Cerca nel blog

sabato 25 novembre 2017

Void Generator - Prodromi

#PER CHI AMA: Psych/Stoner/Krautrock
I prodromi sono delle avvisaglie, dei fenomeni che costituiscono un segno premonitore; mi piace come parola e la trovo azzeccatissima per essere il titolo della quarta fatica dei Void Generator, band nostrana che conferma il buon stato di forma della scena psych-stoner italica e che verosimilmente preannuncia la crescita esponenziale di un movimento musicale sempre più in fermento nel nostro paese. Il disco include quattro song monumentali, di cui solo la prima non sfiora il quarto d'ora, ma si assesta su un più umano sette minuti di durata, il cui sound anticipa il carattere quasi da jam session di questo 'Prodromi'. La song in apertura, "40 Kiloparsecs", mostra immediatamente il carattere cosmico psichedelico del disco, con suoni che sembrano provenire dallo spazio profondo e una musica che potrebbe essere l'ideale colonna sonora per un viaggio intergalattico, con i suoi riverberi, i rumori e le voci rarefatte in sottofondo, ove pulsano anche un basso propulsivo e un drumming serrato, pronti a fiondarci nell'iperspazio. Cosi si entra in quello spazio avente un numero di dimensioni geometriche superiore a tre, perdendo i sensi in "Sleeping Waves", un brano che ci culla nella spedizione interstellare attraverso un wormhole che ci porta in quadranti diversi della nostra Galassia a saggiare suoni e colori di mondi alieni e sconosciuti, che fatichiamo probabilmente a comprendere, ma che evocano vibrazioni, sentori, pulsazioni, elucubrazioni, sperimentazioni che in passato sulla Terra, hanno appartenuto a band come Pink Floyd o alle improvvisazioni cosmico-minimaliste dei Tangerine Dream. Difficile spiegarvi come il disco dei Void Generator riesca ad evolvere nelle successive song, se non sono ben chiare nella vostra mente le origini di un genere, etichettato semplicisticamente come space-krautrock. Dovete aprire le vostre menti, prepararvi ad un incontro con suoni non convenzionali, perché raggiunto l'altro capo della Galassia, sarà impossibile far ritorno sulla Terra, a meno che non si entri in un tesseract, ove modificare il tempo e lo spazio per tornare a ritroso attraverso il tunnel spaziale, sperimentando la ridondanza di suoni che martellano il cervello e ci spingono fino all'ultimo baluardo da superare prima del collasso definitivo all'interno del buco nero generato dal suono dei Void Generator. Tutto più chiaro ora? Se non lo fosse, cosi come credo, sappiate che le elucubrazioni di questa recensione, sono il frutto dell'ascolto ad elevato volume di questo lisergico disco; provare per credere. (Francesco Scarci)

(Phonosphera Records - 2017)
Voto: 85

mercoledì 22 novembre 2017

Echolot - Volva

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Gli Echolot sono un trio stoner/psychedelic rock nato a Basilea nel 2014 e già al secondo album, 'Volva' appunto, prodotto dalla label Czar Of Revelations. L'artwork mostra una grafica molto accattivante che racchiude un profondo significato, alla base dell'album stesso. Come gli stessi Echolot hanno dichiarato qualche tempo fa durante un'intervista, 'Volva' in latino significa conchiglia o involucro. I testi dell'album e la musica stessa affrontano questo concetto a livello sociale, dove l'uomo ha sviluppano una propria corazza che si adatta per interagire con gli altri, ma allo stesso tempo è alla ricerca di un'indipendenza da essa per evolvere e crescere indipendentemente da questo guscio. Tutto questo è rappresentato dalla copertina dell'album appunto, dove il piede del scarafaggio acquatico Dytiscus è stato fotografato tramite un microscopio a scansione laser per mostrare le ventose che gli permettono di camminare sott'acqua. Un esempio di come il nostro guscio sia uno strumento importante per interagire con il mondo. Dopo questa divagazione scientifica, che comunque ci introduce accuratamente nel mondo degli Echolot, cominciamo a parlare della loro musica. I brani sono quattro e prima ancora di insorgere e gettare nelle fiamme questo 'Volva' classificandolo come EP, vi informo che in media essi durano tredici minuti, quindi prendiamo un profondo respiro ed lasciamoci trasportare dalla musica dei nostri. Le atmosfere dilatate sono forgiate dalla classica formazione rock, ovvero chitarra-basso-batteria con alcuni excursus vocali. I suoni sono prettamente vintage, usciti direttamente dai '70s con chitarre distorte ricche di fuzz e un caldo velo analogico che avvolge il tutto. "II" ci catapulta direttamente in uno spazio-tempo informe, dove riff di chitarra riecheggiano lontani, il basso pulsa come una battito ancestrale e la batteria sostiene la trama e la sua evoluzione strutturale. La voce ricorda antichi canti sepolti dall'incedere del tempo, ma che riemergono potenti quando stimolano il nostro subconscio primitivo e pagano. La band riesce ad alternare sapientemente passaggi doom e psichedelici, come in "III", un vero e proprio percorso sensoriale che appaga l'ascoltatore guidandolo in una progressione che passa dalla calma iniziale all'esplosione della parte centrale. Tutto sembra condotto dalla chitarra e dai suoi riff, in realtà la struttura è più complessa, non mancano sezioni drone/ambient come l'inizio di "V", dove suoni indefiniti accompagnano la sezione ritmica. In seguito trovano spazio anche alcuni inserimenti noise concepiti da chissà quale sintetizzatore o simili. Colour Haze, Mars Red Sky e Samsara Blues Experiment sono le prime somiglianze che mi vengono in mente pensando a gruppi attuali, ma basta guardare un po' più indietro per sentire Hawkwind, Pink Floyd e Black Sabbath. Un trip classico, sicuramente niente di nuovo sul fronte svizzero, ma cavolo, questi ragazzi ci sanno fare veramente. Un album ricco di atmosfera, musicalità e solidi arrangiamenti, che non ci fan rimpiangere di esserci persi i veri anni '70s, tanto ci sono band valide come gli Echolot che ce li fanno rivivere oggi. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2017)
Voto: 75

https://darkseacreature.bandcamp.com/album/volva

Profetus - Coronation of the Black Sun/Saturnine

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Funeral Doom, Ahab
This was Profetus’ debut, originally released on April 29th, 2009, back then — and still now — is a masterpiece and a lesson in funeral doom metal. This re-release and limited edition includes the band’s debut and their first and only demo 'Saturnine'. Altogether make over 90 minutes of decaying and devastating anthems. An astonishing colossus of a record, where the album and the demo are two different entities that can be listened separately.

'Coronation of the Black Sun' is dark as the chasm, mystical music for a ritual of death, where there is no room for hope or light, and the cover artwork epitomizes this feeling superbly. As your eyes set in the artwork, you know this is something obscure and serious.

Funeral doom metal is a complex and difficult genre that challenges the listener and demands patience, and sometimes, very skilled bands reward patience with towering riffs and mythical passages. This is the case with Profetus debut. Unpretentious but confident guitar riffs take the lead, powerful chords make ambiance and the keyboard work creates a melody and an atmosphere so dominant that evokes the feeling of a black cathedral lost in the limbo.

A particular talent is needed to create gigantic anthems in length and keep your listening interested and heedful to the music, no easy task for sure, both to keep a pace and to be aware of your tempo as a musician. This is why funeral doom metal is so respected even though when is humbler than other genres and styles.

"Eye of Phosphoros" is the supreme song of the album. From the very beginning, the deep abyssal growls take you to the darkest of your thoughts, almost as ritualistic music, as a desolated landscape of doom and dark draws in the mind. It is monotonous and hypnotizing. Makinen’s vocals are really fitting to the music; the keyboards emulate a pipe organ adding a funerary aspect to the song. And the last 5 minutes… When the pipe organ strikes at the end of the song, is like something terrible, dismal and tragic has happened. The beauty of the last five minutes of the song is outstanding and once it hits you, it will keep inside you; female chants join as they were angels claiming for a lost soul. In funeral doom metal standards, this ending is perfection.

“Coalescence of Ashen Wings” is as gloomy as the previous one, but shorter. The highlight of this song is the atmosphere the melancholic guitars create as it is a more repetitive song, lacking an exceptional change of rhythm, although it has this passage where the guitars take control and deliver a sullen melody of doom, along with some heavy riffs and percussion work.

The last and catchiest song is “Blood of Saturn”, which is another masterpiece. This song, in particular, has a faster rhythm than previous ones, and it proposes a mournful melody from the very start, a melody that will take leadership throughout several moments of the song. In the second third of the song, we get a sudden change of pace that leaves the drums in the spotlight, reminding me a little of the funeral doom metal band Ahab. After this passage, we get back to the main musical theme, and we will have a moment of reflection minutes after, just to sink in the deepest of our thoughts as the song slowly dies.

'Coronation of the Black Sun' is a rock solid magnum opus of the funeral doom metal genre, but as this edition includes also the 'Saturnine' demo, I found something annoying, even though is just a little thing but it bothered me, and this is that in the demo the sound is stronger and heavier. Don’t get me wrong, it is not better, the main album is fine mixed and well mastered, but the demo sounds more aggressive and powerful, the drums are so authoritative that it sounds more proper to the music. 'Saturnine' has this claustrophobic sound that reminded me again of Ahab’s debut 'The Call of the Wretched Sea', and I think that this strength in the drums would have been perfect for 'Coronation of the Black Sun'. Musically, it is far from what they became and achieved, though. In conclusion, this is an album for posterity that will be revisited for years to come. (Alejandro "Morgoth" Valenzuela)

martedì 21 novembre 2017

Délétère - Les Heures de la Peste

#FOR FANS OF: Black, Forteresse, Csejthe
Rumbling, somehow awkward sounding guitars characterize the production of Délétère's first full-length, dated 2015. This is a sound one has to get used to. The massive and more or less lumpy mix contradicts the actually fine leads and melodies. This is not as bad as it sounds, because this kind of inner conflict gives "Les Heures de la Peste" a certain individuality. By contrast, the hoarse and baleful voice does not provide a special contribution. Sometimes icy, passionate screams appear that build a bridge to the most extrovert Scandinavian black metal singers. But this is not as bad as it sounds, too. To close this chapter, the production is not outstanding, but okay.

What about the musical content? Délétère originates from Quebec and they fulfil every expectation in terms of style. At least the fast sections of the duo's compositions lie in close proximity to the songs of their neighbours. I am speaking of Forteresse, Csejthe and comparable bands from the constantly boiling Canadian metropolis. One could also mention Sanctuaire if one leaves their ambient pieces out of consideration. But wait, the here reviewed work also houses some ambient elements. However, do not think of endless keyboard lines that wander alone through the barren prairie. Songs like "Aux Thaumaturges Égarés, une Étoil Nécrosée" create a desperate, sinister atmosphere without neglecting the metallic fundament. Lonely guitars deliver the soundtrack to a sad scenario while darkness falls over the land, but they are mostly accompanied by the infernally echoing lead vocals and the reliable rhythm section. By the way, this piece with a duration of more than seven minutes shines with its compositional coherence - and this coherence is no exception, but the standard. The dudes mostly deliver intelligently constructed tunes and this is not a matter of course when it comes to a debut work with eight songs that clock in after 48 minutes.

The album - which is equipped with a stylish booklet - generates a very uncomfortabe feeling due to its strict leads and the painful yelling. The ecclesiastical choirs at the end of "Une Charogne Couronnée de Fumier" also create ambivalent emotions, to say the least. It is amazing to see that both sides of the band work very well. The raging outbursts and the atmospheric sections complement each other in a good manner. "Credo II" is the prime example. Its Forteresse-like high velocity parts shine with fascinating leads and pure vehemence, while the gloomy yet extremely heavy episode which sets in at 2:40 minutes delivers the perfect supplement. No doubt, it seems as if Quebec has become a guarantor for high class black metal with an unmistakable flavour. To cut a long story short, if one likes cascades of guitar lines, fervent vocals and a high degree of dedication, "Les Heures de la Peste" has a good chance of becoming his or her album of the month. Great songs like "Le Lait de l'Essaim" are not ten a penny. Indeed, the mostly fantastic compositions let me forget the slightly dubious production. Honesty speaking, I want to hear more of Délétère. (Felix 1666)
 
(Sepulchral Productions - 2015)

lunedì 20 novembre 2017

Three Eyes Left - The Cult of Astaroth

#PER CHI AMA: Doom/Psych/Sludge
Siamo in un cimitero di provincia in pieno medioevo, in una fredda notte d’inverno. Il velo che separa la vita e la morte è stato squarciato e un druido sta evocando un potente demone del mondo antico di nome Astaroth, principe degli inferi e braccio destro di Satana. Il freddo penetra nelle ossa, c’è odore di polvere, terra bagnata e fumo da combustione. È questo lo scenario in cui la musica di 'The Cult of Astaroth' ci catapulta senza troppi giri di parole, supportata egregiamente dall’artwork di Luca Solomacello. Si tratta del secondo album dei bolognesi Three Eyes Left edito per Argonauta Records, un concentrato di doom, psych e sludge, influenze che si fondono in un vortice di oscurità che trasuda esoterismo e magia nera. La prima traccia “Sons of Aries” apre con un leggero arpeggio di chitarra acustica particolarmente adatto ad accompagnare una seduta di meditazione che si riversa poi in un tetro ambiente cimiteriale dove solo una voce femminile ci guida tra le tombe diroccate e tra gli intricati sentieri illuminati fiocamente dalla fiamma di alcune candele che resistono al vento freddo della notte senza mai spegnersi. L'incantesimo però viene subito turbato da una cascata di valvole saturate che declamano pesanti riff doom sovrastati da quella che sembra la voce di Ozzy, tanto somigliante da chiedermi se effettivamente non stia ascoltando i Black Sabbath. Il viaggio continua con “You Suffer...I, The Evil Dead”: dopo un’evocativa apertura degna dei migliori film horror con un traballante carillon, inaspettatamente compaiono i primi attacchi di growl a contrasto con la sensazione di proto-doom che il disco nella sua interezza porta con sé. Personalmente è il mio pezzo preferito, racchiude l’essenza profonda del lavoro ed è costellato di accorgimenti sonori interessanti come l’utilizzo di metriche particolari (il tema principale si sviluppa su 10 quarti), la presenza di assoli allucinatori e gli spiccati connotati ancestrali ed esoterici della voce. Si tratta evidentemente di un rituale, una serie di formule che se ripetute nella giusta sequenza, possono portare energie che abitano altri mondi in visita nel nostro. Ripensandoci questo potrebbe facilmente essere il rituale che il druido in copertina sta celebrando per riportare in vita gli antichi demoni che andranno a riprendersi ciò che gli spetta dal mondo dei vivi. Il disco prosegue imperterrito navigando tra profondi mari sconosciuti, cieli in tempesta eterna e distese di terra spoglia a perdita d’occhio. Il viaggio non è privo di ostacoli, non è facile infatti rimanere agganciati ad un percorso di quasi 70 minuti, gli oscuri anatemi sepolcrali dei Three Eyes Left continuano a fluire nelle casse creando una coltre di tenebra spessa e densa tanto da oscurare il cimitero in cui mi immaginavo di passeggiare. Nel momento in cui arrivo all’agghiacciante chiusura “.. And Then God Will Die..” (ho avuto un brivido lungo la schiena solamente a scrivere il titolo di questo pezzo), l’oscurità ha preso il sopravvento, non vedo niente che possa essere umanamente distinguibile, rimane solo la sensazione di essere sospeso in un limbo infinito dove il corpo non esiste più e lo spirito è libero di vagare nei più neri anfratti dell’ignoto. (Matteo Baldi)

(Argonauta Records - 2017)
Voto: 75

https://threeeyesleft.bandcamp.com/

Mystifier - Profanus

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Black/Death

Here I have my review of an offering called 'Profanus'. This record is the fourth full-length studio album released by Brazil's Mystifier in 2001 under Encore Records. This coming November 24th 2017, the album will be re-issued by Vic Records with bonus tracks of Mystifier's 'Wicca' and 'Göetia' albums. I first heard of this band way back 2010, as I stumbled upon their sophomore full-length offering 'Göetia'. I dig that album a lot because of its dark and clandestine vibe, and its raw unrelenting assault on the listeners' ears. 'Profanus', however, falls short in both those categories.

Now I actually can stand listening to 'Profanus', but it just doesn't have the right amount of elements that made me admire Mystifier's first three studio releases and early demos. This album, although strongly in the black and death metal rank, holds several good classic heavy metal touches and thrash metal fragments. It has a number of decent thrash rhythm riffs and melodic traditional metal leads, and the album's tunefulness even has those Iron Maiden-influenced riffs thrown into the mix. Even the guitar solos are acceptable due to its dusky and ditty dispatch.

The bass is pretty clear on the album, no question to that. We can also observe that there are numerous fair amounts of blast-beats present in each song in here. I also would like to praise that vocal performance which is a good mixture of death metal growls and high pitched black metal screams. Except for "Beyond the Rivers of Hades" and "Superstitious Predictions of Misfortune", as those two has a clear power metal and dingy pitch vocal parts. But even those two tracks are both satisfying and entertaining.

We can also listen to keyboards in certain sections of the album. The keyboards provided are tolerable, but they lack of that dark and concealed feeling. The guitars, bass, drums, and the vocals are all fine to me. They pack enough force that catches the attention of the audiences. But the goth-sounding keyboard section is what doesn't really convince me about this release. I deem it weak, and it does not offer that level of spookiness that adds an atmospheric effect which you can find in early releases like 'Wicca' and 'Göetia'. Those two mentioned records by the Brazilian ensemble have that eerie keyboard sections similar to Emperor’s 'In the Nightside Eclipse'.

If the band had stuck with their relentless and bleak music disposition, like what they had done with the previous records, this release might have been more influential and compelling. Again, I want to be clear that I am entertained by this offering. Unfortunately, it just doesn't give me that same inkling impact that Mystifier's old recordings did.

To conclude, Mystifier come up with a fairly good record on 'Profanus'. Most of the instruments and the elements in the album -- except the keyboard part -- are appeasing, were well played and well performed. Loyal fans of the band can find this appealing, considering the catchy guitars, relevant drum blast beats, and suitable vocal haulage. Sad to say that for me, 'Profanus' just isn't that imposing and striking as the band's past materials. Well, at least the keyboards here aren't as lame as Dimmu Borgir's keyboard playing, where they play just for the sake of inserting a keyboard section on their music. (Felix Sale)


(Encore Records/Vic Records - 2001/2017)
Score: 60

https://www.facebook.com/mystifier666/

domenica 19 novembre 2017

Damnation Defaced - Invader From Beyond

#PER CHI AMA: Melo/Cyber Death, In Flames, Scar Symmetry
Tornano i panzer tedeschi Damnation Defaced, con quello che è il loro terzo Lp dalla loro fondazione avvenuta nel 2006, a completare una discografia che include anche un paio di EP. 'Invader From Beyond' esce per la Apostasy Records, un'etichetta per lo più specializzata nel death metal melodico. E il quintetto della Bassa Sassonia, per quanto il loro moniker possa suonare fuorviante, rientrano alla grande in questa categorizzazione. 'Invader From Beyond' contiene infatti dieci ottime tracce (più intro) che ammiccano al melodeath di stampo svedese, quello carico di groove, ottimi arrangiamenti, melodie catchy e chi più ne ha più ne metta, per conquistare una fetta di nuovi fan. Ne è dimostrazione "Goddess of Machines" che sulla robusta matrice ritmica, ci piazza un'elettronica dal profumo un po' vintage '80s, su cui s'innestano poi le growling vocals del frontman Philipp e gli assoli taglienti e melodici quanto basta delle due asce, per guadagnare mezzo punto in più in questa recensione. Non aspettatevi voci ruffiane però, un minimo di connessione col brutale passato death old school dei nostri, bisogna pur preservarlo. E allora largo al riffing serrato della title track, che viene smussato nella sua foga selvaggia, da tastiere che chiamano in causa indistintamente Scar Symmetry ed In Flames, giusto per fare due nomi a caso del panorama melodeath svedese. E noi non possiamo che applaudire alla proposta dei nostri che, pur non brillando in fatto di originalità, ci consente di apprezzare una sound sicuramente genuino, divertente e in grado di regalarci una quarantina di minuti in relax, a sbatterci ancora come dei ragazzini con un headbanging compassato, come quello garantito dalla quarta "Mark of Cain". Il rifferama di "The Observer" chiama in causa la scuola "meshuggana", anche se qui i ritmi sono decisamente più pacati, ma sempre carichi di colate di melodia cibernetica che mantengono la proposta musicale del quintetto di Celle, aperto a frange più o meno estese di fan. Certo, se si fosse fatto uso anche di ammiccanti vocals in pulito staremo parlando di tutt'altro prodotto, decisamente più accessibile, però non nascondo che l'ascolto di 'Invader From Beyond' possa concedere momenti più o meno interessanti. Non male l'apertura affidata ai synth di "The Key to Your Voice" sul cui riffing, che mi ha evocato gli Edge of Sanity (non a caso Dan Swano è responsabile di mix e mastering di questo lavoro), si staglia il vocione del monolitico cantante, in una traccia che riserva un finale apocalittico e furioso, con una funambolica prova alle pelli del bravissimo Lucas e ancora una prova sopra le righe, dei due chitarristi, la cui caratura tecnica sarà confermata anche in altri episodi del cd. Epico l'inizio di "All Comes to Its End", cosi come dirompente è l'apparato solistico di "Back from Apathy", peccato solo che si tratti di sprazzi non cosi lunghi e strutturati e che ci si debba pertanto accontentare di pochi secondi. Ultima citazione per la più orchestrale e organica "Creator's Fall", che con le sue melodie ficcanti, i suoi chorus e le mitraglianti ritmiche, regala altri minuti di piacevolissimo death metal dalle tinte moderne. Non male. (Francesco Scarci)

(Apostasy Records - 2017)
Voto: 75

sabato 18 novembre 2017

Decatur - Badder Than Brooklyn

#FOR FANS OF: Heavy/Groove/Thrash Metal
With a logo reminiscent of what adorns the average Marvel comic book shining in the night's sky above an otherwise empty street, save for the buckets of blood soaking the pavement, Decatur attempts to cover lot of ground in this first album of rough-and-tumble heavy metal. Though “Internal War” immediately shows off an aggressive North American metal band, this Toronto trio brings a bit more breadth to its sound than only thrashing guitars and grooving rhythms. Somewhere along the line this band got on a Judas Priest kick and couldn't shake it off when it came time to record a debut album.

“Into the Night” has a great guitar sound to it that takes note of the prickly pace of “Stained Class” era Judas Priest and ups its ante with a fuller thrashing string compliment before it becomes a drawn out verse-chorus singalong. The lyrics, especially in the 'we believe' chorus hit with the sharp cheddar that will make you cringe enough to turn the volume down though the guitars will make you want those decibels to rise. Some bands just have a tougher time getting away with their cringy moments, but what comes after this song deeply cuts into one's personal sense of shame and drags it out for all the world to see. The guiding riff in “Vegas Girl” has a bit of Pantera's “Walk” flair while playing a fist-pumping NWOBHM sort of song that would give Jezz Torrent and Love Fist a run for their money. In spite of its catchiness, “Vegas Girl” is a song that I'll continuously skip due to the cringe of the vocal delivery where every line comes out as though the vocalist is just yelling 'one, two, three, four, five' over and over. This weird wedgie of down-home heavy metal nestled between two thick sets of bouncing grooves greatly changes the pace and mood of this album as the title track drips with more melty mozzarella in its by-the-numbers hard rock delivery. It's funny how the songs that Decatur chooses to lead with are so out of the general element of this album. Of ten tracks, three are of this oldschool ilk and though they're not as satisfying as the majority of the album, they do stick out like the sore thumbs they are.

Though the band broadens its approach in those seemingly ill-fitting songs, most of this album takes influence from modern groove, metalcore, and thrash sounds in songs like “Worst Enemy”, “Bottled Inside”, “Abaddon”, and “Shatterproof” which kick with a taste of Lamb of God while searching for the right amount of aggression to shake out their grooves. A lick in “Abbadon” will remind you just how ready the twin axe treatment is to split its force and strike from separate directions while rumbling rhythms with small cymbal clinks throughout “Shatterproof” tone back the aggression of “Blood of the Scribe” as they continuously maintain the kit's vicious punch. Even though the break-beat throughout most of “Bottled Inside” comes across as par for the course, the soloing at the end gives the song its memorable moment.

That is a common aspect of 'Badder Than Brooklyn'. The album, for the most part, isn't all that much to write home about but each song has a moment, a standout few seconds that will perk your ears up and make the time worth your while. In “Tear You” it comes at the beginning with a gripping riff before falling to the atonality of anger while “Worst Enemy” ramps up a rolling momentum. Most proficiently done is the instrumental closer, “Internal War pt. 2” where there is not a second wasted or note out of place. When it comes down to it, the vocals just aren't helping to hold down this band's sound throughout the majority of this album with drawn-out choruses that repeat clichéd phrases like 'cross my heart' in a voice that is singing but gravely and not very aggressive but still trying to grab you and rattle you around. The vocals and songwriting definitely do need work and some of the great ideas throughout this album can effectively be expanded on while eschewing some of the less original surplusage.

Decatur's 'Badder Than Brooklyn' is an unusual and somewhat disjointed album on your first listen. Mixing your average heavy metal sound with a thick layer of cheese in the title track, and sprinkling that throughout the first part of the album, stands in stark contrast to the more aggressive groove metal that makes up the majority of this release. In spite of these disparate and disorienting moments, the overall ability of these musicians and their self-awareness to put a spotlight on the hints of greatness they reach in each song that proficiently pull this album together without leaving the listener too far out in the cold. There is plenty of room for improvement but there is also an unmistakable potential here that, with some introspection, can result in a great sophomore album. For now, 'Badder than Brooklyn' stands as a solid beginning. (Five_Nails)