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mercoledì 7 giugno 2023

Amaran - A World Depraved

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Power/Melo Death
Da Stoccolma…niente di nuovo. Gli Amaran sono una delle tante band di power death svedese. Buoni musicisti si, ma niente da apportare alla scena ormai satura. Alla voce (non corista, bensì lead vocal!) una tale Johanna De Pierre assoldata dalla mente degli Amaran e Kari che tutto sommato non stona troppo con il resto. Potrebbe essere anche un buon esperimento. Il fatto è che tutto è spompato; la voce non fa altro che accodarsi alla musica. Queste songs, in alcuni punti, mi ricordano gli Alas, pur ammettendo una differenza dal punto di vista tecnico e vocale. Appunto, in 'A World Depraved' la base musicale è composta da un death metal dove prevalgono trame di chitarra abbastanza melodiche e ben arrangiate. Forse sono un po’ secche per quanto riguarda il suono, anche nelle parti pulite. Il basso in compenso è molto più pompato sia nelle parti pulite che distorte (vedi traccia sei, "Imperfect"). Buona anche la batteria, ben suonata e varia; sempre presente anche nelle parti più mosce, è quella che alla fine tiene in piedi la baracca. In conclusione, per quanto tecnicamente capaci e fantasiosi, ai nostri Amaran, manca quel tocco di cattiveria, di rabbia che potrebbe esprimere meglio i loro concepts.

Lumsk – Fremmende Toner

#PER CHI AMA: Folk Prog Rock
I Lumsk sono una band norvegese che ha sempre volato sopra le aspettative dell'ascoltatore comune, emancipando e schivando in maniera originale, la pura etichetta del genere folk metal, mischiando musica tradizionale con strumenti classici, avanguardia e progressive rock con l'inflazionata commistione tra musica folk ed oscuro metal estremo. La grazia che caratterizzava il precedente 'Det Vilde Kor', rimane un punto fermo in comune con il nuovo 'Fremmende Toner', oltre al fatto che entrambi sono stati concepiti per musicare opere di poesia. Il primo su scritti di Knut Hamsun, mentre il nuovo, si basa sulla raccolta di poesie di autori vari, tra cui Nietzsche, Goethe, Swinburne, tradotte da Andrè Bjerke. Nel nuovo disco, l'intimismo di 'Det Vilde Kor' si fonde con alcune delle strutture del loro album 'Troll' del 2005 (penso ad "Avskjed"), e possiamo anche dire che, se da una parte la band abbandona il duro stampo metal, dall'altra si protrae a mani tese verso un rock progressivo magistrale, mai troppo eccessivo e ben integrato in un folk di incantevole fattura. Folk di matrice scandinava o di influenza celtica, poco importa, visto il labile confine musicale qui manifestato, e posso scommettere che di fronte a questo nuovo gioiellino dei Lumsk, gli ascoltatori più accorti faranno poca fatica ad apprezzarne le sfumature, e coloro che hanno amato a suo tempo il capolavoro 'Barndomens Stigar' dei Kultivator oppure il grande Alan Stivell, magari quello progressivo di 'Before Landing', quanto i The 3rd and the Mortal di 'Memoirs' o 'Fools Give Birth to Angels' delle Pooka, con guizzi di luce alla Comus e quel tanto di malinconia pacata, presa in prestito dagli ultimi lavori degli Anathema ("Das Tote Kind"), adoreranno scoprire la vasta platea sonora su cui poggiano le basi di questo disco. Mari Klingen ha una voce fatata (ascoltatela poderosa in "Fiolen") e come nuova entrata nella band, riesce a stupire in ogni pezzo, per carisma, colore ed estensione vocale, mentre la nuova chitarra di Roar Grindheim dona calore alle sculture soniche progressive, a volte sfiorando anche lidi al limite del pop sognante ed incantato, con una delicatezza e una sofisticata capacità compositiva che stupirà i fans della prima ora. Armonioso ed arioso, si può anche notare una lieve familiarità con il sound romantico ed epico dei Meatloaf, nel duetto tra Klinghen e Mathias R. Samuelsen, autore ed editore e qui in veste di cantante, dal tono solenne e molto teatrale. Il disco scivola in maniera fluida, anche se richiede più ascolti accurati per apprezzarne le doti nascoste ed anche qualche angolo sonoro più cupo e teso. Il disco è uscito per la Dark Essence Records, è ben prodotto e vanta una sonorità vicina alle più moderne release folk e a suo modo, è anche vicino alle geniali aperture di Neal Morse. Il disco è da vedere a due facce visto che, le prime sei canzoni sono tradotte dall'originale in lingua madre, mentre le altre sei non sono in norvegese ma fedeli alla lingua originale del paese di provenienza degli autori degli scritti, musicate tutte in maniera diversa nonostante il testo sia quello della stessa poesia. Per dirla con le parole dei Lumsk: "L’idea del concept non era solo fare la stessa canzone due volte, piuttosto di mettere le canzoni allo specchio l’un l’altra, in un certo senso, cercando di ricreare l’idea di una traduzione o nuova creazione..." Un concept a tutti gli effetti riuscito, pieno di pathos e di grande maturità artistica, che colloca i Lumsk in una coordinata astrale diversa e unica nel panorama internazionale del folk prog rock, una band che fonde perfettamente stili diversi in maniera originale, mantenendo intatto il sentimento che guida il folklore della musica tradizionale nordica e lo spirito indomito del rock progressivo senza mai perdere l'attitudine metal che li ha visti nascere. I fans di questo progetto non rimarranno delusi in alcun modo dopo l'ascolto di 'Fremmede Toner', e l'attesa di ben 16 anni dal loro ultimo lavoro sarà ben ripagata. Ascolto dovuto e necessario. (Bob Stoner)

(Dark Essence Records - 2023)
Voto: 88

https://lumsk.bandcamp.com/album/fremmede-toner

Underhate - Defleshed To Build The Net

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Brutal death che spacca di brutto, ben suonato e, soprattutto, che cerca una via personale alla truculenza sonora. Va subito detto che oltre alle influenze classiche (Cannibal Corpse, Suffocation) e moderne (Nile su tutti) del genere specifico, i nostri lasciano trasparire la loro dedizione ad altri modelli quali il grind ma più di ogni altro quello dei maestri Death, il cui influsso s'insinua in varie parti della demo. Svetta a mio avviso una mostruosa prova del lead vocalist (ben al di sopra del piatto grufolare di molti altri), che grazie anche ai backing-conati del chitarrista (peraltro davvero bravo) tesse linee vocali originali ed aggressive. Grandiosa (anche nel titolo) la seconda traccia "Net Human Totem", cosi come pure "Marburg’s Advent". Altro pregio del demo sta nei testi che, partendo comunque da suggestioni tipicamente brutal, riescono ad evitarci il solito polpettone da macelleria. Se ancora non vi siete convinti a cercarvi gli Underhate, sappiate che il demo dura la bellezza di 42 minuti (!!!!), alla faccia delle etichette che ci spacciano per full-length (con il relativo prezzo) dischetti da 26 o 27 minuti!

lunedì 5 giugno 2023

THËM - Frames

#PER CHI AMA: Post Hardcore
Belli ruvidi e ignoranti, con alle spalle liriche interessanti che si esplicano attraverso le nove tracce contenute in questo 'Frames', delle cornici che sembrano raccontare le perdite, i disagi personali, i fallimenti, le analisi dei percorsi di vita di questa nuova realtà italica che risponde al nome di THËM, band in giro solamente dall'inverno 2022 e che arriva alla genesi del debut album grazie alla Overdub Recordings. Poi spazio alla musica, a quel basso/batteria che apre in modo dirompente "Blinded", alle urla incisive del frontman, ad una musicalità che rivela una certa malinconia di fondo, un post rock che si unisce in modo accattivante al post hardcore. Bomba. Mi hanno già conquistato i tre musicisti nostrani, chitarra/voce, basso e batteria, un'essenzialità disarmante per quanto incisiva in quel flusso sonoro che prosegue nell'irrequietudine di "Smart Pressure" o nella tensione sospesa di "Restless", un pezzo che sembra aggiungere anche una componente post punk alla proposta dei THËM, una cavalcata inquietante in grado di arrecare un enorme sensazione d'ansia che si interrompe improvvisamente, cedendo il passo alla più meditabonda "Purgatory", più incellofanata nella sua esplosività, ma non per questo meno incisiva. "Fragments" è una breve song che poggia su una ritmica serrata, caustica, essenziale, uno schiaffeggiare secco giusto per la durata di un paio di minuti. A placare gli animi arriva "Sober", una traccia di pink floydiana memoria nelle partiture più atmosferiche ma anche per un cantato che potrebbe evocare quello del vecchio e immortale Roger Waters, ultimamente sempre più sulle prime pagine dei giornali internazionali. E allora, in una sorta di tributo alla band inglese, la traccia si muove con fare magnetico in meandri oscuri che potrebbero essere assimilabili a quelli della psiche umana. Più garage punk invece la successiva "Ghost of Myself", non proprio la mia canzone preferita dell'album, ma qualche difetto era pure lecito trovarlo a una band all'esordio. Ancora pulsazioni inquiete emergono dall'iniziale tessuto sonoro di "Strong" che ci delizia con un sound cupo e minaccioso, espressione di un pessimismo cosmico che sembra dilagare nei solchi di 'Frames'. In chiusura, la riflessività di "Time" sembra sancire quella specie di rassegnazione splenica che permea l'album a quanto sbagliato in passato ma con un barlume di speranza volto a fare meglio in un futuro che rimane comunque pieno di incertezza. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 73

https://thembnd.bandcamp.com/album/frames

Antechristus - Lands Of Ancestral Battles

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Old School
Molto "beheritiani" i francesi Antechristus. Grezzi fin dal primo secondo della registrazione, una registrazione ultra low-fi, ma carica di energia nera, come si ascoltava in tante cose degli anni passati. Musicalmente, come ho detto, i Beherit sono sicuramente molto vicini a questa band, ma è anche possibile ritrovare riferimenti molto più vecchi come Destruction o Sodom. Sicuramente non è una band che ha dell'incredibile perchè di pecche ce ne sono, una su tutte una voce che non riesce a fondersi con il resto della musica e che è registrata ad un volume veramente basso. Aggiungiamo poi una chitarra che a volte suona troppo "zanzarosa". Tutto concorre a creare un titolo che puzza molto di old-school; ora a voi decidere se è il caso di procurarvi 'Lands Of Ancestral Battles' (impresa titanica/ndr) per ascoltare qualcosa che abbia il fascino degli "early years" del black metal oppure procurarvi qualche altro titolo che abbia visto la luce in quel periodo.

Seven Impale - Summit

#PER CHI AMA: Prog/Jazz Rock
Dopo sette anni tornano i Seven Impale, ensemble norvegese che conta tra le proprie fila, tra gli altri, il tastierista Håkon Vinje degli Enslaved. La band di Bergen, guidata da Stian Økland (uno che si è laureato alla Grieg Academy come cantante lirico), sforna questo 'Summit', un lavoro di sole quattro lunghissime tracce che ci mostrano la galassia multisensoriale dei nostri incredibili musicisti. Si parte dalle suggestioni jazz prog rock rumoristiche dell'iniziale "Hunter", song che oltre a stabilire l'altissimo livello della barra tecnico-compositiva del sestetto, mostra il grado di sperimentazione a cui dovremo sottoporci durante l'ascolto di questo complicatissimo lavoro, che di certo non vincerà il premio come album più semplice da ascoltare, ma che comunque mostra come sia ancora possibile trovare gente in grado di proporre musica, per quanto ostica, assai originale. E i nostri non si tirano certo indietro, proponendo un sound comunque robusto, sfumato dal sax impazzito di Benjamin Mekki Widerøe (Potmos Hetoimos), da tocchi di pianoforte e da una dose di insana follia che troverà il suo acme per intensità, in un finale sconcertante. La seconda "Hydra" sembra già più morbida, ma non lasciatevi confondere, vista l'abilità dei Seven Impale nel combinare cinematiche porzioni prog con il jazz, con tanto di voci spaziali, e divagazioni space rock che potrebbero evocare i Van Der Graaf Generator o i King Crimson, in una versione decisamente più al passo con i tempi. Ancora straordinaria è l'efficacia del sax nel ideare atmosfere non di questo mondo, cosi come pure la fuga solistica finale a rendere il tutto ancor più ubriacante. Ecco arrivare poi "Ikaros", e i nostri cambiano ancora le carte in tavola con un sound più vicino all'hard rock scuola Motorpsycho, per una cavalcata roboante che vedrà poi una serie di fughe jazzistiche prender forma nel corso dei suoi nove minuti e mezzo, con la voce del frontman sempre magnetica e carismatica a districarsi tra suoni che diverranno via via più cupi e psichedelici. In chiusura "Sisyphus", un pezzo che probabilmente vede convergere tutte le intricatissime idee degli scandinavi verso mondi lontani. Eleganti ma stravaganti vocalizzi, turbolenze sonore, giochi ipnotici delle tastiere, atmosfere epiche e soffuse, vorticosi sbandamenti jazz e dirompenti ritmiche ne fanno la traccia più stralunata e complessa del lotto, che sottolinea alla fine, quanto sia reale la follia che permea questo esuberante ed elaborato 'Summit', un album come minimo da ascoltare, per non dire da comprare a scatola chiusa. (Francesco Scarci)

(Karisma Records - 2023)
Voto: 80

https://sevenimpale.bandcamp.com/album/summit

domenica 4 giugno 2023

Austere - Corrosion of Hearts

#FOR FANS OF: Depressive Black
Founded back in 2005, the Australian duo Austere, conformed by Desolate and Sorrow, achieved a cult status inside the depressive black metal scene. This was due to a quite solid debut album and particularly to a sophomore effort, entitled 'To Lay Like Old Ashed', which successfully caught the attention of the fans of this subgenre. The album became a classic and received excellent reviews. Sadly, the project eventually split up in 2011, which put its career on hold just when Austere was becoming one of the bastions of the genre. During this time, both Desolate and Sorrow have been really active in the metal scene, as they have been involved in many different projects. Fortunately, the band returned to life in 2021 and Austere has even began to play on stage, which is great, as many depressive black metal projects tend to be only studio projects.

As it happens when a project is inactive for such a long time, I was very curious to see if both members could bring back the magic of the old albums with the new beast 'Corrosion of Hearts'. The short answer is simply yes, which is obviously great news. After fourteen years, you could expect some changes, or an evolution as it is obvious that Austere has had time to bring some fresh ideas on this album. Happily, the album retains the main characteristics that made Austere such an especial band. The new opus consists of four long compositions and as soon as the album opener "Sullen" begins, all the pieces are just there to create a great song. The absolutely hypnotic guitar work captivates you since the very first moment. The song has a medium tempo during its length which helps to crease its absorbing nature thanks the exquisite tremolo riffing. The vocals sound as desperate as you may imagine. I particularly enjoy the most high-pitched shrieks which are an absolutely trademark of this genre. Anyway, Austere tried to add some variation in the vocal approach with the addition of clean vocals here and there, which sound particularly melancholic and a bit mellow in my opinion. I clearly prefer the classic screaming, but I respect the fact that the duo tried to broaden the usually narrow limits of the genre. The following track entitled "A Ravenous Oblivion", is probably the highlight of the album. Just take the best parts of the album opener, increase that sense of desperation with even more inspired riffs, add more desperate shrieks and a slightly more varied pace, and you will just get a perfect piece and a manifestation of what the genre can offer. As the album goes forward, the atmosphere becomes even more dense reaching its darkest point with "The Poisoned Core". Its irremediable end comes with the not so extremely bleak but equally inspired track "Pale", as it maintains the hypnotic nature of the rest of the album and the remarkably excellent riffs. It is undeniable that Austere doesn’t introduce great variations in terms of pace, but its songs do not sound boring and simple at all. Slight changes are introduced and even the drums try to be creative, actively avoiding the sense of sounding dull an uninspired. So, if you combine the little but tasteful changes, the effective work of the drums and the already mentioned great guitar work, you will barely find any reason to complain, but a lot to enjoy in this memorable album.

Austere’s return can therefore be defined as successful. All the ingredients that made this project a classic one in the scene are there. Because of this, old fans will find many reasons to rejoice, while the new ones will find this album as a perfect gateway to Austere’s music. (Alain González Artola)


Kaamos - S/t

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Una splendida, rigenerante e devastante ventata di passato. Mi ci voleva proprio una bella badilata sui denti di fottuto death metal svedese. Sì, sì, ho detto proprio death metal svedese… Dark Tranquillity, In Flames… ma neanche a parlarne!!! Death metal di quello vero e tosto, inaugurato nella seconda metà degli anni '80 dai leggendari Grotesque, Nihilist, Morbid e poi portato a compimento dalla prima grande (ed unica!) ondata svedese: Entombed, Grave, Dismember, Unleashed, primi Tiamat, Inverted. I Kaamos potevano essere considerati i degni epigoni di questa gloriosa scena: formati da ex membri di A Mind Confused, realizzarono un paio di demo, un paio di split album, un EP e due album, prima dello scioglimento nel 2009, tutti lavori che a questo punto mi dovrò procurare, vista l’intensa e riuscita prova del debut cd. Death rovente e tagliente ad un tempo, forse più veloce delle sopra citate band ma dotato di simile pesantezza e impatto; tornano alla mente quegli adorati tempi di batteria, gli stramaledetti assoli alla Entombed e soprattutto quei giri che solo gli svedesi riuscivano a fare. Accordatura bassa e pesante, vero e proprio trademark, unita ad una produzione più chiara e moderna che non per questo altera il sound dei nostri. A voler fare i pignoli manca la cupezza di dischi tipo 'Into the Grave' o 'Left Hand Path', ma è forse eccessivo pretendere le sensazioni di claustrofobia che opprimono adorabilmente chiunque ascolti detti capolavori. Il disco è molto compatto, non ci sono cadute di tensione in tutti i suoi 34 minuti, nemmeno in un paio di intermezzi (di cui uno in stile vichingo che anziché risultare pacchiano rivela grande pathos ed efficacia nell’introdurre “Doom of Man”, un gran bel pezzo che ricorda molto i gloriosi Grave). In qualche punto ho ricordato anche gruppi tipo Obscenity, ma tutti questi riferimenti non vi traggano in inganno: i Kaamos rileggono la lezione alla grande, non copiano ma si nutrono alle sorgenti della Morte, offrendoci qualcosa che da troppi anni latitava, soffocato da trend gotico-melodici ma anche dalla cieca e assurda venerazione per il black norvegese.

(Candlelight/Desiccated Productions - 2002/2022)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/Kaamos/3409