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sabato 6 febbraio 2016

Doomina - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock
Sta davvero diventando difficile scrivere di questo tipo di dischi. Quali e quante altre parole potrei trovare per descrivere un disco di post rock strumentale, ben suonato e discretamente avvincente senza essere davvero memorabile, che non suonino già sentite un milione di volte? Forse nessuna, e la recensione potrebbe chiudersi qui, forse peró il punto non è questo. Esattamente cosí come il punto, per i Doomina, non è quello di suonare musica che sia per forza originale e mai sentita, quanto piuttosto di farlo nel miglior modo possibile, con perizia e passione, e confezionare un lavoro che sia quanto di meglio nelle loro possibilità. E questo è, difatti, l’album eponimo di questa band austriaca, sulle scene dal 2006. Il disco è disponibile in digitale o in vinile, dove di sicuro si potrà godere appieno della bella immagine di copertina e di una perfetta resa del suono caldo e avvolgente di queste 5 tracce la cui durata media, come prevedibile, si attesta sui 10 minuti. Il meglio arriva alla fine, quasi a voler premiare l’ascoltatore: i poco più di 10 minuti di “Prince of Whales”, densi di crescendo chitarristici e accelerazioni improvvise, sono quelli piú a fuoco dell’intero lavoro e quelli in cui meglio emergono le qualità della band nel costruire brani epici, potenti e, vivaddio, emozionanti. Per quanto il senso di già sentito sia sempre difficile da scacciare, qui i Doomina colgono nel segno. Non sempre si puó dire lo stesso del resto del programma in scaletta. L’opener “Keira” ha il merito di farci entrare bene nel mood del disco, con un andamento classico arpeggio-distorsione-arpeggio piú rarefatto distorsione-accelerazione che non stupisce ma piace per il gusto e la misura. Allo stesso modo anche le successive “Kepler 10b” e “Pangea” si lasciano ascoltare e apprezzare per la piacevolezza, pur senza davvero mai emozionare. Se potete immaginare il concetto di post-metal da sottofondo, questo secondo me ci si avvicinerebbe molto. “Behold... The Fjørd!”, la traccia piú lunga, cattura l’attenzione per mezzo dei suoi oltre 11 minuti di crescendo ondivaghi e poderosi, il primo dei quali culminante in una frase spiccatamente melodica che, ma forse sono le mie orecchie malandate, a me ha ricordato addirittura “Bed of Roses” dei Bon Jovi. In definitiva, un disco senz’altro ben fatto, suonato e registrato molto bene, che gioca bene le sue carte e si propone, per gli appassionati del genere, come ottima alternativa ai soliti nomi. Se amate il post rock strumentale, probabilmente lo amerete. (Mauro Catena)

(Noise Appeal - 2015)
Voto: 70

https://doomina.bandcamp.com/

Enisum - Arpitanian Lands

#PER CHI AMA: Shoegaze/Black Atmosferico
Poco meno di un anno fa, il Pozzo dei Dannati descriveva il terzo lavoro dei piemontesi Enisum, 'Samoht Nara', come un miscela di cascadian black e shoegaze. A distanza di 11 mesi, spetta a me raccontarvi di 'Arpitanian Lands', quarta fatica del trio della Val di Susa. L'ingresso nella lunga title track strizza l'occhio agli Alcest e immediatamente conferma quanto descritto dal mio collega nella precedente recensione. Una voce di donna, Epheliin, apre infatti questo brillante disco con i suoi eterei vocalizzi posti su di un arpeggio dal forte sapore folk. Inizia qui il racconto delle terre dell'Arpitania, che abbracciano territori di Italia, Francia e Svizzera, tributandone l'amore della band. La musica di Lys e soci ci accompagna lungo questo viaggio di scoperta, deliziandoci con il loro peculiare black dotato di passaggi atmosferici e frangenti di oscura magia, che hanno il ruolo di esaltare un suono già di per sè assai convincente. "Alpine Peaks" offre la visione estrema delle Alpi che dominano un paesaggio per certi versi estremo, conducendoci per mano sulla cima di quel gigante, creando quel senso di vertigine da far tremare le gambe. Poi alzi lo sguardo, ammiri l'orizzonte, l'apice delle montagne, respiri lentamente e a pieni polmoni con il cuore che rallenta i suoi battiti, e finalmente assapori la bellezza dello scenario che si dipana di fronte agli occhi. La canzone si muove contestualmente, tra arrembanti cavalcate black e frangenti più rallentati che ci danno modo di guardarci attorno e godere. Ma è con "Chiusella's Waters" che i nostri riescono finalmente a fare breccia nella mia anima e inebriarmi con le loro ataviche melodie che narrano del torrente omonimo che scorre in quelle terre e il cui fragore è richiamato da una certa effettistica inserita nel brano, che si muove tra epiche cavalcate e il dischiudersi di splendide melodie. "Mountain's Spirit" si fa notare per la profondità del drumming e comunque, come per le precedenti song, si muove nell'alternanza tra sciabolate black (con tanto di blast beat) e rallentamenti mid-tempo. Le frustrate estreme continuano ancor più violente nella successiva "Rociamlon" (in dialetto piemontese indica il Rocciamelone che è una montagna delle Alpi Graie), anche se qui, le brusche frenate perpetrate dalla band, rischiano quasi di sconfinare nel doom. La voce al vetriolo di Lys si conferma poi come una delle migliori del panorama estremo italico. Un altro arpeggio ed è il momento di "Fauna's Souls", una song permeata di una malinconica aura ancestrale che s'incontra e compenetra con l'irruenza del black degli Enisum, soprattutto a livello del folkloristico break centrale. "The Place Where You Died" include altri otto minuti di estremismi mid-tempo, decadenti melodie inneggiate dallo screaming lacerante di Lys, in una traccia che reputo la più matura e varia del cd. La riflessiva "Desperate Souls" e infine l'incalzante "Sunsets on My Path" (ove i gorgheggi di Epheliin tornano a palesarsi) completano un disco che conferma l'equilibrata evoluzione abbracciata dagli Enisum e paventano la possibilità di aprire a nuovi paesaggi compositivi. (Francesco Scarci)

Lambs - Betrayed From Birth

#PER CHI AMA: Sludge/Post Black, Converge
Una manciata di minuti (13 per l'esattezza) bastano ai romagnoli Lambs, uno degli ultimi acquisti in casa Drown Within Records, per dimostrare di che pasta sono fatti. Tre pezzi, "Fear is Your Key", "You Will Follow Me Down" e "And Your Time Will Be Collapsed", per mostrare la bontà di una proposta che racchiude in sè un suono che combina il post hardcore moderno, quello decadente e malinconico, con le oscure tenebre del post black alla Altar of Plagues. Il cd irrompe con un riffing che sembra quasi di "katatonica" memoria (era 'Brave Murder Day'), che lascia subito spazio ad un approccio più votato a psichedelia e crust punk, contrappuntato da ritmiche serrate che sconfinano nel post black e a sperimentalismi di natura francese (Blut Aus Nord e Deathspell Omega), con uno screaming efferato a condire il tutto. Non mancheranno anche vertiginosi rallentamenti al limite del doom a rendere il contesto ancor più accattivante. La seconda traccia ha un mood punkeggiante, lanciandoci a razzo con una bella cavalcata selvaggia, interrotta da un muro su cui forte è il rischio di sfracellarsi. Rallentamenti in stile Converge infatti, sono in grado di garantire alla song un interessante effetto onda, tra frustate hardcore e melmose decelerazioni sludge. Il ritmo infernale viene mantenuto anche nel terzo brano, in cui l'andatura si fa ancor più schizofrenica e in cui probabilmente, la band palesa anche la maggior maturità compositiva, e una certa abilità nel muoversi sia in territori tirati che in quelli più ragionati, cervellotici e anche intimistici, in cui la componente melodica si fa maggiormente apprezzare. 'Betrayed From Birth" è di sicuro un buon biglietto da visita, ora mi piacerebbe gustarmi un prodotto più organico e strutturato che segua questo trend. (Francesco Scarci)

giovedì 4 febbraio 2016

Slowrun - Resonance

#PER CHI AMA: Rock atmosferico/Ambient
Se avete paura di sostare nel purgatorio delle anime, deviate il vostro ascolto a musiche più convenzionali e scontate. Diversamente, rimanete con me armando le vostre mani. L’una, d’una fiaccola accesa di fuoco e di benzina. L’altra, di speranze malinconiche e rabbiose che attendono quel gancio alla vita che ha il sapore del sangue già versato e pronto ad essere ancora messo in gioco. Benvenuti nel deserto di velluto degli Slowrun. Faremo diversamente stasera. Io per ogni traccia, anziché dire, chiederò, e voi ascoltando, replicherete a voi stessi, certo, non a me. Giochiamo. I dadi li metto a giro. La posta è alta solo se giocherete al mio gioco. Il nostro casinò lo inaugura “Ascent”. La traccia non è musica, ma stridere strumentale ferroso di maglie dissonanti e troppo vicine, rugginose e stanche. Perché non assecondate i suoni, il silenzio, la malinconia perdendo senso e sapore del giorno? Cosa cerchi? Cosa vuoi? O forse cosa vorresti che non hai il coraggio di chiedere? Ecco “Blinding Light”: la song dei quattro finlandesi ha l’arroganza pudica che tu non avresti. È deciso, è stellato nelle punte callose della chitarra, è immaginoso e concreto. Da e toglie. Toglie e da. Poi termina con un riff che trasla in un altro giro sgranato di corde. Ecco un’altra domanda. Cosa vuoi essere? Non c’era nulla prima. C’era una soffitta polverosa. Eri solo. Poi. Hai alzato il volume. Vita ed incanto. Rabbia e pace. “Remember”. Ascoltate. Come se non ci fosse stato il tempo. Questa “Fragments” accarezza gli estimatori d’anime nel vento. Scioglie i pensieri di chi sa scordare la propria anima alla fine del giorno. Come vi fa vibrare questa traccia? E ora “Introspection”. Si ripete la ritmica. La song cerca l’ipnosi dei sensi. Accarezza per accarezzarsi. È culla al cullarsi. E voi? Quando è stato l’ultima volta che avete cullato un pensiero? Torno. State comodi. Torno al vostro antro ambient maliconico ed oscuro. Ai chiaroscuri dell’anima, al sorseggiare vino rosso da calici medievali. Si. Torno con “First Hour”. Per questo pezzo ho solo una domanda : “cosa provate la notte svegliandovi avvolti da buio e silenzio ed ombre?” Siamo alla settima traccia. “The Way”. Il titolo della song è curativo. Scevro da domande. Impossibile alla gogna. Lasciatemi dire che il chiedere non è che il dire. Lasciatemi dire che la musica è parole anche se strumentale. Lasciatemi dire che l’ispirazione provata è proporzionale alla qualità dell’ascolto, così vi invito nella grotta degli Slowrun. Vi perdere, ma solo se vorrete. Tra domande e torce avrete le vostre risposte. Buon ascolto. (Silvia Comencini)

(Dunk! Records - 2015)
Voto: 75

Sailing to Nowhere - To the Unknown

#PER CHI AMA: Power/Hard Rock
Un marinaresco monologo di violino accompagna il corso di un veliero nell'infinità dell'oceano. Le placide onde marine cominciano ad infrangersi con crescente intensità sullo scafo: sarà una notte burrascosa. Con la tempesta sopraggiungono anche i pirateschi riff di Andrea Lanzillo, chitarrista e songwriter dell gruppo, che ci introducono nel brano opener “No Dreams in My Night”. Questi 7 minuti di “notte senza sogni”, mettono subito in mostra qualità e peculiarità dei romani Sailing To Nowhere: l'aggressività conferita dall'ottimo lavoro di Lanzillo alla sei-corde e dalle cavalcate in doppia cassa di Giovanni Noè, arriva sempre a sfociare in chorus fortemente melodici, anche se spesso questi energici sprazzi di potenza vengono fin troppo sovrastati. L'impianto melodico della band rappresenta infatti (da buoni italiani), la sua caratteristica dominante, con le linee vocali di Veronica Bultrini e Marco Palazzi (rigorosamente in pulito) e cori quasi epici che rimangono fissi in testa all'ascoltatore fino alla fine dell'album. Brano che incarna alla perfezione tutto ciò è sicuramente la seconda traccia, "Big Fire", che possiede senza dubbio i chorus più orecchiabili del disco, insieme alla semi-ballad "Lovers On Planet Earth", sempre sostenuti da un sound azzeccato che riesce a metterli in risalto nella giusta misura. Molto pregevoli anche le parti di tastiere: suoni semplici ma assai azzeccati e, soprattutto, gli viene conferito il giusto spazio: non vengono limitate solamente ad “accompagnamento”, ma in diverse occasioni si fanno largo nel sound ed emergono con dei buoni passaggi strumentali (vedi per esempio nell'opener track). Questo senza comunque mai esagerare e sfociare nella monotonia, come spesso accade in questo genere, per quegli onnipresenti tappeti di archi, che, se eccessivi, portano alla noia e di conseguenza non vengono valorizzati. Fila spedita invece (dopo che le atmosfere si erano smorzate con la più lenta "Strange Dimension"), l'omonima traccia "Sailing to Nowhere", la quale sembra rappresentare lo spirito dei sei navigatori, compagni in questo viaggio senza meta, che incontra riff potenti e un drumming incalzante dall'inizio alla fine. Come ultima song, troviamo inaspettatamente una cover di una canzone pop, ovvero “Left Outside Alone” di Anastacia, riarrangiata però in chiave metal, o meglio, in chiave Sailing To Nowhere. Come da loro stessi affermato infatti, seppure si tratti di un brano che non c'entra con l'album, fa parte in qualche modo della storia del gruppo, dato che era un brano che veniva da loro utilizzato come riscaldamento in sala prove. Si conclude dunque in questo modo il primo full-length dei Sailing To Nowhere, gruppo che negli ultimi tempi sta riscuotendo un discreto successo all'interno del panorama metal italiano, grazie soprattutto alla release di questo lavoro. I “navigatori” della capitale si sono presentati al pubblico con il loro suono melodico, non sempre apprezzato dai puristi del metallo, ma che comunque rappresenta una diffusa branchia del genere. In ogni caso l'album è ben realizzato, si percepisce che è frutto di un lavoro che ha richiesto lungo tempo e grande collaborazione fra tutti i componenti (ed anche di un'ottima produzione). La prima prova per l'ensemble romano ha mostrato di che pasta sono fatti, ma aspettiamo nuove notizie dall'oceano, per osservare come evolverà il percorso stilistico di questi marinai! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bakerteam Records - 2015)
Voto: 75

The Fifth Alliance – Death Poems

#PER CHI AMA: Post Black/Sludge, Made Out of Babies, Red Sparrowes
Entrare lentamente e in totale stato d'animo degradato, nell'ottica di amare alla follia 'Death Poems', è una sensazione unica, violenta, disturbante quanto illuminante e liberatoria. Sentire l'urlo straziante, carico di tensione, la rabbia, la gelida cognizione della realtà, la morte che, come esprime il titolo di quest'album di debutto della band olandese, si finge affascinante per illuderci ancora una volta, mostrandosi bella in tutta la sua maestosità. Paragonarli ai Battle of Mice e unirli al suono rarefatto, catartico, primitivo degli A Storm of Light, all'estraneità mistica degli Jesu, non è sufficiente per descrivere questo cd autoprodotto dalla qualità davvero notevole. Il ruvido delle loro composizioni si tinge del feeling astratto tipico dei Red Sparowes ma con tratti nervosissimi e virate interstellari, con cataclismi umorali dai connotati doom, ottimi per un brusco ritorno alla realtà più cruda e drammatica. Considerateli sludge e vi avvicinerete ai Fall of Efrafa, pensate agli sperimentalismi black e li immaginerete seguaci dei Solstafir, vedeteli post hardcore e li troverete discepoli dei Made Out of Babies, ascoltateli alternative rock e ammirerete lo spirito selvaggio dei mitici Queen Adreena con la splendida voce femminile (la vocalist Silvia è incredibile!) dalle doti e abilità al di sopra della media, vicina proprio alle delizie della migliore Katie Jane Garside e all'immortale Julie Christmas. Gli undici minuti dell'iniziale "Your Abyss" sono l'eclissi per ogni forma di luce, senza speranza ne via d'uscita, il mondo nero e oscuro vissuto come in un abisso infernale. Questo primo lungo brano, apre l'iniziazione e segna il passo a ciò che ci si deve aspettare dalla musica del combo olandese, un contorto e psichico trattato di moderno doom acido, frammentato e suonato con l'ardore dell'hardcore più lisergico, che in tempi moderni si riassume col termine un po' anonimo di post hardcore. Un album con una personalità fortissima, soluzioni sonore nevrotiche e granitiche che portano avanti il verbo dei già citati Made Out of Babies, che lo amplificano e lo caricano di nuovi stimoli sonici, lo rivisitano e lo rivitalizzano. Siamo di fronte all'emotività fatta musica, quindi, dimenticate i tecnicismi inutili e fatevi investire da questa pioggia di lava incandescente, alla fine ne rimarrete affascinati. Album semplicemente stupendo! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 90

lunedì 1 febbraio 2016

Consciousness Removal Project - Tides of Blood Part I

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Neurosis, Tool
È la sesta proposta questa dei Consciousness Removal Project che si concretizza in 'Tides of Blood Part I'. Se vi piacciono 'Panopticon' o 'Oceanic' degli ISIS, andrete letteralmente fuori di testa per questa “Marea di Sangue”. È il caso di riflettere sul nome della band e sul titolo del disco, che sono stati pensati e collegati con maestria. Consciusness Removal Project, la rimozione dello stato di coscienza è l’obiettivo di qualsiasi meditazione e serve a staccare l’anima dal corpo terreno per sollievo al nostro spirito imprigionato in questo corpo terreno, e 'Tides of Blood' per una mezz’ora vi permetterà di provare quest'esperienza. Antti Loponen, principale compositore ed esecutore del disco, assieme all’egregio batterista Artturi Makinen, ha ideato delle maree di sangue ('Tides of Blood' appunto) che si alzano e si abbassano a tratti lentamente e a tratti per assolvere al compito di rimozione della coscienza. A parer nostro l’esperimento è largamente riuscito! In generale, il disco alterna lunghi ambienti onirici ad efferate spinte di rabbia, una dicotomia che è ereditata dal genere e che costringe l’ascoltatore ad espandere la propria percezione. La presentazione grafica è forse l’unico punto debole di quest’opera, la scelta del font sia interno che esterno e in generale l’artwork, a mio avviso, non rende giustizia ad un’opera così bella. In ogni caso per una piccola mancanza per gli occhi, le orecchie ringrazieranno e chiederanno a gran voce un altro play. Siamo di fronte ad una composizione particolare anche nella divisione delle tracce. Troviamo due nodi principali su cui gira tutto il disco, “Beyond the Line” e "Brute Force Majeure", gli unici pezzi in cui è presente la voce. Questi due mostri di suono sono incorniciati da una breve intro che dà inizio al disco come fosse un rituale ed infine troviamo un ultimo pezzo strumentale di coda, che racchiude perfettamente lo spirito della registrazione e dà un giusto commiato all’opera. Il significato dei testi, presenti all’interno del cd, è molto profondo, seppur presentino una poetica ed una terminologia molto semplice che non sempre contribuisce a conferire più suggestione alla musica. Antti dice di non avere paura ad oltrepassare la linea perché anche se in questo modo tutto ci sembra più verde, in realtà dall’altra parte, regnerà la pace eterna. Alcune immagini che ci regalano i testi sono ben riuscite, come le linee disegnate sulla sabbia del deserto che vengono lavate via dalla marea di sangue ed altre invece sono meno efficaci ma fortunatamente è la musica in sé ad essere densa di significato tanto da farci dimenticare il significato delle parole. Tolti questi piccoli appunti, il messaggio di pace che 'Tides of Blood' porta in dote nelle sue liriche ci appare chiaro e forte ed è sicuramente da elogiare. Ora però parliamo di musica. L’opera inizia con una preghiera in una lingua sconosciuta di un monaco eremita che sembra ripreso dall’interno di una grotta, la voce del santone sfuma per atterrare dolcemente sul vacuo incipit di “Beyond the Line”. Il pezzo come detto è uno dei due pilastri del disco, e si estende per più di dieci minuti di ineffabile leggerezza e truce realtà. La chitarra di Antti a volte infligge potenti sferzate di frequenze basse e oscure e a volte si allarga in splendidi arpeggi sorretti da voci lontane. La batteria di Artturi segue con molta carica emotiva l’evolversi del pezzo ed incatena con le sue ritmiche tutti gli scenari che il pezzo offre, e sono molti. Punto di forza sicuramente la performance vocale di Antti con uno screaming basso, sporco e potente in stile Aaron Turner, inoltre la scelta delle voci di accompagnamento crea un’aura religiosa e mistica che ricorda a tratti gli OM e i Tool. Dopo un poderoso finale si apre ”Brute Force Majeure”, un’altra apocalittica composizione di quasi dodici minuti che costituisce forse il pilastro più importante del disco. Il pezzo inizia con un crescendo che trasforma la canzone da esile ed eterea a potente e rabbiosa, proseguendo con sognanti intrecci di basso e chitarra dal sapore molto Toolliano fino ad arrivare ad intensi passaggi di riff distorti e di ritmiche serrate proprie dei primi ISIS. Gli ambienti onirici sono egregiamente valorizzati da dolcissime voci femminile e spaziali interventi di lap steel guitar. Anche qui è forte la componente religioso-esoterica, efficace nel dare al tutto un sapore misterioso e primordiale. Arriviamo infine a “A Thousand Hollow Words”, pezzo di chiusura del disco introdotto da una piccola traccia di suoni malati. La sensazione è quella di essere nel mezzo di una radura in un fitto bosco ed osservare gli animali che si rincorrono, le foglie che sfregano tra loro e le nuvole che fanno il loro corso. D’un tratto il tempo si rompe, le nubi scaricano pioggia e l’ambiente diventa ostile e minaccioso. Ma un senso di protezione e forza interiore permea l’intera opera, tanto da far sentire l’ascoltatore al sicuro da qualsiasi cosa possa accadere. Consiglio ai fan di ISIS, Tool, Neurosis, Rosetta e a tutti gli appassionati di post metal, l’ascolto di 'Tides of Blood Part I', sarà un dolce naufragare in questa marea di sangue. (Matteo Baldi)

(Self - 2015)
Voto: 85

domenica 31 gennaio 2016

Blot – Ilddyrking

#PER CHI AMA: Viking Pagan Folk Black Metal, 
Sulla pagina facebook di Pagan Storm Webzine, la band norvegese dei Blot era in lista per la corsa alla vittoria tra i migliori album pagan folk black metal del 2015. A ragione e in pieno merito si aggiudicano il nostro plauso per aver dato vita ad un album veramente entusiasmante, dal suono fiero e guerriero, prodotto divinamente e in totale indipendenza. Caricate quindi le vostre armi e spiegate le vele che cavalcheremo i mari a bordo di una qualche nave vichinga alla ricerca di conquista, sorretti da una colonna sonora di tutto rispetto, gelida e tagliente e dotata delle dovute diramazioni acustiche cariche di suggestioni disseminate negli angoli dei nove insidiosi e aggressivi brani ("God of War" è una gemma in tal senso). Tutti i pezzi ivi contenuti sono violenti e velenosi, velocissimi e carichi d'atmosfere bellicose, con lo screaming micidiale, cosi come la batteria e i riff di chitarra. La lunghezza dei brani è moderata e consente un ascolto molto easy dell'intero lavoro, molto impegnato ma piacevole e fluido. Attivi dal 2007 e provenienti da Kristiansand, non dovrete confonderli con l'omonima band di Oslo; i nostri dopo aver fatto uscire un EP nel 2009, si rivolgono ora al grande pubblico con un full length, ricercato e curato nei dettagli, pieno di carattere, e pronti per uscire dai sotterranei dell'immenso oceano del black metal a sfondo epico, pagano e folk alla maniera di Nordheim, Tyr, gli immancabili Bathory, Bifrost e primi Enslaved. L'anima dei Dissection è intrinseca nel DNA di questa band norvegese e la cover di "Where Dead Angels Lie", usata come bonus track in fondo al cd, ne è la dimostrazione e la conferma di quanto il loro suono paghi il tributo alla band svedese, risultando comunque, sempre originali, genuini ed interessanti. I Blot sono alla fine un'ottima band, dalla struttura saldamente legata alle origini di questo genere ma in grado di mostrare un lato più versatile e carismatico, un'alta qualità d'esecuzione e una certa padronanza tecnica, in un lavoro egregio contenente cinquantadue minuti di cristallina e gelida potenza. Immancabile l'ascolto per i guerrieri più puri del pagan metal. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 80