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sabato 5 dicembre 2015

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!

#PER CHI AMA: Dark/Post/Alternative, Cult of Luna, Klimt 1918, The Ocean
Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Ho voluto parafrasare le parole dell'inizio del film di Christopher Nolan, "The Prestige", in quanto lo svolgimento di questa ennesima perla dei bresciani Sunpocrisy, si muove esattamente allo stesso modo dell'illusionista. Il sestetto infatti parte con qualcosa di (apparentemente) ordinario e tranquillo che ben presto sarà in grado di strabiliarvi con tutta l'innata capacità e l'inventiva di cui sono dotati questi ragazzi, che ormai rappresentano il top in ambito post del nostro bel paese. 'Eyegasm, Hallelujah!' è il secondo mirabolante disco dei Sunpocrisy che in questa nuova release abbandonano quell'approccio più viscerale del funambolico e innovativo 'Samaroid Dioramas', per lanciarsi in un qualcosa di più meditativo che scomoderà, come vedrete, alcuni mostri sacri del panorama metal mondiale. Si parte con "Eyegasm", una song dall'attacco psichedelico che vede Jonathan Panada alle voci, alla stregua di Marco Soellner dei Klimt 1918 all'epoca di 'Dopoguerra'. Dicasi lo stesso delle atmosfere, cosi evocative e che seguono per certi versi quelle della band romana, prima che il sound esploda in un fragoroso e vibrante post dai contorni djent (Born of Osiris e Tesseract i riferimenti rintracciabili). Il raggiungimento della maturazione musicale dei mostri è ufficialmente sancita dalla sola opening track che conferma che il full length di debutto non era stato dettato da un banale colpo di fortuna. In "Eyegasm" c'è tutto quello che possiate pretendere da un pezzo: atmosfere lisergiche, montagne di groove, vocals pulite/growl, chitarroni che si inseguono e susseguono, ubriacandoci di emozioni, colori e suggestioni. Suggestioni che rimangono agganciate anche con la successiva "Mausoleum of the Almost", song incollata letteralmente alla prima, che grazie a una tempesta magnetica di basso e splendide vocals, elabora la nuova magia dei nostri. Una calma magmatica che ribolle ed esplode come quelle fontane di lava che si vedono emergere in questi giorni dal maestoso Etna. La song cresce, le chitarre squarciano l'etere con frastagliati suoni di scuola Cult of Luna che mi emozionano come da troppo tempo non accadeva. La storia continua, quel viaggio fatto di simboli e parole viene ulteriormente affrontato dai nostri. Si passa attraverso la noisy "Transmogrification" per giungere a "Eternitarian", una traccia infinita, come solo i Sunpocrisy e pochi altri sanno condurre, una song guidata dallo splendido connubio di synth e chitarre, una song che chiama in causa anche gli Anathema nelle parti più eteree. Le chitarre continuano ad affrescare l'aire di splendide note con la voce pulita di Jonathan a proprio agio anche sul tappeto post black che deflagrerà verso il sesto minuto e ci accompagna in ipnotici giri di tremolo picking, screaming corrosivi e meditative atmosfere, fino alla fine del brano. Un altro intermezzo acustico che li per li mi ha evocato nella mente i Radiohead di 'Ok Computer': sublimi tocchi di piano che preparano a "Kairos Through Aion", brano dal forte mood malinconico che si riflette in un andamento più ritmato che non tarderà a sfociare in rabbia adrenalinica di scuola The Ocean, uno dei pochi retaggi rimasti delle vecchie influenze (ravvisabile anche in "Gravis Vociferatur" e in alcune movenze in sede live), nei solchi di questo nuovo disco. Ma la traccia si conferma sorprendente verso la sua metà, ancora a voler giustificare le mie parole iniziali ossia partire da un qualcosa di normale che ben presto si trasformerà nel prestigio degli illusionisti Sunpocrisy. Anche questa volta infatti, il sound dell'act lombardo diviene nebuloso, votato quasi a uno space rock onirico, che saprà sorprendervi e illuminarvi. Di "Gravis Vociferatur" abbiamo già detto, forse la song che più avvicina la band al collettivo berlinese ma che comunque spinge i nostri verso le vette del perfetto post-metal. La tempesta stellare a cui siamo sottoposti viene smorzata da un altro splendido break centrale, affidato all'enorme lavoro delle chitarre, per cui vorrei spendere un plauso particolare a quella ispiratissima di Matteo Bonera. Detto anche di una certa originalità in fatto di titoli dei pezzi, arriviamo alla esoterica "Festive Garments" che ha qualche punto in comune col passato recente della band e che non disdegna anche qualche rimando ai Tool, non fosse altro per il growling imperioso di Jonathan e per sprazzi di un dark rock sognante, nella seconda metà. La cura maniacale nei dettagli, musicali ancorchè grafici è minuziosa e ben studiata a tavolino, cosi era lecito attendersi a conclusione del disco "Hallelujah!", con i suoi ultimi incredibili e spettrali 10 minuti. L'inizio è affidato alla celestiale elettronica di Stefano Gritti e poi via via tutti gli altri strumentisti convergono in una traccia che richiama una sorta di Novembre più orchestrali (in salsa post doom) miscelati agli *Shels. Trovo poche altre parole da spendere per i Sunpocrisy se non dire che ormai rappresentano la punta di diamante del metal nostrano che li spinge di diritto nel gotha dei maggiori esponenti del post- a livello mondiale. (Francesco Scarci)

domenica 22 aprile 2012

Sunpocrisy - Samaroid Dioramas

#PER CHI AMA: Post Metal, Tool, The Ocean, Isis
Grazie. Grazie per il meraviglioso album che i Sunpocrisy hanno saputo concepire, che va ben oltre le più rosee aspettative che mi ero creato con il precedente Ep. Un grazie a questa band perché, con “Samaroid Dioramas”, ha dimostrato che in Italia abbiamo delle realtà che possono tranquillamente competere con le band americane, svedesi o tedesche che siano. E infine un grazie perché ero stato buon profeta nella recensione del primo Ep, dicendo che la band era da tenere sotto stretto controllo e l’eco che questa uscita ha avuto nel web, è un’ulteriore riprova di quanto scrivevo e della ottima qualità del cui presente lavoro. Ma, andiamo pure con ordine. Avevo lasciato i nostri nel 2010 con “Atman”, un EP di quattro pezzi che mischiava riff death metal ad ambientazioni di “toolliana” memoria, il tutto cosparso di una diffusa psichedelica malinconia. Il nuovo album, oltre ad aprirsi con un atmosfera che sa molto di suoni tribali degli aborigeni australiani, esplode ben presto la propria furia con “Apophenia”, che mette subito in chiaro la direzione musicale intrapresa dal sestetto bresciano. Mi spiace ma ora davvero non ce n’è più per nessuno: non guardo più verso Berlino con invidia per i The Ocean, verso la Western coast degli US per i Tool o la Eastern per gli Isis, o ancora verso nord a Umea, pensando che là ci sono band del calibro di Meshuggah o Cult of Luna; a casa nostra ora abbiamo i Sunpocrisy, che partendo, senza ombra di dubbio dagli insegnamenti dei gods appena citati, sfoderano una prova a dir poco magistrale. I Sunpocrisy hanno fatto il botto e lo dimostrano le mazzate inferte già in “Apophenia”, che miscela suoni rabbiosi, tribali, psichedelici, infarciti da meravigliose, suadenti melodie, che mi mettono subito a mio agio, mi fanno rilassare, anche se il growling poderoso di Jonathan, sbraita come un ossesso e le chitarre “grattano” minacciose con sommo piacere. Ci pensano poi quelle ipnotiche melodie di synth ad insinuarsi nei miei neuroni, scorrere lungo gli assoni fino al terminale nervoso responsabile del rilascio di quei neurotrasmettitori, che mi inducono al piacere sublime. Non so cosa sia successo ai nostri, se siano stati folgorati sulla via di Damasco o cosa, so solo che nelle sette tracce (più intro) qui contenute, se ne sentono di tutti i colori. Tempi dispari di scuola “meshugghiana”, che dimostrano l’ineccepibile qualità tecnica del combo lombardo (arricchitosi tra l’altro di un terzo chitarrista e di un uomo dietro ai sintetizzatori), atmosfere ariose che surclassano di molto la performance del nuovo Ep dei The Ocean; una prova eccezionale del vocalist, abile a passare da un growling efferato a splendide clean vocals. “Φ – Phi” è un ulteriore esempio di quanto il combo sia maturato enormemente nel corso di questi ultimi due anni, dell’abilità in chiave esecutiva raggiunta (da saggiare a breve anche in sede live) e di quanto i nostri si sentano comunque a proprio agio nella gestione di pezzi di lunga durata, con quattro tracce della durata media di 10 minuti e quanto siano eccellenti anche in quelle song che fungono da collante nel cd (“Vertex” o “Trismegistus”). I Sunpocrisy sembrano una band di veterani, che calca la scena da qualche lustro. La maturità della band si saggia anche con lo strepitoso trittico finale di brani, che partendo dalla corrosiva e schizoide “Samaroid”, si spinge verso lidi di raffinatezza esagerata, con la successiva “Samaroid/Dioramas”, in cui l’eco dei Tool è sicuramente forte, ma lo è pure la personalità dei nostri, che emerge prepotente nel corso della traccia, che fa dell’espediente emozionale iniziale, l’elemento catalizzatore, con le vocals sofferte di Jonathan, accompagnate da una ritmica dapprima malinconica, poi furente, ma sempre nostalgica. A chiudere questo capolavoro, che mette in sella i nostri nell’essere indicati come vera e propria sorpresa dell’anno (e a mio avviso anche disco del 2012), ci pensa “Dioramas” che decreta il livello eccelso raggiunto dall’ensemble nostrano, incredibili musicisti in grado di spaziare tra il post metal, un residuo quasi impercettibile di death, la psichedelia onirica dei Pink Floyd, il djent dei Meshuggah, con quelle sue chitarre polifoniche e la componente depressive stile primi Katatonia, che avevo già sottolineato nella prima recensione. Che altro dire, se non che questo “Samaroid Dioramas” è forse l’album perfetto (anche in chiave grafica con un booklet avveneristico) che attendevo da tempo immemore… Guai a voi ora se non vi avvicinerete ai Sunpocrisy. Uomo avvisato… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 95
 

domenica 3 ottobre 2010

Sunpocrisy - Atman


Attenzione attenzione perché un nuovo fiore è pronto a sbocciare nel giardino di casa nostra: si tratta dei bresciani Sunpocrisy, che con questo Ep di 4 pezzi, per un totale di quasi 36 minuti, si rivelano al mondo con sonorità quanto mai inaspettate. Le danze si aprono con "Aeon's Samsara" e con quel suo riffone portante di "tooliana" memoria e la voce di Jonathan Panada che si alterna tra reminiscenze quasi a la Black Sabbath con un growling portentoso nelle accelerazioni più feroci del brano, ma quello che più si insinua nelle nostre teste ed entra e scava fino a portarci alla follia, è quel riffing iniziale per non parlare poi della parte conclusiva del pezzo, 4 minuti di follia acustico-elettrica da brividi, in cui la voce di Jonathan acquista, in un crescendo emozionale, più consapevolezza nei propri mezzi e arriva a regalarci malinconici attimi di passione, straziati dalla ruvidezza dell'incedere metallico (qui c'è ancora da lavorare parecchio per poter sgrezzare il sound parecchio). La successiva "Aprosdoketon" è una song quasi puramente death metal, anche se apprezzabile è la ricerca da parte del quartetto nostrano di ricercare soluzioni alquanto inusuali, soprattutto nell'uso della batteria e nel riffing schizoide delle chitarre. "Insanity's Glove" ritorna a far saggiare la parte più umorale della band, scura e malinconica, anche se è lontana dalla opening track, decisamente la traccia più riuscita; ritorna lo spettro dei Tool a dimostrare che la band si trova più a proprio agio a viaggiare su ritmiche molto più psichedeliche che tipicamente death, cosi come pure la voce di Jonathan è molto meglio nella sua versione clean piuttosto che growl, dove alla fine risulta del tutto impersonale e rischia di far scivolare il combo lombardo nel calderone di band death inutili, quindi suggerisco caldamente di lasciar perdere (o per lo meno affinare notevolmente) il cantato growl dando maggior spazio alle più calde vocals pulite. Echi progressive trovano spazio in questa traccia, che vive di un'alternanza di umori ed emozioni, complice la chitarra che ancora una volta, pescando a piene mani dai Tool o da qualche disco dell'ultima produzione dei maestri svedesi Opeth, rende piena giustizia ad una band che, sebbene sia ancora acerba, mostra delle potenzialità enormi che spero presto qualcuno si accorga e abbia il coraggio di puntare su di loro. A chiudere l'EP ci pensa "This Illusion" dove trovano ancora posto tutte le influenze e gli ingredienti tipici dei Sunpocrisy: atmosfere rarefatte, stop'n go e cambi di tempo, con un basso assassino a dominare la parte centrale del brano e un fade out conclusivo che lascia un po' l'amaro in bocca. Menzione conclusiva per la copertina del cd, diversa per tutte e 100 le copie fin qui stampate e numerate a mano, in quanto si tratta di frammenti di radiografie. Di carne al fuoco ce n'è molta, l'importante sarà limare le imperfezioni e le grezzure di una band che di idee brillanti ne ha molte, ma che magari fatica un po' ad incanalarle in una sola direzione. Da tenere assolutamente sotto stretto controllo! (Francesco Scarci)

(Self)
voto: 70