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giovedì 10 febbraio 2011

Criminal Hate - Ataraxia


La nascita di questo combo siciliano è addirittura datato 2001, quindi quasi un decennio di vita per questa band underground di Catania, che solo ora riesce a dare alle luce il proprio debutto discografico (del 2005 un EP, “Regression of Human Race”). “Ataraxia” è un tipico esempio di black death influenzato dal sound vampiresco dei Cradle of Filth in primis: aspettatevi quindi una release abbastanza tirata, che come i loro maestri ai tempi migliori, non disdegnano quelle inquietanti melodie e ambientazioni horror a supportare l’estremismo sonoro (mai eccessivo a dire il vero). Quello che ne viene fuori è un lavoro che, pur essendo abbastanza derivativo, si lascia piacevolmente ascoltare, anche se credo che l’emivita (per dirlo in termini farmacologici) di questa release, non sia delle più lunghe. I Criminal Hate ci sparano in faccia queste otto tracce in grado di alternare feroci cavalcate black, con le keys ad arricchire in modo mai troppo invadente, il sound del trio catanese, a momenti in cui minacciosi rallentamenti la fanno da padrone. Diciamo che c’è ancora da lavorare molto per ottenere dei buoni risultati, tuttavia, “Ataraxia” rappresenta già un discreto punto di partenza da cui crescere e prendere il volo. Il terzetto siculo si muove con estrema disinvoltura all’interno di un genere che ha visto uno scoraggiante declino negli ultimi anni e quindi mi rende felice vedere che c’è ancora qualcuno che si dà da fare per mantenere viva quella tenue fiammella di black sinfonico e “The Curse of Anubis” (ma anche la successiva “Empire of Insanity”) possono essere considerate la summa dell’intero lavoro accorpando soluzioni sinfo-black con elementi goticheggianti. Per chi è in cerca di emozioni quasi del tutto andate, i Criminal Hate possono ancora rappresentare la speranza per un futuro migliore… in chiave black sinfonico sia chiaro! (Francesco Scarci)

(Criminal Intent Records)
Voto: 65

mercoledì 9 febbraio 2011

Klabautamann - Merkur


Devo essere sincero, per iniziare ad apprezzare questo disco mi ci sono voluti veramente tantissimi ascolti perché “Merkur”non è di sicuro uno di quei lavori che ti si stampano immediatamente nella testa o sei è in grado di apprezzare fin dal primo momento. Certo è che, quando il sound dei tedeschi Klabautamann, inizia ad insinuarsi nelle nostre menti, tutto diventa alla fine estremamente interessante e coinvolgente. Partendo da una remota base black metal, l’act teutonico costruisce il proprio sound, basandosi sui sacri insegnamenti degli ultimi Enslaved (quelli di “Vertebrae” o “Isa” tanto per capirci, fino ad affondare le proprie radici nel psichedelico “Monumensium”) o dei deliranti Fleurety, senza dimenticare che l’alone progressive che aleggia intorno a questa release, si ispira ai gods svedesi Opeth, ma riletti in chiave black piuttosto che death. Tutto questo, non per dire che i nostri crucconi siano dei bravi copioni, ma solo per farvi capire che quello che ne viene fuori è un qualcosa di alta classe e di comunque stranamente originale. Non tralasciamo poi le tipiche sfuriate black come in “Herbsthauch” o “When I Long for Life”, dove il duo di Meckenheim mostra veramente di saper far male con il tipico tagliente rifferama nord europeo. Ciò che poi ci stupisce in mezzo a queste tiratissime ritmiche e spiazza completamente, sono quei sorprendenti momenti di atmosfera solenne, dove divagazioni jazz, acustiche o avantgarde, riescono a sorprenderci alla grande per la loro classe cristallina, genuina e geniale. Quello su cui lavorerei maggiormente in mezzo a tutto questo ben di dio, è forse la voce, che renderei decisamente meno lacerante nel suo screaming ferino, cedendo il passo a un tono più oscuro o pulito. Che altro dire su questa new sensation tedesca? Se siete alla ricerca di musica cerebrale, seducente e assolutamente non scontata, “Merkur” farà di certo al caso vostro. Affascinanti! (Francesco Scarci)

(Zeitgeister)
Voto: 80

Sweet Insanity - Believe in Some Kind of Truth


Apprezzabile il gesto, ma darci dentro! I Sweet Insanity sono una band della provincia di Bologna che si forma del 2005. Registrano il loro primo EP autoprodotto, "Welcome To The Theater", tra il novembre 2006 e il febbraio 2007. Nel 2008 vengono messi sotto contratto dalla loro attuale etichetta, l’Hurricane Shiva. Mi capita tra le mani questo loro primo lavoro di ampio respiro. Inforco le cuffie e si parte. Si sente subito chi ha influenzato lo stile di questi ragazzi: il debito nei confronti dei “Four Horsemen” mi fa venir voglia di lasciare stare. Superato questo momento d’impaccio, mi rituffo però nell’ascolto. Per carità, nulla di nuovo sotto il sole: le canzoni sono suonate bene, le chitarre e le percussioni ci sono, i ragazzi ci sanno fare, con assoli puliti e la batteria bella potente quando serve. Ecco, la voce del cantante, molto melodica per il genere, mi lascia un po’ perplesso: s’incunea bene nelle sonorità ma pare non essere abbastanza potente e caratteristica. Il disco ha una sua linea, seppur non originale. “Believe in Some Kind of Truth” si apre con un’arpeggiata “Zeia Mania”, cui segue poi “Ready to Burn” un po’ più tirata (chi dice che ricorda “Fuel” dei Metallica?) che dà il “là” per i brani seguenti. “Conflict” è la prima traccia che si discosta dalle altre, con una parte melodica che permette alla voce del singer di poter spaziare liberamente. Questa vena meno potente si ritroverà più avanti anche in “Angel”. ”Libido”, con parti vagamente orientaleggianti e un finale particolarmente veloce, ha un qualcosa di personale e caratteristico cosi come pure “Funeral Lullaby” che prende le distanze dal resto delle song; melodica con arpeggi, in altri tempi sarebbe stata indicata come la “power ballad” del disco. Senza infamia e senza lode le altre tracce di questa release, a parte “Sons of the Dust” che ha l’aggravante della lunghezza. I testi delle canzoni sono semplici e diretti, cosa apprezzabile, ma forse un po’ troppo. Grossa pecca di questo lavoro è ahimè la bassa qualità di registrazione, davvero una produzione migliore avrebbe meglio portato alla luce le doti della band. Pur con questi limiti, mi sento di considerare questo LP positivo. Chi cerca le sonorità di “Re-Load” (sempre che esistano persone che ne siano in cerca), potrà trovare questa fatica addirittura divertente. Possono fare di meglio e sganciarsi magari dal lavoro e dalla forte dipendenza di altre band, sempre che lo vogliano e non si divertano già abbastanza così. Migliorabili! (Alberto Merlotti)

(Hurricane Shiva)
Voto: 65

Maninfeast - How One Becomes What One Is


Che bello l’underground, cosi pullulante di band ai più sconosciuti, pullulante di band che meriterebbero peraltro un contratto più di un qualsiasi altro gruppo, magari già affermato. Questa premessa perché la scoperta di oggi arriva dal sottobosco lusitano ed è ancora una volta sorprendente quante cose interessanti possano annidarsi là sotto. Signori e signore vi presento i Maninfeast, act proveniente dal Portogallo, formatosi poco più di un anno e mezzo fa e capace di rilasciare questo introspettivo Ep di 5 pezzi. La musica proposta? Non è cosi semplice da descrivere, complice il perfetto mix tra sonorità provenienti dai più disparati ambiti musicali. L’apertura è affidata a “Speaking Void”, song tranquillissima, quasi una lunghissima intro a cavallo tra il rock progressive e l’ambient. La successiva “Ewige Wiederkunft” mi fa immediatamente drizzare le orecchie: per quella sua apertura arabeggiante, ho forse un desiderio recondito di sentire nuovamente le sonorità dell’Ep d’esordio dei loro conterranei Moonspell. Questa mia speranza persiste per qualche minuto, in cui il quartetto di Lamego ci ipnotizza con il loro sound quasi psichedelico, per poi strozzarsi quando i nostri iniziano a premere un po’ di più il piede sull’acceleratore (in realtà mai più di tanto). Il sound dei Maninfeast si potrebbe descrivere infatti come “oniric metal”, per quella sua (già matura) capacità di catapultarci in un’altra dimensione, quasi sognante con lunghe soffuse ambientazioni, in cui esplodono saltuariamente rocciose chitarre e qualche vocals al limite del growl. La terza “Keynesian Model” è un ponte di raccordo, al limite della musica elettronica per quei suoi stordenti loop di synth (ad opera di Francisco Pina), con “Beyond Blindness”, song ancora una volta dall’incipit oscuro con le vocals di André Lobão che si alternano intelligentemente tra un mood assai sporco (quasi stile Sepultura) e uno più pulito, mentre le ritmiche viaggiano sospese tra il progressive, la musica etnica, l’ambient e il sound psichedelico ala Tool. A chiudere il Mcd ci pensa “Magic Stones”, la song più metal delle cinque (e quella che mi piace anche meno tra l’altro), in cui la voce di André adotta uno stile più alternative, mentre le ritmiche più tirate rispetto ai brani precedenti, hanno un certo flavour stoner. Concettualmente vicino alla filosofia di Friedrich Nietzsche, al pensiero del teorico di Lord John Maynard Keynes e anche al libro di Madame Blavatsky, “How One Becomes What One Is” ci mostra una nuova realtà proveniente dal Portogallo, che ci fa ben sperare per il futuro. Forti della produzione affidata a Guilhermino Martins (ThanatoSchizO), tra l’altro anche in veste di guest come tastierista nella seconda traccia, I Maninfeast rappresentano a mio avviso la new sensation dal Portogallo. Promossi a pieni voti! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70

Il Grande Scisma d'Oriente - Synesthesia


Anche l’Italia ha i suoi Opeth? Dall’ascolto di questo Mcd autoprodotto, la risposta parrebbe proprio scontata… Si. L’influenza che la band di Mikael Akerfeld e soci è ormai globale, e i romani Il Grande Scisma d’Oriente non ne sono immuni; e ciò non è assolutamente un danno per la musica, anzi, a mio avviso è un modo per far crescere un genere che sicuramente avrà molto da dire in futuro. Fatta questa premessa, è abbastanza chiara quella che sia la proposta musicale del five pieces di Roma: prendete come punto di partenza il sound degli Opeth di “Blackwater Park” con tutte le sue caratteristiche: song di lunga durata, frangenti acustici intervallati a un riffing corposo ben strutturato, l’alternanza tra growling e cleaning vocals e il gioco è fatto. Questo è quello che si evince infatti da “Synesthesia II”, mentre in “Hypnagogia II” si fa molto più forte l’influenza dei nostrani Novembre, sia nei giri di chitarra che nelle linee vocali pulite. È chiaro che la band capitolina si trovi a proprio agio con queste sonorità anche nella conclusiva “Onironauta”, connubio perfetto tra le sonorità delle due band citate sopra. Che altro dire, se non che la preparazione tecnica è più che buona, le idee ci sono ma andrebbero sfruttate decisamente meglio, cercando di non scadere talvolta nel plagio, e infine invito la formazione romana a lavorare all’insegna di una ricerca costante di una propria definita personalità perché, diciamocelo, questa band, dal nome cosi affascinante, ha senza dubbio le carte in regola per ottenere un buon successo. E allora, scrolliamoci di dosso questi fantasmi e proviamo con tutte le forza a disposizione, a cercare il proprio sound. “Synesthesia” è un discreto punto di partenza, ma come dicevano i professori a scuola, “l’alunno si impegna ma potrebbe dare molto di più”. Volere è potere! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

domenica 6 febbraio 2011

Black Infinity - 666 Metal


Arrivano dal Vietnam (Saigon), questi Black Infinity, gruppo formatosi nel 2006. Il loro lavoro posto alla nostra attenzione è “666 Metal” (già il titolo appare un po’ scontato) registrato nel 2009 per la SongNam.Il cd è composto da 11 brani e lo stile è un tipico melodic death unito a ruffianerie tipiche del gothic metal. I ragazzi promettono bene, ma a causa della loro immaturità, mostrano poche idee innovative, poiché probabilmente hanno voluto lavorare su un qualcosa di “sicuro”, senza osare nemmeno un pochino. Ci sono tipiche ballate metal unite a cavalcate più tipicamente death. Canzoni come “Intro Return For Dying” e “Lost Angels”, possono rappresentare quanto di meglio i nostri abbiano da offrire. Mostra un po’ più di interesse la traccia n° 4, “The Secret”, che offre (nell’intro) una buona unione tra la musica etnica vietnamita (o comunque i tipici suoni orientali) e il gothic metal. La song “Embracing Hearts“ è un’altra tipica metal ballad, quasi rilassante, “diciamo sentimentale”. La traccia numero 7, “When Her Love On Fire”, è invece un pezzo strumentale, con il solo pianoforte che ha il fine esclusivo di denotare la bravura del tastierista ma nulla più. Le tracce “Deathbed Illusion”, ”Celebrating Nightmare”, “God” e “Apocalyptic” (con quest’ultima a chiudere il cd), si rivelano molto violente, ben ritmate, suonate adeguatamente, ma purtroppo non mostrano le potenziali capacità che questa band potrebbe offrire, potendo sfruttare le proprie origini (cosi come hanno invece fatto altri act orientali come Chthonian o Tyrant) e alla fine per tutte le 11 tracce si finisce per percepire una sensazione di già sentito. Peccato! Come dire “Bocciati no! Ma rimandati al prossimo lavoro, sicuramente auspicando che i nostri possano miscelare maggiormente la musica estrema a quella dell’estremo oriente”. (PanDaemonAeon)

(Songnam)
Voto:60

mercoledì 2 febbraio 2011

Pornomatic - Pornomatic


Siamo sinceri, il Glam non è uno dei miei generi ma scrivendo recensioni bisogna essere obiettivi. Mettiamoci su 'sta parrucca bionda e spariamoci i Pornomatic. Premetto, ora vi racconto tutto ma preferirei sparare ai Pornomatic... Questo duo francese che canta nella propria lingua madre cerca di ricalcare i più blasonati gruppi del genere ma non arriva mai ad emularli e tanto meno a proporre qualcosa di nuovo. Le sonorità sono scontate, gli arrangiamenti pure e dopo qualche traccia posso dire che è classificabile più come Glam Pop che Rock. Ovviamente non si può dedurre se la scelta di cantare in francese sia dovuta al fatto di voler distinguersi dalla massa o perchè il vocalist non aveva voglia di cimentarsi nella lingua britannica, di fatto sottolineo che non ho valutato i testi anche se dubito che brillino di profondità e contenuti sociali. Le chitarre più che ovvie troneggiano qua e la ma risultano sempre fredde e sterili, il vocalist sarà sicuramente amato dalle fan ma quanto a doti canore manca di quell' appeal che possa regalare qualche emozione in più. Per rispetto mio e vostro non vado ad analizzare le singole tracce e tanto meno riesco a segnalarne qualcuna degna di nota. Lasciamo quindi i Pornomatic a calcare i locali d' oltralpe, vestiti di lustrini davanti a folle (spero per loro) di donne impazzite. Poca sostanza, ma penso che ne siano più che coscienti visto che calcano la scena da qualche anno e questo album omonimo è il secondo lavoro dei Pornomatic.

(Self)
Voto: 40

domenica 30 gennaio 2011

Glacial Fear - Equilibrium Part I


"Equilibrium Part I" rappresenta il ritorno di una delle band metal italiane più longeve: un EP di 4 pezzi che segue a distanza di 2 anni, il precedente “Filthy Planet”. Il sound dell’ensemble di Catanzaro continua la personale rivisitazione del proprio sound, aprendo a nuove frontiere metalliche. Il cd è aperto da “Black Mountains”, song molto vicino alle ruvide sonorità degli Slipnokt degli esordi, mantenendo quindi uno stile old school che non potrà far storcere il naso ai fan dell’act calabrese. Ritmiche sempre massicce, suoni corrosivi e talvolta arzigogolati di Meshugghiana memoria uniti al growling malvagio di Giuseppe Pascale, caratterizzano la traccia. La successiva “Technicolor Society” ha un approccio più soft, con un accenno melodico e oserei direi malinconico nelle sue linee di chitarra con un’eccellente prova da parte del batterista. L’EP non lascia tregua e scorre via veloce con la terza “Control” dove accando ai grugniti di Mr. Pascale compare anche un clean chorus, mentre la batteria continua a sferrare micidiali attacchi ai nostri padiglioni auricolari e le chitarre che si susseguono in tecnici, quanto mai disarmonici, riffs di chitarra in un funambolico esplodere di violenza. La conclusiva “New Noise” non è altro che una cover dei Refused, band sconosciuta ai frequentatori di queste pagine, ma assai famosa nel mondo hardcore, che vi potrà garantire quattro minuti e trenta di furore, headbanging sfrenato e colate di groove, dettate da un cantato che riesce arriva a sfiorare una impostazione rap/hip-hop. Non sono certo un amante di simili sonorità, quel che è certo è che i Glacial Fear ancora una volta sono in grado di stupirci con un amalgama di sonorità ruvide, psicotiche e non del tutto immediate. Attendo ora con curiosità il nuovo cd, per capire verso quali lidi i nostri possano ampliare la prossima volta i propri confini. Malsani! (Francesco Scarci)

(Do It Yourself Conspiracy)
Voto: 70