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martedì 19 giugno 2012

Burnsred - Burnsred

#PER CHI AMA: Sludge/Doom, Mastodon, Unearthly Trance, Isis
Mi affascinano sin da subito questi Burnsred, gruppo di San Francisco portatore di uno sludge leggermente fuori dagli schemi, che loro tendono a denominare "progressivo" (anche se è un appellativo che affianco maggiormente ai Mastodon). Qui la pesantezza dello sludge è portata all'estremo. Non è la distorsione o certe sonorità di dimensioni esponenziali, come vorrebbe uno stampo di tipo post metal (di cui si evince una forte influenza), ad appensatire il sound della band californiana, ma sono i vari cambi di tempo. Queste inondazioni di lugubri riffoni ai quali si affianca una marcissima voce in scream, riescono a rappresentare il disagio più totale. Da ringraziare immensamente la parte ritmica che riesce ad arrivare a rallentamenti inverosimili, regalandoci queste quintalate di tensione doom. Ma la vera sorpresa di quest'album sono le parti che a mio parere richiamano questa decantata "progressività". I nostri mi scagliano infatti contro delle parti al limite dell'ambient, contornate di tastierine, noise, chitarre pulite, melodie e altre robe simili. Questi intermezzi calzano perfettamente con tutta la struttura sonora e compositiva della band, e posso definitivamente certificarlo quando la parte putrida dei Burnsred si scontra con questa loro anima tranquilla e sognante. In conclusione avrei preferito una registrazione più potente e brillante per far risaltare al massimo le malevoli sonorità di questo full-lenght, a cui non manca nulla, tranne quel pizzico di spessore. Consigliato a tutti gli amanti del downtempo e del marciume. (Kent)

(Self)
Voto: 80

Terraformer - The Sea Shaper

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Devo ammettere che stavo per commettere un gravissimo errore. Cioè classificare i Terraformer nel consueto guazzabuglio di gruppi post rock, ma per fortuna ho ascoltato "The Sea Shaper" con giudizio (stavolta) e ho cambiato idea. Si, la struttura probabilmente riconduce al post, ma i suoni, curati con estrema attenzione, sono più rabbiosi e aggressivi. L'utilizzo del classico delay riporta alla mente certe situazioni già ascoltate, ma se non se ne abusa… Da chitarrista posso dare un parere personale alle sonorità delle sei corde dei Terraformer, dicendo che la distorsione è più vicina all’Hard/Heavy e questo crea una miscela personale. Innovativa sarebbe esagerato visto che ormai si è suonato qualsiasi strumento a corda con qualsiasi distorsore di suono esistente sulla terraferma... "Whale" ne è l'esempio lampante ed è diventata la mia traccia preferita, con le sue chitarre aggressive che lottano furiosamente con la linea melodica di basso e la batteria. Una perla musicale in fatto di composizione, i cambi di ritmica sono diversi, ma riconducono tutti ad una trama comune, tanto avvincente quanto potente. Quasi sette minuti che speri durino all'infinito. Non mi succedeva da tempo... La settima traccia "Cross Bearing" ha un riff iniziale che prende subito, ma anche "R'lyeh" lascia stupiti per la somiglianza sonora con i veterani Russian Circles, ma allo stesso tempo, ve li fa dimenticare, per la personale interpretazione terraformeriana. "Anacharsis" mantiene lo stesso stile, ma la traccia risulta più cupa, grazie al ritmo claustrofobico iniziale della batteria. Un mero alternarsi di rullante/tom/grancassa (non me ne voglia il batterista se ho cannato ad individuare i giusti fusti) che prende forma insieme alla chitarra. Un'altra canzone che conferma le eccelse capacità dei Terraformer e la loro maturità. Lancio una provocazione: ascoltate questo ottimo lavoro ed immaginatevi un vocalist dalla voce matura e roca, oppure più melodiosa alla Serj Tankian. Io dico che potremmo spegnere decine di canali Tv e radio che propinano musica "for the masses" ed iniziare a sentire, non solo ascoltare musica. (Michele Montanari)

(Self)
Voto: 80
 

sabato 16 giugno 2012

Eclectika - The Last Blue Bird

# PER CHI AMA: Black/Thrash/Post Rock, Dol Ammad, Limbonic Art
Quello che ho fra le mani è forse uno dei più difficili cd che mi sia capitato di recensire, ma che comunque mi ha stupito maggiormente, per il tipo di sound proposto. “L’ultimo Uccello Azzurro”, citazione che sembra presa dal film K-Pax, è un concentrato di suoni abbastanza affascinanti, anche se poco ben amalgamati tra loro: black furioso, passaggi thrash, ambientazioni sinfoniche e parti post rock, convergono interamente nella release della band francese. A mio avviso, se si fossero curati molti particolari, questo debutto poteva essere davvero una bomba, invece molte ingenuità ed imperfezioni, sicuramente dovute all’inesperienza del trio, lo hanno relegato in secondo piano. L’album si apre con un paio di brani dal rifferama tipicamente black sul quale si staglia lo screaming selvaggio di Aurelien Pers, le growling vocals di Sebastien Regnier e si inserisce la notevole voce soprano di Alexandra Lemoine. Una forte componente tastieristica (simile ai primi lavori dei Limbonic Art) contraddistingue questo debut; arcani passaggi strumentali (“Les Arcanes du Bien-etrè” e “Asylum 835”), gotiche ambientazioni, pompose cavalcate power e discreti assoli, completano il sound della band transalpina, che ha forse avuto il solo demerito di non esser stato in grado di rendere un po’ più omogeneo questo platter, che nasce da una grande ambizione di fondo, essere originale il più possibile. Di certo poi, una scarsa produzione penalizza il suono degli strumenti, non giovando quindi, all’esito finale di “The Last Blue Bird”. Nonostante questa serie di mezzi passi falsi, in fase di produzione, a me questo lavoro non dispiace affatto, forse per il coraggio che la band mette, nel tentativo di cercare una nuova strada per uscire dal vicolo cieco, in cui il metal estremo si è cacciato. Gli Eclectika sono una band potenzialmente dal grande talento: serve solo un po’ di esperienza per fare il grande salto in avanti; ce ne fossero di band cosi coraggiose in giro, il metallo pesante ne gioverebbe enormemente! (Francesco Scarci)

(Asylum Ruins)
Voto: 65

http://eclectika.bandcamp.com/

Infection Code - Intimacy

#PER CHI AMA: Noise/Post Hardcore, Today is the Day, Godflesh
“Pensavo che l’amore fosse un sentimento che…” Così esordisce questo stralunato lavoro degli Infection Code, che ha visto addirittura la band recarsi a San Francisco per il mixaggio, la masterizzazione e la produzione di “Intimacy”, sotto la supervisione di Billy Anderson (Neurosis, Eyehategod, Brutal Truth). Il quarto lavoro dei nostri, registrato presso i Nadir Studio di Tommy Salamanca, si rivela decisamente l’album più intimista e sperimentale mai creato prima d’ora: dall’iniziale “(E)motionless” infatti, si capisce subito che tra le mani non abbiamo qualcosa di puramente convenzionale. Per chi segue la scena post hardcore, il nome che per primo può venire alla mente è quello dei Jesu, in una versione però più selvaggia, brutale e oscura. Le sonorità contenute in “Intimacy” possono ricordare i suoni sintetici dei primi Ministry, ma non solo, perché “Bleeding” mi riporta alla mente certe sonorità punk-dark tanto in voga nei primi anni ’80, una sorta di Fields of the Nephilim in acido. Le influenze dei nostri, in questa claustrofobica release, non si fermano tuttavia qui: sludge, psichedelia e industrial si fondono in questo magnetico lavoro, che sicuramente farà la gioia anche dei fans di Mastodon, degli amanti degli schizoidi ed imprevedibili Fleurety, nonché per chi adora le angoscianti atmosfere dei Neurosis. Album pazzesco, questa release degli Infection Code, che per i primi 300 fortunati aveva previsto anche in un vinile colorato. Altra chicca imperdibile è la versione claustrofobica di “Heart Shaped Box” dei Nirvana, rivista in chiave industrial/cibernetica con la voce malata di Blood a dare quel tocco di follia che non guasta, mentre una serie di sampler la rendono, nella parte finale, quasi irriconoscibile. Abbandonati gli esordi industrial death/grind, gli alessandrini Infection Code ci regalano un gran bel lavoro, speriamo solo che la gente abbia la mente abbastanza aperta per capirlo; fortemente consigliato a chi ama la sperimentazione e l’avantgarde. Pazzoidi! (Francesco Scarci)

(Beyond Productions)
Voto: 80
 

Hollow Corp. - Cloister of Radiance

# PER CHI AMA: Sludge, Cult of Luna, Isis
E in Francia andiamo a scoprire il debut degli Hollow Corp., band che propone un metalcore (a tratti), fortunatamente arricchito da una forte componente sludge ed industriale, in grado di farmi apprezzare notevolmente quest’album. L’apertura è affidata ad “Elevation” song dall’incedere dapprima veloce, che mi fa credere di trovarmi fra le mani l’ennesimo disco metalcore, ma che poi subisce un rallentamento, presagio di ciò che ci aspetta da questa intrigante release. Dalla successiva “Inferno” infatti, si capisce che il sound proposto dal combo transalpino è più orientato verso lidi sludge piuttosto che metalcore, con brani caratterizzati da lunghezze abbastanza impegnative (sui sette minuti) e da sonorità contraddistinte da un grado di saturazione dell’aria sempre più elevato: la velocità infatti non è mai considerevole, grazie anche ad atmosfere che si fanno sempre più cupe e angoscianti, con giri di chitarra schizoidi che si ripetono (in stile Meshuggah), stordendo non poco il nostro cervello. “Code” e soprattutto la successiva e lunga “Peripherals”, riescono, grazie al loro frustrante incedere monolitico e all’ingegnoso inserto di melodie industrial/psichedeliche (al limite del lisergico), a sballare letteralmente l’ascoltatore, catturandone l’attenzione e tenendone vivo l’interesse fino in fondo. Non c’è nulla di scontato in “Cloister of Radiance”, anche se alla fine si rivela un prodotto di non certa facile assimilazione. Duro da digerire, ma sicuramente di grande presa per un pubblico esigente, che ha ancora voglia di essere stupita, gli Hollow Corp. escono vittoriosi da questa loro prima prova. Da segnalare l’ottima la prova del vocalist, capace di districarsi tra il cantato in growling, screaming e clean. Hollow Corp., un nome da segnare assolutamente sul vostro taccuino! (Francesco Scarci)

(Dental Records)
Voto: 75

Tephra - A Modicum of Truth

# PER CHI AMA: Sludge, Neurosis, Mastodon, Isis, The Ocean
Chissà, forse abbiamo trovato la risposta europea al magnetico sludge statunitense: i Tephra arrivano dalla Germania con il loro suono da giorno dell’Apocalisse. L’album raccoglie 70 minuti di oscure atmosfere e sinistre melodie: “A Modicum of Truth”, partendo dalla tradizione americana, unisce ad essa, bastarde linee doom, sludge e metal. La principale influenza per il quintetto di Berlino, nato nel 2003, viene dai mostri sacri Isis e Neurosis, senza tralasciare tuttavia una forte ascendenza che gli svedesi Cult of Luna hanno avuto sui nostri. Pur certamente non brillando per originalità, la band teutonica riesce comunque ad infondere, attraverso gli undici brani ivi contenuti, tutto il proprio disagio, con dei pezzi altamente emozionali, carichi di disperazione, odio e dolore. Come già mi era successo, ascoltando le ultime fatiche dei Cult of Luna, anche qui la band sembra disegnare, con la propria musica, aspri paesaggi invernali, grazie al loro caustico sludge, reso ancora più distorto e corrosivo, dalla forte componente post-hardcore, individuabile soprattutto nelle linee vocali di Ercument Kalasar. La musica invece, nel suo altalenare di emozioni, passa da picchi di profonda depressione ad altri momenti in cui l’aria si fa cosi rarefatta che diventa quasi impossibile respirare: è il caso di “Big Black Mountain” e “Changes”, due ottimi episodi che insieme a “Until the End”, rappresentano forse al meglio il cd. Ottimo quindi, il passo avanti compiuto dall’act tedesco, rispetto al non brillantissimo esordio del 2005: sicuramente le capacità per emergere, in un territorio tutto da esplorare, ci sono, e i Tephra hanno la giusta carica per farlo… (Francesco Scarci)

(Riptide Recordings)
Voto: 70
 

giovedì 14 giugno 2012

Aquilus - Griseus

#PER CHI AMA: Black Orchestrale, Progressive, Colonne Sonore, Opeth, Morricone
Ne Obliviscaris, Germ, Woods of Desolation ed ora quest’ultimi Aquilus… potremo quasi parlare di New wave of Australian metal, una schiera di band che hanno ricevuto la pesante eredità degli ormai disciolti e fenomenali Alchemist e che portano avanti un discorso di metal assai sofisticato a 360°. Aquilus quindi nelle pagine del Pozzo a soverchiare ogni amante della musica metal, con la loro lunghissima proposta di metal emozionale, che strizza l’occhio al progressive sound degli Opeth, all’ambient di Burzum, alle colonne sonore di Ennio Morricone, senza dimenticare la musica classica dei grandi maestri dell’800. Ragazzi, Aquilus è un progetto che per la sua complessità e per i suoi significati intrinseci, non farà altro che lasciarvi a bocca aperta per le sfumature musicali in grado di emanare, e mi dà enorme gioia vedere come un’altra attenta etichetta italiana abbia potuto fare centro in un modo cosi eclatante. Bravi i ragazzi dell’ATMF Production ad aver assoldato questa one man band che risponde in realtà a Mr. Horace Rosenqvist, uomo dotato di una personalità fuori dal comune, capace di concepire una simile opera d’arte che solo con la prima eccezionale song, “Nihil”, mostra le immense doti a propria disposizione, miscelando un inizio che si barcamena tra sonorità sinfoniche e qualcosa di più estremo, prima di abbandonarsi ad una lunga epica e sontuosa parte orchestrale, da lasciare senza fiato. Sono strabiliato dalla proposta del mastermind australiano, ma la strada per giungere al termine di questa release è lunga e lastricata di splendide sorprese. Ed è cosi che si apre “Loss”, altro brano che fa delle atmosfere sognanti, il suo punto di forza, prima di cedere il passo a parti black sinfoniche, con gracchianti growling vocals, sorrette da ariose e sinuosi parti ambientali, costituite da pianoforte ed eleganti arpeggi. Un po’ più dei Dimmu Borgir più orchestrali, molto vicini alle colonne sonore dei grandi maestri del passato e del presente, più oscuri di entità estrema quali Emperor o Limbonic Art, più strazianti dei gods del death doom, quali My Dying Bride o Saturnus, gli Aquilus sbaragliano in ogni modo la concorrenza, sfoderando una prova a dir poco magistrale, fatta di suadenti melodie, ritmi da brivido, emozioni che a poco a poco scalano i miei sensi fino a raggiungere un’orgasmica vetta, che credevo fino ad oggi irraggiungibile. La successiva “Smokefall” ha tutti gli elementi per evocare il sound degli Opeth e forse nel primo minuto e mezzo, è anche quella che mi convince meno, ma niente paura perché il nostro amico Horace poi, al solito, parte per la tangente e troverà il modo di disorientarci con le sue trovate a dir poco originali. E cosi lentamente si prosegue nell’ascolto di questo lavoro assai camaleontico, che ha il pregio di evolvere brano dopo brano, scaldarmi il cuore, riempirmi di gioia, ma anche tanta malinconia come la struggente “In Lands of Ashes”. Meraviglioso. In Australia deve esserci gran fermento nell’ultimo periodo perché insieme alla Francia rappresenta la nazione che sta sfornando il maggior numero di band interessanti. Con “Latent Thistle” capisco che l’amico “aussie” si trova a proprio agio anche in frangenti più propriamente death metal; certo non pensate di trovarvi chissà che cosa in mano di estremo, tanto è sfuggevole la proposta del bravo Horace, che sguscia come un’anguilla nelle nostre mani, tanto l’eclettismo palesato anche in quest’altra song, come anche nelle successive che via via si susseguono nel corso di un lavoro che stupirà non poco gli addetti ai lavori, ma che mi sento in obbligo di suggerire a tutti gli amanti di sonorità metal, black, prog, death, neo-folk, classic, heavy, thrash, gothic, post o dark che siano… tanto tutto convoglia dentro a questo fantasmagorico lavoro che equiparo senza alcun timore, per classe, idee, originalità e mille altre sfaccettature, all’album d’esordio dei connazionali Ne Obliviscaris. Australia, ultima frontiera per il metal, la fermata è obbligatoria! (Francesco Scarci)

(ATMF)
Voto: 90
 

mercoledì 13 giugno 2012

Ea - Ea

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism, Thergothon
Che le porte dell’inferno si aprano a voi. Benvenuti ancora una volta nel tetro antro della bestia. Gli Ea sono tornati, con quello che è il quarto capitolo della loro discografia. L’enigmatica band russa questa volta supera se stessa in fatto di numero di song e si limita a proporci una lunga suite di 47 strazianti minuti di funeral doom. Ripartendo laddove avevano lasciato con il precedente capitolo, “Au Ellai”, gli Ea (il cui nome si rifà a quello di una divinità babilonese) aprono questa nuova release con dei lugubri tocchi di pianoforte, che si rivelerà la vera anima del cd. Poi ecco i piatti ed infine il lento tribolare delle chitarre, lente, sovrane e dilanianti, prima che il vocalist soverchi con il suo orrorifico growling, il sound dei nostri. Torna la lente marcia funebre ad accompagnarmi nell’ascolto dell’omonimo capitolo degli Ea. Gli ingredienti per descriverne il sound, rimangono quelli di sempre: ritmiche oscure, estremamente malinconiche e decadenti, dal lentissimo e pesantissimo incedere, deprimente e soffocante. Dopo 13 minuti, ecco il primo squarcio di luce nel cielo plumbeo degli Ea: un riffing abbandona il desolante gelo creato fino ad ora, per infondere un po’ più di calore nella fredda notte della taiga russa, ma poi ecco poi il sound dei nostri ripiombare nuovamente negli abissi. Mi ridesto al minuto 26, quando a fare capolino è un’eterea voce femminile. La cosa inizia a farsi ancora più intrigante, l’atmosfera è ariosa, assai melodica, ma in paio di minuti il ghiaccio paralizzante di cui è intriso il sound degli Ea, freeza l’immagine, ne fa una istantanea, da cui è difficile mobilizzarsi. Le mie gambe sono come inglobate dalle sabbie mobili. Un nuovo fulmine si staglia nel buio paesaggio notturno: un assolo da panico che per due, tre minuti, blocca il battito del mio cuore. Una sorta di Pink Floyd in versione funeral, che tormenta abilmente il mio io interiore, con un dolore portato all’esasperazione totale, la cui unica soluzione è la fine di tutto. Il nulla. Se avete bisogno di abbandonarvi in una catartico flusso emozionale “Ea” è ciò che fa per voi, ma attenzione ad abusarne, vi potrebbe portare al suicidio… (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 75