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lunedì 4 maggio 2015

No Return - Fearless Walk to Rise

#FOR FANS OF: Death/Thrash Metal, Loudblast, Vader
Making it to album number nine here, these French Death/Thrashers are certainly well aware of their place and legacy being one of the forerunners of the scene in general as well as being one of the first extreme metal bands to emerge from the country. As befits their legacy at this point, the band simply offers yet another crushing version of their signature sound here as the merging between the two genres is clear and straightforward. Plenty of energetic Thrash-based riffing, dark chords and the occasional interjection of melody seem to be the order of attack here, and this ends up creating rousing, up-tempo tracks with strong riffing and tight rhythms that remain a hallmark of both genres. The keyboard melodies featured are a lot more atmospheric than the other melodies as those are based more on the guitar prowess displayed throughout here. The problem with all this is the fact that it all tends to feel routine as if there’s nothing out-and-out dynamic about the material. Rarely does it ever feel like they’re about to wallop you over the head with their charging attack, instead staying a bit more low-key which ends up making this feel a lot less vicious and intense. It’s well-played and certainly never gets flat-out boring, which is a testament to their veteran instincts but this could certainly stand a few more killer, go-for-the-throat type of tracks. Instrumental intro ‘Ascent’ features moody atmospherics and dynamic drumming marching through grandiose arrangements that set the stage perfectly for proper first track ‘Stronger Than Ever,’ which features crushing drum-blasts and scorching melodic riffing turning into tight, mid-tempo patterns and hammering drumming through the frantic thrash chugging with atmospheric interjections of melody for an impressive first offering. ‘Submission Fails’ brings along a few more dissonant riffs into the mix but still features enough crushing leads, frenzied double-bass blasts and some nice melodies enjoyably crushing effort. The scorching ‘Sounds of Yesterday’ blasts into tight, crunchy riffing and blazing drumming through up-tempo, ravenous paces with a series of swirling keyboard melodies spiced up among the barreling riff-work for a true album highlight, as well as containing what is probably their best soloing on the album. ‘Paint Your World’ is another pretty heavily-leaning atmospheric melody-driven effort but drives hard riffs and plenty of tight drum-work into another strong back-to-back track. Opting out of the straightforward thrashers, ‘Face My Dark’ is the album’s most melody-heavy offering which tends to run throughout the whole track and taking a few minor interjections for some intense riffing but mostly that just falls away for the melodies for a strangely decent if unspectacular effort. ‘Bloodbath Legacy’ runs a little more intensely with a stronger series of riffs and plenty of dynamic drumming that keeps the energy up throughout the momentary melodic interjections for a much stronger and enjoyable thrasher. Going into longer territories, ‘Sworn to Be’ uses steady, melodic riffing among the tighter rhythms swirling around the raging rhythms and tight riffing carrying the melodic leads along for an enjoyable offering that never really gives off any sense of its true length. Holding back on the melodies altogether, ‘Fearless’ features raging frenzied riffing and pummeling drumming plow through up-tempo sections blazing with furious riffing and dexterous drum-work that continue on throughout here with minimal interjections for the album’s best effort. Lastly, ‘Hold My Crow’ brings strong crunchy melodies and pounding drum-work along a steady mid-tempo pace with strong melodies throughout as the crushing rhythms carry this one through for a strong lasting impression here. Still a good album, but one that could’ve gone a little darker and more intent on dishing out the intensity. (Don Anelli)

(Mighty Music - 2015)
Score: 80

venerdì 1 maggio 2015

Chapter V:F10 - Syndrome

#PER CHI AMA: Black/Doom, Dissection, primi Katatonia
Seguo Astaroth Merc e i suoi Raventale, sin dal debut album del 2006. Da allora sei lavori all'attivo per il musicista ucraino. È dal 2012 però che se ne sono un po' perse le tracce e oggi finalmente il mastermind di Kiev torna a dar segno della sua esistenza con un nuovo progetto, i Chapter V:F10. D'accordo il nome lascia un po' a desiderare, ma badiamo al contenuto di questo 'Syndrome'. Si tratta di un album di sei tracce, edito dall'etichetta BloodRed Distribution, in cui Astaroth Merc trova un nuovo fido compagno alle vocals, tal Howler. Andiamo ad immergere quindi le nostre orecchie nel demoniaco sound della neonata band ucraina. Si parte con le graffianti chitarre di "Progression" e il turbinio sonoro creato dall'impatto feroce dei nostri è una sorta di armageddon sonoro che inghiotte tutto ciò che lo circonda. I ritmi sono convulsi, le chitarre acuminate e le screaming vocals diaboliche. Echi di Dissection e Unanimated trovano ben presto conforto in un approccio un po' più pacato che accenna ai Katatonia di 'Dance of December Souls'. Che ne dite, vi interessa la proposta? A me sinceramente parecchio, ma si sa che io sia un nostalgico di quelle sonorità, in bilico tra una brutalità sopraffina e una marea intrisa di malinconia. "Reclaim" conferma l'approccio black doom dell'oscuro duo, con ritmiche nere come la pece e un cantato malvagio. Basta l'inizio di "Nectar" a mettermi i brividi per il suo incontenibile impeto sonoro e le sue linee melodiche da incubo, cosi come per la sua divampante carica energetica, che automaticamente la eleggono mia song prediletta dell'album. La furia prorompente dei Chapter V:F10 dilaga in "Hollow", traccia dall'incedere aspro ma che mantiene comunque inalterata la melodia di fondo che costituisce la matrice sonora dei nostri. "Mercury" è ancor più orientata al versante death metal con una ritmica infernale che solo nelle taglienti chitarre in background, mantiene inalterato il suo legame con lo swedish black metal. Il risultato è decisamente accattivante anche quando i due indiavolati toccano vertiginose velocità corredate da un drumming stile contraerea degna dei cieli di Bagdad durante la guerra del Golfo. Il disco sembra non trovare sosta e anche con la conclusiva "Ending", si tornano ad esplorare i meandri del miglior black doom "katatonico", sebbene in una versione strumentale. Che altro dire se non suggerirvi l'ascolto di 'Syndrome', gran bel lavoro dei Chapter V:F10. Ben tornato Astaroth! (Francesco Scarci)

(BloodRed Distribution - 2015)
Voto: 80

https://bloodreddistribution.bandcamp.com/album/syndrome

?Alos – Matrice

#PER CHI AMA: Sonorità Avantgarde/Noise/Sperimentali
Sono sempre felice di ritrovarmi tra le mani un nuovo disco di Stefania Pedretti, la ragazza dalla folle e geniale arte con i dreadlock lunghissimi, chiamata ?Alos, la mitica performer/artista/sperimentatrice e musicista che condivide anche l'arte degli OvO con Bruno Dorella. Questo suo nuovo album, realizzato con l'aiuto di Lorenzo Stecconi e intitolato 'Matrice', è uscito per la Cheap Satanism Records nel 2015, e sonda terreni cari alla sperimentazione tout court basata su rumori e disarmonie creati ad arte, dal groove molto nero, teso e spettrale. L'interpretazione dei brani è comandata da un istinto primitivo nevrotico. Le evoluzioni canore di ?Alos toccano vertici drammatici e asprissimi che sfiorano le malate alchimie vocali di Diamanda Galas fino quasi a ricercare il plagio come devoto omaggio. Il tutto si svolge all'insegna di quel suono freddo, a metà tra l'ambient e l'industrial, la rumoristica urbana dei primissimi Einsturzende Neubauten ed il suono desolante e metallico dei Les Tambours du Bronx che fanno scuola. Musica velata quella di Stefania, da una oscura tendenza dub ipnotica e da una manciata di distorsioni dal sapore sludge/doom che riportano le composizioni dell'intera collezione ad un più attuale stato di modernità. Il lotto si apre con "Ecate" ed espone subito l'innata propensione ad un suono luciferino e negativo, carico di spettri e fantasmi tanto caro alla corrente sperimentale di un certo depressive black metal. Molto bello il suono realistico delle tracce, con un effetto quasi live, che nel brano "Luce/Tenebre", guidato da sonorità che renderebbero felici anche gli Electric Wizard e i droni Sunn O))), sembra riesumare una nuova versione senza batteria né chitarre di "Religion II" dei PIL in una versione indemoniata e apocalittica, stracarica di stupefacenti, e cantata con lo stesso spirito del Rotten dell'epoca ma con lo stile della musa ispiratrice Galas. "Ignis Rede Elixer" è la song più violenta e buia, che ricorda le sperimentazioni degli AMM in una veste più oscura, ai confini canori con certo black metal d'avanguardia e distorta come lo erano gli Atari Teenage Riot ai tempi d'oro del digital hardcore. L'incedere lento di 'Matrice' si fa notare per quella sua cadenza rallentata e la lunga durata, per il sound cosmico, decadente e mistico, quasi fosse un demone impegnato in un rito sacrificale. Il disco si chiude con "Hyle", ed è sperimentazione pura tra jazz d'avanguardia (Naked City), drone music, le lontane percussioni di memoria 'Flowers of Romance' (PIL) ed i sussulti della nostra eroina a emulare 'The Litanies Of Satan' (Diamanda Galas) in maniera del tutto personale e tanto ispirata. Musica di nicchia, non per tutti, da ascoltare decisi ed interessati. Astenersi perditempo. (Bob Stoner)

(Cheap Satanism Records - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/signorinaalos

Space Project - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Rock
Benvenuti all’ascolto degli Space Project. Invito lor signori e lor signore a premunirsi d’un guardaroba variegato. Non me ne vogliate, non è una questione di forma. È una necessità sonora per vivere appieno quest’album fatto di ambientazioni che spaziano da un tempo all’altro. “Atlantis” apre le danze. L’esordio è in grande stile. Vestiamoci anni ‘30 e prepariamoci a farci condurre da frange che ondeggiano ritmicamente al batter di batteria, al diteggiare di trombe, allo schioccare di dita, al danzare di ballerine abbellite da perle e luccichii. Le strumentalità sono prorompenti, ma conservano un retrò style che affascina. Rallentate, frenate, fermate la vostra Rolls Royce. Siamo al cambio d’abito. Comodi, ma non casuali. Abbiate cravatte slacciate su camicie sbottonate, così come tacchi su vestiti che fanno intuire, ma non rendono giustizia. Non c’è forma in questa “Breathe”. Non c’è forma, ma c’è stile ancora. Gli Space Projet non deludono. Una voce dipana da una soglia prima invisibile, ora tracciabile, descritta da un fondo accennato di fiati e di piano. Ascoltare talvolta è apoteosi al descrivere. Fiati ancora. Soffusi di suoni ancora. Una chiusura che spazza il dubbio che questo pezzo sia stato dolcezza, imprimendo la propria rabbia nostalgica nella musica. Eppure, abbiamo sognato. Ora avrei bisogno di un ibrido alcolico di sapori, forte. Con “Horizon” non c’è che da staccare un biglietto di sola andata per… Chiedetemi la destinazione del nostro viaggio e vi risponderò che questo pezzo vi farà viaggiare a costo zero. Sonorità fatte di Marocco e di sete veleggianti. Per pochi istanti la schizofrenia di “Horizon” chiama i Deep Purple, poi la tromba e la batteria corrono allo stile ska che fa di sè e della penisola iberica il proprio emblema. Il brano non ha un epilogo. È se stesso. È sporcato da se stesso, invaso, confermando la propria identità sino alla fine. Eleganza prego nel vostro abbigliarvi ora. Siete invitati ad un capodanno atemporale. “Wanderer”. Fatemi assaporare questo riff, prima di dirvi che quest'album, giunto all’epilogo, ha bpm che fanno del proprio battere un climax bipolare ascendente, goliardico, ingannevole. Il pezzo induce postumi seducenti. Dopo il primo minuto le sonorità sono evanescenti, insolute, memori di anni '80-'90 con moti pregevoli che ricordano la sacralità dei Rolling Stones e dei Pink Floid. Lasciatemi bere l’ultimo sorso di questo dialogo tra elettriche, trombe, batterie metalliche. E l’ascolto è per pochi estimatori. Il soffondere per tutti. Per me c’è un altro album ora da mandare on air nelle mie serate. (Silvia Comencini)

Unmercenaries - Fallen in Disbelief

#FOR FANS OF: Doom/Death Metal, Funeral Doom Metal, Dysphorian Breed
This debut release from the Russian/German trio Unmercenaries manages to really get some unique tastes here as this is yet another band that really seems to play quite well with the expectations of their chosen genre. The fact that the band decides not to just to go with Doom Metal infused with Death Metal touches but rather for Funeral Doom Metal to be a big operating factor here means that the music is even slower, more monolithic and meaty which makes for an all-around more crushing and oppressive experience. The riffs are just crushing, agonizingly slow and heavy, the drumming leaves this feel like a subterranean nightmare and the whole experience evokes that perpetual feeling of dread and darkness that only the best Doom Metal can muster, just buoyed ever-so-often with thick Death Metal riffing and the occasional atmospheric keyboard influx. While this is certainly a fantastic effort in this particular genre, the fact that there’s just no amount of impressive riffing that can ignore the fact that all this means is that the band is certainly just plodding along with snail-like paces, dragging tempos and endless rhythms that drag songs out far longer than they really should which seems to be due to the constraints of the genre rather than anything to do with the music itself which his enjoyable enough. Intro "Among the Stars" moves past the opening bass drones for some thick, heavy bass-lines amid the churning riff-work and oppressive atmosphere featured here as the heavier riffing gives way to lighter acoustic work and celestial keyboards throughout the finale that really offers a fantastic cross-section of the two chosen genres morphed together for a wholly enjoyable opening. "A Portal" mixes crashing guitar riffing with plodding, droning drumming that lets the dark, oppressive atmosphere of the riff-work sink in while weaving the melancholic patterns, dirge-like pacing and heavy atmosphere throughout wailing solos and gurgling vocals for another altogether impressive offering. The first of the two massive epics, "Circles of Disbelief" starts extremely slowly but soon picks up with some crushing riff-work, pounding drumming and that ever-present atmosphere of dread and oppression that meanders throughout out that tends to make this seem all the more dark and daunting to sit through makes it the better of the two with perhaps some trimming from the beginning and the deletion of the banal celestial atmospherics to render an even better effort. "A Beggar's Lesson" gets some decent use out of the rather atmospheric acoustic work on display as well as the effectively crushing riffing on display that lets the length work to its advantage by letting it slowly build-up to an effective advantage but it’s filled with droning riffs that have all been heard before on here which means it’s effective at being enjoyably repetitive. That’s just about the biggest problem here, the length of the tracks tends to wear on listeners far more often than it really should. (Don Anelli)

(MFL Records - 2015)
Score: 75

https://www.facebook.com/pages/Unmercenaries

Haiku Funeral – Nightmare Painting

#PER CHI AMA: Electro Black/Avantgarde, Dodheimsgard
Fingere che un album simile non debba rientrare negli ascolti dovuti sarebbe da ipocriti come dire che questo duo transalpino, formato da Dimitar Dimitrov (electronics, keyboards, vocals) e William Kopecky (bass, vocals), non abbia creato un piccolo capolavoro sotterraneo. L'ibrida creazione sonora di 'Nightmare Painting' tocca vette sovrumane di originalità, costruita prendendo il meglio di tanti sottogeneri del metal e dell'elettronica alternativa. Sul lettore la carrellata di brani scorre che è un piacere. Tra i suoni troviamo un delizioso senso di perversione molto caro al black d'avanguardia e un'elettronica oscura che ricorda i pionieri Renegade Soundwave ed il Gary Numan più contorto e gotico. Dietro alla musica, c'è tanta passione per la new wave meno nota degli eighties come i gloriosi In Excelsis; il basso è dominante in molti brani e quando strizza l'occhio alle ritmiche più funk, la somiglianza con le sperimentazioni nella world/etno music del compianto Mick Karn, mette i brividi. La genetica di queste composizioni è tanto complessa e vitale che ci porta ad apprezzare una band trasversale ad ogni costo, affetta da una voglia conpulsiva di mescolare, unire e disgregare tutto ciò che fino ad ora è già stato ascoltato. Il buio sintetico e la voglia di stupire degli Haiku Funeral ricordano le cose migliori di Coldworld, Ulver e Dodheimsgard, che collegate alle sonorità elettroniche dei Project Pitchfork dei tempi migliori, ci fanno scoprire una band in piena forma creativa. Mescolando la new wave con l'ambient più decadente, la cadenza doom alla sperimentazione black, l'industrial alla psichedelia plastificata, ci si rende subito conto fin dal primo ascolto di quanta fantasia compositiva ci sia dentro queste canzoni bilanciate da un perfetto equilibrio. Il cd ha un lato commerciale invidiabile, una pregevole produzione ed una buona orecchiabilità che non guasta le potenzialità incendiarie più heavy, volgendolo sempre ad una platea d'ascolto di ampio raggio. Sebbene uscito nel 2012 per la Aesthetic Death, 'Nightmare Painting' risulta essere tutt'ora l'ultima opera di una splendida unione artistica tra due musicisti illuminati, aperti ad ogni sensazione sonica, in grado di captare, catturare e destrutturare le basi della musica estrema fino a farla apparire accessibile, mantenendo intatte le radici progressive ed estreme della band. Difficile radiografare una per una le tracce dell'album per giudicarle, in quanto il cd va messo sul lettore ed ascoltato fino in fondo come fosse un'unica immensa composizione. Esperienza sonora totale, una fucina di idee...grande prova! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2012)
Voto: 90

http://www.haikufuneral.com/

giovedì 30 aprile 2015

Dementia Senex & Sedna - Deprived

#PER CHI AMA: Post Black/Sludge Death Doom
Oggi vi propongo questo split EP registrato da due gruppi, i Dementia Senex e i Sedna, che già abbiamo avuto modo di conoscere qui nel Pozzo dei Dannati. Quando mi hanno proposto questa recensione avevo i miei dubbi, pensando a un lavoro di due soli brani. Poi ho iniziato il mio ascolto da "Blue Dusk" dei Dementia Senex: sono rimasto piacevolmente colpito da come la band, abbia saputo coagulare, mescolare e rendere in un'unica forma, un'esperienza musicale sopra le righe. Nella traccia si mescolano infatti atmosfere tranquille, quasi desolanti, e si percepisce come l'approccio dei nostri sia cosi intimistico e introspettivo, ecco direi una calma quasi rassegnata, senza comunque abbandonare le atmosfere create dal death doom atmosferico del combo romagnolo. Il brano si rivela una profonda esperienza musicale, dettata dalla capacità dei nostri di amalgamare perfettamente atmosfere cosi disperate (frutto di un vocalist dallo screaming aspro) e disparate, in un unico flusso sonico da brividi. Per quanto riguarda i Sedna, il brano del trio cesenate, s'intitola "Red Shift" e il loro approccio è totalmente diverso rispetto ai compagni di split: i tre giovani creano atmosfere post metal, senza disdegnare frequenti ammiccamenti al black metal sia a livello vocale, ma soprattutto per quelle distruttive accelerazioni che evocano gli Altars of Plagues o una versione più onirica dei Deafheaven. Frenetici e violenti, i Sedna si abbandonano in atmosfere più ferali rispetto ai loro compagni di avventura, offrendo oscure atmosfere apocalittiche. Nel complesso questo split EP è un buon lavoro, che inganna il tempo in attesa di ascoltare i nuovi full length delle due band. Sicuramente una bella scoperta per il sottoscritto... Consigliatissimi! (PanDaemonAeon)

(Drown Within Records - 2015)
Voto: 75

Jack and the Bearded Fishermen - Minor Noise

#PER CHI AMA: Indie/Rock/Noise
I Jack and the Bearded Fishermen sono una band francese che nasce nel 2005 e si consolida nella line-up attuale di sei elementi, tra cui spiccano ben quattro chitarre. Nel corso dei loro dieci anni di carriera, la band ha prodotto un EP, un paio di split e due album, prima di approdare a questo 'Minor Noise' che dovrebbe essere quindi il risultato della maturità acquisita negli anni. Il nuovo lavoro, come riportato nel loro sito è stato stampato in 1000 cd e ben 500 vinili (!!), il che risulta una mossa assai coraggiosa in un periodo storico di profonda crisi (musicale). Dal sito web non si ricavano informazioni circa la storia della band, quindi concentriamoci sulla musica dei nostri e le dieci tracce dell'album. I Jack & Co. suonano un rock che sta in bilico tra il noise e il post rock/punk per un certo senso simile ai Lucertulas, Kelvin e Il Buio, gruppi italiani di cui abbiamo parlato recentemente nel Pozzo dei Dannati. Gli amici francesi lo fanno però a modo loro, optando per arrangiamenti meno ossessivi e più distesi, ma sempre con un discreto impatto sonoro, come nella title track, che racchiude in se stessa l'essenza dei Jack and the Bearded Fishermen che in cinque minuti abbondanti affrontano le loro paranoie musicali e le esorcizzano a suon di riff. Il brano infatti è un mid-tempo che preferisce giocare con i suoni più che con le battute per minuto; basti ascoltare le chitarre che lavorano bene senza esagerare con le troppe linee di sovra incisione che ne avrebbero appesantito troppo il risultato. Le distorsioni suonano come dovrebbero, leggere e colorate, in modo da far trasparire ogni singola sfumatura e facendo cosi risaltare le linee melodiche che hanno un discreto grado di complessità. L'intreccio con la sezione ritmica funziona a meraviglia grazie alla linea di basso che accompagna diligentemente e si stacca appena può, in completa fusione con la ritmica. La batteria è l'elemento portante per questo genere e non si smentisce, diventando le fondamenta di tutta la traccia e riuscendo a esserne protagonista nei momenti giusti. Come nell'intro di "Way Out" dove il suono old school dell'ensemble di Besançon regala brividi lungo la schiena e anticipa l'entrata di forza del riff di apertura. La voce è posta leggermente in secondo piano ed è mascherata da un effetto di distorsione a completare il loop noise dei Jack and the Bearded Fishermen. Il brano è un angusto labirinto fatto di aperture e break sapientemente dosati, dove gli strumenti esprimono al meglio quel senso di nervosismo e claustrofobia. I cambi repentini e inaspettati creano uno stato perenne di ansia nell'ascoltatore che si lascia strappare dalla sua dimensione statica per essere condotto nel freddo portale posto in mezzo ad un'anonima stanza (vedi copertina). "White Hours" offre in primo piano il dualismo tra basso e batteria, lasciando le chitarre a fare da elemento di disturbo acustico, creando un brano diverso dai precedenti, ma pur sempre dal sapore ansiogeno. Il battito delle note è scandito ossessivamente e quando questo si interrompe, ci pensa la voce e le chitarre a trascinarvi nel profondo dedalo dei sensi. Concludendo, i Jack and the Bearded Fishermen hanno partorito un album che non propone nulla di nuovo, ma regala dieci tracce di indie/rock ben fatte e altrettanto eseguite, dotate di una forte componente emozionale che scava nel profondo di chi sa ascoltare con trasporto. Bravi. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 75

domenica 26 aprile 2015

Sulphur Aeon - Gateway to the Antisphere

#PER CHI AMA: Death Metal, Behemoth, Absu
'Swallowed by the Ocean’s Tide' fu un buon disco di debutto, all'insegna di un classico death/black metal, ma diciamocelo con franchezza, nulla di cosi trascendentale. Tornano i tedeschi Sulphur Aeon con un album nuovo di zecca, 'Gateway to the Antisphere', e le cose si fanno decisamente più attrattive, forti anche della collaborazione alle proprie spalle di Vàn Records e Imperium Productions. Lo stile dei nostri veleggia verso lidi più death oriented, influenzato dai racconti di H.P. Lovecraft e trasfigurato in sontuosi arrangiamenti e spietate melodie. Dopo la prevedibile intro, ecco imperversare le chitarre di "Devotion to the Cosmic Chaos", song che deflagra con un ritmo dapprima arrembante e che poi si accomoda su un mid-tempo melodico, che trova anche modo di citare i Melechesh più orientaleggianti. Con "Titans", il terzetto della Renania torna a descrivere atmosfere orrorifiche degne del famoso scrittore di Providence, anche se è con la successiva "Calls from Below" che i riferimenti alle divinità blasfeme e alle creature cosmiche descritte nel 'Ciclo di Chtulu', trovano la loro perfetta collocazione. Il sound si muove infatti su un territorio più melmoso, alternando sonorità impetuose con atmosfere infestate dai mostri fantasy di Lovecraft. Se "Abysshex" rappresenta l'ennesima rasoiata in termini di furia death metal, "Diluvial Ascension - Gateway to the Antisphere" raffigura invece la perfetta narrazione della discesa negli abissi oceanici, lenta e tortuosa, in assenza di ossigeno e luce, inquietante e misteriosa, spaventosa e drammatica. La musica in questa traccia acquisisce toni angoscianti, cupi e minacciosi, andando a scalare la mia personale classifica di gradimento delle song e qualificandosi come mia traccia preferita. Ben bilanciata a livello di chitarre, ottima la sepolcrale performance vocale di M. e solenne è la furia vibrante insita nelle ritmiche del brano, che richiama in causa nuovamente Melechesh, ma anche Absu, e Behemoth, per un risultato finale da peggiore degli incubi. Il furore del trio germanico trova sfogo anche in "He is the Gate", mentre in "Seventy Steps" sembra incappare in un apparente attimo di quiete che nella seconda parte della song, avrà di nuovo modo di irrompere con ottime linee di chitarra, dal sapore quasi avanguardistico, che ammiccano addirittura ai Ved Buens Ende. La ferocia dei Sulphur Aeon è implacabile, anzi continua a spingersi oltre, sferrando colpo dopo colpo, attacchi di elegante brutalità che evocano la malignità degli Aevangelist, la morbosità dei Morbid Angel e l'indigeribilità dei Mitochondrian, in un album di totale devastazione che sul suo cammino sarà solo in grado di mietere vittime. Che altro dire se non suggerirvi di far vostro quanto prima questo lavoro, non fosse altro per lo splendido e curatissimo digipack con cui le etichette lo presentano. Sulphur Aeon, dannatamente feroci. (Francesco Scarci)

(Vàn Records/Imperium Productions - 2015)
Voto: 80