Cerca nel blog

domenica 18 marzo 2012

Netra - Mélancolie Urbaine

#PER CHI AMA: Black, Ambient, Trip Hop, Sleepless
Sapete quanto io ami la sperimentazione, potrete pertanto capire il mio entusiasmo di fronte a questa affascinante produzione in casa Hypnotic Dirge Records. Ebbene, i Netra sono una one man band proveniente dalla Bretagna, capitanata da Mr. Netra, il factotum della situazione. La proposta musicale? Beh, sicuramente se non ci fossero state delle urla disumane a popolare tutti i sognanti pezzi inclusi in quest’album, avrei pensato che tra le mani, mi fosse erroneamente giunto un lavoro dei Portishead o dei Massive Attack. Si, avete letto bene, il letto su cui poggia la musica del losco act transalpino è infatti del puro trip hop. Che delizia per il mio esigente palato, che ora non riesce già più a farne a meno e soprattutto auspica che qualcosa possa presto bollire in pentola, dal momento che la storia contenuta in “Mélancolie Urbaine”, risale addirittura all’estate 2006, pur essendo stata rilasciata soltanto nel 2010. Sette splendidi e ispiratissimi pezzi, che ispirandosi alla oniricità del genere di Bristol (la città inglese che diede i natali ai Massive Attack), si disciolgono in liquidi passaggi che affondano le proprie radici in passaggi dub, psichedelia e post rock. Il sound dei Netra è lento e oppressivo sin dall’iniziale “City Lights” nella cui raffinatezza, sento riecheggiare inevitabilmente anche gli Ulver del monumentale “Perdition City”, anche se poi lo screaming (assai raro a dire il vero) del vocalist, ci riporta ad un più autolesionista suicidal black (unico residuo rimasto, nel sound introspettivo dell’act francese, del genere estremo suddetto). La musica di “Mélancolie Urbaine” è decisamente oscura, fatta di atmosfere retrò, passaggi eterei, divagazioni elettroniche e frangenti avanguardistici. L’eco dei Massive Attack, anche nel cantato ritorna tangibile in “Terrain Vague”, mentre la malinconia che traspira l’intero lavoro mi ha ricordato per certi versi la proposta di due band sciolte, gli svizzeri Sadness e gli Israeliani Sleepless, anche se il sound era decisamente più metallico. L’elegante ricerca musicale realizzata, le influenze jazz-blues, il calore che pervade l’intera composizione, la struggente emotività che impregna tutti i 42 minuti di quest’intrigante opera, l’alone shoegaze che aleggia intorno a tutte le song ivi contenute, ci consegnano un lavoro pregno di contenuti non solo musicali. Bella scoperta ho fatto oggi; con i Netra ho capito che c’è ancora speranza che il metal non venga risucchiato dal lento processo di involuzione a cui sta andando incontro da tempo. Rilassanti! (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records)
Voto: 85

http://www.facebook.com/pages/netra/115486751822328

venerdì 16 marzo 2012

Rising Dark - Apocalyptic

#PER CHI AMA: Thrash Bay Area, Exodus
A me, questi quattro ravennati, piacciono. La band si forma del 2007, si da moltissimo da fare dal vivo e, nel 2011, dopo aver firmato per la SG Records, Michael Crimson (Voce e chitarra ritmica), Stanley Bleese (Chitarra solista), Freddy Blade (Basso e voce), Balzael (Batteria), danno alle stampe questo loro primo full lenght. L’influenza della Bay Arena si fa sentire, così come quella di gruppi come Exodus, tuttavia niente di preoccupante alle mie orecchie. Non si tratta di un lavoro puramente thrash; molti piacevoli innesti death spingono verso una direzione più violenta e arcigna, da me molto apprezzata. Difficile mantenere le dosi giuste con una tale scelta compositiva, infatti le tracce non sono sempre omogenee stilisticamente e in un album del genere rischia di sembrare un difetto. Niente di grave, ci mancherebbe, sono giovani e, d’altra parte, non si può non percepire il loro carattere e la loro passione infusi in questo primo LP. Sette canzoni complesse, con molte idee, varie e poco noiose. Un disco molto ben prodotto. Volete provare? Inserite il cd e premete “play”: si inizia con “Apocalyptic” un classico, ma sufficientemente funzionale, intro strumentale. Poi l’arrembante, tirata “Armageddon” ci fa capire con chi abbiamo a che fare, e ci toglie un po‘ di pensieri negativi (del tipo: ma non saranno flosci?). Quindi una song un po’ più calma, “This is War”. Si passa a “The Bofoid”, forse la traccia meno riuscita, potabile per carità, ma non a livello delle altre. Ecco, qui si nota in maniera decisa quella discontinuità stilistica di cui sopra. Più oscura, ma comunque travolgente “Yog Sothoth”. “Your Blood is on My Hands”, con una notevole introduzione di chitarra, è invece probabilmente la migliore: complessa, impetuosa, eseguita assai bene. La conclusiva “Phoenix” è un lentone che potrebbe non piacere a tutti. Personalmente non la trovo male; le tastiere e il piano aumentano l’effetto di una melodia particolarmente eterea, il che ne fa scaturire un certo contrasto con le tracce precedenti che mi intriga, non poco. Certo, proprio questo stacco potrebbe farla sembrare fuori luogo ad alcuni (de gustibus...), tuttavia questo pezzo mette in luce la capacità dei nostri di sapersi destreggiare con qualcosa anche di diverso dal thrash. Secondo me questi ragazzi ci sanno fare: solidi tecnicamente hanno nelle chitarre e nella parte ritmica il loro punto di forza; forse ancora un po’ acerbo il vocalist in alcune situazioni, si riconosce però una sua certa versatilità (ad esempio nella ballad “Phoenix”). Un buon album d’esordio, con buone promesse che possono essere mantenute se non con un lavoro di miglioramento compositivo e ovviamente con la ricerca di uno stile più peculiare. (Alberto Merlotti)

(SG Records)
Voto: 75
 

Toundra - II

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale, God is an Astronaut, Mogway
I Toundra sono un quartetto post rock strumentale spagnolo, di Madrid per l’esattezza. L'avreste mai detto dal nome? Personalmente no, ma forse sto divagando e/o impazzendo, quindi andiamo per ordine. Il loro primo cd (“I”) è stato pubblicato nel 2008 su CD/vinile e la stessa sorte è toccata a questo “II”, uscito nel 2011. Sette sono i pezzi inclusi nel dischetto con l'artwork che risulta ben curato, anche se minimalista nel suo insieme. Il quartetto è caratterizzato da sonorità post-rock, decisamente ben bilanciate con suoni più classic-rock, percussioni ed archi che conferiscono un’eleganza non comune alle composizioni dei nostri amigos iberici. Vero che il binomio chitarra distorta-violino esiste da anni, ma dosarlo al punto giusto non è cosa semplice, si rischia di strafare oppure di creare degli sterili arrangiamenti, qui siamo nel giusto mezzo. Parlando a livello generale, la struttura dei pezzi è simile a quella dei God is an Astronaut e affini; effettivamente il genere non lascia grandi spazi alla creatività se si vuole mantenere lo standard inalterato. Quasi tutti i pezzi hanno una sezione più calma e mai cupa che poi raggiunge un apice, caratterizzato da maggior vigore strumentale. Queste sfumature permettono ai Toundra di avere una sorta di marchio di fabbrica, anche se ritengo che ci voglia ben altro per emergere dal marasma di band che popolano ora come ora il panorama post rock strumentale. Personalmente in una ipotetica compilation di gruppi dediti a questo genere, farei molta fatica a indovinarne una buona parte, data la scarsa capacità ad emergere con una proposta originale. Tuttavia, visto comunque l'apprezzamento da parte del pubblico e gli ottimi risultati che il quartetto sta portando a casa, non voglio certo fare la predica ai bravi Toundra, che però dovrebbero dimostrare una maggior maturità nel prossimo lavoro. Dite che si intitolerà "III"? (Michele Montanari)

(Aloud Music)
Voto: 70

domenica 11 marzo 2012

Smaxone - Regression

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali, Faith No More, Devin Townsend
Ecco un disco fresco che sconvolse la mia estate del 2005... Fu un bel colpo in casa Scarlet, l’aver messo sotto contratto questa band, side project di Michael Bøgballe (vocals) e Brian "Brylle" Rasmussen (batteria) dei Mnemic e Casper Skafte (chitarra) e Claus Lillelund (vocals) degli Elopa. Gli Smaxone si sono formati sul finire del 2003, grazie agli artisti sopraccitati, anche se tutte le tracks sono state scritte e arrangiate da Skafte, mentre gli altri musicisti si sono avvicinati alla musica degli Smaxone a livelli successivi. Beh, immagino che sarete curiosi, del perchè la proposta del combo danese mi fece tanto scalpitare? Allora fate una cosa, chiudetevi nella vostra stanza, spegnete le luci e ascoltate assolutamente il disco nelle cuffie per poter meglio apprezzare i minimi particolari di “Regression”. Questo è un album capace di miscelare la genialità dei Faith No More, con la follia di Devin Townsend e la rabbia cibernetica dei Fear Factory. Oltre ad avere una produzione esagerata ad incrementare l’impatto sonoro, quest’album ci mostra le doti eccezionali come clean vocalist di Claus, abile ad amalgamarsi con il cantato più ruvido di Michael, il tutto contribuisce a creare un’estrema varietà nel sound della band. Ma poi è la musica dei nostri a regalarci momenti emozionanti; non posso citarvi un brano in particolare perchè in complesso l’intero lavoro mi ha esaltato per la freschezza di idee apportate e per l’estrema semplicità con la quale riesce ad incollare l’ascoltatore alla poltrona. Rispetto ai gruppi visti sopra, gli Smaxone hanno sicuramente un approccio più soft-commerciale, ma per una volta lasciamo stare queste piccolezze perchè, quando un album vi garantisco che è valido lo è anche se a cantare ci fosse Ricky Martin (ok, ora ho un po’ esagerato). Quello che voglio dire è che se amate Devin Townsend, i Fear Factory, i FNM o il metal in generale in tutte le sue sfaccettature, dovete andare a pescare questo gioiello: riff metal, strabilianti atmosfere, samples elettronici, bellissime vocals rendono “Regression” uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni!! (Francesco Scarci)

(Scarlet Records)
Voto: 90
 

Saltatio Mortis - Des Konigs Henker

#PER CHI AMA: Folk, Gothic, In Extremo
I Saltatio Mortis sono conosciuti per suonare musica “gothic medievaleggiante” con strumenti storici: cornamusa, flauti e corni fanno infatti, parte integrante dell’organico strumentale della band, andandosi a miscelare egregiamente con la componente elettrica. L’attitudine del gruppo tedesco è assai vicino a quello di band conterranee quali In Extremo e Subway To Sally e come accade per queste band, il cantato in tedesco paga un fortissimo dazio all’esito finale dell’album, a chi, come me, fatica a digerire la lingua germanica. La musica del combo tedesco non è affatto male, con quelle sue ritmiche heavy metal, su cui s’inseriscono interessanti parti elettroniche e i già citati strumenti popolari, di cui però alla fine se ne fa largo uso. Tra i lati negativi, c’è da rilevare una certa ripetitività nella struttura dei brani: strofa, coro, strofa, coro e bridge con l’inserto persistente e alla fine stancante della cornamusa, il tutto condito ahimé, dal classico orrido cantato in lingua madre, a dare la mazzata ad un disco che se non fosse per le liriche in tedesco, si farebbe tranquillamente ascoltare e apprezzare. I Saltatio Mortis sono, infatti, abili nel trasmetterci le loro impressioni di un tempo lontano ormai dimenticato, e bravi a fondere queste suggestioni con i suoni moderni, le schegge elettronico-futuristiche, i breaks malinconici e i momenti trascinanti vicini al pop rock. Nonostante le critiche, “Des Konigs Henker” è un album che merita sicuramente il vostro ascolto, se volete calarvi in una dimensione popolare d’altri tempi... (Francesco Scarci)

(Napalm Records)
Voto: 65

Frailty - Melpomene

#PER CHI AMA: Death Doom, primi Anathema e ultimi My Dying Bride
La band lettone dei Frailty fa parte dei nostri fedelissimi compagni d’avventura del Pozzo dei Dannati. Abbiamo recensito il primo cd, l’Ep omonimo, ed ora è la volta di “Melpomene”, che contiene le tracce mai ufficialmente pubblicate di “Silence is Everything”, Ep del 2010, oltre a cinque nuove song. Mi arriva direttamente dall’etichetta ucraina, Arx Productions, questo secondo lavoro e devo ammettere che all’ascolto della prima traccia mi ha istantaneamente disorientato; dove diavolo è finito infatti, il death doom atmosferico dei nostri? Mi è subito venuto in mente il cambio stilistico che i My Dying Bride fecero ai tempi di “The Dreadful Hours”, dove ampio spazio fu lasciato anche a feroci galoppate in territori black metal. Se non fosse per l’intermezzo acustico, posto a metà di “Wendigo”, penserei che il sestetto baltico possa aver cambiato decisamente genere, inasprendo di molto il proprio sound. Ci pensa però la successiva “Cold Sky” a ripristinare il tutto e a restituirmi la band che ho apprezzato più che altro, per l’incedere doomeggiante e pregno di vibrazioni malinconiche. Come scrissi per il precedente Ep, la musica dei nostri è in grado di solleticare il mio palato e i miei sensi, per quella sua innata capacità di riportarmi ai fasti del genere con l’esordio degli Anathema, quelli più oscuri e decadenti e i nostri ci riescono nuovamente con questa nuova release. La musica dei Frailty non è cambiata poi di molto e la terza traccia, seppur datata ormai 2010, ci ammorba con 14 minuti di lenti e pesanti riff di chitarra, accompagnati come sempre dai delicati e immancabili tocchi di pianoforte e dai vocalizzi animaleschi di Martins. “Underwater” è un bell’esempio di death doom ritmato, in cui trovano posto pletorici riffoni di chitarra, carichi di quell’eleganza mista a disperazione, che rappresentano un po’ il marchio di fabbrica dell’ensemble della piccola repubblica baltica. “Onegin’s Death” è un arpeggiato pezzo strumentale, in cui fa la sua comparsa anche lo spettrale suono di un violino nel bel mezzo di un temporale; la traccia fa da preludio ai quasi quindici minuti di “The Doomed Halls of Damnation”, che ci fanno sprofondare nuovamente in un minaccioso e tetro funeral doom, foriero di dolore, sofferenza e morte, soprattutto quando il sound rallenta paurosamente in versione super slow motion. Il nodo strozzatosi in mezzo al petto, viene subito spazzato via da “The Eternal Emerald”, song decisamente più andante, che vede anche le clean vocals di Edmunds, avvicendarsi a quelle di Martins e mostrare come le nuove composizioni siano decisamente meno claustrofobiche della precedente produzione targata Frailty. Non so se questo sia un bene o un male, dal momento che ho imparato ad apprezzare la band per quei suoni miscelanti angoscia ed eleganza, lenti, ossessivi e caratterizzati da pesanti ritmiche agonizzanti. Ecco, diciamo che li preferisco maggiormente in versione slow piuttosto che mid-tempo, anche se non posso negare che “Thundering Heights” mostri in chiusura un fantastico assolo che contraddice ogni mia parola. A chiudere ci pensa la strumentale, orientaleggiante e davvero notevole, “The Cemetary of Colossus”, che conferma quanto i Frailty si possano candidare ad essere tra gli alfieri del death doom in Europa, ma al contempo possano decisamente aprirsi ad altre sonorità più epiche e sperimentali. Da tenere accuratamente e obbligatoriamente sotto la lente di ingrandimento. (Francesco Scarci)

(Arx Productions)
Voto: 75
 

Klimt 1918 - Undressed Momento

#PER CHI AMA: Dark Gothic, Novembre
Cosa dire di questo album se non che si tratta di un lavoro perfetto! Potrà sembrare sbrigativo liquidare in questo modo “Undressed Momento”, eppure vi assicuro che l'album mi lasciò di stucco e fatico quasi a trovare le parole per descriverlo, tante sono le emozioni che mi travolsero durante l'ascolto. Avevo conosciuto i Klimt 1918 un paio di anni prima di questo lavoro (era il 2001!) con il loro demo “Secession Makes Post-Modern Music” e già in quell'occasione penso si intravedessero delle doti non comuni nel gruppo romano, ma è proprio con “Undressed Momento” che il quartetto dimostra tutta la sua bravura. La band infatti non si è limitata a seguire la lezione impartita dai propri gruppi ispiratori ed ha rielaborato certe influenze metal in una collezione di ottimi brani dallo stile personale e dai contorni definiti. Gli echi di Edge of Sanity e Novembre si fanno ancora sentire, ma questa volta rimangono latenti nel songwriting e si accompagnano a sfumature pop prossime a Tears for Fears e The Police. Ciò che vi colpirà immediatamente appena verrete a contatto con “Undressed Momento” è la maturità della proposta musicale, cosa che personalmente trovo stupefacente se ripenso che il gruppo era al suo debutto. Quella perfezione compositiva che una band come i Novembre ha raggiunto attraverso quattro album pare infatti sia già una ben affermata qualità dei Klimt 1918. Cito i Novembre perché le due band hanno più di un punto che le accomuna, senza poi dimenticare che proprio Giuseppe Orlando e Massimiliano Pagliuso appaiono come guest-musician nel cd. Mentre la musica dei Klimt 1918 si diffonde nella stanza, posso allora riconoscere le stesse deliziose vibrazioni che album come “Wish I could dream it Again” e “Arte Novecento” mi avevano trasmesso qualche anno prima. Parlo di melodie fragili e carezzevoli che, accompagnate dalla bella voce di Marco Soellner, descrivono gesti di intima delicatezza, parlo di chitarre vibranti, come morbidi cerchi concentrici che si propagano lentamente nell'acqua. Tutto in questo album porta ad uno stato di immobile attesa e di attonita contemplazione. Sono attimi interminabili, interrotti solamente dai sussulti di un cuore inquieto. Tra le sagome incerte di un dipinto scorgo i guizzi vitali della passione, gli inganni di un sentimento acerbo che si dissolve e la musica di “Undressed Momento” accompagna queste immagini prima con dolcezza... poi con veemenza. Rimango estasiato davanti alla sorprendente facilità con cui i Klimt 1918 sanno emozionare e lascio che i colori tenui della loro musica si diffondano attorno a me, a confortarmi nelle mie notti più solitarie. (Roberto Alba)

(My Kingdom Music)
Voto: 90

Debauchery - Continue to Kill

# PER CHI AMA: Brutal Death, Six Feet Under, Suffocation, Obituary
Non sono mai stato un grande fan della band teutonica, che a distanza di un anno dal rilascio del disco death'n roll, “Back in Blood” (che scimmiottava non poco gli AC/DC), propone il proprio quinto album, dal contenuto decisamente più brutal death splatter gore. Abbandonati i modernismi grooveggianti del precedente lavoro, “Continue to Kill” non fa altro che colpire, tramortire e continuare ad uccidere il povero ascoltatore, con il suo sound veloce, compatto, ma anche melodico. A mio avviso, il combo tedesco fa un passo in avanti rispetto al passato, abbandonando quell'eccletismo di fondo (se escludiamo le song 5, 13 e 14 che invece mantengono come matrice di fondo l'hard rock), che magari disturbava non poco, i puritsti del genere. Le tracce, come una contraerea nel cielo di Baghdad, scatenano una furia distruttiva, non sfociando però mai nel grind o nel chaos più totale. Da sottolineare la presenza della ferale "Angel of Death", cover degli Slayer, qui in versione rivista in chiave Debauchery. Gli altri brani viaggiano invece su mid tempos più ragionati e controllati, risultando però alla fine noiose. Le ritmiche sono violente con gli immancabili blast beat a dettare i tempi della mitragliatrice ritmica; un riffings affilato, con le growling vocals e lo screaming raro del vocalist, completano un lavoro, che ha il solo difetto di risultare al termine del suo ascolto, un po' troppo insipido e avaro di emozioni... (Francesco Scarci)

(AFM Records)
Voto: 65