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martedì 24 settembre 2019

Relinquished - Addictivities (Pt. 1)

#PER CHI AMA: Death/Black/Doom Progressive, Daylight Dies
Come un ecoscandaglio, prosegue l'opera di perlustrazione del sottosuolo da parte del Pozzo dei Dannati. Quest'oggi facciamo tappa in Austria, per conoscere i Relinquished, un quintetto formatosi nel 2004, ma al sottoscritto rimasti totalmente sconosciuti per tre lustri, un peccato. La proposta dei cinque tirolesi di Ebbs tocca un po' tutti gli ambiti del metal estremo, ammorbiditi però da una spiccata vena dark progressive. 'Addictivities (Pt. 1)' è il terzo album per la band uscito in digitale nel 2018 (ed in formato fisico solo quest'anno) a seguito di una lunga pausa presa dopo il rilascio delle release datate 2010 e 2012. Il disco si apre con il sussurrato di "Expectations", che mostra la pasta di cui è costituito quest'ensemble. Buona la prova infatti a tutti i livelli, dalla prestazione tecnica, alla capacità di emozionare con delle ottime melodie all'insegna del melo death o ancora di ringhiare grazie alle growling vocals del frontman Sebastian "Vast" Bramböck. Più marziale ed oscura l'intro della seconda "Bundle of Nerves", una song che vede aspre accelerazioni death spezzate da parti decisamente più atmosferiche, in cui il cantante si concede anche a vocalizzi puliti ed in cui gli accostamenti che mi viene da fare in tema di influenze, sono per lo più con Daylight Dies e Opeth. La prova è convincente, anche se ci sono alcune parti di chitarra che suonano, come dire, un po' vecchiotte, old school se vogliamo essere raffinati. Questo è confermato anche dalla terza traccia "Avalanche of Impressions", aperta da un lungo sibilo di chitarra che costituirà l'elemento trainante di un pezzo che guarda al death doom come fonte di ispirazione, in un alternarsi tra ritmiche roboanti e frangenti più calibrati che richiamano la vecchia scuola dark capitanata dai The Fields of the Nephilim, ma che strizza l'occhiolino anche ai Crematory, in un pezzo che sul finire si lancia in accelerazioni assai vicine al black, senza rinunciare a fantastici assoli o partiture eleganti. Forse qui sta il punto di forza della band austriaca, che altrimenti rischierebbe di sprofondare nell'anonimato di un genere che ormai ha già ampiamente dato. I nostri non si danno per vinti, piazzano un intermezzo elettronico, "Pulse", e poi giù di nuovo lungo il dirupo del dark doom melodico con le malinconiche melodie di "Damaged for Good", in un pezzo dal piglio molto classico, che vede in qualche trovata tecnologica, il punto di connessione della band con i giorni nostri. L'inizio di "Syringe" sembra non promettere nulla di buono e il mio intuito non sbaglia, almeno nel suo primo minuto che poi lascia il posto a suoni ancora una volta più compassati, forti peraltro di ariose aperture alla sei corde che concedono un po' di respiro. Questo per dire che l'ascolto di 'Addictivities (Pt. 1)' non è proprio di cosi facile presa, forse anche per delle tematiche alquanto pesanti che narrano la storia di un tossicodipendente lungo gli alti e bassi della propria dipendenza. Nel frattempo "Zero" suona nel mio stereo e capisco immediatamente che è la mia traccia favorita (confermata poi da molteplici ascolti) per quel suo costante ondeggiare tra death, sfuriate black e partiture melodiche che torneranno anche nella seguente "Into the Black", un tuffo nei più oscuri anfratti della mente umana, tra parti dark segnate da un'angosciante linea di basso e chitarra (ottimi peraltro gli assoli), ed un cantato quasi costantemente sussurrato che individuano la traccia come la mia seconda preferita del disco. A chiudere 'Addictivities (Pt. 1)', ecco il doom ipnotico e morboso di "Void of My Ashen Soul", una song interessante e malata (con fortissimi echi a "Time", colonna sonora di 'Inception') che apre a potenziali sviluppi futuri, sperando solo di non dover aspettare più di un lustro prima di sentir ancora parlare dei Relinquished. (Francesco Scarci)

(NRI Records/Soul Food - 2019)
Voto: 74

http://relinquished.at/ 

lunedì 23 settembre 2019

Kora Winter - Bitter

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Math, Between the Buried and Me
Un paio d'anni fa, proprio in questo periodo, mi apprestavo a recensire 'Welk', secondo EP dei berlinesi Kora Winter. La band teutonica torna oggi con un lavoro nuovo di zecca, 'Bitter', il vero debutto su lunga distanza per i nostri cinque musicisti. Forti dell'esperienza maturata in tour con gente del calibro di Rolo Tomassi o The Hirsch Effeckt, la band ci offre otto isterici pezzi che proseguono con la proposta già ascoltata in passato, ossia all'insegna di un imprevedibile math/post-hardcore/screamo. "Stiche II" mette in mostra immediatamente tutto l'armamentario in mano ai nostri, con una dolce melodia su cui s'incagliano i vocalizzi psicotici (in lingua tedesca) del frontman; a dire il vero, il brano sembra più una intro che un pezzo vero e proprio, visto che è con "Deine Freunde (Kommen Alle in Die Hölle)" che emerge più forte la struttura canzone e con essa tutto il delirante approccio post-hardcore nelle partiture più ritmate e melodiche, che fanno da contraltare alla più ruvida e acida componente estrema della band, che sembra coniugare in poche ma efficaci accelerazioni post black, anche metalcore e mathcore, in un impasto sonoro davvero pericoloso quanto furente (ed efficace). I brani si susseguono in un altalenante mix di generi: con "Eifer" si parte in quinta, ma poi un chorus ed una linea di chitarra alquanto dissonante, ci conducono in territori stravaganti, quando, fermi tutti, la proposta dei Kora Winter, si sporca di influenze alternative, con tanto di voci pulite in una sorta di emo un po' ostico da digerire, almeno per il sottoscritto, che da li a pochi secondi, avranno comunque il tempo di abbracciare altri suoni che dire cattivi è dir poco. Ma niente paura, si cambia ancora registro con la spettrale title-track, che al suo interno sfodera sverniciate di violenza estrema, rallentamenti furiosi, aperture al limite dell'avanguardismo e di nuovo montagne di riff e rullanti infuocati, in un'altalena musicale ed emozionale spaventosa (che vede addirittura l'utilizzo di vocals evocative in stile Cradle of Filth). C'è di tutto qui dentro e se non si è abbastanza flessibili di testa, il rischio di switchare al nuovo album dei Tool, potrebbe rivelarsi assai elevato. Ancora suoni stravaganti con l'incipit di "Coriolis", in cui batteria e chitarra (e poi anche voci, in tutte le forme possibili) s'inseguono come in un gioco di guardia e ladri, in oltre otto minuti di frastagliatissime e funamboliche ritmiche che portano i nostri ad ammiccare un po' a destra e un po' a manca, e relegando alla seconda parte del brano, eleganti momenti post metal sulla scia dei connazionali e concittadini The Ocean. Prova convincente non c'è che dire, confermata anche dalla folle proposta di "Wasserbett", un pezzo che col metal, fatta eccezione per le pesanti chitarre, sembra aver poco a che fare. Scendono colate di malinconia, almeno a tratti, per la corrosiva "Das Was Dich Nicht Frisst", tra le song più tecniche dell'album, per questo ancor più complicata e sperimentale, soprattutto nella sua parte vocale. A chiudere quest'intrepida opera prima dei Kora Winter, ecco arrivare "Hagel", un'altra piccola perla che, se non avesse avuto il cantato in tedesco (per me il vero limite della band ad oggi), sarebbe stata ancor più convincente, visti i richiami anche ai Cynic e pure uno spettacolare assolo conclusivo. Per il momento accontentiamoci dell'incredibile portento sonoro offerto dai nostri, in attesa di altri sconvolgimenti futuri. (Francesco Scarci)

(Auf Ewig Winter - 2019)
Voto: 76

https://korawinter.bandcamp.com/album/bitter

Vardan - Serial Demo III

#PER CHI AMA: Black, Burzum
Dall'Italia con furore: è il caso di Vardan, one-man-band catanese autore di oltre 30 lavori (tra full length e split) negli ultimi sette anni, un record, anche se il polistrumentista ci tiene a sottolineare che si tratta di lavori concepiti in tempi diversi. Quest'oggi il mastermind siculo si presenta con una demo di due pezzi, e chissà poi perchè una demo dopo questo mare di release, costituita da un sound che prosegue sulla scia del black depressive desolante espresso nei precedenti lavori, un sound che evoca inequivocabilmente il buon Burzum o gli Xasthur. È palese sin dall'opener "III - 5", dove sul rifferama monolitico di scuola norvegese, poggiano i vagiti del musicista nostrano. La proposta puzza inevitabilmente di già tremendamente sentito, però le melodie di sottofondo sulle quali poggia l'architettura del pezzo, hanno comunque il loro fascino. C'è molto del conte Grishnakh nella musica di Vardan, forse ancor di più nello spettrale black mid-tempo di "III - 6". La cosa che forse potrebbe far storcere il naso ascoltando questo 'Serial Demo III' potrebbe essere una certa ridondanza di fondo nelle linee di chitarra ma fortunatamente il lavoro si ferma dopo soli 14 minuti, il tempo sufficiente per non farci stancare della natura monocorde di questo two-track. (Francesco Scarci)

Wires & Lights - A Chasm Here And Now

#PER CHI AMA: Post-Punk/Darkwave, Joy Division, Bauhaus, The Cure
La teatralità e l’inganno sono strumenti potenti” è una frase ricorrente nella trilogia del Cavaliere Oscuro, con la quale il regista Nolan sottolinea come il nostro Batman, tanto privo di superpoteri quanto ricco di ingegno e furbizia, riesca ad avere la meglio su avversari più forti e numerosi grazie ad astuti trucchi.

In campo musicale non ci sono ovviamente vite innocenti in gioco, tuttavia al giorno d’oggi è in atto una sorta di lotta per la sopravvivenza in scene ormai saturate da mille proposte ed è quindi naturale che molte band scelgono di utilizzare alcuni “trucchi” per emergere, come puntare stilisticamente sull’usato sicuro e ammantarsi di un’estetica ben riconoscibile, in modo da stuzzicare l’attenzione di uno specifico target di pubblico.

Gli Wires & Lights con il loro atteso album 'A Chasm Here And Now' non si stanno certo facendo beffe di noi, anzi: ci troviamo di fronte ad un solidissimo album post-punk pensato e (ben) costruito per soddisfare le preferenze degli amanti di Joy Division, Sisters Of Mercy e The Cure, rimaneggiando i capisaldi del genere attraverso un sound più moderno.

L’intenzione della nuova creatura del cantante-chitarrista Justin Stephens (già noto nell’ambiente grazie al precedente progetto Passion Play) è evidente fin dalla prima traccia “Drive”, un dirompente singolo trascinato dalle dinamiche di batteria e dai giri avvolgenti del basso, dove le atmosfere sognanti della chitarra lasciano spazio ad esplosioni di rumore che si spingono fin quasi allo shoegaze.

Il tema portante di questo disco è per lo più la lotta contro i demoni interiori della depressione, ben rappresentata dalle atmosfere decadenti e tormentate che gli Wires & Lights ricamano attraverso le varie sfumature di post-punk, gothic rock e dark wave. Tuttavia, la band sembra voler descrivere uno scontro in cui il male è infine destinato ad essere sconfitto: ecco perché nello sviluppo di brani come “Swimming” e “Cuts”, traspare sempre una chiara determinazione ad uscire da queste paludi mentali e non mancano raggi di luce pronti a squarciare le ombre.

I dieci pezzi dell’album, quasi tutti della durata compresa tra i quattro e i cinque minuti, si susseguono piacevolmente riuscendo a mantenere vivo l’interesse dell’ascoltatore, tra raffinati richiami al passato e l’inserimento discreto di elementi moderni e più catchy. Menzione speciale per la struggente “Anymore”, l’evocativa ed etera traccia dark-wave “24h” e la seducente “Sleepers”, riuscitissime canzoni che si elevano su un insieme comunque di buonissimo livello.

Cosa manca dunque? Forse un po’ di temerarietà nell’andare oltre confini ben definiti: i nostri amici berlinesi mostrano di essere a proprio agio nell’affrontare i bassifondi del post-punk, sfoderando tutto il campionario di riferimenti e cliché del genere, ma evitando abilmente di apparire troppo stereotipati. Il costume di nuovi alfieri di questa scena pertanto calza a pennello agli Wires & Lights e bisogna ammettere che di 'A Chasm Here And Now' non è difficile innamorarsi, ma va anche detto che potrebbe essere altrettanto facile dimenticarsene. (Shadowsofthesun)

domenica 22 settembre 2019

Bodily Ruin - Malevolent Existence

#PER CHI AMA: Death Old School
Un'altra demo sulle pagine del Pozzo, questa volta ad opera degli americani Bodily Ruin. La band originaria di Los Angeles, ci propina un 3-track di death metal di vecchia scuola, in cui il tempo sembra essersi freezato ormai a 30 anni fa. Capisco la nostalgia per i grandi del passato, ma francamente non se ne può più, bisogna andare avanti, portar fuori il carrozzone da quel pantano in cui è tragicamente finito. Quindi servono idee e non scopiazzamenti ai primi Death come accade in 'Malevolent Existence', perchè poi la mannaia del recensore cattivo si abbatte senza pietà sulla testa della band di turno. Dei tre pezzi, l'unica nota significativa va ad uno stravagante (ma brevissimo) assolo che compare in "World of Nothingness", tutto il resto è francamente noia. (Francesco Scarci)

martedì 17 settembre 2019

Isonomist - Pillars

#PER CHI AMA: Metalcore/Djent, Meshuggah
Degli Isonomist dal web ho cavato meno di un ragno dal buco, zero informazioni a parte il fatto che il quartetto dal Texas si etichetta come progressive band. Ecco, partirei già col dire che allargherei un po' le maglie di questo stretto vestito, visto che la traccia di apertura di 'Pillars' ci consegna piuttosto una band che viaggia nei binari del metalcore. Comunque a parte questa necessità di etichettare le cose, c'è da dire piuttosto che la band propone cinque song parecchio vertiginose per ciò che concerne tempi dispari, ritmiche sghembe, melodie poliritmiche, tutte caratteristiche che identificano il djent, o comunque suoni affini ai Meshuggah o ancora una certa vena deathcore tipicamente americana. "Loss", "By a Thread", "Beta" e via via dicendo anche le altre song, viaggiano sui binari alquanto imprevedibili di tale musica, e in cui la definizione che ritenevo alquanto stretta di progressive, si potrebbe applicare esclusivamente per una certa perizia tecnica che contraddistingue questi musicisti. Per il resto, è il classico sound a cavallo tra metalcore e deathcore, con linee di chitarra non proprio lineari, i famigerati quanto stra-abusati stop'n go, le vocals che si muovono tra pulito e growl, e poco altro da segnalare, se non una più complicata fase digestiva rispetto agli originali, in quanto qui la melodia non è proprio una delle caratteristiche della casa, visto che il sound rischia addirittura di incancrenirsi in territori più estremi, come accade nella quarta "Fading". Manca ancora una traccia a chiudere l'EP, "Confessional", e apparentemente, sembra essere anche il brano più accessibile, sebbene ascoltandolo potreste pensare che il mio sia un eufemismo. Comunque 'Pillars' è un lavoro che rimane raccomandato per soli amanti del genere, per gli altri suggerisco come sempre di volgere lo sguardo agli originali. (Francesco Scarci)

(Self - 2019)
Voto: 60

domenica 15 settembre 2019

Chaos Over Cosmos - S/t

#PER CHI AMA: Melo Death, Scar Symmetry
È un progetto internazionale quello dei Chaos Over Cosmos che ci propinano, in questo loro EP uscito esclusivamente in digitale, tre tracce che fanno l'occhiolino in modo quasi malizioso ed inequivocabile agli Scar Symmetry e più ad ampio raggio, ad un prog melo death sci-fi che trova ampi consensi anche tra i gusti del sottoscritto. Tre tracce dicevo per questo EP omonimo, che arriva a distanza di un anno dal debut 'The Unknown Voyage', che si aprono con "Cascading Darkness", song che chiarisce immediatamente la direzione musicale del combo austral-polacco, che dai maestri svedesi non raccoglie solamente le linee di chitarra ma anche il classico dualismo vocale (growl/clean, anche se quest'ultimo è da rivedere). A livello musicale, i nostri se la cavano davvero alla grande, non fosse altro che alla chitarra c'è questo musicista polacco, tal Rafał Bowman, un virtuoso della sei corde, mentre alla voce il bravo vocalist australiano Joshua Ratcliff, già visto nei Resurgence ed ex Born of Chaos. Comunque la band ci sa fare ed il secondo brano conferma se addirittura non migliora, quanto proposto nell'opener. "Consumed" è infatti una song di otto minuti, in cui i nostri ci dilettano con quanto di meglio ha da offrire la casa, soprattutto a livello tecnico, palesando un ottimo gusto per le melodie con l'ottimo lavoro alle chitarre e synth da parte di Rafał. La band si dice ispirata da band quali Iron Maiden, Dream Theater, addirittura Vangelis e Depeche Mode per ciò che concerne l'ambito elettronico; a mio avviso, i due musicisti sono degli ottimi mestieranti, in grado di mettere su pentagramma suoni accattivanti, sicuramente un po' ruffiani (basti ascoltare anche la strumentale traccia conclusiva "Asimov") in un esercizio di stile, sicuramente non indifferente. Per me è si, e sono quasi certo che i Chaos Over Cosmos avranno tutte le carte in regola per farsi strada nella jungla del death melodico. (Francesco Scarci)

Vile Nothing - Pessimist

#PER CHI AMA: Crust/Hardcore
Un po' di insano punk-crust-hardcore proveniente dalla Svezia è quanto proposto oggi dai Vile Nothing e dal loro 'Pessimist'. Si tratta di un EP di quattro pezzi che irrompono con la ferocia molestia di "In Disgrace, With Fortune", un brano breve ma incisivo, costituito da chitarre sparate ai 200 km/h e da una batteria al limite del grind, per poi rallentare paurosamente sul finale con una tirata di freno a mano da cappottamento garantito. "Erased" prosegue con un'altra ritmica al fulmicotone su cui s'installano le vocals sbraitanti del frontman; da notare che come sul finire della traccia in apertura, cosi anche in questa seconda song, sono presente i classici bombastici tonfi del deathcore a contaminare ulteriormente la proposta dell'act di Stoccolma che con il proprio sound non fa altro che darci un sacco di schiaffoni. Vi basti ascoltare la ficcante proposta della terza "Dåren Är i Lådan" un pezzo di 67 secondi devoti ad un tremebondo mathcore. Il finale apocalittico è dispensato dalle note furenti di "Abhorrence", l'ultimo straripante ed iconoclasta inseguimento dei Vile Nothing. Paurosi. (Francesco Scarci)