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lunedì 25 marzo 2013

Öxxö Xööx - Rëvëürt

#PER CHI AMA: Death Sinfonico, Progressive, Misanthrope, Devin Townsend
Questo è un album eccellente. Fine. Spero di essere stato abbastanza chiaro e diretto, e auspico che voi abbiate colto fin da subito il mio più schietto suggerimento. Gli Öxxö Xööx sono una band, un trio (o forse un duo, ma probabilmente lo potrei anche considerare come un progetto solista, ma ancora non mi è chiaro), formato da Laurent Lunoir, che si occupa un po' di tutto (voce, strumenti, visuals), Laure Le prunenec, responsabile delle backing vocals, del piano e delle chitarre in sede live; infine Igorrr, che segue il programming. "Rëvëürt" rappresenta il debut cd di questa schizoide ed imprevedibile band transalpina, che non fa altro che confermare lo stato di grazia di cui, da alcuni anni, il paese dei nostri cugini, gode. Vi domanderete a questo punto perché tutto questo entusiasmo da parte mia: fondamentalmente perché la musica contenuta in "Rëvëürt" (che sta per "rivolta del cuore") è fresca, originale ma soprattutto vibrante: "Agorth" apre le danze con il suo incedere sintetico (complice un’esplosiva drum machine), oscuro, sinfonico ed epico, senza dimenticarci anche le parole avanguardistico, cibernetico, progressivo e sperimentale. Insomma provate ad immaginare una sorta di ipotetico ibrido tra Misanthrope, Fear Factory e Devin Townsend, che ne dite, potrebbe interessarvi? A me parecchio. Il lavoro del combo transalpino coglie subito nel segno e se non fosse per quell'eccessivo, quasi esagerato (e penalizzante alla fine) uso del sintetico battito, forse staremo parlando di un vero e proprio capolavoro, che al popolo metallaro è quasi passato del tutto inosservato. Quindi a me l'onore di dar valore a una band di ottimi musicisti, che ispirandosi alla delirante follia del genietto canadese di cui sopra, rilascia queste nove splendide tracce, in cui si amalgamo alla perfezione tutti quegli aggettivi citati qualche riga più in su, aggiungendo poi per ciascuna delle tracce, altre splendide etichette: "Terea" è una song dal forte sapore barocco, dove ampio uso è lasciato al piano e alla vena orchestrale, con le vocals del bravo Laurent, raramente a scadere nel trito e ritrito growling, ma anzi assumono toni dark-operistici, mescolandosi alla perfezione con l'incedere esplosivo dei suoi suoni. Gli Öxxö Xööx pare stiano narrando storie di scandali alla corte francese nel 1600,con le atmosfere che si caricano di dense nubi oscure. "Ama" nel suo criptico avanzare, assume un’intensità che si avvicina a quella dei nostrani Ecnephias (anche a livello delle vocals), con un sound velato di quello spirito gotico che tanto piace a Mancan e soci. L'opera, perché alla fine di opera si tratta, mette in scena i quasi tredici tragici minuti di "Ctenophora": song avvolta da un feeling oscuro e malinconico che palesa anche le influenze doom dell’ensemble francese. Non aspettatevi una conclamata omogeneità di fondo nella musica dei nostri; anche qui si parte spesso in un modo e poi nel corso della riproduzione, il tutto evolve, dirigendosi verso il teatro dell'assurdo, verso i suoni dell'assurdo, verso l'assurdo... la musica che esce dalle casse del mio stereo somiglia in realtà a quella di una spinetta rinascimentale, inserita ovviamente in un moderno contesto d'avanguardia che trasuda drammaticità ed epicità da ogni suo poro e che alla fine denota una spiccata personalità di questi individui che non hanno nulla da perdere... Non so se quello degli Öxxö Xööx sia metal o musica sinfonica, sicuramente la violenza del drumming o la rabbia infusa dal cantato potrebbero indurmi a catalogarla come tale, ma il feeling che si respira, quello che mi cattura e alla fine quanto mi rimane nelle orecchie e nella testa è in realtà la musica che mi sarei aspettato di udire da musicisti di corte se fossi vissuto 4-500 anni fa. Peccato solo che all’epoca, la drum machine fosse solo delirante immaginazione. Spettacolo. (Francesco Scarci)


(Apathia Records)

domenica 24 marzo 2013

Xanthochroid - Blessed Me with Boils

#PER CHI AMA: Black Symph, Progressive, Emperor, Opeth, Ne Obliviscaris
Chi di voi erroneamente pensava che il black sinfonico fosse ormai morto, dovrà assolutamente ricredersi dopo l’ascolto di questo mirabolante lavoro dei californiani Xanthochroid, che arricchiscono una proposta già di per sé molto buona, con altre influenze davvero intriganti. Complice l’eccellente lavoro di Jens Bogren agli studi svedesi Fascination Street, i nostri irrompono dopo l’enigmatica intro, con la title track, che dapprima palesa l’immenso amore dei nostri per gli Emperor e soci, prima di dimenticarsene del tutto e intraprendere una propria strada, fatta di chitarre heavy dall’impeto assassino, coadiuvate da serratissimi attacchi di batteria e succosi inserti acustici, oltre al dualismo vocale offerto dall’ecclettica voce di Sam Meador (tra l’altro anche ottimo tastierista ed eccellente musicista alla chitarra acustica), bravo sia nella fase pulita che in quella growl. Non è ancora terminata la prima traccia, che la pelle d’oca si è già innalzata di un centimetro sulle mie braccia; forse il suono malinconico di un inserto flautistico o di orchestrazioni da favola e comunque di un dinamismo che non può che rievocare nella mia anima, le stesse emozioni che quasi un anno fa, il debutto degli australiani Ne Obliviscaris, suscitò in me. E forse proprio verso il sound del crack del 2012, va a virare la proposta del five-piece di Lake Forest. Un altro interludio acustico, una danza folkloristica attorno al fuoco, il calore delle fiamme che mi scalda ma anche quello delle vocals del bravo Sam che si accompagnano a quello dei tribali tamburi di Matthew Earl. Ancora brividi lungo il mio corpo, ma è il momento di lasciarsi aggredire dalla veemenza di “Long Live Our Lifeless King”, una song di quasi nove minuti, assai articolata, in cui emergono oltre alle influenze già citate dei nostri, anche cenni agli Opeth, denotando una maturità compositiva ed una perizia tecnica, davvero elevate. A livello lirico, questo primo full lenght prosegue quanto iniziato nel debut EP, “Incultus”, in cui si narrano le vicende di due fratelli, Thanos e Ereptor e della loro lotta, in un mondo lontano, per la conquista del potere, con i brani che sembrano scritti da entrambi i punti di vista dei due personaggi contrapposti. E proprio trattandosi di mondi lontani e fantastici, anche l’ascolto del disco, ci trasporta verso lidi inesplorati, con suoni che miscelano la brutalità del black alla poesia del folk, o alla malinconia dei suoni acustici. C’è tanta roba qui dentro e non lasciatevi spaventare se pezzi come “The Leper’s Prospect” o “In Petris Stagnum”, possono debuttare con tutta l’irruenza e aggressività di un’esplosiva miscela di death e black, perché poi sentirete quanto i pezzi evolvano in modo miracoloso, toccando apici di ispirazione e gratificazione, che vi lasceranno senza parole. E allora, come suggerisce la band sul proprio sito, rompete gli indugi e non esitate un secondo a far vostro questo capolavoro di musica estrema. Epici! (Francesco Scarci)

(Erthe and Axen Records)
Voto: 90

http://xanthochroid.bandcamp.com/releases

sabato 23 marzo 2013

1476 - Wildwood / The Nightside EP

#PER CHI AMA: Dark, Gothic, Folk
Della serie “l’abito non fa il monaco”; nonostante la grafica delle copertine di questi due bei digipack faccia pensare di avere a che fare con una band di black metal norvegese o al limite neo-folk apocalittico, una volta inseriti i cd nel lettore, la sorpresa è notevole: la musica di questo duo del New England è un rock di stampo post punk piuttosto classico, dai toni vagamente dark e gotici, ma sempre molto suggestivo. La cosa che colpisce fin da subito, e caratterizza fortemente il suono del gruppo, è la bellissima voce di Robb Kavjian: calda, profonda, carismatica e ricca di colori. “Wildwood”, uscito sul finire del 2012, è una sorta di concept che analizza la natura umana in tutti le sue sfaccettature, focalizzandosi sulla tendenza dell’uomo moderno a reprimere i proprio istinti. I testi, a partire dal titolo, sottolineano spesso un legame con la natura incontaminata, legame sottolineato da un suono complesso e stratificato, ma sempre molto fisico e “tangibile”, fatto di strumenti acustici, tastiere atmosferiche e percussioni tribali che convivono bene con chitarre distorte e cavalcate di stampo quasi metal. La voce di Kavijan ci accompagna senza cedimenti lungo dieci pezzi molto vari ma sempre evocativi, caratterizzati da inesorabili crescendo (l’iniziale “Black Cross/Death Rune”) e linee melodiche spesso irresistibili, come nella splendida “Good Morning Blackbird” o la lunga e trascinante “The Golden Alchemy”. Proprio i momenti più propriamente metal sono quelli meno convincenti, apparendo leggermente fuori fuoco nell’economia di un lavoro che si mantiene comunque su livelli sempre molto alti.

#PER CHI AMA: Dark, Gothic, Folk acustico
“The Nightside” è un EP di soli quattro brani, dai toni raccolti, scritti e registrati durante le session per l’album, che gli autori hanno voluto raccogliere a parte. E questa scelta si rivela assolutamente azzeccata, dato che questi altri venti minuti sono ancora più evocativi, nel loro dipanarsi tra le percussioni solenni della bellissima “Mutable: Cardinal” (che mi ha fatto tornare alla mente certe cose dei Grant Lee Buffalo), l’incedere desertico di “Know Thyself, Dandy” (vicina ai leggendari Gun Club di Mother of Earth) o una versione acustica e ancora più bella di “Good Morning Blackbird”, raggiungendo quella compiutezza e quel senso di omogeneità che un po’ manca all’album. Una bellissima sorpresa, questi 1476, decisamente originali nel loro modo di intendere la musica, di produrla, registrarla e diffonderla in maniera assolutamente autarchica, con uguale cura per la forma e il contenuto. (Mauro Catena)

(Seraphim House)
Voto "Wildwood": 75
Voto "The Nightside EP": 85

http://www.1476cult.com/2012/11/wildwood/

mercoledì 20 marzo 2013

Yayla - Nihaihayat

#PER CHI AMA: Black/Ambient
Per chi ancora non lo conoscesse, Yayla è un progetto personale del musicista/regista turco Emir Togrul e questo è il suo quarto album. L'istrionico musicista mostra ancora una volta la sua personalissima concezione del black/ambient metal fatta di stratificazioni di suono e distorsioni ovunque, contrastati da lunghi tappeti di synth e tastiere votate alla tristezza e alla riflessione. In questo lavoro Yayla si mostra molto determinato e mette in campo tutta l'esperienza acquisita nelle precedenti release, infatti nei cinque brani che compongono questo “Nihaihayat” troviamo la lunga intro “Intergumental Grasp” e la conclusiva “In Senility” che si rifanno al precedente “Fear Through Eternity” (album epico e monolitico dal sound costituito prevalentemente da tappeti di tastiere atmosferiche recensito a suo tempo su questo blog) con suoni maestosi di synth evocanti paesaggi eterei e oscuri mentre nei restanti tre centrali l'anima di Yayla si rifà al suo aspetto più sonico, distorto e ipnotico con scorribande ai confini con l'industrial marziale e il noise ma suonato come solo Burzum potrebbe intenderlo (anche se nel suo insieme il suono di Yayla è molto più pesante di quello del maestro!). Una ipnosi continua e massacrante quasi robotica, assalita dalla voce cavernosa e degenera di Emir, chitarre claustrofobiche create ad arte per rendere tutto nebbioso e cupo, quasi a voler proiettare l'ascoltatore in un mondo a sé, lontano da ogni dove, la misantropia ad ogni costo, un viaggio sciamanico avvolto dal mistero. A volte dai difficili risvolti e dalle tortuose inclinazioni sonore, dissonanze e distorsione a ruota libera creano un pesante muro di teatrale e sofferta decadenza, un'onda continua, un magma di rumore nero che si riversa sulle nostre orecchie. L'effetto tocca il suo apice in “Disguises of Evil” (che è anche la mia preferita) per l'impatto devastante, mistico e ripetiamo ancora, ipnotico, che la composizione di Yayla riesce ad infondere. Un continuo lento declino senza meta, lunghi brani di geniale tormento e tristezza, intelligenti, rumorosissimi e profondi, pieni di uno stato d'animo provato, epico e intimista, un sound estremo per sensazioni di introspezione estenuanti. Yayla lo conosciamo e lo ammiriamo, la sua musica cinematica non è per tutti ed è proprio questo che lo distingue da tutte le altre band. Il suo mondo è sotterraneo e popolato da spettri e fantasmi, saggi, mistici e nere figure tutt'altro che innocue. Da odiare o amare, fate la vostra scelta... l'ascolto è comunque consigliato! (Bob Stoner)

(Self)
Voto: 75

http://merdumgiriz.org/

Gen Marrone - Indovina Chi Viene a Cena

#PER CHI AMA: Heavy Metal goliardico
I Gen Marrone sono un progetto goliardico di church 'n' roll/white metal che fonde i testi dei più comuni canti religiosi con le linee melodiche che hanno fatto la storia del rock e heavy metal. Il primo esempio è "Symb77", dove i Gen si divertono a scimmiottare Sweet Dreams nella versione Marilyn Manson e il testo di una delle canzoni che, nonostante la mia lunga lontananza dall'ambiente cattolico, mi perseguita negli incubi peggiori! Il pezzo si sviluppa come la cover del famoso reverendo, un l'intro leggera di pianoforte lascia spazio al ritornello in stile Iron Maiden, potente e deciso. Il tutto si chiude con un finale apocalittico in scream, per una traccia musicale che sembra nata per questo testo. I suoni delle chitarre richiamo molto gli anni ‘90, mentre il resto risente di una qualità audio adatta per il progetto, quindi minimal. Ovviamente non posso non parlare di "Io Credo Risorgerò", l'opera omnia dei Gen Marrone che fonde "Impressioni di Settembre" al testo classico che celebra il trapasso nel miglior horror style del fanatismo religioso. Anche qua l'approccio è il medesimo dei precedenti pezzi, ma risalta ancor di più il fantastico rotacismo del Zek che è un marchio di fabbrica e ne permette il riconoscimento dopo pochi vocalizzi. Il bello dei Gen Marrone sono i concerti, pochi ma buoni. Irrinunciabile quello di Natale che come dicono loro, vale come messa e quindi ci risparmia dalla dannazione eterna nel caso fossimo rimasti a letto fino a tardi. Questo è "Indovina Chi Viene a Cena", progetto alternativo e il solo che mi è capitato di conoscere fino ad ora, anche se poi ho scoperto che esiste un festival dedicato alla musica funebre (https://www.facebook.com/Festivalfunebre). Se dovessi valutare solamente l'idea dei Gen Marrone e il raggiungimento dell' obiettivo prefissato, direi che sarebbe molto alto, ma non essendoci pezzi originali nel loro repertorio, il voto finale è commisurato a tale scelta. Concludo vi consiglio di accaparrarvi questo album, almeno per il supporto multimediale scelto per la commercializzazione: chiavetta USB in legno a forma di croce! Un must da passare al vostro figlio primogenito quando spirerete nel letto dell' ospizio per metallari. (Michele Montanari)

Presence - Gold

#PER CHI AMA: Prog Rock
Andiamo alla scoperta di un altro album del passato: era il 2001 e dopo “The Shadowing” (il mini-LP d'esordio), “Makumba”, “The Sleepers Awakes” ed il precedente “Black Opera”, i Presence giungono alla quinta uscita discografica; un traguardo che, non solo segna l'apice creativo della band, ma sottolinea soprattutto un'evoluzione musicale senza freni, frutto di un talento unico ma anche di sacrificio e di tanta passione. Una passione che si unisce all'umiltà di chi non si sente mai "arrivato" e all'ambizione di potersi superare costantemente, la stessa passione di chi si ciba di musica e vive per essa. “Gold” è il risultato di tutte queste qualità insite nel terzetto napoletano, nonché l'appagante conferma di un gruppo di musicisti, che mai è sceso a facili compromessi ed ha sempre proseguito per la propria strada. “Gold” è un album dalle molteplici sfumature, un'opera di prog-rock che attinge in parte dalle romantiche e fragili atmosfere dark e in parte dalla lirica e dalla musica classica. Tutto l'album è costruito su eleganti "chiaroscuri" che evidenziano la maturità artistica raggiunta dai Presence e la loro continua ricerca della bellezza, dove originalità e creatività vengono messe al di sopra di tutto. La voce potente di Sofia Baccini è senza dubbio la protagonista di questo lavoro ma non invade il territorio che spetta alla parte strumentale, inserendosi magistralmente tra i raffinati virtuosismi di chitarra di Sergio Casamassima e le tastiere di Enrico Iglio. In “Lightening” e “The Conjuration of the Stronghold Lodge”', è proprio la bella voce di Sofia a porsi in primo piano e a spezzare con la malinconia il taglio epico ed alchemico che contraddistingue gran parte dei brani. Le grandi doti della cantante vengono messe in rilievo in maniera particolarmente evidente, come l'abilità di Sergio nel comporre struggenti fraseggi di chitarra che strappano più di qualche emozione. Sognanti, oscuri, colti, epici...questi sono i Presence, un gruppo che affascina e che merita attenzione, non lasciatevi quindi sfuggire “Gold”, un album magico e senza tempo, ma anche la vostra opportunità di scoprire sentieri musicali inesplorati ed emozionanti. (Roberto Alba)

lunedì 18 marzo 2013

Kausalgia - Farewell (re-issue)

#PER CHI AMA: Melo Death, Throes of Dawn, Black Sun Aeon
Riprendo in mano il cd dei finlandesi Kausalgia, semplicemente perchè dall'estate scorsa a oggi, la band ha rilasciato il cd (tra l'altro in formato digipack) per l'etichetta cinese Pest Productions e visto che c'era, ha pensato bene di suddividere la title track in due song, di cui la conclusiva è ora "As the Curtain Falls". Lascerò pertanto immutata la recensione e quindi da Uusimaa ecco giungere tra le mie mani l’EP di debutto dell’atmosferico quintetto finnico, che ha da offrire cinque brillanti tracce di black death, spruzzato da venature darkeggianti. Si parte con “Reincarnated”, song che immediatamente richiama i conterranei Thy Serpent, quelli più melodici, occulti, oscuri e lenti, che possono etichettarsi come black, esclusivamente per le harsh vocals del suo frontman, Markus Heinonen, in quanto poi la musica dei nostri viaggia su binari alquanto tranquilli. “The Drug” però, ci desta dal torpore in cui eravamo sprofondati con la opening track, sprigionando tutta la sua energia attraverso una ritmica tirata, in cui in sottofondo si evidenziano intriganti (ma poco invadenti) tastiere, che indicano la strada da seguire alle chitarre, spesso assai ispirate, come a metà brano, dove si concedono il lusso di un’apertura acustica, seguita da un piacevole bridge. L’alone mistico e la vena malinconica che permea i testi dei nostri lapponi, si riscontra anche nelle gelide atmosfere di “Lupaus” per un esito finale a dir poco coinvolgente e pieno di spunti vincenti, per una band che, nata dalla ceneri degli Hypotermia, dimostra di avere talento e voglia di incantare gli amanti di sonorità invernali. Eccolo il fresco che arriva da nord: sta tutto nelle note di “Farewell”, un lavoro che gioca attorno a goduriosi mid-tempo che potranno indurre diversi paragoni, con i connazionali Black Sun Aeon o i Before the Dawn, ma che in realtà vanno a collocare i Kausalgia accanto alle suddette band, anzi a dischiuderne la strada verso una potenziale brillante carriera. La conclusiva e già menzionata "As the Curtain Falls" mette in mostra un roboante suono di basso (accompagnato da vivaci tastiere e chitarre) che sembra addirittura arrivare direttamente dall’immortale “Heaven and Hell” dei Black Sabbath. Meritevoli della vostra attenzione. (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 75

http://kausalgia.bandcamp.com/

domenica 17 marzo 2013

Evans - Blow Plays

#PER CHI AMA: Stoner, Kyuss
A volte mi stupisco di quanto sia difficile essere aggiornati e stare al passo dei tempi. Con questo non voglio dire che mi sento vecchio anche se lo sono pure di fatto, ma mettere su questo cd e scoprire con meraviglia (e un pò di rabbia) che gli Evans sono una realtà veronese a me fino ad ora sconosciuta, mi porta a cospargermi il capo di cenere.Vero che non si possono conoscere tutti i gruppi che brulicano nell'undergound, ma è così grave il fatto che devo porre subito rimedio parlandovi di "Blow Plays". Questo 7-tracks di puro stoner si presenta con un artwork molto semplice, forse pure troppo visti i livelli che si sono raggiunti negli ultimi anni, ma cerchiamo di badare alla sostanza e non all'apparenza. Da quel che ho raccolto dal web, questo album è stato preceduto da "Anime Bruciate" (pubblicato in un anno non ben definito) che probabilmente esprime al meglio il progetto Evans. "That's a Blow" è la prima traccia del cd e si rivela una cavalcata old style del genere, nel senso che i suoni sono quelli giusti, come pure i riff e il cantato. Tutto a base di Kyuss e poco altro, piacevoli i brevi solo di chitarra e basso a metà traccia, che permettono uno stop e la possibilità di ripartire a tutta birra. Tutto questo in quattro minuti che grazie anche al recording stile '90s trasporta l'ascoltatore in un ipotetico deserto assolato, situato nella bassa veronese! Passando alla quarta traccia "Well Done", siamo catapultati su una immaginaria muscle car dalla cilindrata improponibile, che corre sulla Route 66. Alla guida il vecchio messicano mezzo cieco e fatto di mescalina, ride mentre noi cerchiamo ti tenere il pranzo in fondo allo stomaco. Il tutto brucia in poco più di tre minuti sovrastati da accordi furiosi deturpati dal buon fuzz a pedale. Alla fine la sensazione è quella di una bella, ma veloce scopata fatta nel bagno di un drugstore di quart'ordine. Appagante ma vorresti di più. "Suicide of the Hero" sconvolge i piani di "Blow Play", mischiando un poco di doom che permette alla traccia di essere più varia e più lunga. Diversi cambi di ritmo danno dinamicità ed evitano l'affossamento, insieme alle parti strumentali che diversificano gli arrangiamenti. A questo punto spero che gli Evans siano un progetto ancora attivo e che produca ancora materiale, magari cercando di crearsi uno spazio nella grande scena stoner veneta e staccarsi dagli stereotipi del genere. (Michele Montanari)