Cerca nel blog

domenica 11 novembre 2012

The Gathering - Downfall

#PER CHI AMA: Death/Doom, Celtic Frost
Attenzione! Prima di procedere nella lettura di questa recensione, rispondete alle seguenti domande: siete dei fan sfegatati dei primissimi lavori dei “The Gathering”? di quelli che se vi capita di ascoltare il loro “Always...” vi coglie un attacco di nostalgia canaglia? Pensate che Anneke van Giersbergen (sospiro) come unica voce li abbia rammolliti? Non vedete di buon occhio il mitico “Mandylion” (a me piaceva da matti, nostalgia canaglia) e ancora meno “How to Measure a Planet”? Se avete risposto “sì” ad almeno due di queste domande, potete continuare nella lettura. Questo è un prodotto dedicato agli ammiratori senza remore del gruppo. Altrimenti potete tranquillamente passare oltre che non mi offendo... vabbé un po’ sì. Vi sembra di riconoscere questo album? Avete ragione, infatti si tratta di un ri-edizione di “The Falling - The Early Years”, una loro raccolta del 2001. La Vic Records la ri-pubblica cambiando scaletta e aggiungendo un sacco di extra, alcuni dei quali davvero rari. Le tracce presenti si rifanno ai tempi in cui i nostri producevano un oscuro doom/death metal e le voci femminili erano solo “backing vocals”. Tracce in cui esce il desiderio di creare atmosfere rarefatte ed evocative di sensazioni oscure. Il disco si apre con le prime sei tracce che derivano da un promo del 1992 di “Almost a Dance”; scopro che qui il cantante non è il Niels Duffheus della versione finale dell’album, ma il growler originale Bart Smits. Per me è una bella sorpresa, non ho un gran ammirazione per Niels e forse Bart, sebbene pure lui non fosse particolarmente adatto al desiderio di quei tempi di cambiamento della band, avrebbe dato a “Almost a Dance” un’anima diversa, chissà. Va be’, dicevamo? Ah già, si continua poi con canzoni presenti nella prima edizione del ciddì. Derivano dai demo “An Imaginary Symphony” (1990), “Moonlight Archer” (1991) e da altri inediti. Spicca la cover di “Dethroned Emperor” dei Celtic Frost, ulteriore indizio sulle loro origini. Si prosegue quindi con una serie di registrazioni di performance dal vivo. Una parola sulla qualità del suono: visto quando sono stati registrate, non è per niente male. Cosa ci rimane alla fine di questa cavalcata nei primi vagiti dei “The Gathering”? A me viene naturale confrontare questa raccolta con ciò che lo ha seguito. Il risultato è un sensazione un po’ divertita mista ad una nostalgia distaccata. A coloro che han sostenuto il gruppo fin dagli esordi, e magari poi abbandonato, questa riedizione regalerà sicuramente emozioni più forti. (Alberto Merlotti)

(Vic Records)
Voto 60 

The Reset - Progenitor

#PER CHI AMA: Djent, Progressive Death, Tesseract, Meshuggah
Un grazie a Simone Saccheri (chitarrista degli (Echo)) per avermi suggerito questa giovane band proveniente da Orlando (Florida), autrice di un buon EP d’esordio, capace di miscelare ritmiche brutal death con le sonorità polifoniche del djent (scuola Meshuggah), con spaventosi cambi di tempo, il tutto eseguito in poco più di 12 minuti di tempesta elettrica. Il lavoro si apre con la strumentale “Materia” che permette immediatamente di identificare il genere proposto dall’act statunitense; la song cede il passo, dopo un paio di minuti di bombardamento a tappeto, stemperato solo da ipnotiche keys, alla ancor più ferale “Relativity” che con le sue chitarre ribassate, il growling oscuro di Steven McCorry, e il suo dilaniante incedere psicotico e al contempo efferato (grazie ad una ritimica mega serrata), ha lo stesso effetto di una pesante bastonata dietro alle ginocchia, mi ha piegato in due. La terza “Satcitananda” apre come il ruggito di un leone, ma con la sorpresa di clean vocals (stile Tesseract), con le chitarre che persistono nel loro gioco ubriacante di fraseggio e passaggio da una parte all’altra delle mie cuffie, portandomi al più totale disorientamento. Ancora l’effetto che percepisco al termine di questa song è quella di essere stato incappucciato, fatto girare decine di volte su me stesso, qualche bastonata qua e la, e poi, tolto il cappuccio, mi ritrovo collassato sul pavimento. La conclusiva “Imperium” continua su questo binario, ma sembra la meno convinta del lotto (anche in fatto di vocals non del tutto convincenti), comunque apprezzabile il lavoro in fase tecnico-compositiva, che conferma che per proporre un simile genere, sia necessario avere le palle quadrate. Veloci ma essenziali. (Francesco Scarci)

(Self) 
Voto: 70

Decapitated - Organic Hallucinosis

#PER CHI AMA: Techno Brutal Death
Della serie, riscopriamo vecchi album del passato, mi domando se ci sia qualcun altro che mi voglia prendere a scarpate nel culo quest'oggi? Dopo i Krisiun ecco recensire un’altra bastonata per i miei oramai delicati timpani: trattasi questa volta dei polacchi Decapitated e del loro album edito dall’Earache, “Organic Hallucinosis”: poco più di mezz’ora di furia omicida miscelata alla perfezione con le ritmiche sincopate tipiche dei maestri Meshuggah e di altre trovate strampalate che potrebbero accostare la band ad altri mostri sacri quali Cephalic Carnage o Cryptopsy. L’evoluzione musicale iniziata in “Nihility”, prosegue in questo capitolo, il quarto, proiettando la band, guidata dal nuovo cantante Covan (ex Atrophia Red Sun), ad essere una delle più belle realtà del metal estremo. Il quartetto polacco continua a crescere (e le release successive l'hanno poi dimostrato) e si sente: sono infatti abili nel miscelare la brutalità del proprio sound con divagazioni avantgarde e i tipici stop’n go dei master svedesi. Il tutto poi, fatto con un’invidiabile tecnica individuale, nonostante la giovane età dei nostri, rende il lavoro ancora più appetibile. Buona la performance vocale di Covan che, prendendo le distanze dai gorgheggi tipici del genere, interpreta i brani con assoluta personalità. Assoli al fulmicotone, velocità al limite dell’umano, melodie dissonanti, furenti blast beat, accelerazioni mozzafiato, elucubrazioni chitarristiche e atmosfere snervanti, accompagnate da una equilibrata produzione, completano ulteriormente, uno dei lavori più interessanti tra quelli usciti nel 2006. Sebbene non ci troviamo di fronte ad un capolavoro che brilli per originalità, devo ammettere che la proposta dei nostri è risultata davvero spiazzante per il sottoscritto; bravi, ma ne sono certo, c’è ancora spazio per migliorarsi... (Francesco Scarci)

(Earache Records) 
Voto: 75

Krisiun - AssassiNation

#PER CHI AMA: Brutal Death
Che sonora mazzata nei denti ragazzi... ecco in poche parole cosa racchiude l'album dei brasileiros Krisiun, il sesto della loro esplosiva discografia: 46 minuti di ferocia inaudita, decisa a perforare i nostri sempre resistenti (ancora per poco) timpani. Il combo sud americano non si allontana di molto dal proprio tipico stile techno-brutal-death, che oramai contraddistingue la band, fin dal lontano debutto del 1993: un sound compatto, solido e rovente, suonato costantemente con un’elevata perizia tecnica. Disumano è il lavoro alla ritmica, con una batteria rutilante, precisa e variegata a costruire atmosfere annichilenti e claustrofobiche; le debordanti ritmiche, ricche di cambi di tempo, constano di selvagge chitarre laceranti, efficaci nel creare un muro sonoro insormontabile, che si alternano, con imprevedibile naturalezza, a momenti d’insana tranquillità, quasi a preannunciare l’arrivo della tempesta, fatta d’impeccabili assoli che giocano molto spesso, a rincorrersi l’un con l’altro, nell’arco dei vari brani. Musicalmente i Krisiun sono accostabili agli Hate Eternal, anche se gli ultimi lavori del combo statunitense non mi avevano convinto completamente, per una certa immobilità di fondo; al contrario, l’ascolto di “AssassiNation”, si è rivelato davvero entusiasmante. L’assalto sonoro profuso dal platter, targato Century Media, e coadiuvato dall’eccellente produzione ad opera di Andy Classen, consacra definitivamente il trio, guidato dai brutali grugniti di Alex Camargo, quale migliore band nel genere. Consigliatissimi agli amanti del genere. Devastanti... (Francesco Scarci)

(Century Media)
Voto: 80

Australasia - Sin4tr4

#PER CHI AMA: Sonorità Post
Dannazione, solo 22 minuti! Io ne volevo molto di più… Signori, vi presento gli italiani Australasia, ennesima dimostrazione di come il nostro bel paese, pur regredendo sempre più da un punto di vista economica, stia invece facendo balzi da gigante in territori musicali/artistici, tanto da rischiare di scalzare i godz mondiali. Gli Australasia ci presentano la loro personale interpretazione di post rock, dalle fosche tinte autunnali si, ma anche contraddistinto da un più elettrico e corrosivo uso delle chitarre. “Antenna” funge quasi da intro (ma intro non è) del lavoro e non fa altro che palesare l’amore del duo per l’entità post rock mondiali, penso soprattutto a God is an Astronaut ed Explosions in the Sky, certo che poi, quando la ritmica inizia a pestare sul serio deduco, che con il duo italico, si va ben oltre al post rock, nella normale accezione della definizione. Quando “Spine” attacca infatti, e ricompare il feroce fragore dei blast beat, rimango attonito ed affascinato dinnanzi siffatta espressione musicale. Sicuramente nel sound dei nostri compaiono le classiche stemperanti aperture ariose del genere “gentile”, ma accanto a queste si collocano pure, roboanti cavalcate dall’incedere devastante. E forse proprio in questo imprevedibile connubio tra forza e delicatezza, tra mostruosi riffing ed inserti elettronici, parti atmosferiche e melodie soffuse, che si nasconde il punto di forza dei nostri. “Apnea” inizia in modo più sinuoso, rilassato e finalmente si vede la comparsa di un angelo alla voce, mentre la musica assume connotati che esulano completamente dal metal e i suoni pian piano avvinghiano le mie terminazioni nervose, provocando un esaltante rilascio di endorfine, ma la song dura troppo poco per poterne assaporare tutte le sue sfaccettature. Va di scena (e scusate il gioco di parole) “Scenario”, song che si apre in modo canonico, per poi lasciar posto all’ennesima scarica al limite del post black (chi ha citato Deafheven?) contaminato dallo shoegaze. Cavolo anche questa dura troppo poco, che nervoso. Diamine, qualche brano più lungo non si poteva fare? Va beh, rassegnato di fronte a questa evidenza, mi lancio all’ascolto della seconda metà di questo EP: “Satellite”, “Retina” e “Fragile” completano questa release di sette pezzi, contraddistinte dalle melodie sonnacchiose della prima traccia, dalla robusta sezione ritmica della seconda contrappuntata da bei giri di chitarra ed infine dal pomposo e seducente sound dell’ultima traccia. Beh che dire, se non che anche oggi abbiamo scoperto una nuova interessante realtà nostrana, che auspico possa esplodere molto presto, grazie anche al vostro supporto, e possa dare del filo da torcere a tutte le realtà statunitensi, che ancora per poco primeggeranno nel panorama mondiale. “Sin4tr4”, una fantastica scoperta… (Francesco Scarci)

(Golden Morning Sounds)
Voto: 80

Frozen Ocean - A Perfect Solitude

#PER CHI AMA: Ambient/Post Rock
Ritorna sulle pagine del Pozzo, la one man band moscovita dei Frozen Ocean, sempre guidata dal factotum Vaarwel. La band, che avevamo incontrato in occasione dei due interessantissimi lavori che precedono questo “A Perfect Solitude”, esce con quello che probabilmente rappresenta il perfetto connubio tra “Vestigial Existence” e “Likegyldig Raseri”, però in una veste drasticamente più soft. La nuova release infatti risulta maggiormente orientata verso lidi ambient post rock, con ampio spazio concesso alla componente strumentale, con ben cinque song prive di vocals. Dopo la malinconica intro affidata a “Broken Window”, incontriamo “Somewhere Clouds Debark” e le nuvole cariche di pioggia iniziano ad incombere sulle nostre teste. Ecco subito trasparire quindi l’immagine autunnale legata al freddo, alle intemperie e quant’alto, con un’atmosfera drammatica e triste, che permea, fin dagli albori, il sound dei Frozen Ocean. Le chitarre drappeggiano decadenti tonalità grigio fumo, dall’incedere lento e oscuro, mentre le drammatiche clean vocals, recitano su un tappeto di ispiratissime tastiere. La terza “A Sunflower on the Prison Backyard” è una traccia di 13 minuti, di cui la metà, spesa in tocchi eterei di synth e la seconda metà che presenta invece la stessa plettrata alienante per i successivi sette minuti, con un riff melodico che fortunatamente si sovrappone, nell’ultimo spezzone di brano. Straniante ma deludente. “Mare Imbrium” ci avvolge ancora con delle tetre ed ipnotiche melodie, create dalle sue ammalianti tastiere, coadiuvate, in un secondo momento, anche da uno splendido giro di chitarra e dal freddo suono della drum machine. Poco importa però, la traccia, in piena tradizione burzumiana, fluttua nell’etere, catturando i miei sensi. Con “Camomiles” mi aspettavo qualcosa di sonnacchioso, invece si sfocia nel noise, con suoni non proprio cosi facili da identificare, tanto meno da immagazzinare; questa tematica sarà ripresa anche nella conclusiva “Cleavage and Emission”. “Unavailing Steps on Perpetual” mostra infine il lato più brutale dei Frozen Ocean, con un epico attacco blackish (e un quasi un accenno di screaming vocals), e delle atmosfere darkeggianti che mi hanno ricordato i finlandesi Throes of Dawn. Insomma, “A Perfect Solitude” è un lavoro contraddistinto da luci ed ombre, in cui la componente ambient/noise, mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca, mentre le song cantate e quelle più ispirate, mi hanno davvero entusiasmato. Da rivedere col prossimo album, in cui sinceramente nutrirò molte più aspettative. (Francesco Scarci)

(Wolfsgrimm Records)
Voto: 75

giovedì 8 novembre 2012

Wedding In Hades - Misbehaviour

#PER CHI AMA: Doom Gothic, My Dying Bride
Vi confiderò che la Francia, a differenza del Franz, non m'ha mai attirato molto musicalmente a parte per qualche complesso. E i Wedding In Hades confermano il mio scetticismo verso la loro scena. Composizioni prive di ogni originalità e testi squallidi, fanno da padroni in questa pubblicazione, rendendomi di difficile sopportazione l'ascolto. Per perizia, ho pure dato un ascolto al loro primo full length e mi sembrava nettamente migliore. Non nascondo invece che il gruppo cerca di crearsi una propria personalità musicale provando ad uscire dai stilemi del genere britannico, usando chiari riferimenti ai Type O Negative o ai Saturnus. La presenza della violinista Marie Clouet (scomodata dalla The Grand National Orchestra Of Ile De France), rimane marginale e, invece di aiutare la band ad emergere nelle composizioni, si confonde nel resto dell'opera. Ma le sorprese non si fermano qui, perché all'interno di questo disco trovo un'ulteriore supporto al mio giudizio: una traccia death metal. Fatta male per di più. Probabilmente è stata scritta apposta come un simpatico scherzo o come tattica geniale per dar risalto all'opera, ma in un contesto dove si fatica a produrre un buon disco, non vedo spazio per tali perdite di tempo. Non uno ma tre passi indietro dal disco precedente, a dimostrazione che ultimamente la BadMoonMan Music non ne azzecchi una in fatto di band, a differenza delle etichette gemelle. Bocciati. (Kent)

(BadMoonMan Music) 
Voto: 50

mercoledì 7 novembre 2012

Toorn - Kronieken Van Het Einde

#PER CHI AMA: Death Doom, primi Katatonia
Toorn… Ira. “Kronieken Van Het Einde”… “Cronache della Fine”. Fatevi pure un’idea sul cosa aspettarsi dall’ascolto del secondo lavoro, uscito il 30 settembre, della one man band fiamminga, guidata da Mr. Gorik. La strumentale “A” apre il disco e le sue malinconiche melodie richiamano immediatamente il sound atavico dei Katatonia (era “Brave Murder Day”). Potrete pertanto immaginare la goduria per le mie orecchie, ma aspettiamo ad esaltarci; certo che quando “Omen” attacca, è inevitabile l’accostamento con i gods svedesi, anche in modo fin troppo eccessivo. Poco importa però, la band di Blakkheim e soci, ha ormai preso il largo verso altri lidi più rock, quindi ben venga la proposta death doom, dalle forti venature autunnali del mastermind belga. Se mi chiedete poi di descrivervi l’album, beh questo mi risulterà estremamente semplice: prendete ancora una volta il capolavoro della band svedese, traslate quel sound al 2012, quindi modernizzandolo con gingilli ed orpelli vari, tenendo come costante la lunga durata dei pezzi, un sacco di parti atmosferiche con voci soffuse, e avrete anche voi il vostro gioiellino di death depressivo a portata di mano. “Zomerzonnewende” apre con il più classico degli arpeggi, che tra l’altro ricopre buona parte della canzone, prima di lanciarsi in una sorta di climax ascendente, all’insegna di un sound emozionale che si mantiene comunque soffuso e decisamente melancolico. Poco spazio, ma va bene cosi, alla voce di Gorik, che si alterna tra un growling/screaming estremamente “gentile” ed alcuni vocalizzi oscuri ma puliti. Le chitarre stanno sempre li, a dipingere desolati paesaggi innevati, con le ritmiche che talvolta divengono aggressive (quasi black), e “Solitaire” ne è un esempio, che spinge sull’acceleratore che è un piacere, ma le cui keys di sottofondo e le parti arpeggiate, regalano deliziose melodie ancestrali. “Hiaat” è un altro pezzo strumentale che ci prepara al poker conclusivo, che si apre con i dieci minuti abbondanti di “Carpe Omnia”, song piuttosto ruvida, in cui il nostro Gorik sembra perdere per strada un po’ dello smalto con cui aveva deliziato il mio palato nella prima parte del lavoro: troppo poco convincente ed assai impersonale la ritmica nei primi cinque minuti; il classico intermezzo acustico, fortunatamente risolleva le sorti di una traccia di cui avrei certamente fatto a meno. “Winterzonnewende” lascia presagire sin dal titolo di essere una song dalle sfumature invernali, e l’ennesima apertura acustica (suggerisco una drastica riduzione di questo tipo di aperture), permette solo di intravedere le tenebre della notte nordica. Comunque ottima song che forse arriva addirittura a richiamare “Dance of December Souls” dei pluricitati Katatonia. “Ω” chiude in definitiva un album dalle ottime prospettive, che auspico non passi inosservato a chi, come me, si ciba di questo genere di calde sonorità autunnali. Poi siamo anche nella stagione giusta, quindi guai farselo sfuggire… (Francesco Scarci)

(Self) 

Voto: 80