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domenica 10 marzo 2013

The Last Three Lines - Leafless

#PER CHI AMA: Rock Acustico, Post-grunge
Ad essere sincero, avevo un po’ snobbato questo slipcase di cartone che il buon Franz mi ha recapitato sulla scrivania, complici un primo ascolto distratto, dove quasi nulla era riuscito a destarmi dal torpore post-prandiale, e il termosifone dell’ufficio, che da ottobre ad aprile spara fuori aria torrida, senza possibilità di regolazione alcuna. Gli ascolti successivi si sono invece rivelati preziosi, e mi hanno spinto a cercare più informazioni su questa band di Barcellona, dedita ad un genere di musica che loro stessi definiscono come “barbuta” (!). Ho così scoperto che questo EP di sei pezzi – tutti rigorosamente acustici – offre uno spaccato più essenziale e spoglio (da qui il titolo del lavoro) della loro musica, solitamente più elettrica e robusta, sorta di pop-rock ipervitaminizzato, un po’ Muse, un po’ Phoenix. Le prime tre parole che mi sono venute in mente sono state “New Acoustic Movement”, ovvero quella scena – reale o presunta – che aveva preso piede sul finire degli anni ‘90 soprattutto in Inghilterra, impegnata a riscoprire il folk degli anni ‘60-70. E in effetti, qualcosa nella musica dei “The Last Three Lines” ricorda il folk-rock melodico e vagamente epico proposto ad esempio dai Turin Brakes (la bella “Lonely Parade”) o Tom McRae (l’incalzante “Insomnia”), in termini di timbrica vocale, cantabilità e sapiente utilizzo delle chitarre. C’è però dell’altro in questi sei pezzi: ci sono atmosfere vagamente grunge (l’iniziale “Trail of Breadcrumbs” non rimanda forse agli Alice in Chains di “Jar Of Flies?”), armonizzazioni vocali che richiamano la west-coast e anche una sorprendente vicinanza, per timbrica e una certa solennità inquieta, al Dave Eugene Edwards degli episodi meno torbidi dell’avventura Wovenhand. Non vorrei esagerare, ma sembra quasi che la veste acustica giovi alla musica degli spagnoli, esaltandone la scrittura e la freschezza, rispetto al tono un po’ troppo enfatico (ma sono gusti personali) della loro proposta “ufficiale”. Potrebbe essere uno spunto interessante per il prosieguo della loro avventura. Per il momento, noi ci teniamo volentieri questi piacevoli 22 minuti di musica “senza foglie”. (Mauro Catena)

martedì 5 marzo 2013

Pensées Nocturnes - Nom D’Une Pipe!

#PER CHI AMA: Avantgarde, Suoni Sperimentali
Ecco un lavoro che stavo aspettando con somma trepidazione, addirittura fremo da ottobre, quando l’etichetta dei nostri mi contattò per farmi sapere dell’uscita dei Pensées Nocturnes. Da allora è stato un costante controllare sul sito dei folli francesi la data d’uscita della nuova release, per capire quando mi sarei dovuto attendere il cd fra le mani, ed eccomi finalmente accontentato. E che la follia ora abbia inizio. Che abbia inizio poi con i deliranti caroselli di “A Mangé le Soleil”, in cui sono palesi i riferimenti all’ex presidente francese Sarkozy e alla sua caduta. Non so darvi ulteriori indicazioni, a livello delle liriche, perché ovviamente il tutto è scritto e cantato in francese (lingua a me ignota). Poi quando la farneticante musica dei nostri, con tanto di trombe e sax impazziti, vocals sofferenti, suoni totalmente disarmonici e ovviamente avanguardistici, prende il sopravvento, si rivela una delizia per i miei padiglioni auricolari, ultimamente un po’ troppo insofferenti. Un po’ burlesque, un po’ folkish, qualche contaminazione balcanica, qualche altra scandinava di scuola Virus, l’imprevedibilità dei suoni transalpini, un allontanamento quasi totale dal black metal (salvo qualche incursione con rabbiose vocals o serrati riff malvagi), il tutto va a coniugarsi in modo stralunato nella seconda traccia, “Le Marionettiste”. Se avevate delle certezze nella vita, mettetele pure da parte, perché i Pensées Nocturnes ve le disintegreranno, solo dopo le prime tre songs, cosi come accaduto al sottoscritto. Non ci capisco davvero più nulla. Dopo un breve interludio, eccolo ancora il delirio più assurdo sulla mia porta: vi presento “Le Berger”, una creatura spaventosa, con delle growling vocals orrorifiche, che su un tappeto musicale davvero sinistro, spaventoso e da brividi, si materializza li, per terrorizzarmi. Il suono di tutti gli strumenti si incanala nella mia mente: il basso disegna inquietanti accordi, le chitarre tessono stranissime ritmiche, mentre la batteria sembra aver assunto un’impostazione quasi jazz, a parte nel conclusivo parossistico finale black, in cui la “dolce” vocina di Vaerohn, sembra essere posseduta da un demone infernale. La proposta della band parigina ha assunto dei connotati che solo lontanamente erano avvisabili dalle precedenti composizioni; qui si va oltre il concetto di musica estrema o in generale metal; è una messa in scena di un’opera teatrale, una conversazione diretta fra gli attori sul palco e il loro incredulo pubblico. C’è ben poco a cui potrei accostare la proposta dell’ensemble transalpino, anche se forse mi vengono in mente le cose più sperimentali dei nostrani Thee Maldoror Kollective, ma in questo caso, la mente dei Pensieri Notturni va ben oltre ogni umana immaginazione. Ecco, questo per dire che, “Nom D’Une Pipe!” non sarà certo un lavoro per tutti, forse neppure per molti, troppo complesso, troppo sperimentale, troppo… un sound che tra l’altro prende le distanze da quello che era la proposta black minimalistica neoclassica dei precedenti lavori. Vaerohn ha superato se stesso, proponendo un disco che avrebbe dovuto suonare metal, ma che in realtà ci offre gran parte della tradizione musicale francese, popolare o operistica che sia, con tanto d’uso di carillon o fisarmoniche, vocals femminili e qualsiasi altra soluzione possibile, atta a catturare l’attenzione del proprio pubblico. Sono stati riscritti i confini della musica estrema, definiti in passato da band quali Ved Buens Ende, Arcturus, Ulver o Fleurety, ma ampliati in generale quelli della musica rock. I Pensées Nocturnes hanno definitivamente scritto un pregiato capitolo da incastonare nel meraviglioso panorama rock; nove impressionanti tracce di musica popolare, che amerete o detesterete, gridando al tradimento più ignobile della storia. Prendere o lasciare, questi sono i Pensées Nocturnes di “Nom D’Une Pipe!”. Io li prendo! (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions)
Voto: 90

http://www.pnrecords-music.com/

lunedì 4 marzo 2013

Black Autumn - The Advent October

#PER CHI AMA: Black Depressive, Ambient
Un inizio che sembra più da celebrazione di matrimonio, apre questo nuovissimo EP della misteriosa one man band tedesca dei The Black Autumn, che io avevo seguito in occasione del demo “Isolation”, ma di cui poi sinceramente ho un po’ perso le tracce. Li ritrovo ora, con un EP nuovo di zecca, licenziato dall’abilissima Obscure Abhorrence Productions in co-produzione con la nostrana Bylec-Tum, scopro che nel frattempo, Mr. Krall (il detentore della band) ha fatto uscire ben quattro album e io mi domando che cosa ho combinato negli ultimi anni, dormivo forse? A parte queste mie inutili considerazioni, mi accorgo però che il sound del nostro factotum tedesco non si è mosso granché da quegli esordi, che facevano dei suoni glaciali, melodici e depressive, la matrice di fondo dell’act teutonico, se non per un notevole ingentilimento di quella proposta. Si parte con la title track, song tranquillissima che mostra delle ambientazioni al limite del post rock, spruzzato di un velo shoegaze, con un’aura black sempre incombente, che riemergerà qua e là nel corso della composizione (ad esempio nel roboante incedere conclusivo di “Dortke Mor”). Poi è la vena malinconica a avere maggiormente il sopravvento, con l’acustico incipit di “Dead as Martyrs March”, il marziale avanzare delle sue chitarre e le maligne vocals di Michael che, nella loro rara presenza, squarciano la funerea coltre di nebbia che ammanta questa release. “A Silver Line of Light” chiude questo EP, con il suo feeling disperato, denso di emozioni che gravano come un macigno sulla mia anima. Deprimenti! (Francesco Scarci)

(Obscure Abhorrence Productions - Bylec-Tum)
Voto: 65

https://www.facebook.com/blackautumn.band

domenica 3 marzo 2013

Vowels - Hooves, Leaves And The Death/As December Nightingales

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Negura Bunget, Abruptum
Non ho idea se conoscevate i Vowels in precedenza, ma sono cambiati e tanto anche. E come sempre accade nel metal, è tutta colpa dei synth. In questa nuova avventura dei Vowels però, non troviamo una mutazione solo in campo sonoro, ma anche compositivo, che continua sulla scia di "Hooves, Leaves And The Death" già pubblicato in precedenza, ed ora riproposto con una post-produzione qualitativamente più elevata, e quindi meno true. Partiamo dicendo che i Vowels si sono lasciati alle spalle tutto quel bagaglio che li collegava a sonorità avantgarde e al black metal più grezzo. Ma partiamo ancora prima, quando in centro a Vicenza, in una buia notte mi sono addentrato in un parcheggio dove ad attendermi c'era una tetra figura incappucciata, ovvero il cantante dei Vowels che mi aveva dato appuntamento per la consegna dei dischi appena giunti dalle gelide steppe dell'est Europa. Vi invito già ad acquistare il loro doppio EP perchè questa prima tiratura ha un elevato livello di neri dovuto ad un difetto di stampa, quindi quando saremo anziani e ce la racconteremo al bar, potremmo vantarci della nostra rarità discografica. Per farvi capire quella notte il cd sembrava tutto nero e neppure con l'ausilio della luce in macchina si riusciva a capire l'artwork, dovetti infatti aspettare il giorno per capirne qualcosa. La prima parte del disco si apre con l'evocativa "Wolves Eating the Sun", la cui struttura compositiva si basa principalmente su un crescendo sonoro, con vari pattern strumentali che si accavallano creando un effetto ipnotico e travolgente; chiave di queste composizioni sono le chitarre che giocano con tremolo picking e compulsivi sostenuti da una forte distorsione e riverbero. L'inedito "As December Nightngales" è la song che preferisco ed ha solo un problema a mio avviso: troppi silenzi e poca musica, essa vira verso la tranquillità e la quiete musicale, le canzoni si fanno più brevi ed eteree, aggiungendo nuove sonorità alle composizioni del combo vicentino, che finisce per lasciare di stucco con le sue uscite stilistiche. Un lavoro molto particolare che cattura dal primo all'ultimo secondo, disperdendo i sensi e la ragione, grazie ai suoi picchi di volume, i synth usati eccezionalmente e le pragmatiche stereofonie. Buy and die! (Kent)

(Sun & Moon Records)
Voto: 90

http://www.vowels.it/

Hellige – Demo

#PER CHI AMA: Black Doom, Altar of Plagues, Dark Castle, Blut Aus Nord
Gli Hellige arrivano dall'Argentina e ci mandano un demo promozionale datato 2012 di grandissima qualità sonora e compositiva. Il duo argentino è al terzo album e l' unica nota negativa per questo lavoro è il titolo che in realtà non c'è e dopo due album intitolati rispettivamente "Hellige" e "God" a nostro parere ci stava un titolo importante almeno quanto la musica proposta. Ci arriva in una busta cartonata completamente nera, dall'artwork curato ma che a malapena fa notare una figura macabra sullo sfondo e sovra impresso in caratteri grigio scurissimo i titoli e i contatti, una forma grafica che sottolinea un'avversità alla luce proclamata a gran voce e che a dire il vero non invoglia troppo all'ascolto visto che a fatica si riesce a distinguere il nome della band. Sicuramente una politica voluta e ricercata e che solo dopo aver ascoltato il cd si riesce ad intuire. Parlare di semplice doom/black metal è molto riduttivo per questo lavoro. Qui la musica si tinge di tinte oscure e l'incedere lento e costante rendono l'insieme un mantra pericoloso per la psiche e le lande più tenebrose dell'anima di chi ascolta. Il suono è luciferino, tagliente, nervosissimo e a tratti sfiora sonorità vicine ad Altar of Plagues, Dark Castle o Blut Aus Nord a rallentatore e con meno voglia di sperimentare ma molta omogeneità, fantasia e un'integrità sonora sicuramente da apprezzare. L'umore dei quattro brani è insistentemente buio e prevale una visone doom su tutto l'intero lavoro, lo screaming e il growl usato per la parte vocale, sfoderano potere narrativo sostenuto da musiche tesissime e sinistre, suoni stratificati, rallentamenti devastanti alternati ad esplosioni rabbiose al vitriolo sempre e comunque mantenendo quella vena astratta e d'avanguardia che potrebbe rimandare ai primi Solefald. Possiamo dire inoltre che soprattutto nel quarto brano, "Obnubilum", il più lungo dei quattro, gli Hellige riescono a fondere il black metal con lo stile compositivo mantrico/psichedelico di un certo post rock di classe da cui ne esce una litania infinita e disperatissima, depressiva e con un velo di eterno smarrimento quasi geniale. Quattro brani, tutti con una lunghezza che varia dai 6 ai 14 minuti di una continua destabilizzazione emotiva. Un viaggio, l'ennesimo stupendo viaggio alla ricerca dei risvolti più neri dell'anima. Da provare, solo per anime libere e profonde! (Bob Stoner)

Behold! The Monolith – Defender Redeemist

#PER CHI AMA: Sludge/Stoner, High on Fire, Carcass, Iron Monkey, Cathedral
Secondo full lenght per questa band californiana (Los Angeles) nata nel 2007 che sfidando tutte le improbabili ripercussioni sonore, osa mescolare thrash metal e doom/sludge/stoner con una naturalezza impressionante, dando vita ad un ibrido dal fascino straordinario. L'artwork della copertina è molto bello e curato e ritrae personaggi fuoriusciti da un mondo lovecraftiano proiettato in una trama divisa tra fantasy e paesaggi cosmici. Proprio la copertina di questo album ci porta a capire immediatamente di quale musica si sta parlando, ossia un intruglio di Cathedral, Trailer Hitch, Voivod, High on Fire, Carcass, Cult of Luna e Iron Monkey che destabilizza l'ascoltatore ad ogni istante, proiettandolo continuamente in differenti mondi sonori a volte ultra doom e psichedelici, a volte molto heavy ai confini col death metal old school, a volte thrash con inserti di southern rock. L'intero lavoro scorre benissimo mantenendo la sua possente mole rumorosa e in tutte le sue tracce non abbassa mai la guardia e onora il moniker della band con un sound veramente monolitico diviso tra tempi a rallentatore, cavalcate e assoli a go go, riff potenti e godibilissimi. "Redeemist" è un brano da incoronare con il suo incedere lento e cupo ed anche "We are the Uform" con il suo cantato malatissimo sopra un tappeto di feedback e chitarre che ricordano i primi lavori psichedelici dei Monster Magnet ma molto più potenti e grossi. I brani sono tutti coinvolgenti e di ottima fattura e racchiudono veramente il meglio dei generi sopracitati (a tratti sembrano perfino ricordare i primi Iron Maiden in salsa Pentagram!), mantenendo una forma originale e melodica con un'identità propria comunque molto definita e distinta. Sporchi, cattivi e cupi ma anche intelligenti, ragionati e con stile. Questo sono i Behold! The Monolith! Possiamo anche impazzire solo per il nome! Una band straordinaria che prende forma da tutti gli orizzonti del metal in circolazione con un suono vintage ma perfettamente collocata in epoca moderna, studiato nei particolari, senza compromessi e atmosfere polverose, nervose e intense. In assoluto un ibrido musicale tra i più interessanti degli ultimi anni e meritano tantissima visibilità. Album da avere assolutamente!!! (Bob Stoner)

The Pit Tips

Bob Stoner

Roul Bjorkenheim, Bill Laswell, Morgan Agren - Blixt
Nico - The End
Deathspell Omega - Paracletus
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Francesco “Franz” Scarci

Cult of Luna - Vertikal
Kontinuum - Earth Blood Magic
Encircling Sea - A Forgotten Land
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Alberto Merlotti

New Order - Lost Sirens
Children of God - We Set Fire to the Sky
Hollywood Undead - Notes From the Underground.
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Samantha Pigozzo

Ruoska - Rabies
Korn - Issues
The Darkness - the platinum collection
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Michele “Mik” Montanari

Atoms For Peace - Amok
Baroness - Yellow & Green
Shelly Webster Trio - Chrysantemum
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Roberto Alba

Cultes Des Ghoules - Henbane
Vorum - Poisoned Void
The 69 Eyes - Hollywood Kills - Live at the Wiskey a Go Go
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Stefano Torregrossa

Meshuggah – Pitch Black
Fu Manchu – The Action Is Go
Shining – Blackjazz
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Mauro Catena

Syd Arthur – On and On
Shiko Shiko – Best New Bestiole
Pere Ubu – Datapanik in the Year Zero
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Kent

Hierophant - Hierophant
The Secret - Agnus Dei
The Circle Ends Here - The Division Ahead

mercoledì 27 febbraio 2013

Vyrion - Vyrion

#PER CHI AMA: Black Death Progressive, Enslaved, Ne Obliviscaris
A volte mi domando come mai in Italia nessuno prenda in considerazione le ottime ma sconosciutissime band che popolano gli anfratti più oscuri del pianeta. Tanto per cambiare, la segnalazione di oggi, ci dirige verso la mia amata Australia, Brisbane per l’esattezza, la bella e intrigante città (dove ho fatto mambassa nell’acquisto di cd) da cui arriva questo quartetto dedito ad un infervorato e intelligente death black progressive. Partendo da un punto di vista estetico, come sapete, ho un debole per i digipack, quindi già visivamente, il debut del combo australiano, solletica il mio palato. Infilato poi il cd nel lettore e dopo la consueta canonica intro, fa la sua comparsa il timido sound di “Ever-Rising Platform”; guai però a farvi ipnotizzare e ingannare dal suo delicato incedere, perché ben presto là, dietro l’angolo, farà la comparsa un arrembante sound che propone la personale visione del mondo estremo, di questo giovane stravagante ensemble. E quale visione… Questa mia affermazione vuole giustificare infatti la direzione stilistica dei nostri, ossia ripercorrere, a modo proprio, le gesta dei mostruosi Enslaved, con tutte le dovute differenze del caso e quant’altro, per carità. Ma per favore, non soffermiamoci oltre e andiamo ad ascoltarli questi pezzi, che con “Mortal Frame” mette in luce un’inusuale mix tra ritmiche brutali e brillanti aperture dal flavour puramente rockeggiante, grazie all’ottimo lavoro alle sei corde del duo formato da Mark Boyce e Dale Williams. Il buon Dale coadiuvato da Chris Cox, pone in evidenza un certo ecclettismo dietro ai microfoni, ben udibile in “The Decider” o nella splendida e stralunata “Disengage”, in cui la gamma vocale della band passa dal gracchiare di Chris, (da migliorare notevolmente), alle ottime clean vocals di Dale, che invece mi hanno ricordato più da vicino, quelle dei connazionali Ne Obliviscaris. Le potenzialità ci sono e anche di una certa rilevanza, senza ombra di dubbio. Di sicuro ci sono ancora certe sbavature da limare, magari una ritmica talvolta fin troppo confusa (“The Silence” ne è un esempio) o che tende addirittura a sovrapporsi a quelle linee di chitarra che esulano completamente dalla musica estrema. La produzione poi non agevola la pulizia dei suoni e talvolta si fatica a percepire quali genialate i nostri vorrebbero trasmettere. Altri difetti che colpiscono questo album omonimo sono certi passaggi a vuoto, in cui il death brutale si incontra e scontra col black epico o atmosferico, lottando ferocemente per il dominio sulla specie ma togliendo i punti di riferimento a chi ascolta la musica dei nostri. Insomma per concludere, pur non avendo capito se siamo al cospetto di una band black o death, posso dire senza esitazione che i Vyrion siano un gruppo davvero di belle speranze, che sotto una guida esperta, potranno davvero dire la loro nel panorama metal mondiale. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 75

http://www.vyrion.com/

Dies Ater - Hunger for Life

#PER CHI AMA: Black Symph., Emperor, Rotting Christ
Ad un primo superficiale ascolto ,ho pensato che i teutonici Dies Ater avessero virato il loro selvaggio black metal, verso lidi più avanguardistici, per dire più vicini alla produzione dei primi Arcturus. L’ascolto di “Blutpfad” infatti, è stato abbastanza fuorviante in tal senso, con una ritmica furente spezzata da splendide aperture sinfoniche e da delle vocals, molto vicine a quelle pulite del buon vecchio Garm. Con le successive funamboliche tracks, riemerge ahimè forte l’influenza del passato, con pezzi che già dalla traccia omonima, tornano a coniugare il black melodico, figlio del trend scandinavo capitanato da Emperor e dai primordiali Dimmu Borgir, con oscure sonorità mediterranee, anzi di Grecia per l’esattezza, un po’ come già era accaduto in occasione del precedente “Odium’s Spring”, dove forte era l’eco dei Rotting Christ. Il risultato alla fine risulta genuino un po’ come accaduto in passato, con i nostri a proporre la loro consueta ricetta berlinese, fatta di riffoni belli tirati, uniti a sinfoniche, ma mai troppo ruffiane, aperture di tastiere, parti più rallentate (si ascolti “Banisher in Times of Light” per esempio o l’enigmatica “Edge to Oblivion”), il tutto condito dalle classiche harsh vocals di Nuntius Tristis. Se poi i cinque diavoli di Berlino si mostrassero con un maggiore tocco di personalità, questo non guasterebbe di certo; avrei infatti provato a seguire la traccia segnata da “Blutpfad” anche per il resto delle song qui contenute, magari sarei qui a parlare in altri termini di un lavoro che ha la sola pecca nel fatto che verrà certamente dimenticato alla velocità della luce. Insomma della serie belle le sonorità, ma dopo un po’, il senso di già sentito rischia di diventare stucchevole. Coraggio ragazzi, avete fatto la storia nell’underground tedesco, cerchiamo di non cadere nell’apatia di un passato che fu… (Francesco Scarci)

(Obscure Abhorrence Productions)
Voto: 65

https://www.facebook.com/diesater