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#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale |
Da Parigi ecco arrivare i Ddent, con una proposta che in Francia vanta tra gli altri interpreti anche gli Stömb. Sto parlando di un post-metal strumentale che riesce a trovare nel corso del disco anche sfoghi doom e industrial, come la band sottolinea sul proprio sito bandcamp. E allora conosciamo un po' meglio questo quartetto formato da Louis, Marc, Nico e l'ultimo arrivato Vinz, che dal 2013 a oggi, ha già all'attivo un EP, un primo album e questo nuovo 'Toro'. Il lavoro parte decisamente in sordina con la lunga "Dans la Roseraie" (ah, i titoli sono ispirati alla poesia di Federico Garcia Lorca), che lungo i suoi quasi 13 minuti, ne spende quasi sei in sonorità post-rock/noise, prima di iniziare a carburare: è infatti verso il settimo minuto che i nostri innestano la marcia, e pestano puntando su una certa pesantezza a livello ritmico. Tuttavia, è questione di una manciata di minuti che i toni virino verso sonorità più ariose in un'epica cavalcata che tornerà però ad incupirsi nei conclusivi due minuti del pezzo. Con "Dis à la Lune qu'elle Vienne", la durata del brano si accorcia drasticamente, consentendo una maggior facilità nell'assimilazione della proposta. Si parte comunque da toni pacati, sempre in bilico tra post-rock e post-metal, in un incedere minaccioso ed oscuro. La mancanza della componente vocale è un vero peccato, in quanto la monoliticità dell'act abbinata ad un mood ipnotizzante, ne avrebbe certamente giovato. Arriviamo alla terza "Longue, Obscure et Triste Lune": qui pervade un maggior senso di malinconia, complice il raddoppiare della seconda chitarra sulla matrice ritmica, con un drappeggio di suoni che sembrano provenire da territori shoegaze che creano una suggestiva ambientazione crepuscolare, anche se poi nella seconda parte della song emerge il lato più doom (di scuola My Dying Bride aggiungerei) dell'ensemble parigino, con un rifferama che sembra addirittura emulare a tratti delle growling vocals. "Torse de Marbre" è un'altra mini maratona di oltre dieci minuti che ci riconsegna i Ddent sotto una nuova luce, quella che miscela il post-rock con influenze electro-rock e droniche in un lisergico e mellifluo avanzare che ancora una volta suggestiona la mia mente con quelle che sembrano essere lontanissime vocals poste in background. Non so se si tratti di allucinazioni uditive o di una percezione completamente distorta del sound indotto da disturbi psicotici innescati dall'ascolto di 'Toro', fatto sta che la song suona molto più completa delle altre e il mio desiderio di un cantato, viene stranamente smorzato da questi suoni alla fine estatici. Ho pensato che i Ddent quando hanno scelto il titolo della quinta "L.s Cloch.s d'ars.Nic .t la Fum:." devono essere stati in preda ai fumi, di che cosa non mi è dato saperlo, chissà infatti quale sia il significato nascosto di questo titolo. Il brano si muove su un'alternanza ritmica tra riff compressi e schiacciasassi e altri decisamente più melodici ma al contempo drammatici. È tempo di “La Pluie Emplit sa Bouche”, la sesta traccia dell'album che apre nuovamente a toni dimessi e compassati, tra ambient e drone che fanno da apripista ad un crescendo umorale che dall'anima sembra arrivare in gola, in un riffing comunque tonante e celestiale al tempo stesso. Sono questi contrasti a farmi apprezzare il disco, e ancor di più quell'accelerazione al limite del post black che si palesa per pochi istanti a poco più di due minuti dal termine del brano. Terzo e ultimo allungo del cd e arriviamo ai conclusivi dodici minuti di "Noir Taureau de Douleur", un ultimo sforzo all'insegna di un post-metal glaciale, marziale a tratti, sicuramente di grande tensione, che segna il positivo ritorno sulle scene di questi promettenti musicisti transalpini, da tenere sotto stretta sorveglianza. (Francesco Scarci)