro spirito rock più moderato e psichedelico, è simbolo di padronanza estetica e maturità compositiva ormai raggiunta, vicina alla totale perfezione. La cosa sconvolgente è che dietro ad un album del genere ci sia poi un'ottima produzione indipendente e che ancora dopo dieci anni di attività, una band simile non sia stata acclamata dalla scena musicale internazionale. La Francia si dimostra ancora una volta fabbrica eccezionale di talenti musicali e gli Appollonia meritano tutta la nostra ammirazione e il massimo supporto. Album da sogno! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Of Spire and Throne – Sanctum in the Light

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Carattere oscuro e personalità da vendere, passione e tenebrosità. Una musica schiva, intensa per questo primo full length della band scozzese degli Of Spire and Throne, un album carico di luoghi comuni del doom ma allo stesso tempo ricco di fascino e mistero, trascinante e a suo modo fantasioso, che coglie lo spirito eterno del suono Sunn O))) e lo rielabora in una forma più accessibile, più rock, che riprende i canoni usuali del doom e li rilegge con una tetra sensibilità da far impallidire anche l'ascoltatore più esigente. Proprio qui sta la forza della band di Edimburgo, riuscire ad essere personali ed interessanti con cadenze tipiche del funeral e rallentamenti ipnotici, aperture epiche ed atmosfere infinite dal sapore di epoche antiche, primordiali. Brani interminabili, voce maligna, con esplosioni inaspettate ed evoluzioni curate, un certo gusto cinematico e una esasperata, deliziosa pesantezza, mai forzata né arrogante, sempre in equilibrio, paragonabile solo al capolavoro 'As Heaven Turns to Ash...' dei Warhorse, una genialità seminale, inesorabile, devastante e "Upon the Spine" ne è la prova, un brano stupendo. Sono quattro le tracce dalla durata interminabile che in totale sfiorano l'ora di musica, eppure tutto scorre tranquillamente in un ascolto vario ed impegnato tra impennate lisergiche, atmosfere drammatiche, drone, sound granitico e cadenza rallentata. La produzione è impeccabile e si vede che i quattro musicisti scozzesi ne hanno fatto di strada dal 2009, ad oggi. Le numerose fatiche fatte a suon di demo, split ed EP hanno dato frutto a questo gioiellino sotterraneo indipendente, distribuito in cd dalla Aesthetic Death Records, in cassetta e vinile rispettivamente dalla Tartarus Records e dalla Tatterdemalion Records. 'Sanctum in the Light', ossia il fascino luminoso dell'oscurità, un album perfetto! D'obbligo l'ascolto per gli amanti del genere. Splendido lavoro! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2015)
Voto: 90

sabato 12 dicembre 2015

Nono Cerchio - Ombre

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal strumentale
Il primo album dei Nono Cerchio è uno di quei lavori in cui ti imbatti tanto casualmente quanto ti lascia di stucco già dopo pochi minuti, ma partiamo dal principio. Il trio nasce a Bologna nel 2013 e vede coinvolti Francesco D'Adamo (Nero di Marte), Andrea Burgio (Nero di Marte, Miotic) e Jonathan Sanfilippo (Caffè dei Treni Persi), quindi musicisti di grosso calibro del panorama musicale nazionale. Da subito la loro idea era di fondere il proprio bagaglio artistico per dare alla luce ad un progetto post rock strumentale, con grosse influenze prog e ambient. Il mix è oscuro, complicato e affascinante come non mai, infatti le sei tracce vi accoglieranno tra le loro lunga braccia e vi trasporteranno in quel posto recondito in fondo al vostro cervello, dove le sinapsi brillano e pulsano come esseri bioluminescenti. "Cocito" metterà subito alla prova le vostre difese mentali e vi avviso che l'unico modo per apprezzare la musica dei Nono Cerchio è l'abbandono totale. Quasi undici minuti di intrecci strumentali, dove batteria-basso-chitarra vi racconteranno una storia che evolve costantemente in una profusione di riff, feedback, delay e ogni altro suono etereo che può essere generato da uno strumento fisico. La classica struttura strofa-ritornello-break viene sbriciolata per non rimanere incatenati ad alcun cliché che limiterebbe l'espressione artistica del trio bolognese. Vi troverete avvolti da un'inquietante atmosfera che non farà altro che accrescere il vostro stato di ansia, con suoni che sembrano unghie su una lavagna o lame che stridono sul vetro, ma un secondo dopo l'esplosione vi annienterà. Tutto grazie a una chitarra distorta, un basso profondo e ad una batteria simile ad un bisturi da quanto è precisa e perentoria. Pochi secondi di vuoto e poi arriva "La Porta Cremisi", un'intro sostenuta da una batteria dai suoni talmente realistici che sembra di averla li in salotto appoggiata sul tappeto buono. La ritmica è intrecciata, complessa e poco a poco, basso e chitarra si appoggiano alla stessa per iniziare a raccontare la loro storia fatta di riff sinuosi e umidi. Il breve break permette un attacco più incisivo, carico e di nuovo il drumming fantasioso conduce i giochi, tra rullate velocissime e tocchi da maestro. Atmosfere liquide e degne di un film di Lynch, semplicemente perfette. "La Caduta" ricalca l'approccio delle precedenti tracce, con una continua iperbole di arrangiamenti fatti di arpeggi delicati di chitarra che si infervorano e portano all'esplosione totale che non ha in realtà mai un vero picco, ma si configura come un saliscendi continuo, con intermezzi noise ed ambient che farebbero ammalare qualsiasi mente equilibrata. Una musica che scrosta la patina di finzione che ricopre la vita di tutti i giorni e porta alla luce i nervi tesi, il sudore e i denti che digrignano in silenzio. "Ombre" è il post rock portato ai massimi livelli, quello introspettivo che non cede alla depressione, anzi sfrutta le debolezze dell'animo umano per scandagliarne le profondità e cogliere ogni singola sfumatura. Immaginate i Vanessa Van Basten redivivi e incazzati, o i Giardini di Mirò che si scrollano di dosso la polvere del pop. Se questa è la musica italiana underground, impegnata e alla continua ricerca del fuoco artistico, mi tengo stretto questo cd e a tal proposito, cercatevi putr la XXXIII Limited edition e cominciate a sbavare. (Michele Montanari)