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venerdì 13 marzo 2020

Sertraline - These Mills are Oceans

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Sertraline atto terzo, quanti gli EP (solo in digitale ahimè) fatti uscire negli ultimi tre anni dalla band di Buffalo, che prende il nome del generico dell'antidepressivo Zoloft. Ora avrei un desiderio, ossia che l'etichetta canadese Hypnotic Dirge Records che supporta la band, mettesse tutti e tre gli EP su supporto fisico, grazie. Ma veniamo a 'These Mills are Oceans', lo splendido lavoro di oggi. Tre pezzi per venti minuti di musica che combinano post metal, post black atmosferico e depressive con grande maestria ed efficacia per un risultato che ho trovato semplicemente intenso ed emotivamente destabilizzante. Perchè queste mie parole? Ascoltate la malinconicissima "Eyes as Tableau", un pezzo che viaggia su una ritmica post metal che vive di qualche sporadica accelerazione black, ma soprattutto di melodie struggenti su cui poggia il cantato in screaming del frontman Tom Muehlbauer. La seconda "Their Cities" potrebbe essere un mix tra Agalloch, Shining e Cult of Luna, il tutto ovviamente suonato in tremolo picking con una portanza emotiva davvero da applausi, tra rallentamenti in acustico e malefiche sfuriate post black, con la melodia sempre collocata in primo piano. A chiudere il dischetto ecco "Prague": lunga intro ambient con tanto di voci malvagie in sottofondo che cedono il passo ad un estatico intermezzo acustico e clean vocals per passare poi ad una tiepida atmosfera blackgaze con le chitarre che ammiccano qui agli *Shels. L'intensità va salendo e il riffing riprende quota acuendo la propria cattiveria a pari passo con lo screaming arcigno del vocalist, per un risultato finale veramente notevole. A parte desiderare i tre EP in cd, gradirei ora anche uno sforzo da parte della band, ossia un full length. Grazie mille per prendere in considerazione i miei desideri. (Francesco Scarci)

Omeyocan - S/t

#PER CHI AMA: Black/Doom
Palesemente influenzati dalla civiltà azteca (vedasi la piramide di Teotihuacan in copertina), il duo formato da Popocatépetl e Iztaccíhuatl (nella mitologia azteca, Popocatépetl era un guerriero che amava Iztaccíhuatl ma ora sono in realtà il nome di due delle tre montagne più alte del Messico) ci propongono una singola traccia di ben 17 minuti e 17 secondi (chissà se c'entra qualche riferimento numerologico) dedita ad un black atmosferico. L'epilogo della song omonima è una lunga intro tastieristica, di matrice burzumiana, terminata la quale i nostri affidano alla chitarra la conduzione dei giochi in uno spettrale mid-tempo di melodie malate ed infernali. L'atmosfera solfurea che si respira e propaga nell'aria è a dir poco angosciante, complice una registrazione forse un po' troppo casalinga. I riferimenti agli Omeyocan mi portano dalle parti un black (più che altro per le screaming vocals) doom tormentato e decadente che, soprattutto in questo ultimo riferimento, mi hanno rievocato gli australiani Disembowelment. Per quanto non ci sia granchè di unico e originale in questa lunga traccia, devo ammettere che il risultato finale è davvero affascinante, soprattutto per il lavoro delle keys nel cesellare atmosfere orrorifiche con le chitarre a incanalarsi in questo flusso con un lavoro oscuro ma comunque efficace, soprattutto nei momenti in cui si alternano tra arrembanti cavalcate e un tremolo picking suggestivo. Il finale è poi da brividi, laddove il duo dalle origini sconosciute, prende spunto dall'epicità dei Windir sia a livello chitarristico che vocale con un cantato pulito quasi declamato. Ora mi attendo decisamente qualcosa di più di un singolo da questi musicisti, perchè se il buongiorno si vede dal mattino... (Francesco Scarci)

giovedì 12 marzo 2020

Holy Fawn - The Black Moon

#PER CHI AMA: Shoegaze/Post Rock, Slowdive
Credo che 'The Black Moon' sia uno dei lavori che più ho ascoltato negli ultimi tempi. Nelle ultime settimane, appena tornato a casa e acceso il pc, la prima cosa che facevo era far partire "Candy", la opening track di questo EP degli statunitensi Holy Fawn. D'altro canto, la band di Phoenix mi aveva già sedotto nel 2018 con 'Death Spells', ora questo 3-track mi ha preso ancor di più, rapendomi l'anima con le sue fluttuanti atmosfere shoegaze che instillano un senso di malinconia esagerata, un nodo alla gola quasi straziante, rotto solamente da qualche schitarrata (e urlata) che ci ricorda il retaggio black metal della band dell'Arizona. Poi è solo emotività allo stato puro che ci avvinghia e stordisce in un momento in cui la nostra sensibilità appare ancor più enfatizzata. L'animo fortemente shoegaze (e post rock) della band si riflette nei pesanti riverberi sonori e vocali, con la voce del frontman davvero calda e avvolgente. "Tethered" lascia spazio a suggestioni mentali, al desiderio di scappare da tutto quel caos che ci circonda e magari abbandonarci a scrutare il cielo stellato in una qualche isola sperduta nel bel mezzo del Pacifico. "Blood Pact" è l'ultimo atto dell'EP, una song di sette minuti affidati a sonorità ancora in bilico tra shoegaze e post-rock, questa volta contaminate dal drum-beat e da paesaggi sonori che evocano i maestri Slowdive, in una eterea matrice sonora sorretta dalle splendide vocals del frontman che nel finale si lanciano addirittura in uno screaming che fitta perfettamente con il messaggio musicale lanciato da questi musicisti di talento. Ora attendo solo il nuovo album. (Francesco Scarci)

My Purest Heart For You - Change of Heart

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
Ispirati all'anime giapponese 'Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion', i My Purest Heart for You sono l'ormai più non comune one-man band americana, come ce ne sono tante altre. Capitanata da tal Gwynevere, la band, dopo aver rilasciato tre Lp, di cui l'ultimo nel 2018, torna a farsi risentire con questo EP intitolato 'Change of Heart', in attesa di un nuovo platter da lanciare. L'EP consta di tre tracce che, dall'iniziale title track attraverso la successiva "Heavy Lights", fino alla conclusiva "Mirror Water", vaga per i territori non tanto inesplorati, del post black di scuola Deafheaven(iana). Preparatevi quindi a farvi investire da una matrice sonora corrosiva lanciata a tutta velocità, su cui si piazza la voce molto arcigna del factotum della South Carolina, che si diletta nel regalare anche attimi di quiete in mezzo a quel caos (melodico) generato. Si insomma, avrete intuito che l'attitudine (e forse anche il risultato finale) sono parecchio assimilabili a quelli della band di San Francisco. Fondamentalmente, la cosa non mi dispiace, soprattutto quando i tempi sono più rallentati e in mezzo a quel sound cosi impastato (e talvolta volutamente caotico), affiorano le melodie di cui Gwynevere si fa portavoce. Il problema è semmai che la proposta della band non è troppo originale: il tremolo picking chitarristico è seducente, accattivante, quello che volete, ma è qualcosa di già sentito. Allora forse la band è più efficace nel proporre quel riffing debordante come nella cavalcata conclusiva che ci mostra qualcosina di più interessante e apre a nuovi spiragli di novità nella release di cui auspico una veloce uscita. (Francesco Scarci)

domenica 8 marzo 2020

Nawabs of Destruction - Rising Vengeance

#PER CHI AMA: Prog Death
Mi piaceva l'idea di recensire una band proveniente dal Bangladesh e cosi non ho resistito a prendere in mano l'EP di debutto uscito nel 2019 e a darci un ascolto attento, in attesa che venga rilasciato il prossimo aprile il loro album su lunga distanza. I Nawabs of Destruction arrivano da Dhaka, la capitale del paese e propongono in questo trittico di song, un concentrato di death progressive davvero entusiasmante. Se non avessi letto l'origine della band su Metal Archive, avrei pensato sicuramente alla Scandinavia, non solo per la freschezza a livello di suoni, ma anche per una perizia tecnica da parte del duo asiatico, davvero ineccepibile. E allora, fatevi investire anche voi dai suoni potenti e melodici di questo 'Rising Vengeance' e dalla spettacolare title track che apre le danze in modo coinvolgente tra cambi di tempo, epiche cavalcate e fantastiche melodie, il tutto in un'alternanza vocale assai interessante, tra il classico growl e un cantato tipicamente prog. Come quello che compare all'inizio della più tiepida "Beginning of the End", un mid tempo che non tarderà a crescere di intensità e a tenervi con le orecchie incollate ai funambolici giochi di chitarra del duo bengalese, davvero incazzato sul finire della song. Ultimo pezzo affidato a "In the Verge of Death", tre minuti di death metal grooveggiante bello tirato e con un assolo stile band thrash anni '80. Ora la curiosità per il full length in uscita per la Pathologically Explicit Recordings si fa davvero forte. (Francesco Scarci)

Anizvara - Atman

#PER CHI AMA: Blackgaze Strumentale
Un'altra one-man-band questa volta proveniente dal Cile, con un EP di tre pezzi che non deficitano certo in personalità. Gli Anizvara, stravagante moniker di questa creatura sud americana, propone un 3-track intitolato 'Atman', un dischetto che strizza l'occhiolino allo stesso tempo a blackgaze e post metal e che stuzzica non poco la mia curiosità in vista di una release più ufficiale di questa esclusivamente digitale. Comunque sia, i tre pezzi del lavoro si aprono con le furiose accelerazioni di "Krisis", stemperate dalle melodie malinconiche del mastermind di quest'oggi e da quelle suadenti atmosfere su cui il musicista cileno non lesina affatto. Bello immergersi in siddetti suoni con tanto di tremolo picking sempre in primo piano; vi basti ascoltare "Fire on Your Forehead" per schiarirvi ulteriormente le idee sulle eccelse qualità di questo progetto, cosi come pure con la conclusiva "Unknowable", due esempi di come si possa coniugare alla grandissima sonorità estreme con anche un più sognante post-rock intriso di splendide orchestrazioni e passaggi acustici (onore alla traccia di chiusura). Sin qui tutto benissimo ma, si c'è un ma, altrimenti mi toccherebbe parlare di un gran bel gioiellino. Ovviamente manca l'apporto vocale, per cui auspico già un cambio di rotta a partire dal prossimo album. Sapete quanto mi stia sulle scatole la mancanza di un vocalist che qui avrebbe rappresentato la classica ciliegina sulla torta. E allora, per favore, caro Anizvara, mettiamo un paio di urlacci sulla prossima release e un alto voto sarà qui garantito, promesso. (Francesco Scarci)

martedì 3 marzo 2020

Global Scum – Odium

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Meshuggah, Fear Factory
Dovrei dire che l'album in questione è un vero ossimoro del genere metal, che mette in antitesi strutture ben consolidate di scuola Soulfly/Sepultura con una produzione modernissima e al limite della forma industrial metal. Brani che aggrediscono e opprimono l'ascoltatore con una verve tecnologica vicina al futurista sound dei Meshuggah ed anche se le composizioni sono più dirette e old style (bello il video di "Feader" disponibile sul web), l'effetto claustrofobico non perde nemmeno un briciolo della sua potenza, ipnotica ed ultraterrena. Traccia dopo traccia, con un orecchio ben ancorato alla corrente thrash metal di anni novanta, ci si immerge nella descrizione di un mondo carico di violenza, corruzione e quant'altro la perversione umana sia riuscita fin qui a generare di sinistro (viene citato nel disco anche Josef Fritzl, l'uomo che tenne segregata la figlia in cantina per ben 24 anni!). Il disco è giustamente intitolato 'Odium', e l'artwork di copertina si abbandona ad una grafica senza mezzi termini, completamente circondata da macerie, dove appare in primo piano una figura nascosta in volto da una maschera a gas, imbrattata di sangue sui vestiti, e mettendo bene in luce gli intenti espressivi dell'opera. I brani, rispettando sempre i canoni del genere, sono fantasiosi e mantengono una qualità compositiva ed una produzione assai notevoli, curati a dovere dall'infaticabile Manuel Harlander, "proprietario" del progetto Global Scum. Manuel è infatti potente voce, braccio e mente di questa nuova realtà austriaca, dove si diletta a cantare e a suonare tutti gli strumenti, cercando di portare sempre più in alto questa sua violenta e solitaria one man band. Il disco contiene 13 brani tutti sparati in faccia all'ascoltatore, senza remore, divisi da un breve spartiacque atipico per il genere, nella veste del brano strumentale "Back Beats", che presenta una sezione ritmica vicina alla dance e richiama alla mente gli esperimenti techno metal di Godflesh e Fear Factory. Difficile trovare il brano migliore su di un disco che si lascia ascoltare molto volentieri senza mai abbassare la guardia sotto il profilo della potenza e che contiene un così alto standard tecnico. Un masso sonoro che si esprime al meglio, almeno nel mio modesto giudizio, nel tagliente riff di "Call of Resistance". Quindi agli amanti di thrash e feath, infarciti di ambient futuristico e atmosfere al limite dell'horror, non resta altro che lanciarsi in questo secondo disco dell'artista austriaco, per una nuova, affascinante esperienza sonora. Attenzione, album dall'alto potere esplosivo, maneggiare con cura. (Bob Stoner)

(NRT-Records - 2019)
Voto: 74

http://global-scum.com/

domenica 1 marzo 2020

The Revenge Project - Deceit-Demise

#PER CHI AMA: Death, Vader
Burgas, da non confondere con la città spagnola di Burgos, è un importante centro turistico sulla costa del Mar Nero. La cittadina oltre a vantare un gradevole litorale, rappresenta anche il luogo di origine di questi The Revenge Project, una band in giro dal 2000 votata puramente ad un death metal di vecchia scuola. 'Deceit-Demise' è il quinto album per il quintetto bulgaro in vent'anni di onorata carriera, non proprio dei musicisti prolifici, però una band con un seguito abbastanza nutrito in patria. E allora proviamo a farli uscire dai confini nazionali questi The Revenge Project, raccontandovi del lavoro di quest'oggi che include otto tracce più intro ("Enter Oblivion") che ci prenderanno a calci in culo con la furia del loro death old school che chiama in causa campioni statunitensi del calibro di Malevolent Creation o Monstrosity. Lo si capisce immediatamente con "Unholy Soul", una song robusta che mette in evidenza tutti gli ingredienti del genere, inclusa la classica ritmica devastante, un growling da orco cattivo ed una sezione solistica (assai melodica) da urlo, vero punto forte a favore dell'ensemble bulgaro. Poi quando riparte "The Fine Print", ecco che i nostri ci stritolano con il loro rifferama ultra compatto ed efferato, per una sorta di ritorno alle origini del death made in Florida. Devo ammettere però, che nelle note di questa traccia ho scorto l'influenza di un'altra band, questa volta europea, ma pur sempre devota alla causa americana, i Vader. Quello che ancora una volta mi colpisce e fa rivalutare un lavoro che verosimilmente rischierebbe di rimanere nell'anonimato, è di nuovo il comparto solista con una ricerca melodica di gran gusto. "Confess to Sin Again" è invece un mid-tempo che sembra aver poco di che spartire con quanto ascoltato sino ad ora, almeno nei suoi primi 60 secondi, prima di esplodere in un feroce assalto sonoro che chiama in causa anche il thrash metal dei Sepultura. 'Deceit-Demise' è un disco in effetti un po' troppo derivativo, ma in questo genere che cosa pretendere dopo tutto, visto che ormai anche le grandi band si autoreferenziano  album dopo album? Francamente me ne fotto e mi lascio maciullare le orecchie dal granitico riff della compagine, interrotto qui da una porzione ritmica decisamente più controllata, laddove anche il growling lascia posto a delle pseudo clean vocals. Ma la mattanza non finisce certo qui: "You Have to Know", la più ricercata "Prayers Go Unheard" e via via tutte le altre, proseguono nella loro opera di demolizione muovendosi costantemente a cavallo tra un death tecnico e un più selvaggio thrash metal. Mi verrebbe da dire che la band debba esplorare maggiormente il proprio lato progressivo per potersi affermare anche fuori dal proprio paese e non essere additata come la classica clone band. Diciamo che per ora, i The Revenge Project sono sulla strada giusta per ciò che concerne l'aspetto puramente tecnico e melodico, ora servirebbe lavorare maggiormente sulla ricerca di una personalità ben più caratterizzata a livello ritmico giusto per non scadere nello scomodo clichè del già sentito. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 65