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martedì 8 dicembre 2015

Martin Nonstatic – Granite

#PER CHI AMA: Ambient/Elettronica
Sono convinto che l'autore olandese di questo splendido album, uscito nel 2015, sia stato colpito nel profondo (come riporta nel booklet interno al suo digipack) dalle atmosfere colte in un viaggio attraverso la nazione austriaca, tra natura e riscoperta del proprio essere, esattamente lo spirito che serve per affrontare un lavoro simile. 'Granite' è un album mastodontico creato ad arte in una forma spettacolare nata per ipnotizzare, aumentare la ricerca della propria esistenza tramite suoni, rumori, umori e ritmiche raccolte dalla natura e fatte evaporare nello spazio libero, mirate all'introspezione, dimenticando la banalità di una vita metropolitana, sfruttando la tecnologia moderna per creare arte senza tempo né spazio. Il suono in hi–fi è d'obbligo, quindi tra bassi profondissimi d'ispirazione dub, tecno e drone music, vediamo intercalarsi retaggi mistico/estatico di Kitaro e tribalità minimal alla Seefeel. Una musica elettronica variegata divisa a metà tra anni novanta e duemila, la dinamica sonora dello stupefacente esperimento musicale firmato John Fox e Luis Gordon ai tempi di 'Crash and Burn' in veste ambient e votata all'atmosfera più riflessiva, nessuna traccia di frenesia e senza dimenticare quanto sia importante la figura del Ryuichi Sakamoto dei momenti più intimi, almeno come fonte d'ispirazione. Album prodotto divinamente con un piede nell'orecchiabilità ed uno nella struttura complessa, ricercata e proiettata verso un ascolto impegnato e mai ostico. Dodici tracce per una durata consistente di circa settanta minuti di pura evasione mentale, un album ispirato e colto per menti libere da preconcetti sonori, proseguo ideale in chiave ambient della via illuminata dalle divinità Tim Hecker e Tosca. Ennesimo gioiellino rilasciato dall'ottima etichetta francese Ultimae Records. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2015)
Voto: 80

Lachrymose – Carpe Noctum

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Nightwish, Candlemass
Una campana a morto scandisce lentamente l'incedere di una spettrale atmosfera. “Precipice Of Bliss”. La notte cala. E con la notte i Lachrymose si destano, presentandosi nella seconda traccia “False God” con un intro in pieno stile doom. Il tempo cresce e viene lasciato spazio alle lyrics. È a questo punto che veniamo colpiti dall'inaspettato cantato della vocalist Hel, con una vera e propria impostazione lirica che ricorda le vecchie vocals di Tarja nei primi Nightwish, anche se le materie sono decisamente differenti. I greci Lachrymose, in questo primo lavoro, si muovono in direzione death/doom, grazie sicuramente alle influenze apportate dai due fondatori Blackmass (guitars) e Mancer (drums), già attivi nei Rotting Flesh, prima di prendere parte nella formazione dei Lachrymose, che si completano poi con la già citata Hel e il bassista Kerk. Il disco prosegue sulla strada intrapresa già nel prologo, senza troppi sconvolgimenti e senza uscire dagli schemi. Buona la prova offerta dai nostri nel brano “My Shadow”: con i suoi 8 minuti sfora leggermente dal minutaggio medio, intro e outro sono dominati dal basso, mentre nel mezzo si articola un brano dalle cupe sfumature, sostenuto da un buon lavoro di chitarre. Piacevoli risultano anche la title-track, in cui il tempo si abbassa e il riffing incessante della sei corde ci accompagna fino alla fine, ed anche la più death oriented “In a Reverie”. Questo pezzo vede la partecipazione speciale di Thomas Vickstrom, già in forze agli svedesi Therion. La sua impostazione operistico/teatrale, impiegata nel duetto con Hel (a cui si aggiungerà poi anche il growling viscerale di Blackmass), contribuisce notevolmente alla buona riuscita di questa song, apportandovi un tocco di particolarità allo stile dei nostri. L'ultimo pezzo prima della conclusione strumentale è affidato a “Thyella”, che insieme al precedente, rappresenta uno dei brani meglio riusciti in questa prima fatica della band ellenica. Nel complesso il debut è sufficiente ma i Lachrymose potrebbero dire sicuramente di più, sfruttando al meglio le proprie peculiarità (in particolare la voce di Hel) e garantendo una maggior cura a particolari e sfumature (che fanno risaltare brani come i già citati “My Shadow” e“In a Reverie”). Questo garantirà alla band greca di non uniformarsi e non cadere nella monotonia, come purtroppo accade in alcuni passaggi di 'Carpe Noctum'. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Pure Steel Publishing - 2015)
Voto: 65

The Pit Tips

Emanuele "Norum" Marchesoni

Equilibrium - Erdentempel
Lachrymose - Carpe Noctum
Trick or Treat - Evil Needs Candy Too

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Francesco Scarci

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Odetosun - The Dark Dunes of Titan
Panopticon - Autumn Eternal 

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Don Anelli

Necroblaspheme - Belleville
Agony Divine - March of the Divine
Vermingod - Whisperer of the Abysmal Wisdom

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Mauro Catena

Fine Before You Came - Teatro Altrove (Genova 29.01.2015)
Hugo Race and the True Spirit - The Spirit
Phased - Aeon

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Samantha Pigozzo

Blutengel – Omen
Lordi – Scare Force One
Godhead – 2000 Years of Human Error

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Stefano Torregrossa

Clutch - Blast Tyrant
High On Fire - Luminiferous
Björk - Vulnicura

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Michele Montanari

Nono Cerchio - Ombre
Vanessa Van Basten - Closer to the Small / Dark / Door
Palmer Generator - Shapes

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Kent

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Sedna - Sedna
Ben Frost - Steel Wound

sabato 5 dicembre 2015

Atma - Im Nebel

#PER CHI AMA: Post Black/Blackgaze
Tre brani per quarantadue minuti. Non sarà certo una passeggiata affrontare 'Im Nebel', album di debutto dei teutonici Atma. In realtà non so che aspettarmi dal sound di questa band che apre minaccioso con i suoi suoni lontani, imperscrutabili e ambientali. È "Im Nebel I" a segnare l'inizio delle danze o forse dovrei dire dell'incantesimo sciamanico a cui, il duo formato da Malte e Lucas, ci sottoporrà. Suoni ambient dicevo, quasi estratti da un lavoro dei Pink Floyd più sperimentali e stralunati che lentamente prova ad uscire dal proprio misantropico guscio, ove i due loschi figuri si celano. Trascorsi 7 minuti dall'inizio del cd però non ho ancora ben capito con chi o quale musica avrò a che fare. Gli Atma sembrano avvolti da un manto di fitta nebbia nel quale sia quasi impossibile scorgervi dentro. Ci sono accenni di chitarra elettrica, lo sfiorare dei piatti, ma null'altro che lasci presagire a qualcosa di più. Finalmente un accenno fa capolino verso l'ottavo minuto: una chitarra scarna e una batteria minimal sembrano movimentare un disco che stenta a decollare o comunque ad acquisire una forma ben definita. Che genere fanno gli Atma? Non saprei, rock di sicuro, ma non mi è chiaro a quali livelli di violenza dobbiamo porci. Certo, quella chitarra marcia e decadente mi fa propendere per una forma di estremismo sonoro orientato al black metal. Finalmente al minuto 13, sboccia un selvaggio riffing votato al nero a cui mi stavo preparando e forse tra me e me già pregustavo. L'elementarità sonica però, accompagnata dallo screaming belluino e da una produzione non proprio all'altezza, delude quelle aspettative che un po' mi ero creato nell'attesa che il sound del duo della Westphalia si palesasse nel suo ardore. Forse li prediligo nella loro veste più meditativa e la formula di "Im Nebel II", che ricalca esattamente quella della opening track, mi dà modo di rilassarmi nel blackgaze dei nostri, in attesa che si abbatta sulle nostre teste una nuova burrasca di selvaggio e incandescente metallo nero. Una voce narrante, rumori disturbanti in sottofondo, una chitarra acustica di sottofondo preallertano anticipano il primitivo post black degli Atma che puntuale come un orologio svizzero, cala la propria scure con elementari scudisciate di raw black e grida furiose. Una melodia che omaggia un rock anni '90 (non sono riuscito a ricondurre l'abbinata riff/synth ad una canzone ben precisa) apre e conduce il prologo di "Im Nebel III", la traccia più orecchiabile (almeno nella sezione atmosferica) e quella forse meglio strutturata, complice un finale assai intrigante che segue la furiosa cavalcata black. C'è sicuramente ancora molto da lavorare per dar modo all'estro compositivo dei nostri di emergere in una veste meno primordiale e meglio curata. (Francesco Scarci)

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!

#PER CHI AMA: Dark/Post/Alternative, Cult of Luna, Klimt 1918, The Ocean
Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Ho voluto parafrasare le parole dell'inizio del film di Christopher Nolan, "The Prestige", in quanto lo svolgimento di questa ennesima perla dei bresciani Sunpocrisy, si muove esattamente allo stesso modo dell'illusionista. Il sestetto infatti parte con qualcosa di (apparentemente) ordinario e tranquillo che ben presto sarà in grado di strabiliarvi con tutta l'innata capacità e l'inventiva di cui sono dotati questi ragazzi, che ormai rappresentano il top in ambito post del nostro bel paese. 'Eyegasm, Hallelujah!' è il secondo mirabolante disco dei Sunpocrisy che in questa nuova release abbandonano quell'approccio più viscerale del funambolico e innovativo 'Samaroid Dioramas', per lanciarsi in un qualcosa di più meditativo che scomoderà, come vedrete, alcuni mostri sacri del panorama metal mondiale. Si parte con "Eyegasm", una song dall'attacco psichedelico che vede Jonathan Panada alle voci, alla stregua di Marco Soellner dei Klimt 1918 all'epoca di 'Dopoguerra'. Dicasi lo stesso delle atmosfere, cosi evocative e che seguono per certi versi quelle della band romana, prima che il sound esploda in un fragoroso e vibrante post dai contorni djent (Born of Osiris e Tesseract i riferimenti rintracciabili). Il raggiungimento della maturazione musicale dei mostri è ufficialmente sancita dalla sola opening track che conferma che il full length di debutto non era stato dettato da un banale colpo di fortuna. In "Eyegasm" c'è tutto quello che possiate pretendere da un pezzo: atmosfere lisergiche, montagne di groove, vocals pulite/growl, chitarroni che si inseguono e susseguono, ubriacandoci di emozioni, colori e suggestioni. Suggestioni che rimangono agganciate anche con la successiva "Mausoleum of the Almost", song incollata letteralmente alla prima, che grazie a una tempesta magnetica di basso e splendide vocals, elabora la nuova magia dei nostri. Una calma magmatica che ribolle ed esplode come quelle fontane di lava che si vedono emergere in questi giorni dal maestoso Etna. La song cresce, le chitarre squarciano l'etere con frastagliati suoni di scuola Cult of Luna che mi emozionano come da troppo tempo non accadeva. La storia continua, quel viaggio fatto di simboli e parole viene ulteriormente affrontato dai nostri. Si passa attraverso la noisy "Transmogrification" per giungere a "Eternitarian", una traccia infinita, come solo i Sunpocrisy e pochi altri sanno condurre, una song guidata dallo splendido connubio di synth e chitarre, una song che chiama in causa anche gli Anathema nelle parti più eteree. Le chitarre continuano ad affrescare l'aire di splendide note con la voce pulita di Jonathan a proprio agio anche sul tappeto post black che deflagrerà verso il sesto minuto e ci accompagna in ipnotici giri di tremolo picking, screaming corrosivi e meditative atmosfere, fino alla fine del brano. Un altro intermezzo acustico che li per li mi ha evocato nella mente i Radiohead di 'Ok Computer': sublimi tocchi di piano che preparano a "Kairos Through Aion", brano dal forte mood malinconico che si riflette in un andamento più ritmato che non tarderà a sfociare in rabbia adrenalinica di scuola The Ocean, uno dei pochi retaggi rimasti delle vecchie influenze (ravvisabile anche in "Gravis Vociferatur" e in alcune movenze in sede live), nei solchi di questo nuovo disco. Ma la traccia si conferma sorprendente verso la sua metà, ancora a voler giustificare le mie parole iniziali ossia partire da un qualcosa di normale che ben presto si trasformerà nel prestigio degli illusionisti Sunpocrisy. Anche questa volta infatti, il sound dell'act lombardo diviene nebuloso, votato quasi a uno space rock onirico, che saprà sorprendervi e illuminarvi. Di "Gravis Vociferatur" abbiamo già detto, forse la song che più avvicina la band al collettivo berlinese ma che comunque spinge i nostri verso le vette del perfetto post-metal. La tempesta stellare a cui siamo sottoposti viene smorzata da un altro splendido break centrale, affidato all'enorme lavoro delle chitarre, per cui vorrei spendere un plauso particolare a quella ispiratissima di Matteo Bonera. Detto anche di una certa originalità in fatto di titoli dei pezzi, arriviamo alla esoterica "Festive Garments" che ha qualche punto in comune col passato recente della band e che non disdegna anche qualche rimando ai Tool, non fosse altro per il growling imperioso di Jonathan e per sprazzi di un dark rock sognante, nella seconda metà. La cura maniacale nei dettagli, musicali ancorchè grafici è minuziosa e ben studiata a tavolino, cosi era lecito attendersi a conclusione del disco "Hallelujah!", con i suoi ultimi incredibili e spettrali 10 minuti. L'inizio è affidato alla celestiale elettronica di Stefano Gritti e poi via via tutti gli altri strumentisti convergono in una traccia che richiama una sorta di Novembre più orchestrali (in salsa post doom) miscelati agli *Shels. Trovo poche altre parole da spendere per i Sunpocrisy se non dire che ormai rappresentano la punta di diamante del metal nostrano che li spinge di diritto nel gotha dei maggiori esponenti del post- a livello mondiale. (Francesco Scarci)

venerdì 4 dicembre 2015

Jungbluth - Lovecult

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore/Screamo
“This one should be clear, but can’t be said too often: we strongly disagree with any pro-views on fascism, racism, nationalism, sexism, homophobia and every other form of oppression”. A volte la musica riesce a creare forti legami empatici, a prescindere dal genere musicale, se fondata su principi che ci toccano da vicino. È quanto mi è accaduto con il terzo album degli Jungbluth, terzetto HC di Münster, che prende il nome da Karl Jungbluth, comunista e antifascista tedesco, che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto nella resistenza contro i nazisti. 'Lovecult' è, conviene dirlo subito, un piccolo capolavoro hardcore che riesce a coniugare in modo perfetto furia strumentale, inventiva e testi incompromissori. I tre ragazzi tedeschi riescono a sprigionare una potenza devastante fatta di furiose cavalcate noise, stacchi precisi e un cantato potente e viscerale. 'Lovecult' è un album a tema che, come si evince dal titolo, parla di amore ma, come è facile intuire dalle premesse, non lo fa in modo sognante e piagnone. Niente sofferenze emo da cameretta, in queste tracce, ma una lucida analisi che intende sviscerare il concetto di amore nella società odierna, che capitalizza tutto, anche le nostre emozioni, finendo per renderle dei bisogni come altri, per i quali siamo disposti a pagare. Non è necessario pagare invece per godere di questa mezz’ora scarsa di grande hardcore punk: il disco è infatti disponibile in dowload gratuito, ma se apprezzate il contenuto, e non potrete non farlo se amate il genere, allora è disponibile il vinile, anche in una splendida edizione limitata in vinile verde. Inutile menzionare le tracce migliori: sono 10 gemme che scorrono veloci e inesorabili, e una volta arrivati in fondo non potrete fare altro che ricominciare da capo. E ancora. E ancora. “Don't respect something that has no respect - Fuck nazi sympathy!" (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 85

giovedì 3 dicembre 2015

Cosmic Church - Vigilia

#PER CHI AMA: Black, Burzum, Thy Serpent
Lo ammetto: sono rimasto tremendamente affascinato da quel losco figuro vestito di rosso, immerso nella lussureggiante foresta finlandese. Probabilmente quel misterioso uomo è Luxixul Sumering Auter (LSA), colui che si cela dietro al moniker Cosmic Church, band per cui confesso la mia infinita ignoranza e dispiacere per aver tralasciato un musicista (qui coadiuvato da S. Kalliomäki e Rauka) con ben otto tra EP e split, oltre a due full length all'attivo, dal 2006 a oggi. La cosa incredibile poi, è che nel lasso di tempo dall'uscita di 'Vigilia' a oggi (circa un mese e mezzo), il mastermind finnico abbia già rilasciato un altro split album con Blood Red Fog e Shroud of Satan. Comunque bando alle ciance, immergiamoci nell'atmosfera magica di 'Vigilia', un EP di 4 lunghi pezzi per un totale di 33 minuti, all'insegna di un black metal melodico, contrappuntato da belluine vocals e sfuriate di un serratissimo sound vestito di nero. Il factotum nordico parte con l'eterea "Vigilia I": ottima l'overture melodica, dove non tarda a comparire lo screaming burzumiano del sacerdote rosso, la cui proposta sonora si muove poi tra suoni mid-tempo e feroci galoppate, con un finale decisamente accattivante guidato da magnetici synth in sottofondo. "Vigilia II" è un pezzo di ben 12 minuti, dal piglio inizialmente più rock oriented, ma non temete perché in pochi secondi riemergerà il glaciale e tagliente sound di LSA, fatto di ritmiche funamboliche, blast beat e urla non di questo mondo. Fortunatamente lungo il brano, trovano spazio anche frangenti più atmosferici, altrimenti avrei corso il rischio di essere torturato da cotanta brutalità. Non fraintendetemi però, la tempesta elettrica scatenata dal musicista di Tampere, è sempre ben controllata e negli ultimi 4 minuti, la melodia di fondo assume dei contorni quasi magici pur rimanendo ancorato al suo estremismo sonoro. La furia esplosiva prosegue con il frastuono di "Vigilia III", che prosegue con spaventose rasoiate ritmiche in cui batteria, basso e chitarre si uniscono fragorosamente, vertiginose grida e le sporadiche melodie. Il finale è affidato a "Vigilia IV", la song relativamente più tranquilla del lotto, avvolta da un manto oscuro, più rallentato, spennellato di una certa dose di velate melodie intrise di malinconia, e complici quei timidi synth relegati sempre in background. Insomma, 'Vigilia' può essere anche per voi un ottimo modo per avvicinarsi ai Cosmic Church e approfondire ulteriormente la conoscenza della band finnica, ascoltando la vasta discografia. (Francesco Scarci)

(Kuunpalvelus - 2015)
Voto: 70 

mercoledì 2 dicembre 2015

Hard Reset – Machinery & Humanity

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative Rock
La band fiorentina dopo un EP omonimo datato 2012, cerca il grande salto sostenuta dalle ali di una forte etichetta come la Sliptrick Records per esportare nel 2015 la sua musica fuori dai confini nazionali. Con i testi in inglese e una formazione a tre, gli Hard Reset mostrano la propria idea di rock in quindici titoli ben amalgamati tra loro. Coscienti di essere i figli legittimi del suono da grande arena di Foo Fighters e Placebo, i nostri portano avanti degnamente la loro visione di post grunge, anche se onestamente manca la caratteristica tensione della musica di Seattle e se devo paragonarli stilisticamente ad una band del periodo, preferisco accostarli musicalmente ai Therapy?, più easy ed orecchiabili (e che ovviamente non sono di Seattle!) . La verve è quella giusta ed il canto gioca bene le sue carte trascinando una band tra ballate rock ed escursioni più rumorose ma comunque sempre contenute ("Drawbridge"), quasi a voler sottolineare la volontà ferrea di creare musica rock valida per i passaggi radiofonici internazionali ("Beautiful Cloud" e "Tweed"). Il fatto è che ci riescono veramente e il tutto è anche accattivante, con testi anche interessanti e un lavoro completo che dimostra come si possa far rock orecchiabile con stile e cervello, mantenendo intatta la propria credibilità. Altri accostamenti che mi sento di azzardare sotto il profilo sonoro, sono quelli con gli Sparta dell'ex Jim Ward degli At the Drive-In, i Biffy Clyro ed i primi Manic Street Preachers, anche se devo ammettere che la band toscana dovrebbe essere più aggressiva in certi frangenti e puntare a suoni più rudi e d'impatto, magari prendendo spunto proprio da "When the Lights go Down" o What I Hope to Find", due brani dove il trio fiorentino osa maggiormente, raggiungendo ottimi risultati in fatto di potenza e tiro. Comunque il terzetto italiano mostra carattere e anche una certa originalità; tra i brani non ci sono lacune e l'insieme delle tracce è omogeneo e divertente da ascoltare, di facile approccio, mai banale, immediato e snello. Un album completo di buon rock moderno, certamente non da sottovalutare, insomma una bella prova! (Bob Stoner)

(Sliptrick Records - 2015)
Voto: 70