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domenica 15 febbraio 2015

Forest Whispers - Magiczny Las

#PER CHI AMA: Black Metal, Burzum, Nokturnal Mortum
La scena metal polacca può vantare nomi del calibro di Behemoth, Vader, Hate, Lux Occulta e Devilish Impressions, tanto per citarne solo alcuni. Ora si arricchisce di una nuova entità, i Forest Whispers, one man band formatasi nel 2013, e fuori sul finire del 2014, con un debut album intitolato 'Magiczny Las'. La creatura di Hern suona un black old school, che andava di moda negli anni '90 e che, con una certa nostalgia, riporta in auge gloriosi temi pagani e il proprio omaggio alla natura. Niente di nuovo quindi, per un cd che ha da offrire otto tracce che possono trovare un qualche punto di contatto con i Nokturnal Mortum più seminali o i Burzum più spietati. Dopo la classica intro, ecco scatenarsi la ritmica tagliente di "Nieskończona Potęga", guidata da una melodia di fondo folk black e dalle harsh vocals del mastermind polacco. Il martellare nevrotico della prima traccia prosegue anche in "Godzina Dusz", song mid-tempo che gioca su accelerazioni black che strizzano l'occhiolino all'humppa finlandese, per trovare poi in frangenti acustici, un attimo di ristoro. Il sound è secco e il drumming molto spesso assai serrato. Ci pensano le aperture arpeggiate ("Ziemia Praojców") o i numerosi ed efficaci break acustici a smorzare la furia insita nel DNA del nostro druido polacco. La quinta traccia mi fa sobbalzare dalla sedia: si tratta infatti di una breve cover degli Ulver estratta da 'Kveldssanger', "Høyfjeldsbilde" per l'esattezza. Con la title track, il musicista polacco torna a pestare con le solite linee di chitarra acuminate, mentre "Król Przeznaczenia i śmierci" è un lungo brano assestato su tempi medi che richiama nuovamente i vecchi classici del panorama scandinavo, con i tipici riff reiterati all'infinito, sulla scia del modus operandi di Burzum. La song tuttavia ha un finale abbastanza atipico, in cui una chitarra spagnoleggiante gioca ad intrecciarsi con quella elettrica. A chiudere il disco ci pensano i synth dell'ambient "Wyzwolenie", che conferma l'amore del bravo Hern per sonorità da un po' finite nell'oblio. Discreto esordio per i Forest Whispers che, se sviluppato con maggiore personalità e minore furia sonora, potrà regalare interessanti sviluppi futuri. (Francesco Scarci)

(Taste of Winter Production - 2014)
Voto: 65

Reciprocal - New Order of the Ages

#FOR FANS OF: Technical Death Metal, Beyond Creation, Brain Drill, Decrepit Birth
One of the more politically charged Tech-Death outfits in the genre, these Hollywood bruisers offer up one of the more ferocious and complex assaults in recent years with their second release that only suffers from minute flaws. Ripping through a ravenous swarm of challenging and complexly-arranged riffs played at mind-boggling speeds with enough variance to make for another couple albums’ worth of material, the most imposing part of the band’s attack is most certainly the riff-work that comes flying fast and hard throughout here and becomes all the more imposing when meshed alongside the bass-lines and drum-work. Content to once again utilize the spindly noodling common in most recent Tech Death outfits, here it comes off as far more prominent in their attempts at utilizing deep, heavy chugging scattered along the rhythms so the more ravenous riffs get pushed to the forefront even more. Likewise, the blazing drumming and pounding fills manage to provide the necessary spark to the hard-hitting rhythms that make for such a loud, ferocious beast of a release here that does work well enough to hold off the albums’ lone aggravating flaw. While the notion to have a series of samples and speeches along the album, the fact is the ones here are just maddeningly overdone. Each and every single track here comes complete with at minimum an extra 90 seconds with the extra time devoted to extended speeches tacked on afterward, some of the longer ones here exceeding two minutes of time and really driving up the time here doing this one each and every track. In truth, this should be a 45-50 minute album rather than the 70 it actually comes out to be which gives you some kind of idea about the overlong duration of some of the excess spoken words featured here. Intro ‘New American Century’ sets things in motion quite well with blazing riffing, dizzying rhythms and absolutely blasting full-throttle drumming that displays a vast proficiency at utilizing those complex riffs within a dynamic and devastating framework to become one of the album highlights. ‘Esoteric Agenda’ isn’t quite as breakneck in terms of speed but certainly matches that in terms of pure unbridled rage and ferocity of attack with some of the best drumming found on the entire release, while ‘Profit Before Protocol’ also manages to get plenty of dynamic and furious breakdowns that recall an attack more in common with the recent Deathcore scene than the Technical Death featured elsewhere on here. ‘Guilty Until Proven Innocent’ continues more in league with the first track here with more of those ravenous tempos, dizzying changes and a relentless charge generated through complex riffs and challenging arrangements to make for another stand-out effort. ‘Illuminati’ is even more dynamic and vicious in regards to unloading it’s whirlwind of riffing, blasting drumming and chugging bass-lines into a thunderous, crushing effort that’s one of the albums’ best, much like the title track which best fuses each of the bands’ styles here with dazzling technical whirlwinds sweeping and bombing through the rhythms while being offset nicely by the deep, heavy chugging rhythms featured throughout. The overwrought ‘Saintan’ uses more spindly bass-weaving and slow, droning patterns amid drawn-out chugging that tends to drag out the pacing quite a bit for what is best skipped over in terms of how enjoyable the others are against this one. Thankfully, ‘Mystery, Babylon the Great, Mother of All Harlots and Abominations of the Earth’ gets things back on track with dynamic riffing, a thunderous drumming charge that allows for plenty of firepower alongside the dexterous rhythm changes to allow for a pretty enjoyable effort. ‘Tyrannicide’ offers one of their most deliriously enjoyable riffs swirling through a rather furious series of rhythm changes and rhythm shifts with the odd drum-machine blast furiously charging through the intense rhythms, producing one of their most dynamic entries as ‘Oblivion’ continues blasting through the tight, swirling riffs blazing with plenty of thunderous riffs, charging drumming and wholesale series of scorching riff-work augmented by the first real melodic interjections in the album which definitely proves the band has more in their arsenal than they let on which is quite pleasing overall. Lastly, the instrumental ‘RIP (Memento Mori)’ uses a light piano intro before kicing into high gear by running through a vast majority of the riffs and variations found elsewhere within this, effectively being a fine sampler of what to expect here but definitely ending this on a whimper without the original material. Still, beyond the incessant need for the sampler speeches here this would’ve really been something special. (Don Anelli)

(Self - 2013)
Score: 80

sabato 14 febbraio 2015

Kubark - Obedience

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock, A Perfect Circle, A Swarm of the Sun
Sono un fan dei Kubark e non lo nascondo, ciò non toglie però che non possa muovere delle critiche alla band nostrana. Sono rimasto infatti un po' deluso per la minimalista cover cd che ritrare la band in una spettrale fotografia in bianco e nero, e per un riduttivo booklet interno con i testi delle canzoni. Che diavolo, tanto mi aveva entusiasmato il precedente EP, dalla coloratissima copertina dai risvolti urbani, che questo 'Obedience' mi ha lasciato un po' di amarezza in bocca. Per carità, i contenuti del dischetto (7 le tracce qui comprese) potranno farmi anche travalicare le mie considerazioni puramente estetiche. E allora passiamo all'ascolto attento delle song incluse in 'Obedience', tracce tutte assestate sui 3-5 minuti, tanto da far arrivare il cd alla mezz'ora scarsa di musica (altra critica, non me ne vogliate ragazzi). Il disco apre con "Phantom" e la sua rabbiosa carica elettrica che viene stemperata quasi immediatamente da una ritmica soffusa, in cui il basso di Enrico Crippa assurge a ruolo di assoluto protagonista, mentre pian piano crescono gli altri strumenti fino all'arrembante finale. Con "Bleach" vengo catturato dal sensualissimo carisma vocale di Andrea Nulla, una delle voci che più prediligo nel panorama italiano e che potrebbe tranquillamente prestare la sua voce a qualche band più blasonata d'oltreoceano. La song è lenta e suadente, dotata comunque di un'umoralità mutevole che si palesa in una nervosa sezione ritmica curata dal drumming sempre preciso di Federico J. Merli e dalla sei corde di Elia Mariani. Rumori più o meno indefiniti aprono "Blind Games", mi sembra quasi di essere in una qualche torneria di provincia. La musica qui è meditativa, intimista, contraddistinta da una profonda malinconia di fondo, valorizzata dalla performance vocale del sempre bravo Andrea. "Find the Cost of Freedom" è la traccia più lunga del disco ma anche quella che maggiormente si perde in un prolisso ed onirico prologo ambient. Finalmente la traccia decolla e il dualismo chitarra/basso raggiunge il suo apice nelle note di questa song, con i suoni dei due strumenti che sembrano accarezzarsi avvicendevolmente. Eccolo il brivido che andavo cercando, quell'emozione che scaldasse il mio cuore, la song straziante (anche nei suoi brevissimi contenuti lirici), la song perfetta. "Song of May" appartiene a quelle tracce che fanno l'occhiolino tanto alle band statunitensi (A Perfect Circle) quanto a quelle nord europee (A Swarm of the Sun, The Isolation Process) dove il genere sta dilagando a macchia d'olio: l'animosità del brano mostra una certa irrequietezza di fondo dimostrata anche dai vocalizzi più incazzati di Andrea. "Obedience Class" è un altro bel pezzo mid tempo che sfocia nel finale in un post metal di "isisiana" memoria, e mostra un peculiare fascino che potrebbe aprire le porte a una internazionalizzazione della band italica. Chiude il cd una interlocutoria "Shut You Down", una song che poteva essere sviluppata in altro modo e che alla fine mi lascia frustrato e infelice, perché avrei gradito un altro paio di brani che potessero finalmente placare la mia irrequieta esistenza. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Kubark

giovedì 12 febbraio 2015

She Hunts Koalas - E.P.1

#PER CHI AMA: Post-Rock/Alternative, Tool, Lingua
Da una band che si chiama She Hunts Koalas che genere di musica vi aspettereste? Mah, di primo acchito mi attenderei un qualcosa di irriverente o comunque fuori dall'ordinario. Mai però avrei pensato di sbagliarmi cosi tanto nella mia prima impressione. Il quartetto di Tolosa suona infatti uno stoner post-rock e questo 'EP 1' ne costituisce il loro debutto. Il dischetto (in un elegante digipack) si apre con il noise di "Heathen Faith" che lentamente cresce a livello ritmico con delle robuste chitarre e delle alternative vocals. L'incedere è ipnotico, ma un po' troppo statico per esaltarmi. Passo alla successiva "In the Breeze Again", che esordisce con un sognante basso e con vocals dal forte sapore shoegaze. L'atmosfera è di certo sognante, ma nello spirito dei nostri baldi giovani, convivono un'anima sensuale che si riflette in una gamma delicata di suoni, e una più dannata, che sfocia in roboanti strappi elettrici, che comunque ben si amalgama con la precedente, come un uomo e una donna che fanno l'amore. "Owls on the Road" è l'ultimo pezzo di questo mini cd di poco più di 17 minuti di musica. Il lungo incipit prepara all'acida ritmica sorretta dal drumming di Julien Aoufi e alle chitarre del duo formato da Alex Gavalda e Nathan Benichou, mentre la voce di François Cayla potrebbe ricordare quella dei nostrani Kubark. Il sound si irrobustisce, anche se un break centrale strizza l'occhiolino contemporaneamente ai Tool e agli ahimè disciolti Lingua. Il finale è un trip psichedelico lungo poco più di un minuto che ci consegna una nuova band da tenere sotto stretta sorveglianza. Ora mi interesserebbe solo sapere il perché di She Hunts Koalas... (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 65

Firefrost - Inner Paradox

#PER CHI AMA: Epic Black Metal, Windir
Da un po' di tempo mi pongo questa domanda: perché la maggior parte delle one man band suona black metal? Non credo che sia cosi semplice infatti mettere in pista un progetto musicale che possa dire qualcosa, ed essere gestito da una sola persona. Questo per introdurre i Firefrost, act transalpino in mano appunto ad un solo losco figuro, che ci inocula un black metal dalle venature epiche. Aiutato alle chitarre da Chris in Lust e alle clean vocals da Gaëtan Fargot (ma solo in un paio di pezzi), il mastermind bretone ci propina otto tracce all'insegna di un sound furente che solo a tratti riesce a essere mitigato nella sua veemenza, da frangenti acustici o da miti vocalizzi. Musicalmente i nostri non aggiungono grandi novità ad un genere che ormai da parecchio tempo tende ad autoreferenziarsi. Si tratta di suoni brutali assestati su un mid-tempo classico, con brani che non soffrono di durata eccessiva. "Languid Day" ha un'epica melodia di sottofondo, che mi rimanda ai Windir, e che stempera il ferale screaming del musicista francese. L'atmosfera che si respira nelle song è spesso lugubre: in "Black Wave" ad esempio, il pulsare del basso crea una certa animosità che genera inequivocabilmente uno stato d'ansia, amplificato peraltro da una ritmica serrata. In mezzo ai brani, a spezzarne l'incedere estremo, si collocano sovente dei break che mirano a rendere più varia la proposta del combo francese. "Remaining Wraith" apre con una semplice chitarra acustica, prima di cedere il passo a una song dalle sfumature folk, nella vena dei norvegesi Einherjer. Questo tipo di approccio ritornerà anche nelle song successive (tipo nella splendida "Dark Light" e quel suo macabro finale), sebbene la proposta musicale dei Firefrost sia più estrema rispetto a quella dei ben più famosi colleghi scandinavi. Talvolta questo loro estremismo rischia di rendere poco intellegibile il flusso sonoro, sfociando nel caos totale (ascoltate la malvagia "Endless Journey"). Un ferino intermezzo strumentale ci apre le porte infernali della lunga e conclusiva "Emphasium". Probabilmente la song più tranquilla del lotto ma anche quella più inquietante per quelle sue clean vocals d'oltretomba che preparano all'apocalittico finale. I Firefrost, sebbene possano risultare ancora un po' acerbi, hanno tutte le potenzialità per offrirci la loro personale visione di black metal. (Francesco Scarci)

(Black Metal Breton - 2015)
Voto: 65

mercoledì 11 febbraio 2015

The Great Northern X - Coven

#PER CHI AMA: Indie/Folk/Rock
Come anticipato nella recensione dei Rosario di qualche settimana fa, la zona di Montagnana (PD) dimostra la sua vitalità con un'altra band prodotta dalla In the Bottle Records. Questa volta parliamo dei THE GREAT NORTHERN X (TGNX), quartetto che nasce nel 2009 dalla fusione degli Art of Wind (progetto solista di Marco Degli Esposti) e Flap (trio strumentale post-rock). La band veneta è alla seconda fatica e rimane fedele al suo sound post folk, sospeso tra sonorità pop e rock con quell'atmosfera che qualche anno fa qualcuno avrebbe definito indie. La qualità audio dell'album è buona e adatta al genere, qui suoni moderni o super compressi non troverebbero spazio e farebbero a pugni con il sound semplice e spontaneo dell'ensemble patavino. Il vocalist ha un timbro che ricorda il cantante dei The Connels, band famosa negli anni novanta per il singolo "'74, '75". Una timbrica molto particolare che risulta facilmente riconoscibile tra tante e può essere quindi un valore aggiunto. L'album apre con "Skunk", brano caratterizzato da riff di chitarra e ritmica incalzante, tenuti insieme dal cantato che si posa sopra leggero e aggraziato, quasi a smussare le note graffianti degli strumenti. Tre minuti scarsi per concentrare il più possibile le sensazioni ed evitare di disperderle in una brano più lungo che avrebbe richiesto l'introduzione di altri arrangiamenti. "Machine Gun Stars" è una suadente ballata, dove le sonorità post rock hanno maggior voce in capitolo, i riff si arricchiscono di riverbero/delay che regalano spazialità, respiro e una nota nostalgica. Il brano è di per sé ben strutturato, nei quasi sei minuti si alternano varie strutture, anche se il fraseggio principale richiama alla memoria melodia già sentite. Comunque poco male, l'atmosfera tiene unito il tutto, rendendo piacevole ogni battuta. "Dead Caravan" cambia le carte in tavola e si veste con un sontuoso abito rock finemente rifinito di cattiveria e rabbia. Le chitarre trascinano la band, iniettando adrenalina nelle vene della sezione ritmica che coglie l'occasione per togliersi un po' di polvere da dosso. Il basso diventa pulsante e la batteria scandisce ossessivamente il tempo, spingendo anche il cantato ad adattarsi e sporcarsi le corde vocali. Un breve assolo dissonante aumenta la sensazione di ansia che pervade il brano. Bravi i nostri TGNX, se l'album avesse seguito più il filo conduttore di quest'ultima song, avrebbe fatto breccia anche nei cuori dei rockettari che di solito snobbano contaminazioni folk e post-qualcosa. Ma poi dopo tutto, ha davvero importanza? (Michele Montanari)

(In the Bottle Records - 2014)
Voto: 70

Shabda - Tummo

#PER CHI AMA: Drone/Ambient 
In attesa di ascoltare il loro nuovo lavoro schedulato per il 2015, entrate con me in un’alcova in cui si dipanano tensioni sonore diffratte, difficili da riprodurre. Signori, ecco gli Shabda, side project dei T/M/K e il loro ultimo lavoro, 'Tummo'. Inoltriamoci quindi nell'ascolto della prima song, “Kamakhyra”, che semina petali metallici nell'esordio strumentale. Seguiamoli e prepariamoci a venire involti nell'intermittenza di sonorità fatte di acciaio e acuti melodici contorti, lunatici, mescolati a suadenze musicali che presto vengono trafitte da nuovi aculei ruggenti, vendicativi, sino a trasformare il brano in un tripudio dantesco, in cui le bolge dei dannati sarebbero balsamo alle distorsioni che aggrediscono anima e timpani. Il prologo di questo brano rinnega l’epilogo. Di certo questi artisti abbisognano di sublimare rabbia e bipolarità inconsapevoli. Veniamo a “619-626 kz”. Lasciatemi fuggire da questo esordio diabolico, in cui le voci infernali si mescolano ad un sussurrare inquietante e l’attesa fa chiudere porte a chiave, senza poter sfuggire alla falce del destino. Vorrei assecondare il descrivere la musica, ma il terrore vince la cinetica dell’ispirazione ed ancora il respiro vien spinto indietro e l’ossigeno sa di rarefazione. Il brano improvvisamente assume connotazioni di rock metallico e le atmosfere, da lugubri, trasudano post rock strumentale che gocciola di tinnuoli orientali. Niente male l’epilogo che fa risorgere l’anima dalle mere grotte infernali. Le sonorità ripetute divengono graffi incostanti per timpani che abbisognano di un viatico chimico ad una serata uggiosa. La densità strumentale risulta stucchevole ed ostentata. Non mi resta che progredire alla prossima song. Come un naufrago sperduto, tra musiche che confondono pensieri e coscienza, approdo sugli scogli di “Aurora Consurgens”. Impongo il silenzio ai sensi. Assegno al solo udito il compito di portare ai neuroni il percepito. Sento ululare anime indomite in cerca di domatori. Sento un vento che polarizza i pensieri. Le cariche elettriche sguaiate si disperdono tra i neuroni. I virtuosismi elettronici divengono apicali. I suoni distorti, sfidano le melodie. Il vortice delle vibrazioni, fa tremare la carne. Riemergo da questo ascolto. Sopita. Alienata. Ebbra di distorsioni. Senza parole. Vi lascio un consiglio. Ascoltate gli Shabda solo se siete prossimi alla felicità o sul baratro che non contempla il passo indietro. (Silvia Comencini)

(Argonauta Records - 2014)
Voto: 65

Celestial Immunity - Beyond Oblivion

#PER CHI AMA: Death melodico
Non so dirvi neanche io come mai, ma i dischi che iniziano con i bei mid-tempo dilatati e “caciaroni” mi hanno sempre affascinato; forse perché da un disco metal ti aspetti che parta a mille dandoti una bella mazzata tra capo e collo, facendoti esclamare “che botta!!”. Invece, un bel mid-tempo ti fa immergere nell'ascolto poco a poco, dandoti il tempo di abituarti al suono entrando nell'atmosfera che i gruppi vogliono creare. Questo è il caso di questo bel gruppo greco, i Celestial Immunity, che presentano il loro CD in una confezione di tutto rispetto, con l'artwork che mi ricorda lavori di gruppi ben più blasonati, tutti i testi e, grazie a Dio, ben leggibili!! Il quintetto ellenico non ci mette molto a dimostrarsi in tutta la loro forza, conquistando l'ascoltatore già dal primo ascolto con un lavoro che trovo veramente molto valido; i motivi stanno tutti nelle qualità espresse nelle varie composizioni, 9 per la precisione, che si snodano attraverso 37 minuti di infuocato metal difficilmente etichettabile. Si passa dal doom con influenze prog (ho sentito qualche richiamo ad Isis e Tool) della iniziale title track, alle sfuriate death di “Spit the Death” e “Hatred”, passando per la strumentale “Starless Horizon” (bellissimo il solo di chitarra), andando a toccare territori thrash nei riff di “Suicidal Generation”. Varietà, qualità e capacità tecniche creano un mix notevole, che appaga non c'è che dire, l'orecchio; assolutamente di valore la produzione ed il lavoro del sound engineering, capace di valorizzare i 5 ragazzi, che gli strumenti li sanno suonare molto bene. Un disco da ascoltare e riascoltare, che pur non raggiungendo vette d'eccellenza immani, fa il suo dovere e lo fa per bene; nessun calo di tensione, zero canzoni riempitivo, davvero un bel lavoro. Unico neo, se proprio lo si vuole trovare, è quello che riguarda il genere proposto: vedo il settore abbastanza “ingolfato” e quindi con pochi sbocchi, ma se la qualità conta ancora qualcosa in musica, allora i Celestial Immunity sono in pole position per un posto nel metal che conta. Bravissimi. (Claudio Catena)

(Self - 2014)
Voto: 80