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mercoledì 24 aprile 2019

Trevor and the Wolves - Road to Nowhere

#PER CHI AMA: Hard Rock, AC/DC
Nel primo album solista pubblicato dalla catarrosissima voce solista dei genovesi Sadist, rileverete fin da subito un'attitudine elettivamente e ostentatamente wild, pronta a riflettersi innanzitutto nella copertina, qualcosa a metà tra il vicino scorbutico di Dinamite Bla e un Rufus Ruffcut post Wacky Race e, subito dopo, nella ruvidità lignea e immediata dei suoni (chitarra, batteria, riuscite forse a non battere il piede per terra? Sì? Sul serio?) in modi non dissimili da cert'altri celeberrimi boscaioli a corrente alternata/diretta e provenienti dai famigerati antipodi. Riff asciutti, batteria metronomica: l'AB/CD del sound AC/DC omaggiato nella iniziale "From Hell to Heaven Ice" si propaga in realtà per tutto l'album, soltanto saltuariamente (e timidamente) virante verso sensazioni vagamente spacy (il blue-oyster chitarrismo percepibile in "Burn at Sunshine"), o NWOBHorrorM (una fuggevole capatina nel confortevole death metal sound della casa, è gentilmente offerto in "Bath Number 666"), oppure "motörheadeliche" (in "Wings of Fire" e "Lake Sleeping Dragon" ad esempio) o infine hardfolk/ancorapiùhardblues (nel violino scorticato di "Red Beer" o nella kilmister-sadness-blues "Roadside Motel"). Devozione, professionalità e un songwriting indubitabilmente ebanistico. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2018)
Voto: 65

https://www.facebook.com/brutaltrevor%20/

martedì 3 aprile 2018

Roommates - Fake

#PER CHI AMA: Post Grunge/Hard Rock
Un southern voluminoso ma ispido, senz'altro devoto studioso di storia antica (Lynyrd Skynyrd, qualcuno si ricorda ancora gli Atlanta Rhythm Section?), sì, ma analogamente prossimo al più recente nichilismo alcaloide germinato in quel di Seattle nel primo lustro dei novanta (ritroverete la disperata profondità di suono degli ultimi Alice in Chains di Staley nelle due canzoni che aprono l'EP, "Light" e "Blow Away"; quando parte "Fakin' Good Manners" non riuscirete a non canticchiarci sopra "Nothingman" dei Pearl Jam) ma anche a un certo highway-punk americano metà ottanta ("Black Man Guardian") e a cert'altro sofficissimo e confortevolissimo face-between-your-tits-rock ("Empty Love"). Osserverete che la copertina unisce (neanche troppo) curiosamente un'estetica biker-rock a un logo eminentemente death metal. Chissà poi perché! (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RoommatesRock

martedì 24 ottobre 2017

Mesembria Magog - MK Ultra

#PER CHI AMA: Cyber Electro Punk
Il noise otto bit che introduce la schitarronante "Against Everything" si propaga freaticamente nel sottosuolo della canzone attraverso il plin-plin di pianoforte che di tanto in tanto emerge a inumidire i testicoli, (s)confortato da estemporanei innesti goth che esprimono un spleen tipo Pacman acchiappato dal fantasma. Ulteriormente teutoniche la successiva "Hey Baby", una sorta di Rammstein-fronted-by-Falco-Hölzel introdotta da un tiro di batteria foneticamente lars-ulrichese, e "Jump It", una specie di Midge Ure sbronzo all'Oktoberfest di Monaco che fa l'imitazione di un Trent Reznor sbronzo al Canstaetter di Stoccarda che fa l'imitazione dei Gravity Kills sobri bloccati alla frontiera con la Svizzera. La cover truzzo-synthpop di "Rebel Yell" di Billy Idol in chiusura è senz'altro pregevole per fattura e persino un tantino spericolata, perlomeno negli intenti, ché a pompare un pezzo come "Rebel Yell" poi è facile che inavvertitamente salti tutto per aria. Non che sia per forza un male, beninteso. (Alberto Calorosi)

(Nadir Music - 2017)
Voto: 65

https://www.facebook.com/MesembriaMagog/

mercoledì 21 giugno 2017

Alchimia - Musa

#PER CHI AMA: Gothic/Doom, Novembre
La scena italica si arricchisce di un'altra vibrante realtà, gli Alchimia, che per vena artistica gothic dark doom, potrebbe accostarsi a Novembre, Plateau Sigma e Artic Plateau. Tralasciando che tra i numerosi ospiti che popolano questo disco ci siano proprio membri di alcune di queste band, appare lampante, sin dall'incipit "Orizzonte", quanto abbiano inciso proprio le influenze dei Novembre nell'architettura musicale dell'act campano. Emanuele Tito, il mastermind che sta dietro agli Alchimia, deve aver amato alla follia album come 'Novembrine Waltz' e 'Materia' e come dargli torto d'altro canto. Si tratta di dischi che penso di aver consumato a suo tempo e che ora sento riecheggiare nei solchi di questo album. Sebbene l'essenza derivativa, 'Musa' è un lavoro che francamente mi piace parecchio, mi permette di chiudere gli occhi e lasciarmi trascinare da sonorità delicate, suadenti, avvolgenti e tremendamente calde, coadiuvate dalla bella voce di Emanuele, una sorta di Carmelo Orlando in versione quasi costantemente pulita. E cosi il flusso malinconico percorre brani assai riusciti come "Lost" o "My Own Sea", con altri in cui lo strizzare l'occhiolino ai Novembre diviene quasi scopiazzamento e penso a tal proposito al chorus di "Exsurge et Vive (Alchemical Door)" che richiama palesemente 'Everasia' del già citato 'Novembrine Waltz' o il break acustico+voce di "My Own Sea" che ricorda non so quale altra canzone dell'infinita discografia della band romana. Poco importa, non so qui a fare il processo alla band, ma semplicemente a riportare pregi e difetti di una release che vede comunque interessantissimi picchi: la flamencheggiante “Whisper Of The Land” è una breve traccia che introduce a quella che è forse la song più bella del disco, "Waltz of the Sea", una song che miscela il sapore folklorico della tradizione partenopea con suoni tipicamente mediterranei, in una trama musicale soffusa e assai melodica. In "Leaves" ecco apparire i vocalizzi growl del cantante, e qualche riffone più death doom oriented, retaggio non ancora dissoluto del passato del musicista sorrentino che comunque trova modo di imbastire anche qui melodici break acustici, vero punto di forza di 'Musa'. Un altro pezzo interlocutorio e arriviamo alle conclusive "The Fallen One" e "Assenza (Memory)". La prima forse è il pezzo meno riuscito del disco, anche se la sua chitarra spettrale incunea il suo riff nella mia testa. L'ultimo brano invece mostra il bel basso di Fabio Fraschini in sottofondo con tutto l'armamentario ritmico completato da Gianluca Divirgilio alla chitarra e David Folchitto dietro alle pelli a congedarsi con l'ultima avvincente melodia di questo interessantissimo album ispirante, 'Musa' appunto. Bravi, ma ora cerchiamo di affrancarci dai grandi classici. (Francesco Scarci)

(Buil2Kill Records/Nadir Music - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/alchimia0/

martedì 16 settembre 2014

Geminy - The Prophecy

#PER CHI AMA: Heavy Power, Labyrinth 
Primo lavoro per i genovesi Geminy, in attività dal 2006, che dopo due demo (uno del 2007 - 'The Hidden Door' - e uno del 2010 - 'The King of Gorm') approdano sul mercato con questo 'The Prophecy'. Concept album per i nostri incentrato su un mondo ambientato nel medioevo, con re, foreste, spiriti malvagi, prigionieri, templi e profezie. Il disco, uscito nel dicembre 2012, si apre con la strumentale "Into the Prophecy", dove si può da subito notare l'impronta power-progressive data dalla band. Già con la seconda traccia, "Nordic Sea", si può osservare l'affinità con un'altra band power melodic italiana: i Labyrinth. Il cantato in inglese, con la voce di Francesco Filippone, pulita e tendente all'acuto, bilancia un sound che altrimenti diventerebbe pesante da ascoltare. "Trinity Necklace" ha un'anima più orientata al versante folk, con qualche sprazzo dal ritmo intensificato, ma che poi rientra sui soliti binari, rasentando però il già sentito. Piccola gemma musicale dell'opera è "Abyss" brano “vestito” di una certa cupezza grazie al dualismo pianoforte/chitarre che ne prolungano le note con lunghi assoli. La sveglia arriva con "Empty Streets", puro power con inserti di pianoforte. Arriviamo alla melodia di "Mind Control" dopo una serie di interludi strumentali e mi sale all'orecchio un po' di aria fresca: si cambia musica, con le keys che imitano un carillon e un velato alone di mistero e paura mi avvinghia l'anima, ma purtroppo è una sensazione che dura poco. Poi ancora qualche assolo di chitarra, acuti vocali e quanto già finora s'era sentito. Quest'album vanta due ospiti d'eccezione: Roberto Tiranti dei Labyrinth/Mangala Vallis, vocalist principale della canzone "My Fellow Prisoner", song basata più su un tappeto tastieristico che sulle chitarre. Il secondo ospite è Tommy Talamanca dei Sadist/The Famili, di cui non si può non notare la sua impronta death in "Evil Eye", traccia che riflette la sana grinta del musicista ligure. Con la title track si giunge alla fine del disco, ma non prima di spezzarla in quattro parti (dura 11 minuti), che variano dalle note meste di pianoforte a quelle power, vero trademark dei nostri, per poi tornare a chiudere il tutto con un prolisso assolo di chitarra e note di piano. In conclusione: 'The Prophecy' è il primo lavoro ancora acerbo dei nostrani Geminy, per cui mi sento di dare il mio consiglio personale: aggiungere un po' di sano growl alle vocals, il che renderebbe il tutto più vario e interessante da ascoltare. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music - 2012) 
Voto: 60 

giovedì 1 agosto 2013

Aeternal Seprium - Against Oblivion's Shade

#PER CHI AMA: Heavy Power, Iron Maiden, Domine
Formatisi nel lontano 1999 a Contado del Seprio (Varese) con il nome Black Shadows, nel corso degli anni i nostri hanno modificato la line-up, mantenendo 3 dei membri fondatori (Leonardo Filace, Matteo Tommasini e Santo Talarico) e accogliendo, 3 anni dopo, il cantante Stefano Silvestrini. Nel 2007 l'act lombardo registra il primo demo, ”A Whisper From Shadows” con il nome Aeternal Seprium, nel frattempo entra un secondo chitarrista arrivando alla formazione odierna. Nel 2009 esce un altro demo ”The Divine Breath of Our Land”, e nel 2011 finalmente esce il primo e vero album, che mi accingo ad esplorare. Si parte con ”The Man Among Two Worlds” e “Vanaglory” di chiaro stampo "iron-maidiano”: vigorosa, ritmata, cantata con tutta l'energia che si ha in corpo. I testi sono sia in inglese che in italiano. Degni di nota sono gli acuti, più e meno prolungati, che conferiscono, in una, una nota di heavy metal più puro; nella seconda, è da ricordare il lungo e magistrale assolo di chitarra verso il terzo minuto. “Sailing Like the Gods of the Sea” si avvicina più al thrash, ma senza mai dimenticare l'influenza di Bruce Dickinson & soci: a volte la portanza vocale è talmente ricca e ingente, che mette la pelle d'oca a sentirla. “Soliloquy of the Sentenced” placa gli animi e diventa più modulata, epica: la batteria suonata con furore, le chitarre accordate più basse offrono toni smorzati che rendono una sensazione più composta. “In Sign of Brenno” a tratti ricorda i primi Metallica, ma sono più che altro piccoli lampi, anziché una vera e propria ispirazione. “Victimula's Stone” si avvale di un bel chorus che dà un maggiore impatto e un'aria più dinamica al tutto. “Solstice of Burning Souls”, alle prime note, sembrerebbe indirizzata verso una melodia più morbida, ma dopo quasi un minuto tutto torna come sempre. Da evidenziare soprattutto la preponderanza della chitarra messa a frutto: fa venire la pelle d'oca. Dicevamo delle parti cantate in italiano: è il caso di “L'Eresiarca”, ballad scritta e cantata nella lingua tricolore. Oserei pure ricordare un che di Marlene Kuntz in questa cantica proprio per il suo stile vocale. Piccole venature medievali si possono cogliere nel corpo di “The Oak and the Cross” e “Under the Flag of Seprium”, un omaggio alla loro terra natia. Si chiude questo mistico viaggio in terre e mondi lontani, pieni di battaglie e cavalieri: una pubblicazione prorompente e vigorosa che ti carica e ti porta ad affrontare meglio una lunga giornata nel segno del metal. (Samantha Pigozzo)

giovedì 9 agosto 2012

Morgana - Rose of Jericho

#PER CHI AMA: Heavy Metal
Terzo album di questa artista italiana, e, come menzionato da più parti, "Rose of Jericho" viene indicato come il suo miglior album. Avendo un background heavy metal, mi sarei aspettata un lavoro sullo stile Nightwish (i “nuovi” Nightwish, perché dubito sinceramente che un altro connubio lirica-melodic metal di Tarja Turunen possa riformarsi): invece l’album pecca di emozioni, di incisività. Tutte le canzoni sono musicate da Tommy Talamanca dei Sadist, tra cui spicca anche una cover di “Bang Bang” di Sonny Bono. Il sound che ne deriva è puro e semplice heavy metal, quasi come se fossimo tornati indietro nel tempo: la cosa che secondo me un po’ stona è proprio il tono di voce, troppo tirato verso il basso e con poche sfumature (come ci si aspetterebbe invece da una voce femminile, capace di giocare con i bassi e gli acuti). Per il resto, il lavoro si rivela tedioso e abbastanza ripetitivo: oserei dire anche superficiale, senza carattere. Da notare "Golden Hours", che sembra creata intorno alla voce e la sottolinea maggiormente, ma con gli strumenti costantemente tenuti leggeri. In "Lady Winter" qualcosa sembra cambiare, ma è solo una mera impressione: sebbene l’inizio sia più tosto del solito, tutto sfuma non appena il canto ha inizio. Solo verso metà si sente un po’ di cattiveria emergere, ma è tanto rinchiusa nel tono di voce troppo spesso tenuta a freno. "610" e "I Will not Turn Back" probabilmente sono le canzoni da cui traspare più malinconia rispetto alle altre tracce, visto che il suono si affida a lunghi assoli di chitarra elettrica nella prima, e note di pianoforte nella seconda. La già citata cover di "Bang Bang" è buona, anche se sembra più parlata: mi sarei aspettata una voce più suadente, capace di entrarti dentro, anziché una versione semi urlata. Propongo di provare a registrarne una versione più sensuale, magari aiutandosi con del buon vino rosso che riscalda il corpo e l'anima. "… And Kickin" è l’unico brano strumentale, in cui emerge la chitarra elettrica (con mille sfumature diverse, mentre la mano sinistra scivola arrivando agli estremi) e la batteria la segue a ruota: si direbbe quasi una delle migliori di tutto l’album. Tutto si conclude con una versione acustica di "Lady Winter". Finalmente ho capito che cosa riuscirebbe a darle un minimo di notorietà in più: un album di sole canzoni acustiche, che siano di Morgana o cover, ma senza altri strumenti che “cozzino” con il suo tono di voce. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music)
Voto: 50

mercoledì 8 agosto 2012

Souldeceiver - The Curious Tricks of Mind

#PER CHI AMA: Swedish Death, Soilwork
Questa volta ho voluto provare ad ascoltare il cd senza nemmeno leggere la biografia della band, affidandomi esclusivamente al mio istinto: a giudicare dal ritmo serrato e dalla voce furiosa, sembrerebbe stessi ascoltando un lavoro di una band scandinava (vedi Illdisposed o Meshuggah). Invece si tratta di un ensemble totalmente nostrano, forte, permettetemi il termine, cazzuto; inserire il cd nel lettore il lunedì mattina ti carica completamente (e spero vivamente mi porti a terminare la settimana in fretta e in forze). Parlando brevemente della band, si può dire che questo sia il loro secondo lavoro (senza contare il demo di 5 canzoni nel 2007, anno della loro fondazione) e il primo introducendo l’uso della chitarra a 7 corde, caratterizzato da parti di death metal e altre di thrash. “Hundred 25”, come detto precedentemente, ha un ritmo incalzante che non lascia un secondo di respiro: doppia grancassa martellante, voce growl, chitarre che sembrano lame di un frullatore. “My Closet Embrace”, invece, si distingue dalla precedente per le chitarre che presentano un alone di melodia, con un assolo nella prima parte del brano: per il resto è aggressiva e cattiva quanto basta. In “Suiciding” le chitarre cambiano registro e diventano malinconiche, accompagnando in modo eccelso il growl (ma come fa a tenere lo stesso tono per tutte queste tracce? Sarei sinceramente curiosa di sentire la sua vera voce): vuoi per rilevare il tema centrale, vuoi anche per cambiare in modo da non scadere nella noia, ma l’assolo in sottofondo è veramente notevole. “Mary Ann” inizia con dei suoni distorti presi da una televisione (ricorda tanto le scene degli horror di serie B, dove la tv è sintonizzata su un programma assurdo quanto inquietante, magari in bianco e nero): man mano che prosegue, il growl di Francesco Meo tende addirittura a spostarsi sul melodico (e qui mi vengono in mente i primi Korn, se non per la grancassa come schiacciasassi), con un altro assolo di Alessio Rossano davvero in forma smagliante. In “The Pressing” fanno capolino le tastiere: non hanno un grande spazio, ma creano un’atmosfera sospesa tra l’incubo e realtà (è dall’inizio del lavoro che mi sto immaginando un film horror/splatter che possa accompagnare quest’album): altro assolo del chitarrista Alessio Rossano, prima di una rullata di Alessio Spallarossa (che soprannominerei anche “spacca braccia”, da tanta furia palesata). “Phase C” è solo strumentale (e ci credo, anche il cantante dovrà riprendere un attimo fiato e voce), ma rimanendo sempre con un ritmo veloce e potente. “Icon of Your God” e “Relapse” tendono ad essere meno ansiose, ma più profonda: sebbene il ritmo rallenti, ciò non cambia l’autorevolezza e la cattiveria del combo. Con “Bone Sacrifice” le cose prendono una piega più liberatoria: la batteria è portata all’estremo, mentre la chitarra di Luca Mosti gioca sapientemente con la sette corde, a volte pizzicando e altre volte suonando a fondo. Il tutto mentre Francesco Meo dà fondo alle sue profonde capacità canore. L’album non poteva terminare senza un’altra instrumental track: qui il pianoforte si rende protagonista, ricreando l’atmosfera cupa e inquietante già sentita nel sesto brano (e cercando di placare gli animi tempestosi che hanno caratterizzato l’intero lavoro). L’unica pecca è la lunghezza di “Eternally”: 2.03 minuti di nulla, come se avessero voluto aggiungere qualcosa all’ultimo secondo, ma con un risultato inconcludente. Non sarà però questo a cambiare la mia votazione, comunque positiva, anzi, ci sono alte probabilità che il prossimo lavoro sia addirittura migliore e un maturo. (Samantha Pigozzo)

(Nadir Music)
Voto: 70
 

sabato 19 maggio 2012

Brain - Nightmare in Love

#PER CHI AMA: Death/Thrash
Questo lavoro è stato una piacevole sorpresa, interessanti e convincente. Partiamo dall’inizio. Mi capita tra le mani questo “Nightmare in Love”; guardo l’artwork, alzo un po’ il sopracciglio e mi faccio un paio di idee sul contenuto. Carico nel lettore e premo play. Però! Niente male questi “Brain”! Enrico Tiberi (voce e chitarre), Alessio Spallarossa (batteria, militava nei Sadist) e Andrea Lunardi (tastiere) ci hanno dato dentro che è un piacere. Si sono guardati intorno, hanno preso spunti, li hanno amalgamati in maniera solida, persuasiva e piuttosto personale. Ed ecco “Nightmare in Love”, un LP difficile da catalogare. Per darvi un’ idea, lo scheletro delle canzoni parte dal death/thrash, tuttavia gli innesti elettronici e di tastiere mi fanno ricordare certi gruppi di metà anni ’90 (butto lì i Fear Factory). La loro bravura tecnica emerge da ogni brano, in più hanno ottenuto un buon risultato anche a livello compositivo. Tutto questo, combinando aggressività e velocità in modo funzionale. Come dicevo, la parte esecutiva è notevole. Svetta l’operato del batterista, sempre preciso, martellante e mai sopra le righe. A seguire le inquietanti tastiere e le scalpitanti chitarre. Il cantato, sebbene passi agilmente dal growl a parti più pulite, mi suona un filo ripetitivo. Tra le tracce trovo non banali le più gelide title track e “Society”. Invece “Dear Faith” e “Sceptre” sono quelle che esprimono maggiormente le influenze cyber di cui sopra. Con la bella “Love”, quasi solo strumentale, la band crea l’apice del platter. Le altre song rimangono comunque nel solco, senza particolari cadute di stile. Una maggiore varietà nella scrittura delle canzoni sarebbe stata davvero la ciliegina sulla torta. Però è un disco che non stanca, e che riesce mantenerti incollato all’ascolto. Secondo me è davvero da salutare con entusiasmo. Bravi. (Alberto Merlotti)

martedì 28 dicembre 2010

Nerve - Hate Parade


Si, si e ancora si, promossi a pieni voti! L’ho deciso non appena ho inserito il cd nel mio lettore e le devastanti ritmiche hanno invaso, attraverso le cuffie, il mio cervello penetrandomi e trapanandomi, con la propria furia demolente, la mia povera mente. Eccoli tornati i Nerve, con il loro secondo strabordante “Hate Parade”, la loro personale sfilata dell’odio, che si manifesta attraverso queste violentissime tracce, prodotte egregiamente ai Nadir Music Studios dal grande Tommy Talamanca (mostro sacro e creatura mitologica dei Sadist). Forse anche grazie alla genialità del buon Tommy, quello che ho fra le mani, risulta essere uno dei lavori più interessanti usciti negli ultimi tempi dal nostro paese, ma non solo: ne è una testimonianza “Mescaline” per quel suo break centrale in mezzo a tanta rabbia, tale da scomodare mostri sacri come Atheist o Cynic. La terza incendiaria “Shelter” pone in evidenza l’evoluzione sonora del combo genovese, che prese le distanze dal death groove un po’ superficiale degli esordi, si mostra mostruoso e virtuoso nel sapere miscelare passaggi veramente estremi ed enfatizzati da una super pomposa produzione, con passaggi più ragionati e di classe sopraffina. Urla disumane, vocals schizofreniche (Infernal Poetry docet), chitarre iper distorte e ribassate, cavalcate che annichiliscono il povero ascoltatore, cambi di tempo e rallentamenti da paura, assoli al vetriolo e una ritmica paralizzante, contraddistinguono “My Inferno” vera e propria perla, che rappresenta tutto ciò che dovrebbe avere una canzone estrema per definirsi tale. Incredibili, incredibili e ancora incredibili: non ho parole per descrivere l’assalto delle prime quattro strabilianti songs di questa inattesa release. Si prende un po’ di respiro con la non tiratissima “Black Fades” (si fa per dire) ma con “Fake Deaf” si riprende ancora una volta a far del male, palesando sempre una intelligenza musicale fuori dal comune che trova conferma anche nell’esplosiva title track. Tecnica ineccepibile, idee brillanti (altro break centrale da brividi), vocals che si alternano tra un growling feroce e rare aperture melo-clean. Compatti, dinamici, intraprendenti, sprezzanti del pericolo, strafottenti e a ragione, perché in tavola ci sono le carte giuste per fare il colpaccio dell’anno e aver sfornato uno dei più bei lavori di death ultra incazzato, ma comunque pur sempre ricco di groove e intuizioni geniali. Che sia o no il disco dell’anno a poco importa ora come ora, quel che è certo è che la band ha raggiunto una piena maturità e una consapevolezza nei propri enormi mezzi, che mi spinge a definire i Nerve come una sorta di Darkane italiani, anche se a differenza dei colleghi svedesi, i ragazzi di Genova fanno molto più male e probabilmente sono più geniali, forse anche per qualche riferimento ai maestri Sadist (era “Tribe”) piazzato qua e là. Che altro dire, ce ne fossero di band capaci di sparare proiettili in questo modo, sfoderando cosi tanta personalità e svuotando le mie membra di litri di adrenalina. Selvaggi! (Francesco Scarci)

(Nadir Music)
Voto: 80