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giovedì 27 agosto 2015

Path of Desolation - Soaked Jester

#PER CHI AMA: Melo Death, Dark Tranquillity, Insomnium
La Svizzera è diventata ormai un calderone ribollente di metallo lavico: abbiamo abbracciato negli ultimi tempi il post metal, noise, punk, post rock, black e sludge, mancava solo il death metal, eccomi accontentato. I Path of Desolation vengono da Losanna e propongono un death carico di groove, di derivazione scandinava. Solo tre però i brani a disposizione di questo mini cd, che apre con delicati tocchi di piano in "Rest in Your Fears", ma sontuosamente cresce e divampa in un incedere oscuro che richiama per certi versi gli Insomnium in una versione un po' più brutale e variegata, come dimostra la seconda parte della opening track, un intreccio di sonorità al limite della schizofrenia e dalla quasi assenza di banalità, tuttavia non cosi facile da assimilare. Con la title track ci lasciamo conquistare da squisite melodie e dal dualismo vocale tra il growling acido di Dave e le vocals pulite, decisamente meno convincenti, del bassista Grant. Ciò che emerge e mi esalta, è comunque una certa pulizia delle linee di chitarra che ben si amalgamo con le ariose tastiere e anche una ventata di freschezza nelle idee del gruppo elvetico. Con la conclusiva "The Word", si sprecano i richiami ai Dark Tranquillity, anche se il ritmo è decisamente più cadenzato; peccato solo che a un certo punto compaia quasi dal nulla, una anonima voce femminile che prova a duettare col cantato feroce del frontman. Esperimento bocciato, semplicemente perché la signorina Anna Murphy non rivela grosse potenzialità canore. Alla fine 'Soaked Jester' si dimostra comunque un debut EP ricco di spunti e idee non proprio da censurare, anche se dalla durata troppo risicata; una song addizionale non avrebbe certo guastato, e soprattutto la mia valutazione finale ne avrebbe tratto beneficio. Da tener sotto traccia. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

lunedì 24 agosto 2015

The Black - Golgotha

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hard Rock
Mario Di Donato è un artista dall'esperienza che supera i 40 anni all'interno dei circuiti hard rock italiani. Attraverso le varie formazioni di cui ha fatto parte sin dagli anni '70 (Respiro Di Cane, Unreal Terror, Requiem) e la sua creatura più importante a nome The Black, si è costruito attorno a sé la fama di personaggio di culto. Quest'aura affascinante e misteriosa che avvolge il chitarrista abruzzese nasce dal suo modo unico di concepire ARTE e MUSICA, entrambe connotate da una forte teatralità e indissolubilmente legate a temi di carattere religioso. Ad avvalorare la singolarità della sua proposta musicale, contribuisce in parte la scelta coraggiosa di cantare in italiano e latino fin dagli esordi ma anche l'intento ammirevole di unire la CULTURA al metal, in modo che testi, musica e immagini facciano parte di un unico corpo. Mario Di Donato, oltre ad essere un musicista di valore, è anche un pittore molto apprezzato a livello internazionale, ogni disco uscito per The Black infatti, raffigura sulla copertina i suoi dipinti e così è anche per 'Golgotha', sulla cui front-cover possiamo ammirare 'Post Mortem', la deposizione di un Cristo attorniato dai volti ambigui e traditori dei suoi carnefici. 'Golgotha' è appunto il monte dove fu ucciso Gesù Cristo, è il simbolo della sofferenza e del dramma umano ma anche il proseguimento di un viaggio all'interno di se stessi, una ricerca spirituale che l'artista abruzzese cominciò tanti anni fa. 'Golgotha' nasce dal dolore e lo sdegno per chi calpesta la vita con la violenza, è l'esplosione emotiva di un uomo sensibile e tormentato, che si trasforma in una denuncia verso questo "mondo di fango". Un hard rock dalle tinte molto oscure si potrebbe definire lo stile del sesto album di The Black (ormai datato 2000), un'opera raffinata dal suono un po' retrò, con i riff più freschi dell'heavy metal anni '80 e le inevitabili influenze dei seventies (nel cd è presente anche "Sospesa A Un Filo", cover dei Rovescio Della Medaglia e "Il Giudizio", un rifacimento di un brano dei Corvi). Gli assoli ispirati della title-track e di "Ivstitia" (che per la loro bellezza varrebbero da sole l'acquisto del disco), la voce inconfondibile ed "imperfetta" di Mario e le tastiere usate in chiave organistica, sono tutti elementi che fanno di 'Golgotha' un album imperdibile! Fondamentale per chi segue già da anni The Black ma anche l'occasione ideale per scoprire un artista a tutto campo che il grande pubblico metal ha malauguratamente da sempre ignorato. (Roberto Alba)

(Black Widow - 2000)
Voto: 85

Skinny Puppy - The Greater Wrong of the Right

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Rock Elettronica/EBM
Dopo lo scioglimento del 1995 e la morte per overdose di Dwayne Goettel nello stesso anno, erano in molti a chiedersi cosa ne sarebbe stato degli Skinny Puppy e se l'uscita dell'album 'The Process' avrebbe veramente posto la parola fine alla carriera artistica del gruppo canadese. Persino dopo il famoso concerto di Dresda nel 2000, in occasione del quale cEvin Key e Nivek Ogre si riunirono per suonare davanti ad un pubblico in delirio, i fan non riuscivano a credere fino in fondo ad una reunion che avrebbe portato ad una collaborazione stabile tra i due, tanto da rendere possibile la pubblicazione di un nuovo album in studio. Quando poi fu annunciata l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right', anche i più scettici dovettero ricredersi: la leggenda Skinny Puppy stava per tornare! Atteso dalla scena elettronica come l'evento più importante del 2004, l'uscita di 'The Greater Wrong of the Right' fu accompagnata dalle inevitabili discussioni sulla validità o meno dell'album, disponibile in rete già da molte settimane prima del lancio ufficiale. Chi si è affrettato a definirlo un capolavoro e chi si è invece dichiarato contrario ad una continuazione degli Skinny Puppy senza Goettel, bocciando il disco ancora prima di averlo ascoltato. Insomma, le solite e comprensibili battaglie che hanno sempre accompagnato tutte le grandi reunion della storia della musica. Come accade spesso in questi casi la verità sta nel mezzo, perché 'The Greater Wrong of the Right' non è né un capolavoro, né l'album più brutto che i Puppy abbiano composto. Molto più semplicemente, si tratta di un lavoro diverso da quanto i fan potevano aspettarsi e questo gioca perlomeno a favore del gruppo, che ha dimostrato di tornare sulla scena per proporre qualcosa di nuovo e spiazzante, non certo per riciclarsi miseramente in nome del proprio conto in banca. Dimenticate 'The Process' e preparatevi ad ascoltare un album fresco e al passo con i tempi dell'epoca! Aspettatevi una prova al microfono profondamente distante dalle contorsioni a cui Ogre ci aveva abituato e non indignatevi se le sue accelerazioni vocali in "Pro-Test" assomiglieranno tanto a quelle rappate di un brano hip-hop, perché di hip-hop non si tratta. Lanciatevi senza alcuna remora nell'ascolto di "GhostMan", con le sue ritmiche spezzate, il caotico accavallarsi dei beat, le vocals di Ogre che improvvisamente rimandano alle deliranti performance del passato. Sbagliava chi temeva di trovarsi dinnanzi ad una banale ed infelice mescolanza degli stili espressi da Nivek e cEvin nei rispettivi progetti solisti, ma è anche vero che due brani così frizzanti come "Goneja" e "DaddyuWarbash" non sarebbero mai nati se negli ultimi anni i due musicisti non avessero dato sfogo alle proprie pulsioni artistiche separatamente. Gli Skinny Puppy del 2004 puntano ad un songwriting imprevedibile e ad una discreta presenza delle chitarre, ma senza mai avvicinarsi all'irruenza che contraddistingueva 'The Process'. La band aveva fame di novità, con la voglia di scrollarsi di dosso qualsiasi etichetta di genere, buttandosi a capofitto in una composizione estremamente libera e acquistando una visione del termine "elettronico" che prima d'ora non era mai stata così eclettica. A tal proposito, davvero emozionanti le lisergiche virate di "EmpTe" e "Past Present", entrambe costruite sulla ricerca del coro ad effetto, inserito in un tessuto di synth ipnotici che invitano mente e corpo ad abbandonarvisi totalmente. 'The Greater Wrong of the Right' è comunque un album spettacolare come e consentì di avere nuovamente tra noi il formidabile genio di cEvin Key e Nivek Ogre a mantenere vivo il nome degli Skinny Puppy... non cosa da poco. (Roberto Alba)

(Synthetic Symphony/SPV - 2004)
Voto: 80

domenica 23 agosto 2015

Shrine of the Serpent - S/t

#PER CHI AMA: Doom/Sludge
Provenienti da Portland in Oregon, questi tre ragazzi e ottimi musicisti spiazzano le mie aspettative con tre brani di perfetto, calibrato e potente doom metal altamente suggestivo. La band nasce nel 2008 col moniker Tenspeed Warlock, dopo un demo ed uno split decidono nel 2014, di cambiare nome in Shrine of the Serpent, ampliare le loro vedute e sfornare nel 2015 questo album indipendente carico di splendido buio eterno. Una bella copertina tetra, in digipack nero con una figura di un sovrano dal volto scheletrico attorniato di serpenti, rende bene l'idea di cosa si nasconda musicalmente dentro al cd. I tre brani sono di lunga durata, cadenzati e toccano insieme quasi mezz'ora di oblio sonoro. La band, pur riflettendo tanti degli insegnamenti dei grandi maestri, mostra una sua particolare personalità e suona sludge metal nel migliore dei modi, anche se il suo vero pregio è aver trovato la chiave moderna per esprimere la più classica musica del destino... questo omonimo album è il reale, pesantissimo, attuale, intelligente confine naturale tra sludge e doom metal! Meno sperimentali di Sunn O))) e Khanate, anche se il taglio ferale è molto simile, gli Shrine of the Serpent ricordano il suono, di velluto nero come la pece, del capolavoro 'Rampton' dei Teeth of Lions Rule the Divine od ancor più, il passo lento del leggendario 'Dopesmoker' degli Sleep, rievocano i sapori alchemici del poco considerato bel progetto Ramesses e del loro mitico EP, 'Baptism Of The Walking Dead', senza dimenticare i luminari primi Neurosis e Cathedral (quelli del brano "Cathedral Flames" in apertura dell'album 'Endtyme'). La voce è drammatica, le chitarre sono avvolgenti e spesse, il suono è caldo e non scade mai in facili costumi dalla forzatura vintage; tutto è teso, psicotico, in balia costante di una crisi di nervi, ogni nota sembra sospesa sopra un vortice di oscurità, non c'è luce in nessuno dei tre brani e la cosa sorprendente è che riescono a coinvolgerti pienamente, prenderti per mano durante l' ascolto e proiettarti in una foresta lisergica di distorsione dilatata e magica ("Gods of Blight" è immensa), ottenendo un risultato che è proprio come entrare in un sogno sinistro e viverlo a rallentatore. Un'altra perla nasce dal sottosuolo, non fatevela mancare! Ottimo debutto! (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 85

Last Avenue - Integration Protocol

#FOR FANS OF: Industrial, Rammstein
The last French industrial metal band I listened to were dreary, sloppy and boring. Without naming names (*cough*Voron*cough*), I will admit that said band at least had the decency to pump their latest album full of meaty riffs to distract from the general dullness. This time round, however, it is a different French industrial metal band - Orlean's Last Avenue - who have the task of gracing my ears. Fortunately, these guys have also decided to insert many hefty riffs into the heart of their newest record, 'Integration Protocol'. But, even more fortunately, there is more than just the one aspect that makes this effort so rewarding to listen to... Firstly (and quite unusually for an industrial metal band), this album is injected with a youthful vibrancy that boosts the energy up and prevents it from dragging along at a snail's pace (you listening, Voron?). There is plentiful variety of tempos throughout 'Integration Protocol', making the whole affair sound like Pitchshifter on steroids. The tracks, "Wireless Ghost" and "Pieces of Metal Planet", are masterclasses in energy. They contrast satisfyingly with the mid-tempo stompers like "Fear To Stay" and "Spying From The Future". The band names their primary metal influence as Rammstein - and nothing else is made more obvious! The ball-crushing riffs pound away exactly like Lindemann & co. and the electronic backbeats add another brilliant dimension to the music. This is an area where many industrial bands have failed, but Last Avenue appear to shine. The synthesized keyboard effects are always present; either carrying a discernible melody, or providing the wonderfully mechanical atmosphere. They never feel irrelevant or segregated. The vocals are also impressively diverse. Déj's distant wailing is always tuneful and atmospheric, whilst his screams are fully-rounded and downwright pissed off. The digitized vocals in "The Factory" and "This is Personal" are also surprisingly effective! Usually this technique is innately annoying, but Last Avenue pull it off in a remarkably Kraftwerk-esque way. The only disappointment in this area is that the vocals are few and far between. Quite often, minutes can fly by with no voice and this only forces the riffs to try and hold the focus. Luckily, the riffs are the highlight of 'Integration Protocol'. From the chromatic ascendancy of "Self Made Drone", to the chunky chugging of "Kill The Past" - every riff is packed with energy, variety and 100% headbangability! The opening riff of track 2, "Wait", is quite possibly my new riff of the year - and the breakdown of the previously mentioned "Kill The Past" is a close runner up! There are even guitar solos on this album, and impressive ones at that! Are you listening, every industrial metal band ever? It CAN work! Some of the song titles and lyrical themes may be a little too clichéd towards the 'factory/mechanical/futuristic' concepts, and the whole effort may be a song or two too long. But all in all, this is my industrial hit of the year, and any fan of Combichrist, Kaos Krew or Pitchshifter should get with the sound laid down by Last Avenue. (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 75

Expenzer - Kill the Conductor

#FOR FANS OF: Groove/Thrash Metal, Pantera, 4Arm
After a near two-decade career as Metalcore outfit Pigskin, the Swiss group reformed into thrashers Expenzer and offer up the first release under the new moniker, ‘Kill the Conductor,’ which almost begs the question why bother to change the name based on the similarities of the different bands? They do tend to play pretty similar material, groove-based Metalcore with Thrash tempos and riffing, though the band here on this version is clearly more of a truer mix between straight Groove and Thrash here without the Metalcore influences here with the band’s insistence on the violent chugging of Groove taking center stage here and then playing them in more Thrash-based patterns. This style never really offers the chance to really showcase anything in terms of variety or experimentation in terms of the music offered, though, so the album can seem to blend together at times with the charging grooves and blistering rhythms being way too same-sounding after the first couple of tracks or so. Intro ‘Bitter End’ offers a great starting point here with incessant chugging grooves, swirling thrash rhythms and dynamic drumming offering up plenty of power and vicious rhythms that all make for a fine, vicious start here. The title track features more straightforward grooves and vicious riff-work pounding throughout the rapid-fire razor-wire rhythm work that manages to fall just short of the greatness of the opening track, while both ‘Dying T-Rex’ and ‘Pelvic Fin’ going back to the original track of vicious rhythms, pounding grooves and dynamic riffing that move it along at a great pace with its razor-wire riffing keeping this one moving along nicely. ‘Play for the Deaf’ offers one of the most vicious opening grooves on the album and continues on throughout here piling on one impressive riff after another that easily makes this the album’s highlight piece while displaying slight traces of experimentation and technical prowess that’s not usually seen in Groove Metal. The banal ‘Amorphous Flowing Ice’ feels like any number of other tracks on here with the simple riffing and vicious grooves offering largely plodding mid-tempo rhythms that flow by without anything of value despite one of the few brief solo leads in the album, ‘Erase It’ offers a streamlined, simplistic take on their already simplified material and comes off nicely because of that, and ‘Unicron’ blasts through some vicious riffing and pounding drumming that makes for a rather enjoyable effort overall mixing the groove as solidly as it does here with the electronics and industrial touches. ‘Light Speed Heart Beat’ is yet another solid Groove-filled thrasher with plenty of violent energy and a decidedly pitched second half that has a few nice twists and turns, while the epic ‘Silence of the Amps’ brings forth a twangy series of guitar-work that leads into extended, drawn-out series of solid groove-filled thrash riffs with the return of the razor-wire leads furthering the running time here as it plods along in a strangely mid-tempo break for the most part. Lastly, the cover of The Haunted’s ‘Chasm’ serves well enough at maintaining a vicious energy and aggression inherent in the original and really could’ve been an original effort created here which is a fine farewell here. It’s main problem though is just the fact that it’s way too familiar to everything else in here. (Don Anelli)

(Self - 2015)
Score: 75

domenica 2 agosto 2015

Interview with M.H.X's Chronicles

Follow this link for an interesting chat with a new Brazilian sensation, M.H.X's Chronicles: 

http://thepitofthedamned.blogspot.it/p/interview-with-mhx-chronicles.html


Voron - Propaganda

#FOR FANS OF: Death/Industrial, Rammstein
"Industrial melodic death metal? You mean Obsidian style? Or more like early Fear Factory? Oh wait - industrial melodic death metal from France?! Okay Voron, you have my attention. After all, your artwork is pretty striking and your moniker is taken from a Russian special operations group highly trained in infiltration. Let's see what you can do now that you have peaked my curiosity... ...oh right. Fuck all. Metal is a very flexible genre; it can curve and twist to accommodate the inclusion of certain aspects of other musical styles. Unfortunately, the electronic effects and synthesizers in 'Propaganda' come across as being completely detached from the rest of the band. It could be down to the inadequacy of the mix, or because the keyboards never carry any substantial melody, but they simply do not fuse well. This is a great shame, especially when you consider that this fusion is what crafted the success of bands like Static-X (though I have to admit, the sitar solo in "Justice" is intriguing to the say the least!). This failure to integrate the authentic with the digital creates a very frustrating atmosphere for an industrial metal band. It never reaches the cold, soulless depths of Crossbreed, but also fails to be as quirky as Kaos Krew. This results in a bland timbre which is unsuccessful in its attempt to grab the attention of the listener. In one ear - out the other. This is certainly not aided by the dreadful production quality, which seems to mask the drums in favour of emphasizing the hideous vocals. Atmosphere and production quality notwithstanding, the absolute worst thing about 'Propaganda' is the ghastly voice of ... hmm, what's his name? Oh! He calls himself 'Voron'! Let's say nothing about egos here then! Voron's voice is akin to that of the Cookie Monster trying to burp the alphabet. Coincidentally, there are many guest vocalists on this album, who contribute absolutely nothing to proceedings. Is Voron knowingly ashamed of his dreadful belching? Perhaps he has future plans to abandon vocal duties and concentrate on his guitar-work. That's right! There are guitars on this record! Annoyingly, the riffs are the single best aspect of 'Propaganda' - almost Rammstein-esque in their gravitas. The songs that are lacking in riffage ("Willingly" and "I Dreamt"especially) are the total drek that should be skipped without question. The opening of "Fall of the Risen" is a total groove-fest, the 2:48 mark in "Kill This Day" reeks of old-school death metal goodness, and the chunky, chromatic riff in "Is Suicide My Fate?" is the highlight of the whole affair. I'm really struggling to think of this as 'industrial melodic death metal'. The atmosphere is drab, the tempo never clambers above snail-trail, the mix has the consistency of lumpy porridge, and the song structures are unmemorable to say the least. ...but damn, those riffs!" (Larry Best)

(Self - 2015)
Score: 40