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domenica 11 dicembre 2016

Wedingoth - Alone in the Crowd

#PER CHI AMA: Prog Rock/Gothic
Ciò che salta subito all’occhio quando si viene a contatto con questo disco, 'Alone in the Crowd', è sicuramente il suggestivo artwork, con i suoi colori sgargianti e i bei contrasti tonali. All’interno della cornice (su cui sono incise peraltro due date che non riesco ad interpretare, 1945-2012) viene rappresentato uno scorcio su di una scogliera da cui emerge un faro, che si eleva isolato in lontananza. La pittoresca veduta sembra scaturire dalla violenta tempesta che inghiotte una metà del dipinto con la sua oscurità. Pare sia proprio questa tenebra ad essere raffigurata dai francesi Wedingoth nella prima parte del loro terzo lavoro, i cui brani presentano delle liriche a tematica appunto “decadente”, in stile gothic, con uno sprazzo luminoso sul finale, in cui si assiste ad una sorta di salvazione dalla rovina iniziale. L’album, cosi come tutto il progetto Wedingoth, è opera del mastermind Steve Segarra, ufficialmente chitarrista, ma che in realtà si occupa anche della composizione di tutti i pezzi, suonando anche tutte le parti di tastiere (non poche tra l’altro) presenti nel cd. È innegabile dunque che di lavoro dietro ce ne stia parecchio, e che idee e impegno di certo non manchino al musicista transalpino, questo va riconosciuto. Il risultato che si avverte però in questo full-length lascia un po' perplessi. Attorno alla emotiva femminilità delle vocals, si articola la struttura sonora dell’ensemble di Lione, che suona un prog molto melodico e ricamato, evitando sonorità più potenti e prediligendo una certa pulizia e leggerezza. Questa trova la sua massima realizzazione nel brano "Sing The Pain", quasi completamente acustico, molto pop-eggiante, insomma, non troppo piacevole per come messa in pratica. Si avverte qualche leggero sprazzo progressive nelle tempistiche spesso articolate dei brani e qualche sonorità che in certi momenti richiama i gods Dream Theater (senza però poter osare nessun tipo di paragone), per esempio nella prima parte dell’ultima traccia “Alone in the Crowd pt.2”. Per il resto, il disco non è riuscito ad attirare particolarmente la mia attenzione, a causa di un eccessivo "piattume" di fondo: mancano infatti quegli spunti che lo renderebbero godibile ed interessante. Da apprezzare comunque il gran lavoro di Segarra, per cui sono sicuro che, trovando la giusta formula per i suoi Wedingoth, potrà realizzare presto qualcosa degno di nota. Mezzo punto in più per la grafica! (Emanuele Norum Marchesoni)

(Dooweet Records - 2016)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Wedingoth/

giovedì 4 agosto 2016

Asylum Pyre - Spirited Away

#PER CHI AMA: Power/Prog, Amaranthe
La Francia si rivela ancora una volta terra fertile per le branchie più melodiche, ormai definibili in una nuova vera e propria corrente power, con caratteristiche comuni e radicate nell’ultima decina d’anni. Questa volta la band in questione arriva dalla capitale Parigi, con il terzo full-length in studio, dopo 8 anni dall’uscita del primo demo della band. Esperienza ed evoluzione sonora portano il loro dovuto contributo e si avverte fin da subito che 'Spirited Away' presenti una marcia in più, per quanto riguarda la produzione, rispetto ai due precedenti lavori ('Natural Instinct' e 'Fifty Years Later'). La formula sviluppata dagli Asylum Pyre è la classica riscontrabile in gran parte degli esponenti del movimento francese (vedi Benighted Soul): un power melodico con l’aggiunta di elementi di provenienza diversa, dalle influenze prog agli elementi elettronici e sinfonici. La voce femminile, cristallina e pop-eggiante, è arricchita da una buonissima interpretazione da parte della cantante Chaos Heidi, sempre articolata su forti melodie a sovrastare i riff di chitarra e i tappeti di tastiere, che in certe occasioni ricordano quelli dei più navigati Amaranthe. Un pianoforte apre e chiude questo lavoro dall’intro di "Second Shadow" alla lenta dissolvenza di "Fly". Fra di esse invece troviamo le ricercatezze melodiche dell’ensemble parigino, fra la potenza della vocalist, che apprezziamo particolarmente nelle prime tracce dell’album "Only Your Soul" e "Unplug My Brain", le quali si prestano per caratteristiche anche a diventare dei buoni singoli. Successivamente incontriamo varie sfumature, dagli stacchi che sanno di prog (parte centrale di basso nella seconda traccia), alla lenta ballad "The White Room", fino a sezioni decisamente più potenti come nella più lunga e articolata "Soulbrust" o in "Shivers", nelle quali interviene anche il chitarrista Johann Cadot con le sue vocals più aggressive. Buona prova per la band d’oltralpe che mostra una naturale maturità rispetto ai precedenti lavori. Non si tratta certamente di qualcosa di eccezionale o innovativo, anzi si colloca proprio nei canoni del movimento. Certamente però rappresenta una nuova conferma del fatto che negli ultimi anni la Francia stia sfornando una notevole corrente power-melodica, destinata di certo ad evolversi ulteriormente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Massacre Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asylumpyre/

venerdì 8 luglio 2016

A Dream Of Poe - An Infinity Emerged

#PER CHI AMA: Death/Doom
Devo essere sincero: non ho ancora completamente digerito i 55 minuti di questo secondo full-length partorito dal progetto musicale A Dream Of Poe; non ho saputo probabilmente cogliere appieno quel fattore che solitamente rende l'ascolto un ascolto consapevole. Credo tuttavia che ciò non derivi solamente da un mio deficit, ma anche dall'astrusità ricercata dalla band di origini portoghesi. Ciò che si avverte subito sono le ritmiche doom: lentissime, inesorabili e strazianti, che finiscono per perdere il loro carattere e (che sia voluto o meno) disorientare il fruitore, a causa dell'eccessivo minutaggio di ogni brano che le protrae all'infinito, spesso senza avvertibili variazioni che ne alleggeriscano l'ascolto. Le liriche oscure e contorte, ispirate dalla letteratura di Poe, restano rinchiuse come in un labirinto, in cui l'ascoltatore si smarrisce, trascinato dalla stordente spirale sonora che lo avvolge. L'atmosfera cupa ed esoterica, è poi completata dalle chitarre, che salvo pochi passaggi melodici, seguono quasi sempre le linee ritmiche, rafforzando ancora di più il senso di occlusione e cieco smarrimento, proprio come il prigioniero del 'Pozzo di Poe'. Al termine dell'ascolto bisogna senza dubbio riconoscere le capacità compositive del polistrumentista Miguel Santos, la “mente” del gruppo lusitano, che pecca forse per eccessiva artificiosità in un contesto del genere, finendo per generare la labirintica spirale sonora di 'An Infinity Emerged'. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 65

https://adreamofpoe.bandcamp.com/releases

mercoledì 11 maggio 2016

Funeral - In Fields Of Pestilent Grief

REISSUE:
#PER CHI AMA: Death/Doom
Ho avuto il piacere di ascoltare una recente ristampa di 'In Fields Of Pestilent Grief', album del noto gruppo norvegese Funeral, risalente all'anno 2001. Si tratta del secondo full-length per i nordici veterani del doom metal, che negli anni hanno spaziato e sperimentato all'interno di diversi generi, perseguendo differenti strade stilistiche nel corso della loro carriera. Il disco in questione, appartiene alla fase doom melodica della band, che si era già assestata con il debut 'Tragedies'. La peculiarità di questo periodo è la presenza dietro al microfono di una voce femminile, Hanne Hukkelberg, che senza dubbio contribuisce enormemente a forgiare lo stile caratteristico dei Funeral. Voci acute e spettrali apportano infatti quel giusto tocco gotico al doom pesante dei norvegesi, che tuttavia mantiene anche ricchi passaggi e linee vocali (quasi) melodiche. Il muro sonoro creato da chitarre e basso pesantemente distorti pare infatti impenetrabile, salvo poi aprirsi in fraseggi e passaggi in cui aleggiano melodie taglienti, come nello stacco chitarristico dell'opener “Yeld To Me”, o addirittura sezioni acustiche e pulite. Fanno la loro comparsa persino degli intermezzi strumentali (la title-track e la chiusura "Epilogue"), completamente pianistico il primo, mentre nell'atto conclusivo si articolano orchestrazioni tastieristiche, che terminano l'opera con una leggera sfumatura, in un'atmosfera da brivido. Le ritmiche vengono mantenute lentissime ed inesorabili e il loro incedere straziante è ciò che origina la mesta atmosfera di decadimento e tristezza che pervade l'intero album. Questo trascinarsi di cupe emozioni è acuito anche dalle vocals acutissime e tetre, che sovrastano l'energia e la potenza dell'impianto “Funeraliano”: queste rappresentano il tocco finale, la ciliegina su quest'ottimo lavoro compositivo. Nonostante la monoliticità del genere esplicata attraverso tempi estremamente lenti possa indurre a una certa ripetitività, le notevoli abilità compositive della band fanno si che ciò non accada. Anche nelle situazioni che possono sembrare più monotone e scarne, si avverte come i Funeral riescano a garantire fantasia e varietà ad ogni passaggio, pure con estrema semplicità. Ricche variazioni sul tema sono apportate da molteplici elementi, dalle orchestrazioni cupe delle tastiere, dagli assoli melodici di chitarra, o dai fraseggi mistici ripetuti fino allo sfinimento, senza tuttavia mai annoiare. Basti ascoltare “The Stings I Carry“, in cui il tema chitarristico viene instancabilmente trascinato dall'inizio alla fine, come l'eco di un perpetuo lamento. Altro pezzo notevole è “When Lights Will Dawn” che ci dimostra appieno quanto appena detto: il suo tema onnipresente seguito dai chorus e dagli acuti della Hukkelberg, le ritmiche inesorabili, gli assoli conclusivi e quella costante atmosfera quasi epica, sospesa a metà, contribuiscono a donare una sensazione di ascensione dall'oscurità opprimente. Si tratta del brano più lungo del disco e sicuramente anche del più impegnativo e riuscito dal lato musicale-compositivo. Un brano un po' diverso dagli altri è invece la nona traccia, “Vile Are The Pains”. La definisco differente perché è l'unica dell'album a non essere cantata dalla brava Hanne, ma è eseguita interamente dal tastierista Ottersen. Al termine di questa special edition, si trovano due tracce bonus, altro non sono che le vecchie demo version dei pezzi “When Lights Will Dawn” e “The Stings I Carry”, anch'essi cantati da voce maschile in una versione alternativa davvero pregevole. Penso non serva aggiungere altro per descrivere un disco del genere, che sicuramente ha rappresentato un capitolo estremamente significativo nella storia dei Funeral, band simbolo per tutta la scena doom da vent'anni e più a questa parte. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 1 maggio 2016

Persona - Elusive Reflections

#PER CHI AMA: Power Symph
Il debut album dei Persona, band attiva dal 2012, ci arriva direttamente dalle desertiche lande della Tunisia. La terra dell'antica e splendente Cartagine non è di certo un ambiente molto battuto dalle band metal, ma anzi decisamente esotico per questa scena musicale. Per questo mi trovo a guardare (e ascoltare) questo disco con un occhio/orecchio piuttosto sorpreso. Questo esordio si apre subito come ci si aspetterebbe: atmosfere orientaleggianti vengono subito evocate grazie al sitar nell'intro e proseguono poi per tutto il pezzo con tempi e ritmiche davvero sahariane. Si nota infatti come “Somebody Else” riesca subito a calarci nella giusta atmosfera, fatta di sogni onirici e miraggi, immagini sfuggenti che ci avvolgono, magari dentro una tenda o intorno ad un fuoco, in un accampamento di Tuareg del deserto. Lo stile dei Persona si identifica come un power solido, con chitarre piene e un sound potente su una doppia cassa aggressiva e onnipresente, anche quando le ritmiche si fanno più blande. Le tastiere si ricavano ampio spazio all'interno dei brani, insistenti ma non eccessive, e vengono spesso coinvolte in sezioni strumentali e ricchi assoli, intrecciandosi con le chitarre. Un buon esempio può essere il brano "Blinded", in cui l'alternanza keys-guitars nella seconda parte del pezzo, apporta un tocco epico davvero suggestivo. A completare il quadro si aggiungono le vocals acute di Jelena Dobric, che perdurano fino alla fine sulle studiate linee melodiche (rafforzate anche da qualche sovrincisione qua e là). Unica eccezione la ritroviamo nell'interessante traccia "Monsters", in cui è presente un passaggio in growl . Brano particolare all'interno dell'album, che si distingue innanzitutto per le sue continue variazioni ritmiche e stilistiche, senza però uscire dal tema e mantenendo la sua solidità e compiutezza. Basti pensare al continuo cambio in ¾ (tanto amato dalla band tunisina) nei ritornelli, o al caratterizzante passaggio centrale che evoca sonorità desertiche ed arabeggianti, prima di passare alla sezione più aggressiva del brano, vicina a sonorità death. Altro punto di forza del pezzo l'ottimo e articolato assolo chitarristico sul finale, a sottolineare ancora una volta le buone doti tecniche dei musicisti. Il pezzo successivo, dai tempi più smorzati ,“He Kills Me More”, si apre con una forte linea di basso, che si rende protagonista fino alla conclusione. Infine, a chiudere questa prima fatica dei Persona, incontriamo la semiballad “The Sea Of Fallen Stars”, rigorosamente in ¾ ed accompagnata dal solito guitar-solo, questa volta più ricercatamente melodico. Dalle solide fondamenta di quest'album i Persona possono cominciare a modellare e rifinire il proprio stile, che per il momento si sofferma sui canoni classici del genere. Buono il livello tecnico della band, che seppur impeccabile nell'esecuzione, manca ancora di quel “guizzo” che sappia far emergere pienamente le proprie qualità. Per ora infatti, la band sembra non voler “osare” particolarmente oltre a questi orizzonti limitati, con l'unica eccezione di alcuni buoni elementi, come i passaggi e le sonorità orientaleggianti, che riescono a conferire una minima caratterizzazione al lavoro dell'ensemble tunisino.(Emanuele "Norum" Marchesoni)

martedì 23 febbraio 2016

Benighted Soul - Kenotic

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Quella che ho tra le mani è la bonus edition (2015) di 'Kenotic', pubblicato nel 2014. Secondo full-length per i sinfonici francesi Benighted Soul, già in attività dal lontano 2003, che fino ad ora avevano pubblicato diversi demo e il debut album 'Start From Scratch'. 'Kenotic', trasposizione in musica di 12 diverse “inclinazioni dello spirito”, rappresenta decisamente i migliori aspetti dell'orchestrale sottogenere metallico: arrangiamenti classicheggianti ed eccellenti orchestrazioni, cori polifonici e melodie studiate, degni degli Epica dei tempi migliori. Il tutto viene condito ad hoc da pesanti contaminazioni elettroniche e numerosi passaggi all'insegna del progressive, cosparsi lungo tutto il corso dell'album, i quali contribuiscono a forgiare il caratteristico ed unico sound della band d'oltralpe, che si è decisamente evoluto rispetto al precedente lavoro. "Halcyon Days" (trasposizione della beatitudine), apre l'album con un'eleganza superba: variazioni ritmiche e tempistiche (che poi si ripresentano in quasi tutti i brani) rendono il pezzo sempre più interessante e mai scontato. In "Too Far Gone" (l'ascesa e il declino), le tastiere cominciano a farsi sentire prepotentemente, con pesanti strings-orchestrations, synth taglienti e sezioni più electro, che si accentuano ulteriormente nella successiva "Si Se Non Noverit" (l'Illusione). Le linee vocali di Jay Gadaut, spesso inframezzate dal growl del bassista Jean-Gabriel, non stancano (quasi) mai: il modo in cui la cantante riesce ad incarnare lo spirito dei brani e a fornirne un'interpretazione davvero sentita, modellata appositamente su di essi, è qualcosa di eccezionale. Fantastico è anche il brano centrale strumentale "Enlightenment" (apoteosi), che a parer mio meriterebbe un 100 e lode anche solo per il contemporaneo/neoclassico intro pianistico. Il canone orchestrale viene portato fino alla fine, sostenuto dal graduale ingresso di tutti gli strumenti, creando un'atmosfera epico-romantica. Senza dubbio il mio brano preferito del lotto. In “The Shallow and the Deep” (tentazione), la placida dolcezza iniziale data dal leggero cantato della Gadaut viene spezzata da passaggi decisamente più aggressivi grazie all'accelerata della band, che appesantisce repentinamente il sound (the Deep appunto). La seguente "Let You Win" (perdono) invece, diventa completamente strumentale dalla metà in poi, con tastiere e chitarre che si articolano in una concatenazione continua di assoli, a sottolineare anche le qualità tecniche eccelse dei musicisti francesi. Subito dopo lo scompiglio di "Bound" (sacrificio), arriviamo alla fine con "One Last Harvest" (l'insignificanza), che rappresenta pienamente lo spirito di un azzeccato finale: i ritmi si abbassano, le vocals si intrecciano elegantemente con i cori che si adagiano su un costante tappeto di tastiere a creare la giusta atmosfera per arrivare allo sfumato finale. Nella mia bonus edition sono presenti anche due traccie finali supplementari, "Jack in the Box" e "The Acrobat", che non sono però necessarie ai fini della valutazione: anche senza di esse infatti, si può comunque constatare l'ottima riuscita di quest'ultimo album targato Benighted Soul. Bel colpo dei francesi che con quest'ultimo lavoro compiono un altro grande passo sul loro percorso artistico. Vedremo quali news ci arriveranno prossimamente dalla Lorena! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Savage Prod - 2015)
Voto: 85

giovedì 4 febbraio 2016

Sailing to Nowhere - To the Unknown

#PER CHI AMA: Power/Hard Rock
Un marinaresco monologo di violino accompagna il corso di un veliero nell'infinità dell'oceano. Le placide onde marine cominciano ad infrangersi con crescente intensità sullo scafo: sarà una notte burrascosa. Con la tempesta sopraggiungono anche i pirateschi riff di Andrea Lanzillo, chitarrista e songwriter dell gruppo, che ci introducono nel brano opener “No Dreams in My Night”. Questi 7 minuti di “notte senza sogni”, mettono subito in mostra qualità e peculiarità dei romani Sailing To Nowhere: l'aggressività conferita dall'ottimo lavoro di Lanzillo alla sei-corde e dalle cavalcate in doppia cassa di Giovanni Noè, arriva sempre a sfociare in chorus fortemente melodici, anche se spesso questi energici sprazzi di potenza vengono fin troppo sovrastati. L'impianto melodico della band rappresenta infatti (da buoni italiani), la sua caratteristica dominante, con le linee vocali di Veronica Bultrini e Marco Palazzi (rigorosamente in pulito) e cori quasi epici che rimangono fissi in testa all'ascoltatore fino alla fine dell'album. Brano che incarna alla perfezione tutto ciò è sicuramente la seconda traccia, "Big Fire", che possiede senza dubbio i chorus più orecchiabili del disco, insieme alla semi-ballad "Lovers On Planet Earth", sempre sostenuti da un sound azzeccato che riesce a metterli in risalto nella giusta misura. Molto pregevoli anche le parti di tastiere: suoni semplici ma assai azzeccati e, soprattutto, gli viene conferito il giusto spazio: non vengono limitate solamente ad “accompagnamento”, ma in diverse occasioni si fanno largo nel sound ed emergono con dei buoni passaggi strumentali (vedi per esempio nell'opener track). Questo senza comunque mai esagerare e sfociare nella monotonia, come spesso accade in questo genere, per quegli onnipresenti tappeti di archi, che, se eccessivi, portano alla noia e di conseguenza non vengono valorizzati. Fila spedita invece (dopo che le atmosfere si erano smorzate con la più lenta "Strange Dimension"), l'omonima traccia "Sailing to Nowhere", la quale sembra rappresentare lo spirito dei sei navigatori, compagni in questo viaggio senza meta, che incontra riff potenti e un drumming incalzante dall'inizio alla fine. Come ultima song, troviamo inaspettatamente una cover di una canzone pop, ovvero “Left Outside Alone” di Anastacia, riarrangiata però in chiave metal, o meglio, in chiave Sailing To Nowhere. Come da loro stessi affermato infatti, seppure si tratti di un brano che non c'entra con l'album, fa parte in qualche modo della storia del gruppo, dato che era un brano che veniva da loro utilizzato come riscaldamento in sala prove. Si conclude dunque in questo modo il primo full-length dei Sailing To Nowhere, gruppo che negli ultimi tempi sta riscuotendo un discreto successo all'interno del panorama metal italiano, grazie soprattutto alla release di questo lavoro. I “navigatori” della capitale si sono presentati al pubblico con il loro suono melodico, non sempre apprezzato dai puristi del metallo, ma che comunque rappresenta una diffusa branchia del genere. In ogni caso l'album è ben realizzato, si percepisce che è frutto di un lavoro che ha richiesto lungo tempo e grande collaborazione fra tutti i componenti (ed anche di un'ottima produzione). La prima prova per l'ensemble romano ha mostrato di che pasta sono fatti, ma aspettiamo nuove notizie dall'oceano, per osservare come evolverà il percorso stilistico di questi marinai! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bakerteam Records - 2015)
Voto: 75

martedì 8 dicembre 2015

Lachrymose – Carpe Noctum

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Nightwish, Candlemass
Una campana a morto scandisce lentamente l'incedere di una spettrale atmosfera. “Precipice Of Bliss”. La notte cala. E con la notte i Lachrymose si destano, presentandosi nella seconda traccia “False God” con un intro in pieno stile doom. Il tempo cresce e viene lasciato spazio alle lyrics. È a questo punto che veniamo colpiti dall'inaspettato cantato della vocalist Hel, con una vera e propria impostazione lirica che ricorda le vecchie vocals di Tarja nei primi Nightwish, anche se le materie sono decisamente differenti. I greci Lachrymose, in questo primo lavoro, si muovono in direzione death/doom, grazie sicuramente alle influenze apportate dai due fondatori Blackmass (guitars) e Mancer (drums), già attivi nei Rotting Flesh, prima di prendere parte nella formazione dei Lachrymose, che si completano poi con la già citata Hel e il bassista Kerk. Il disco prosegue sulla strada intrapresa già nel prologo, senza troppi sconvolgimenti e senza uscire dagli schemi. Buona la prova offerta dai nostri nel brano “My Shadow”: con i suoi 8 minuti sfora leggermente dal minutaggio medio, intro e outro sono dominati dal basso, mentre nel mezzo si articola un brano dalle cupe sfumature, sostenuto da un buon lavoro di chitarre. Piacevoli risultano anche la title-track, in cui il tempo si abbassa e il riffing incessante della sei corde ci accompagna fino alla fine, ed anche la più death oriented “In a Reverie”. Questo pezzo vede la partecipazione speciale di Thomas Vickstrom, già in forze agli svedesi Therion. La sua impostazione operistico/teatrale, impiegata nel duetto con Hel (a cui si aggiungerà poi anche il growling viscerale di Blackmass), contribuisce notevolmente alla buona riuscita di questa song, apportandovi un tocco di particolarità allo stile dei nostri. L'ultimo pezzo prima della conclusione strumentale è affidato a “Thyella”, che insieme al precedente, rappresenta uno dei brani meglio riusciti in questa prima fatica della band ellenica. Nel complesso il debut è sufficiente ma i Lachrymose potrebbero dire sicuramente di più, sfruttando al meglio le proprie peculiarità (in particolare la voce di Hel) e garantendo una maggior cura a particolari e sfumature (che fanno risaltare brani come i già citati “My Shadow” e“In a Reverie”). Questo garantirà alla band greca di non uniformarsi e non cadere nella monotonia, come purtroppo accade in alcuni passaggi di 'Carpe Noctum'. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Pure Steel Publishing - 2015)
Voto: 65

domenica 8 novembre 2015

Dogbane - When Karma Comes Calling

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
Superato il momento difficile in seguito alla scomparsa del chitarrista David Ellenbourgh (a cui è subentrato nel 2013 Jeff Rineheart), i Dogbane ritornano sulle scene con il loro secondo full length, 'When Karma Comes Calling' dedicato proprio alla memoria del loro scomparso amico. Gli statunitensi, attivi dal 2010, avevano precedentemente debuttato con l'album 'Residual Alcatraz' (2011). In questo nuovo lavoro, incontriamo le sonorità tipicamente heavy che si erano già palesate nel precedente album, facendosi qui ancora più aggressive e taglienti. Potenti riffoni di chitarra scanditi da un drumming impetuoso ma sempre precisissimo, come nell'opener “Warlord”, in cui si inserisce il graffiante cantato di Jeff Neal, che nei ritornelli viene spesso sostenuto da brevi cori. Non male il lavoro del vocalist anche se in alcuni momenti risulta forse un po' neutro: ci sarebbe bisogno di più aggressività (e magari di un aiutino da parte del mixaggio) per non perdersi nel muro di suoni generato dalle chitarre di Allred e Rinehaeart, che dicono la loro anche nei numerosi e assai pregevoli assoli disseminati in tutto l'album. Fra le poche pecche del disco vi è probabilmente quella della produzione, che seppur nel complesso garantisca un buon sound alla band, non fa risaltare al massimo la batteria, la quale appunto sembra essere un po' “piatta”, poco profonda. Discreto lavoro dunque per il gruppo americano, che come già assodato, presenta solide e potenti fondamenta, restando tuttavia sulla propria linea, senza apportare particolari innovazioni. Buona prova, ma nulla che esca dagli schemi ormai noti. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Heaven and Hell Records - 2015)
Voto: 65

https://www.facebook.com/Dogbane

venerdì 16 ottobre 2015

Tuomas Holopainen - The Life and Times of Scrooge

#PER CHI AMA: Soundtrack strumentali
'The Life And Times Of Scrooge' è la prima release da solista in casa Holopainen, ispirata dalla saga a fumetti che narra le avventure di Scrooge Mc Duck (scritta ed illustrata da Don Rosa), a cui si propone di fare da colonna sonora. Proposito pienamente realizzato, grazie alle apparentemente illimitate idee del mastermind/leader dei Nightwish, che con la collaborazione del maestro Pip Williams, danno vita ad una soundtrack che riesce a trasportare l'ascoltatore sulle fredde rive del Klondike, in cerca della tanto agognata fortuna. Orchestrazioni e cori impeccabili mettono in luce tutto il talento compositivo del musicista finlandese, che coinvolge anche un vocalist d'eccezione come Toni Kakko (Sonata Artica), il quale apporta il proprio tocco di classe alle lyrics, nonostante si tratti di un disco per lo più strumentale. Ricco di idee, ispirato ed espressivo in ogni suo pezzo, quest'album rappresenta l'ennesima conferma delle capacità di Tuomas e del suo buon momento di forma, che dopo i recenti successi con la band madre, i Nightwish, si ripresenta al pubblico con un altro pezzo da novanta. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Nuclear Blast - 2014)
Voto: 80

domenica 27 settembre 2015

Hollow Haze - Countdown to Revenge

#PER CHI AMA: Power Sinfonico
I vicentini Hollow Haze, capitanati dal chitarrista fondatore Nick Savio fin dal 2003, hanno da poco pubblicato il loro sesto album in studio, ‘Memories of an Ancient Time’, il quale sta riscuotendo un discreto successo. Tuttavia, quello di cui andiamo a parlare oggi è il precedente full-length della band, quel ‘Countdown to Revenge’, pubblicato nel 2013, che forse rappresenta il loro lavoro migliore. La formazione degli Hollow Haze del 2013 vede dietro al microfono il signor Fabio Lione, veterano della scena power italiana (Rhapsody of Fire, Vision Divine, Labyrinth), che sicuramente rappresenta una spinta in più per il gruppo veneto. Punto di forza di ‘Countdown To Revenge’ è la collaborazione anche con la Wintermoon Orchestra di Simone Giorgini, che apporta una interessante innovazione nel sound della band, amalgamando la potenza delle composizioni di Nick Savio ad azzeccate orchestrazioni sinfoniche, le quali fortunatamente non rubano mai la scena, ma vanno ad inserirsi nel sound dei nostri senza appesantirlo troppo. Lo si può percepire già dalla cavalcata iniziale “Watching in Silence”, che si presenta con un pomposo intro orchestrale fino all'ingresso della band che ci travolge con la sua accelerata, a cui partecipa anche l'orchestra che sembra non mollare mai la presa, andando a creare uno dei passaggi più belli del disco. Le atmosfere sinfoniche ci accompagnano fino alla fine del brano (e anche per tutto l'album), in cui possiamo apprezzare anche un ottimo assolo di chitarra, che mette in luce le doti tecniche di Savio. Il disco prosegue con il tipico sound power-moderno dell’ensemble veneto, sempre accompagnato dalla Wintermoon Orchestra e arricchito dalla voce del grande Fabio (che qui si è occupato anche della stesura dei testi) che ci accompagna fino all'interessante suite che dà il nome all’album, per poi concludere con la strumentale “The Gate To Nowhere” che ci riporta alla dimensione iniziale. Un altro ottimo passaggio a favore per la formazione vicentina, che con quest'album mette a segno l’ennesimo colpo per farsi largo nella scena, valorizzati peraltro dal sempre ottimo lavoro di produzione da parte di Sascha Paeth, sicuramente uno dei produttori in circolazione più in gamba in assoluto che rende questo disco uno spettacolo di suoni. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Scarlet Records - 2013)
Voto: 80

http://www.hollowhaze.com/

domenica 14 giugno 2015

Eltharia - Innocent

#PER CHI AMA: Power/Progressive, Symphony X
Arriva da Grenoble, Francia, questo quintetto di musicisti che da alle stampe il loro secondo album (il primo risale addirittura al 2004), dal titolo 'Innocent'. Dediti ad un rodatissimo mix di generi “classici”, gli Eltharia ci propongono un power/prog metal che ricalca gli standard del genere, come insegnano i maestri Symphony X su tutti. Degli statunitensi possiamo ritrovare infatti la padronanza tecnica, una gran voce, le melodie, ma forse un po' meno di potenza. 'Innocent' infatti rimane piuttosto delicato, con un buon tiro, assolutamente di classe; i cinque transalpini hanno optato durante la registrazione del disco, per l'uso della drums machine, che conferisce a tutto l'insieme quel senso di freddezza che ne penalizza ahimé il risultato finale. Piuttosto, avrei scelto un session man, ma la drum machine proprio no. Nonostante questo difetto, il disco nel complesso regge bene i suoi 56 minuti di durata, snodandosi agilmente tra 11 tracce che hanno il pregio di non annoiare mai, ma anzi di appassionare col passare degli ascolti grazie ad uno scorrere leggero, non troppo impegnativo, che cresce col tempo e finisce per valorizzare un songwriting alla fine, davvero degno di nota. Sui gusti del gruppo, in tema di artwork, avrei invece qualcosa da ridire: la copertina, a mio parere è immonda, e con il logo, poco comprensibile, devono essere assolutamente rivisti. Passando invece alle cose positive, i brani che vanno segnalati ci sono, eccome: l'opener “Third World War”, la catchy title track, la bella tosta “Faster Than the Reaper” e “Black Hole”, riescono a costruire un quadro completo di quello che il gruppo ha da proporre. In complesso, 'Innocent' è un buon lavoro, ben scritto e ben suonato, da parte di un gruppo sicuramente da tenere in considerazione e seguire, anche sulla loro pagina Facebook che sembra ben curata e aggiornata. Carissimi Eltharia, comunque bravi, ma alla prossima uscita vi aspetto curioso e fiducioso...mi raccomando, una bella copertina questa volta!!! (Claudio Catena) 

(Self - 2014) 
Voto: 75 

Loro sono gli Eltharia e si ripropongono, dopo diversi cambi di formazione (dal 2001 ad oggi), con questa seconda uscita (uscita ormai sul finire del 2014), dopo l’esordio discografico datato 2004. La veste in cui ci si presentano con questo 'Innocent', è sicuramente quella di una tecnica compositiva ed esecutiva migliorata nel tempo e consolidata con l’esperienza. Non si può certo dire che ci venga proposto qualcosa di innovativo rispetto a quelli che sono gli standard ormai assodati, anzi il sound consolidato della band richiama subito alla mente capisaldi storici, come i Kamelot. Pulizia sonora e vocale, eccezion fatta per la nona track, "Black Hole", dove compare qualche sprazzo growl ed un appesantimento generale del suono; tastiere (fin troppo) ridondanti condiscono il tutto, ma senza forzare gli schemi. A questo proposito va invece riconosciuta la pregevole interpretazione del drummer-fondatore Benjamin Nicolino, che propone una buona alternanza di tempi e fill di batteria diversificati, che ogni tanto sfociano in stacchi quasi prog, con "Sweet Madness" che si erge su tutti i brani. Altro aspetto che si può notare è l’affronto di tematiche più umane, “attuali”, abbandonando le leggende di antichi regni e spettri, protagonisti nelle liriche del precedente album, di stampo più epic e astratto. Niente da dire infine sulla produzione autonoma, eseguita in modo più che soddisfacente. La band transalpina dunque, seppur debba ancora lavorare molto, mostra con questa prova una notevole dose di entusiasmo: ci sono delle buone premesse per fare meglio in futuro! (Emanuele "Norum" Marchesoni) 

Voto: 65