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sabato 13 maggio 2017

Cowards - Still

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Ottima uscita per i Cowards che si confermano una delle realtà hardcore metal più oscure e affascinanti del panorama francese. Solo 19 minuti in questo EP per puntare ad un infuso al veleno che contiene sfuriate hardcore, sludge, schegge di black metal alla Deathspell Omega e sentori malatissimi di rabbia e ribellione, racchiusi in un contenitore di tecnica e composizione visionaria estrema. La voce è una sciabola che semina fendenti ovunque, mentre la musica, tra rasoiate ed energia nera, sostiene un concetto di hardcore evoluto e dal sottoscritto anche assai ben voluto con punte di noise e colori black che si sposano a puntino, una sorta di maestoso Breach e Cursed sound estremizzato e riadattato come in uso ai giorni nostri. I primi tre brani, "Still (Paris Most Nothing)", "Let Go" e "Like Us" volano distruttivi e feroci sulle ali della velocità e del rumore più piacevole per lasciare posto a due rivisitazioni in stile puramente Cowards. La prima "You Belong to Me" dovrebbe essere la rivisitazione di "Every Breath You Take" dei Police e se qualcuno riesce ad individuarne qualcosa batta un colpo. La seconda, "One Night Any City" vorrebbe essere "One Night in NYC" dei The Horrorist ed anche qui vi sfido a riconoscerla perché per me potrebbe essere tranquillamente un fuori onda dei Killing Joke epoca 'Democracy'. Comunque ottime interpretazioni entrambe che si sommano egregiamente all'intero lavoro, mantenendolo costante ed omogeneo nel drammatico suono e nel drastico, splendido concetto musicale del combo transalpino, che dopo il buon full length del 2015, 'Rise to Infamy', ci delizia con una nuova uscita targata Dooweet, uscita sul finire del 2016. Copertina poi dall'artwork fantastico, una costante per i Cowards... Spettacolare! (Bob Stoner)

(Dooweet - 2016)
Voto: 85

https://cowardsparis.bandcamp.com/

Mils - We Fight/We Love

#PER CHI AMA: Electro Rock
Il nuovo mini-cd dei francesi Mils si presenta subito bene: copertina bianca con immagine in tonalità blu-rosse rappresentante un lascivo bacio saffico, con tanto di lingua in bella vista. Non male per riassumere graficamente il sound dell’ensemble transalpino. I nostri infatti propongo un sound accattivante e moderno, un rock elettronico molto trascinante e altrettanto catchy. A farla da padrona è la voce della cantante, tratto distintivo della band che, energica e potente, ci trascina lungo i cinque brani di questo 'We Fight / We Love'. A dire il vero la seconda traccia è per lo più cantata da una voce maschile (di tale Duja), che solo nella parte finale del brano s'interseca con la timbrica femminile. Il prodotto in questione sicuramente si presenta bene anche dal punto di vista sonoro, le chitarre sono abbastanza taglienti e definite e soprattutto il manto elettronico-tastieristico è molto deciso e preponderante nel sound dei nostri. L’opener “Come Home” ben si pone all’inizio del lavoro, essendo la canzone più compatta, diretta e no-frills del CD. “No Body” invece è una power-ballad piuttosto tradizionale nel mood e nella struttura, dove la voce maschile pare ben collocata, sebbene la pronuncia dell’inglese non brilli in particolar modo. Il terzo brano, “Escape”, riassume bene la proposta dei nostri, con struttura serrata, voce decisa, a tratti ossessiva ed ampio respiro. La band ne ha tratto anche un interessante videoclip che vi invito a cercare. Si continua poi con "Strange Night", che a mio avviso è il brano migliore dei cinque. La voce si fa a tratti più rilassata e profonda, e da questo scaturisce una canzone molto lirica ed emozionale, che davvero si stampa nella teste e nelle corde più umorali dell’ascoltatore. Il tutto si chiude con l’ultimo pezzo “Casus Belli”, breve e diretto, che ben circoscrive quanto iniziato con “Come Home”. Senza dubbio alcuno la band si fa apprezzare ed emerge per coinvolgimento dell’ascoltatore e per accuratezza e labor lime nella composizione. Per sviluppi futuri spero i Mils diano maggiore risalto ai mid-tempo e ai rallentamenti atmosferici. Nelle parti più riflessive sanno infatti colpire l’animo e alzare l’asticella della loro già complessivamente buona proposta musicale. Il finale di “Come Home” è in questo senso emblematico di quanto possa emozionare questa band. (HeinricH Della Mora)

venerdì 12 maggio 2017

Elm - S/t

#PER CHI AMA: Noise Rock, Melvins, Jesus Lizard
Non è difficile immaginare cosa devono avere pensato alla Bronson, quando hanno ascoltato per la prima volta il demo di questi misteriosi ELM, che sulla loro pagina bandcamp attestano la loro provenienza da una non meglio identificata zona del Texas. Di sicuro devono essere sobbalzati sulle loro sedie, spettinati dall’impatto di questi 16 minuti carichi di feedback e distorsioni parossistiche. Un concentrato di suggestioni AmRep ed echi delle più devastanti band del panorama noise rock a stelle e strisce, come Melvins, Cows, Scratch Acid, Jesus Lizard, Usane, ma anche Helmet e Butthole Surfers, il tutto registrato nel bagno di servizio di un qualche drugstore in mezzo al deserto, con mezzi di fortuna e tutte le manopole fisse sull’undici. Probabilmente, o almeno così mi piace pensare, la decisione di metterli sotto contratto è arrivata ben prima di scoprire che in realtà la band arriva dalla provincia di Cuneo, tale e tanta l’urgenza sprigionata in queste registrazioni. E così hanno dato alle stampe questa cassetta (poteva esserci supporto più appropriato?) di cinque pezzi e lanciato gli ELM sui palchi dove chi li ha visti ne ha parlato in modo lusinghiero. Nelle note che accompagnano questo esordio si parla di canzoni che raccontano storie di “solitudine, abiezione, rabbia, raccontate usando linguaggio e immagini proprie dell’American Bible Belt, terra di predicatori ossessionati e squallido moralismo, culla di irredimibili perdenti”. Per il momento andiamo sulla fiducia anche perché i testi, immersi in un mare di distorsioni, sono difficilmente intellegibili, e ci accontentiamo, si fa per dire, della potenza sprigionata dai riff di brani come "Scum", "King of Mormons" e "Lyndon", da chitarre che lacerano come seghe arrugginite e una sezione ritmica implacabile, ma rimaniamo in attesa del loro primo lavoro sulla lunga distanza che, a quanto pare, è in fase di registrazione. Urticanti e scurissimi. (Mauro Catena)

(Bronson - 2016)
Voto: 70

https://elmcult.bandcamp.com/releases

mercoledì 10 maggio 2017

Haunter - Thrinodia

#PER CHI AMA: Black/Sludge/Crust, Deafheaven
Direttamente da San Antonio (Texas), ecco arrivare gli Haunter, band attiva dal 2013 ma che giunge al debutto solo nel 2016 con questo 'Thrinodia'. L'album, che include sette tracce, è un riottoso concentrato di sonorità black death contaminate, ove le danze sono aperte da "Perinatal Odium Dilute", una song abrasiva per suoni e produzione, e in cui a mettersi in luce sono sicuramente le vocals maligne del frontman Bradley Tiffin, accompagnate da un riffing stralunato che si fa più dissonante e controverso nella successiva "Untitled", brano psicotico che mischia le linee disarmoniche in stile Deathspell Omega con il crust, per una proposta di sicuro particolare, soprattutto perché in questo tripudio di caos primordiale, si scorgono anche delle venature dai tratti progressivi. Peccato che le sonorità siano un po' ovattate, sicuramente una produzione più cristallina avrebbe giovato nella percezione di alcuni particolari musicali, ma ovviamente ne avrebbe anche perso buona parte di quella genuinità di fondo tipica delle produzioni DIY. E quel sound catramato si ritrova anche nella corrosiva "Shrouded Moor", traccia violenta, caustica, in cui il black diventa punk e il punk diventa black metal, in un incedere di sicuro minaccioso. Si corre sui binari di un post black frenetico con la breve "Vial", ove il sound è fondamentalmente sovrastato dalle schizoidi scorribande di blast beat e riff allucinati, che ritornano anche nella convulsa dinamicità di "Thus My Undertaking, To Reject Stagnation, and to Liberate Fervency", song che fortunatamente ha da offrire anche un lungo break post rock che rompe la forsennata frenesia ritmica del terzetto texano, in un finale ondivago tra sludge e black. C'è ancora tempo per fare male, con le ritmiche tiratissime (e un filo melodiche) di "Apnoeic (Polarized in Retrospective Contempt)", track che vanta comunque un epilogo che nelle sue dilatazioni soniche, richiama nuovamente il post rock, un po' come quanto fatto dai Deafheaven, in una versione qui più urticante. Pronti per il gran finale? La title track è una traccia di oltre 14 minuti, in cui il trio convoglia tutte le combinazioni ritmiche fin qui apprezzate in un deragliamento sonico feroce, tra screaming sguaiati, chitarre al fulmicotone, break acustici prendi fiato e una baraonda infernale a livello di batteria. Che altro dire, se non di avvicinarvi con cura a 'Thrinodia' e a questi diabolici Haunter. (Francesco Scarci)

(Red River Family Records - 2016)
Voto: 70

https://hauntertx.bandcamp.com/album/thrinod-a

martedì 9 maggio 2017

1476 – Our Season Draws Near

#PER CHI AMA: Indie/Post Punk/Neofolk
Dei 1476 siamo stati tra i primi, in Europa, a parlare, all’epoca dell’uscita del loro secondo album 'Wildwood', accoppiato all’EP acustico 'The Nightside', e all’epoca li definimmo come uno dei segreti meglio custoditi dell’underground americano. Finalmente qualcuno se n’è accorto, per la precisione l’ottima label tedesca Prophecy Productions, che lo scorso anno ha ristampato i lavori, inizialmente autoprodotti, della band di Robb Kavjian e Neil DeRosa. Non è mai bello vantarsi delle proprie scoperte, dire “L’avevo detto io…” con aria saccente e compiaciuta, però è indubbio che faccia piacere vedere una band di cui si era parlato con toni più che positivi più di quattro anni prima, raggiungere ampi e diffusi consensi una volta promossi come si deve da un’etichetta competente. E allo stesso modo non è bello poi, girare la faccia dall’altra parte davanti ad un nuovo disco pubblicato dalla nuova etichetta, dicendo che “erano meglio prima”. Per cui eccolo qui, 'Our Season Draws Near', un disco atteso come pochi altri ultimamente, e che vale ogni giorni passato ad aspettarlo. Rispetto al decadentismo un po’ naif (ma anche tanto affascinante, va detto) delle release precedenti, questo è un album asciutto e rigoroso, che abbandona ogni sovrapproduzione e si concentra sul suono delle chitarre e della batteria, ora acustico e sussurrato, ora ruggente e aggressivo, in un’esasperazione dei contrasti che, alla fine, è il tratto distintivo della band del New England. È evidente il miglioramento a livello di produzione, che ha permesso ai 1476 di esplorare un nuovo lato della loro natura, evolvendo definitivamente dall’art rock degli esordi in un ibrido tra canzoniere gotico americano, una certa wave scura e selvaggia e metal estremo che non ha effettivamente termini di paragone al giorno d’oggi nel panorama internazionale. Provate a pensare, se ci riuscite, a una fusione tra 16 Horsepower, Death in June, Agalloch, Gun Club e, chessó, Iced Earth, e forse vi avvicinerete all’effetto finale. Non è facile descrivere certe tracce, ma la sequenza "Solitude (Exterior)" – "Odessa" – "Sorgen (sunwheels)" - "Solitude (Interior)", col suo alternarsi tra atmosfere acustiche e muri di suono, dolcezza ed improvvise accelerazioni che conducono ad un saliscendi emotivo davvero incredibile, è una cosa che vale intere discografie. La voce di Kavijan si conferma una delle più particolari ed emozionanti sulla piazza, e marchia a fuoco 10 canzoni (11 nella deluxe edition) che sono forse meno immediate al primo impatto rispetto al passato, ma che crescono in maniera costante e inesorabile ad ogni ascolto, disegnando i contorni di quello che si configura come un grande classico, un disco con cui dovremo tutti fare i conti alla fine dell’anno e negli anni a venire. (Mauro Catena)

(Prophecy Productions - 2017)
Voto: 85

https://1476.bandcamp.com/album/our-season-draws-near

lunedì 8 maggio 2017

Decemberance - Conceiving Hell

#PER CHI AMA: Death/Doom, Morbid Angel, My Dying Bride
I greci Decemberance ci propongono la loro maratona musicale, non tanto per rievocare l'evento epico della corsa di Filippide, che dalla città di Maratona andò all'Acropoli di Atene per annunciare la vittoria sui persiani, più che altro perché i quattro pezzi qui contenuti, costituiscono una lunga prova di sopravvivenza di ben 74 minuti dediti ad un death doom psicotico. Ci hanno impiegato otto anni i nostri per rilasciare un nuovo album dopo che il debut 'Inside' era uscito addirittura 12 anni dopo la loro fondazione. Gente riflessiva mi viene da dire, ma veniamo ad analizzare un disco tra i più difficili che mi sia capitato di ascoltare nell'ultimo periodo. Dicevamo che 'Conceiving Hell' include quattro song, tutte che si aggirano sull'estenuante durata di 18 minuti. Si parte con il robustissimo techno death di "The Scepter", che mi lascia un attimo perplesso di fronte alla proposta della compagine greca: dopo qualche minuto di tortuosi giri di chitarra, ecco che i nostri fanno in modo che chi li ascolta sia inghiottito dalle fauci delle bestia, con un sound catacombale. Là dove la luce non è contemplata, il vocalist sussurra qualcosa nelle vostre orecchie, forse che non vi è alcuna speranza di uscire vivi dalle viscere infauste del mostro. Invece, inaspettatamente ecco apparire dei riffoni death e delle growling vocals che hanno il merito di cavarci fuori da quell'impasse spaventosa. Il sound è complesso, lo devo ammettere, perché questo gioco di luci e ombre si ripropone più e più volte nel corso della song, che trova la sua summa nella presenza del violoncello di Ioanna Bitsakaki che per un attimo smorza l'incedere distorto di una band che nel finale mi ha richiamato 'Gothic' se non addirittura 'Lost Paradise' dei Paradise Lost. I primi venti minuti se ne sono andati ma che faticaccia: parte la chitarra acustica di "Departures" accompagnata dalla struggente melodia del violoncello, poesia per le mie orecchie, un po' meno quando il robustissimo riffing del quartetto ateniese fa in modo che cali improvvisamente una notte senza stelle in una splendida giornata di sole. Il sound è totalmente rallentato, gli echi degli Anathema di 'Serenades' emergono forti, cosi come le influenze di primissima scuola My Dying Bride. Il trittico del doom per eccellenza l'abbiamo rievocato in toto, per descrivere un lavoro che se fosse uscito nei primi anni '90 avrebbe sicuramente rappresentato un must per tutti coloro che seguono il genere. Nel 2017, i quattro ragazzi dell'Attica hanno dovuto applicare qualche variazione al tema per suonare credibili, ed ecco spiegato perché accanto alle drammatiche e decadenti atmosfere imbastite dalle meravigliose corde del violoncello (suggestivo il break a metà brano), sia anche altrettanto facile trovare dei riff che con il genere hanno ben poco a che fare e sembra piuttosto di trovarsi di fronte i Morbid Angel. Ecco, i Decemberance potrebbero essere etichettati come un insolito ibrido tra l'Angelo Morboso e La Mia Sposa Morente, facile no da intuire a questo punto il sound granitico dei nostri? Non ancora direi perché accanto al rifferama death old school potrete trovarci anche elucubrazioni ambient, intermezzi schizofrenici o lunghe intriganti fughe di musica prog ("The Blind Will Lead the Way"), ma poi sarà sempre la bestia ad avere l'ultima parola, sfoderando suoni dissonanti, psicotici a tratti orrorifici, in linea con le liriche malsane della band. Se ancora non l'avete capito, 'Conceiving Hell' non è assolutamente un album facile a cui accostarsi, bisogna avere la mente sgombra di pensieri e senza paura si affronti l'elevata possibilità di terminarne l'ascolto frastornati, disorientati o forse totalmente pazzi. Di sicuro il suono del mare della conclusiva "Sailing..." mi ha aiutato a riprendermi dall'ascolto di un album controverso e mastodontico, che potrebbe fare la gioia degli amanti del death più ostico ma anche di coloro che apprezzano il doom più romantico, o forse nessuno di questi. Bel rischio si sono presi i Decemberance, a voi l'ultima parola... (Francesco Scarci)

Sepulchral Curse - At the Onset of Extinction

#FOR FANS OF: Death/Black
This short four-track EP by a burgeoning Finnish blackened death metal band shows a well-rounded songwriting approach and a great handle at conjuring imagery through its lyrics. For a band so wet behind the ears, it's great to hear such focused sound that fits its theme like a glove. Sepulchral Curse isn't exactly reinventing the wheel here but the band is offering some satisfying and unique sounding death metal with a couple of black metal accouterments.

Right out the gate in “Envisioned in Scars” the mix of Gothenburg and black metal harmonies joins the cavernous calls of a throaty guttural to create an impactful ensemble that reaches beyond what's expected in your average blackened death metal. The imaginative lyrics and moments of unusually bouncing drum beats keep the song's cycling fresh and aids the rising intensity of the winding guitars. At times this EP sounds like it's channeling the likes of In Flames for direction as a riff like the rising “In Purifying Essence” uplifts an opening that ranged from metalcore moments reminiscent of Shadows Fall and As I Lay Dying tapping into thrashier roots to cavernous neck-breaking riffs similar to Dismember. The biggest drawback to 'At the Onset of Extinction' is too much blending at times in the guitars, making it difficult to fully appreciate them behind the prominent drumming and overpowering vocals. Even with that small problem, the drums are easily audible and their rapidly changing time signatures keep a firm grounding to the winding riffs, like when “Gospel of Bones” wails above moments of oldschool death metal churning to the frantic pace expected from black metal's urgency. The lyrics to the final song, “Disrupting Lights of Extinction” make mentions of a certain Countess that we all know and love in as much of a wink to the audience as a display of remorseless horror to be inflicted upon a hapless foe. The band is good and self-aware as well as unusually adept at drawing the listener into its intense theme without losing focus on a solo or throwing a change-up that takes you out of the moment.

In all, Sepulchral Curse has a good handle on songwriting, creating some unique guitar moments that stand out with their Swedish death metal segments. The drumming is top notch and the vocals fit the theme of this EP precisely. The band could tighten up some of its more drawn out openings that tend to repeat a few times too many and definitely needs better recording equipment, but that doesn't take away from the quality effort that has been shown in this release. (Five_Nails)

domenica 7 maggio 2017

A|symmetry - Fragility

#PER CHI AMA: Power/Prog
Da Belgrado, Serbia, gli A|symmetry ci presentano il loro primo full length, intitolato 'Fragility', una storia che narra del destino di un uomo proveniente da Aralsk, la cui vita è condivisa col futuro del lago Aral. Veniamo introdotti nell’album dalla prima parte della title-track, che si presenta con un intro oscuro scandito da un organo: poco dopo fanno il loro ingresso le distorsioni di Zoran Perin e il mid-tempo della batteria. Aggiungiamoci delle corpose sezioni di pad, tempi dispari e cambi di dinamiche davvero ben congegnati e otteniamo un piccolo “sunto” del lavoro che gli A|symmetry svolgono in modo impeccabile. Il songwriting del disco porta la mano del tastierista Petar Milutinović e questo è intuibile anche dall'abbondanza di tastiere e synth all'interno dei brani, sempre estremamente studiate e ricercate, senza mai cadere nella banalità. Esempio lampante potrebbe essere il pezzo “A Cogwheel” che presenta un bellissimo assolo di synth a sovrastare la potenza sonora del brano. La terza traccia, “Memories From The Old Country”, può richiamare alla mente gli Amorphis di 'Eclipse' e il fatto che azzardi un paragone con una band di tale calibro, non è veramente cosa da poco: si tratta di un pezzo solido, importante (è anche il più lungo del lotto con i suoi nove minuti) e presenta le caratteristiche migliori dell’ensemble balcanico. Un progressive metal veramente ben strutturato, ricco di tecnicismi, variazioni sul tema e tempistiche dotate di una pregevole dinamicità. Un plauso va fatto anche al vocalist Aleksandar Stojković, che dimostra tutta la sua preparazione tecnica con i numerosi e repentini cambi di registro, fino ad arrivare all'improvvisazione vocale sul finale, che porta a ricordare sperimentazioni di altri mostri sacri della musica come i Pink Floyd (seppure in modo minore e in un contesto decisamente diverso). Il disco prosegue su questa falsariga, alternando momenti di quiete a sezioni decisamente più aggressive e potenti, mantenendo l’impianto prog/power già citato, esprimendo al massimo tutte le capacità di questi musicisti, senza scadere nella noia o nella piattezza del puro tecnicismo. Altri pezzi da segnalare sono “The Grand Turmoil”, il quale abbonda di maestosi fraseggi in alternanza piano-chitarra, e la potente “Towards Utopia”, che si muove tra bassi distorti e growling vocals. A chiudere questo gioiellino sfornato dal quintetto serbo, troviamo la seconda parte della title-track “Fragility”, che non delude assolutamente le aspettative. Posso dire di essere rimasto veramente colpito da questo debut album degli A|symmetry, ben concepito e suonato nel migliore dei modi: ascolto estremamente consigliato! (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Self - 2016)
Voto: 85