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domenica 9 dicembre 2018

Sabaton - The Last Stand

#PER CHI AMA: Power Metal
La band svedese che sembra sempre tornata ieri sera dall'Iraq, mette in scena l'ennesima inappuntabile power-frittella alleato-oriented intrisa di enfatiche progressioni, scale veloci, cori eterosessuali e rassicuranti vocioni da trincea, ottimamente calati nella parte ("Rorke's Drift" and many more). Tanto per sollevare un po' di polverone nel battleground, occorre collocare, invero sapientemente, qualche epic-sbraganza in apertura ("Sparta") e no ("The Lost Battalion"), poi alternare sporadici mimetismi prog-metal ("Blood of Bannockburn" con tanto, l'avreste detto, di cornamuse) e AOR/ismi tattici d'oltreoceano ("Hill 3234") o d'oltrebaltico ("Last Dying Breath"). Riguardatevi su youtube il video della band di rock duro, duro, duro chiamata I Budini Molli, dopodiché divertitevi a sentire questo disco coi testi davanti mentre, per qualche ragione che preferite non spiegare a voi stessi, vi immaginate l'emorroico culo mimetico di Joakim Brodén morbidamente adagiato su un puff rosa a forma di labbra. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2016)
Voto: 65

https://www.sabaton.net/

sabato 29 settembre 2018

Bloodshed Walhalla - Ragnarok

#PER CHI AMA: Viking/Epic, Bathory
Quorthon morì nel 2004. Da allora lo spirito indomito del mastermind svedese aleggia nell'etere alla ricerca di una sua epica reincarnazione. Si sono citati gli Ereb Altor come potenziali eredi, io non tralascerei nemmeno la one-man-band italica dei Bloodshed Walhalla, guidati dal bravo Drakhen, che con questo 'Ragnarok' arriva al ragguardevole traguardo del quarto album. E il musicista lucano lo fa nel migliore dei modi, con un disco che trasuda epicità da tutti i suoi pori sin dall'opener, nonchè title track. Certo, non solo i Bathory rivivono nelle musiche di "Ragnarok", ci sento anche gli Einherjer di 'Dragons of the North' o i Falkenbach più folklorici. Ma non importa e mi lascio travolgere dall'aura battagliera che mi rimanda ai lavori più viking dei Bathory - penso alla saga di 'Nordland' - ma nelle sue rare accelerazioni black, ci sento anche un che dei Finntroll o ancora degli Ensiferum. Le melodie vichinghe, i cori e le vocals mi inghiottiscono nelle loro storie, consentendomi di prendere una pausa dalla merda di tutti i giorni, per abbandonarmi alla pura mitologia della tradizione nordica, nemmeno stessi guardando una punta della serie tv "Vikings". Godimento puro per le mie orecchie, soprattutto quando le solenni orchestrazioni di "My Mother Earth" irrompono nello stereo con quell'esplosività percussiva che ricordo solamente nel masterpiece dei Bathory, 'Twilight of the Gods'. E allora chiudo gli occhi, penso a Quorthon e a ciò che mi trasmetteva l'ascolto dei suoi dischi, e immagino che Drakhen, animato ancor di più del sottoscritto dall'amore per quelle musiche, si sia lasciato guidare dall'ispirazione del maestro svedese, proponendo peraltro anche suoni di matrice settantiana, accostandoli ovviamente alle sinfoniche melodie che accarezzano la testa e solleticano il senso dell'udito. La voce di Drakhen, pur emulando il compianto frontman svedese, è uno spettacolo e costituisce un valore aggiunto per la release. Arrivo nel frattempo alla terza "Like Your Son", che continua nel narrare la battaglia finale tra gli dei e l’ordine del male e delle tenebre. La musica evolve e si muove tra il viking dei Moonsorrow, l'epic dei Bathory e il power dei primi Blind Guardian mantenendo un tono trionfale soprattutto nella lunga suite finale, dove Drakhen regala ben 28 minuti di suoni maestosi, in grado di rappresentare con grande efficacia, il palazzo ove ora risiedono quei guerrieri che sono morti gloriosamente in battaglia. Immaginatevi quella dimora, costituita da ben 540 porte, con i muri fatti con le lance di quegli uomini più valorosi o il tetto fatto di scudi di oro su cui sono raffigurate scene di guerra, e la musica che inneggia in quella sala? Quella dei Bloodshed Walhalla ovviamente. (Francesco Scarci)

giovedì 7 giugno 2018

Euphoreon - Ends of the Earth

#PER CHI AMA: Melo Death, Wintersun
Gli Euphoreon sono il progetto di Eugen Dodenhoeft, mente dei teutonici Far Beyond, e di Matt Summerville, cantante e chitarrista neo zelandese. Il duo, che vive a distanza siderale l'uno dall'altro, nasce addirittura nel 2009 e in quasi una decade di vita, ha partorito una demo, un album di debutto omonimo nel 2011 e finalmente dopo 7 anni, un nuovo comeback discografico, questo 'Ends of the Earth'. Forti di un artwork mirabolante, i nostri rilasciano sette brani (più gli stessi in versione strumentale) all'insegna di un melo death di stampo finlandese, Wintersun su tutti. Il cd si apre con "Euphoria" che spiega la pasta di cui è fatta la band, ossia un death melodico corredato da una ritmica serrata, coadiuvata da bombastiche tastiere che forgiano l'ambientazione di fondo dell'intero album e dalle grim vocals del cantante, per un esito alla fine davvero entusiasmante, anche e soprattutto nella sua porzione solistica. Quello che più mi ha colpito sono comunque gli arrangiamenti con l'accompagnamento delle keys che mi hanno rievocato la colonna sonora di 'Inception'. La title track, che occupa la seconda posizione nel disco (peraltro uscito in due formati differenti, cd blu o rosso), si lancia in un'arrembante cavalcata melodica, in cui la voce del frontman s'intreccia con le chitarre e le tastiere e dove ancora una volta ad emergere dal frastuono melodico generato, è un intrigante assolo. E ancora tastiere quasi ad emulare il suono di un'arpa, come incipit di "Zero Below the Sun", per poi lanciarsi in un brano dal forte sapore sinfonico e dalla linea melodia (quasi black) davvero trascinante, munita peraltro di una certa vena malinconica. La song si colloca in cima alla mia personale classifica tra quelle contenute nell'album, per la sua duplice natura, ossia le sue fresche melodie ma anche la capacità di divenire più sommessa nella sua parte centrale grazie ad un break di violino e strumenti vari, interrotti da un assolo da urlo che ci conduce nuovamente verso momenti più ariosi. La song alla fine è un alternarsi di emozioni a metà strada tra death e black sinfonico (retaggio del buon Eugen nei suoi Far Beyond), epic e power metal, il tutto imbevuto di una velata dose di tristezza. "Mirrors" irrompe in modo inusuale con un chorus antemico già in apertura, in un brano che segue poi il canovaccio proposto sin qui dalla band e che vedrà nel suo svolgimento, altri interventi corali in stile Therion, mentre le sei corde sciorinano grande tecnica e spettacolari melodie. Si arriva cosi a "Craveness", song dal feeling più oscuro ma dalla linea melodica più forzatamente barocca, per quello che è invece il brano che meno ho apprezzato all'interno del disco. Decisamente meglio "Oblivion", forse anche per quella sua vena malinconica che riemerge forte, soprattutto nel fantastico break centrale, vibrazioni maestose per un'altra notevole traccia di questo 'Ends of the Earth', che trova modo di chiudere con "The Grand Becoming", e gli ultimi otto minuti di un lavoro sin qui importante. La traccia si apre con i tocchi di pianoforte punteggiati dal lavoro di chitarra, batteria e keys, in una song più ritmata che alla fine rappresenta la summa di tutto ciò che è contenuto in questo secondo lavoro targato Euphoreon. Per gli amanti del karaoke, beh perchè non godersi poi i brani in versione strumentale, io ne avrei fatto francamente a meno. Buona prova comunque, rimangono da affinare ancora un po' di cosine (un cantato troppo invasivo, una produzione che sembra mancare di potenza e un canovaccio che rischia di essere troppo scontato), ma i nostri sono sulla strada giusta. (Francesco Scarci)

(Self - 2018)
Voto: 75

https://euphoreon.bandcamp.com/

venerdì 27 aprile 2018

Estate - Mirrorland

#PER CHI AMA: Symph Power Metal
La power-band proveniente dalla città russo-caucasica gemellata nientemeno che con Reggio nell'Emilia, propone un power-metal eminentemente calligrafico, fervido però di inorgoglite incursioni aliene. Insomma, aliene si fa per dire. Capita pertanto che al power quintessenziale distillato un po' dappertutto nel disco, ma soprattutto in apertura ("Mirrorland" e "The Ghoul"), si contrappongano, si fa sempre per dire, composizioni renderizzate con texture epic/prog/qualcuno-ha-orinato-nel-santo-graal ("Matter of Time"; una "Lady Wind" che si colloca tra i Dream Theater di 'Awake' e la Gillan band di 'Mr. Universe' o 'Glory Road'; una "Stolen Heart" che suona grosso modo come la suonerebbero degli Hammerfall provvisti di colbacco imprigionati nel carillon di "The Memory Remains") o di hair-melodic anni '80 (almeno due indizi: l'intera "Silver Skies", che sta tra il Bryan Adams che indossa un reggiseno di Robin Hood e il Jack Nitzsche che indossa mutandine femminili di "Up Were We Belong"; oppure l'attacco di "Lady Wind", che fa sembrare "Popcorn" di Gershon Kingsley come una specie di ouverture True Norwegian BM). Ultima nota per la copertina di Leo Hao, apprezzato illustratore esperto di di draghi, battaglie e fanciulle svestite leggiadramente maneggianti pesanti spadoni. (Alberto Calorosi)

lunedì 6 novembre 2017

Drakkar - Diabolical Empathy

#PER CHI AMA: Power/Speed/Thrash, Nevermore
Signori, quest'oggi facciamo un tuffo nella storia sconosciuta del metal: i Drakkar sono infatti una band belga formatasi nel lontano 1983 (avete letto bene), da non confondere peraltro con gli omonimi nostrani, che tra defezioni, ahimè decessi e scioglimenti vari, ha fatto uscire solo quattro album, di cui 'Diabolical Empathy' è la loro ultima release. Il sound che ritroviamo nelle 13 track qui contenute, oscilla tra power, speed ed un thrash alla Nevermore. Interessante l'intro "The Arrival" che ci proietta in un qualche mercato di una città qualunque dell'Africa equatoriale. Poi s'inizia a fare sul serio, con una batteria di brani, in cui l'elemento comune è un rifferama compatto e acuminato, una voce che ricorda in alcuni frangenti il buon Warrel Dane e degli assoli che mostrano tutta la caratura tecnica del quintetto belga. Fantastico a tal senso il lavoro della speed track, "Rose Hall's Great House" e di quella fuga della sei corde nel suo fantastico epilogo. Più rilassata e meno convincente "Stigmata", anche se poi quando la band si lancia negli assoli, le due asce formate da Pat Thayse e Richard Tiborcz, fanno gridare al miracolo. "The Witches Dance" ha un che di fortemente folklorico nelle sua linea melodica, mentre il riffing è marcatamente power, accompagnato poi da quei chorus in stile teutonico, per soli amanti del genere, sia chiaro. "Plague or Cholera" è un bel pezzone thrash metal che mi ha ricordato i nostrani Aneurysm, in un altro mio personale tuffo nel passato. Un arpeggio apre la ballad "Stay With Me", in cui compare la voce di una guest femminile, Julie Colin degli Ethernity, altra compagine power belga. Il disco prosegue lungo i medesimi binari anche nelle rimanenti tracce, avvicinandosi qua e là ad altre band che han fatto la storia del metal, su tutte mi viene da pensare ai Metallica degli esordi e ai Virgin Steele. Ultima curiosità sull'album: si tratta di un concept cd che collega ogni traccia ad un figura storica rilevante: la vita di Padre Pio a "Stigmata", 'La Divina Commedia' e Dante a "The Nine Circles of Hell", dove peraltro i nostri sfoggiano un altro assolo grandioso, Giovanni Tiepolo e il suo 'Il Sacrificio di Isacco' a "Plague or Cholera" e molti altri; il tutto non fa altro che aumentare la curiosità per i contenuti di un album, che certamente farà la gioia però per i soli appassionati del genere. (Francesco Scarci)

mercoledì 27 settembre 2017

Persona - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con il loro album d’esordio, 'Elusive Reflections', che aveva rivelato le potenzialità della band, improntandosi su un solido power-symph, gradevole seppur non esageratamente innovativo. Quest’anno i tunisini Persona si ripresentano con il loro nuovo lavoro in studio, il full-length 'Metamorphosis'. E avvertiamo subito un aggiustamento di tiro rispetto al precedente lavoro: seppur più caratteristico nelle scelte stilistiche, il primo album presentava al suo interno qualche avvertibile fragilità. Con 'Metamorphosis' invece approdiamo indubbiamente ad un operato di più ampio respiro, frutto di scelte studiate e composizioni ben curate. A partire dal clavicembalo di “Prologue”, assistiamo al crescendo complessivo del disco, seguendo le fasi di questa metamorfosi fino al suo culmine, la liberazione, l'epilogo affidato a “The Final Deliverance”. All’interno di questi 12 brani si può notare tutta l’evoluzione compositiva e tecnica effettuata dalla band. Le continue oscillazioni e i repentini passaggi di Jelena Dobric dalle tonalità più soavi alle potenti linee di growl, si fanno leit-motiv dell’intero disco. Si avverte come la cantante afferri decisamente le redini dell’ensemble, ricamando le liriche sull’alone gothic di oscure atmosfere che avvolgono l’album fin dalle prime note. Pad e soprattutto organi sono determinanti in questo caso, frutto di un pregevole lavoro alle tastiere. Notevoli sono i numerosi passaggi squisitamente tecnici, caratterizzati dalle continue alternanze di tempo, che condiscono l’opera, altro esempio della migliorata qualità compositiva del gruppo. Frequenti sono anche le decise e spregiudicate accelerate, guidate da un drumming imperioso, sviluppando una fragorosa potenza che spezza i più pacati equilibri melodici. Ritroviamo in 'Metamorphosis' anche diversi richiami al primo album, con sonorità e passaggi “esotici”, sfruttando particolari scale musicali che conferiscono quel tratto “orientaleggiante” ai brani (per esempio in “Hellgrind”). Sul finale da segnalare un pezzo in puro stile Epica, profondamente melodico e atmosfericamente curato, “The Seeress of Triumph”, prima della traccia in chiusura già citata, “The Final Deliverance”. Quest'ultima alleggerisce nettamente i toni rispetto al resto, in quanto si trova dover simboleggiare la salvezza finale dell’essere dopo questa serie di trasformazioni. Che dire, quest'ultimo disco dei Persona è indice dell’impegno e della dedizione che questi ragazzi hanno impiegato per migliorarsi sotto molteplici aspetti. Un risultato che premia gli sforzi, poiché la qualità dell’album di debutto viene ampiamente superata e deve fungere da incoraggiamento per la band, intrepida ed insolita portavoce del metallo nell’Africa Nord-occidentale, a fare ancora meglio per gli anni a venire. (Emanuele Norum Marchesoni)

martedì 29 agosto 2017

Perseus - A Tale Whispered in the Night

#PER CHI AMA: Heavy/Power
Il redivivo Icarus Lizard vivacchia da qualche tempo dilaniato dalla noia all'interno di uno scomodissimo specchio incantato. Poi un bel giorno non si fa sfuggire l'occasione di possedere il corpo del giovane Nathan e, zac, da lì dentro, costituire un esercito di miliziani pronto a combattere le forze delle tenebre capitanate da Rasoio Scuro. Il secondo capitolo della saga del Dr. Icarus Lazard orchestrato dai brindisini Perseus, rivoluziona il concetto stesso di concept, scorporandone una volta per tutte l'uso del cervello. Ma il power-metal è fatto innanzitutto di muscoli, e i muscoli certamente non mancano in questa power-epopea ultra-ortodossa caratterizzata da accelerazioni quasi-speed ("The Diary", "Deceiver"), epic-ballads ("Dying Everytime" e "Rain is Falling") e stratificazioni sinfoniche di matrice italo-scandinava ("I'm the Chosen One"). Ascoltatevi questo disco vestendo all-black-leather spaparanzati su una spiaggia del Salento brindisino durante un soleggiato pomeriggio. Entro sera capirete a vostre spese come mai da quelle parti tira soprattutto il sound system. (Alberto Calorosi)

(Buil2kill Records - 2016)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PerseusPowerMetalBand

martedì 15 agosto 2017

Naildown - World Domination

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Power, Children of Bodom
Se soffrite la mancanza di qualche band clone dei Children of Bodom, e vi siete persi questi Naildown, ecco un buon motivo per dare un ascolto ad un'altra band proveniente dalla Finlandia. La Spinefarm ne ha fiutato l’affare, era il 2005, pensando bene di metterli sotto contratto e far uscire questo debut di discreta fattura. Il genere proposto? Beh, niente di più semplice: il sound è, infatti, molto vicino a quello dei “Figli di Bodom”, anche se risulta maggiormente ispirato da influenze classiche e mostra un appeal molto più soft rock rispetto alle band loro conterranee, Kalmah e Norther. I Naildown suonano un fresco e melodico death-power con parecchi chorus ruffiani, metal riffs, stacchetti scontati, tastiere tipiche, momenti di rabbia e quanto altro sia in grado di offrire questo genere musicale. Emergono poi ulteriori influenze derivanti dai lavori più “Nu Metal” degli In Flames, che arricchiscono la proposta dei nostri. La produzione è ottima, cristallina, l’unico problema è che i Naildown non sembrano altro che i Children of Bodom e direi che questo è un bel limite per la band, abile nel maneggiare i propri strumenti, ma che manca ancora totalmente di personalità. Il voto positivo è un incoraggiamento a migliorarsi, anche perché il quartetto finlandese ha (o forse aveva visto che se ne sono perse le tracce nel 2007) tutte le carte in regola per fare bene. (Francesco Scarci)

sabato 29 luglio 2017

Kyle Morrison - Pianometal

#FOR FANS OF: Instrumental Progressive Metal; Mindflowers, OSV
Hailing from Atlanta, Georgia, multi-talented instrumentalist Kyle Morrison has assembled quite a profound and dynamic debut full-length effort taking influence from a variety of disparate elements that takes part in a unique and stylish offering. The skill-set is obvious from the very beginning with a rapid-fire slew of twisting, challenging progressive rhythms that bring about plenty of engaging work. Littered with tight groove-based rhythms, rattling drumming and sparkling piano-focused melodies that add a great touch to the blasting rhythms, keeping a stellar base for the album to work around throughout here. The multitude of guests here makes for a strong collection of talent as well, giving stellar performances to a great mixture of progressive touches and stiff grooves. 'Centrifuge,' 'Hymn of Blasphemy' and 'Mammoth' exemplify this style the most, while the three-part Cosmos trilogy, 'Martian Dusk,' 'Orion's Curse' and 'Interstellar Survival' all give a different look to the material at hand with stand-out progressive leanings and complex riff-work alongside the marvelous piano melodies that take center-stage for those tracks. There are maybe a few too many bonus tracks here which does make for a slightly overlong feeling here, but this is still a great overall release in this style. (Don Anelli)

martedì 11 luglio 2017

Infinitas - Civitas Interitus

#PER CHI AMA: Epic/Folk/Power
Dal cuore della Svizzera, ecco arrivare il folk-metal degli Infinitas, band nata otto anni fa, ma che solo in questo 2017, riesce ad esordire sulla lunga distanza con questo 'Civitas Interitus', dopo aver rilasciato un EP nel 2015. Ebbene, inizierei col dire che i suoni del quintetto proveniente da Muotathal, possono sembrare abbastanza fuorvianti all'inizio, almeno fino a quando i nostri non mostrano una certa coerenza musicale. Tralasciando l'intro in svizzero tedesco, non posso che rimanere ammaliato da quello che sembra il canto di una sirena collocato sopra una chitarra acustica. Da li a un minuto, rimango invece impietrito di fronte ad un micidiale attacco death/thrash, quello della tonante "Alastor", che ci presenta immediatamente le qualità dietro al microfono della procace Andrea, che si presenta con una voce che varia tra l'urlato, un rarissimo growl e una voce più pulita che si accompagna con un rifferama ora decisamente più orientato all'heavy metal, anche nel pseudo assolo conclusivo. Strano constatare come la song, ma è applicabile comunque per l'intero disco, mostri più facce della stessa medaglia all'interno di uno stesso brano, con la convivenza di più umori e generi. Con "Samael" fa la sua comparsa anche un violino, una voce maschile si accompagna a quella della frontwoman, cosi come cori ben più carichi di groove e melodia, e un riffing che persiste nel ringhiare in territori thrash metal viene smorzato dal folk dei nostri che si fa sempre più arroventato. "Labartu" è un pezzo che parte assai compassato instillando inizialmente un'atmosfera quasi bucolica che ci porta lontano con la mente, in terre incantate su montagne verdi, forse proprio quelle del Cantone Svitto, da cui la band proviene. Nella seconda parte, decisamente più ritmata, possiamo apprezzare nuovamente la performance vocale della brava vocalist, il rullare di una tempestosa batteria e una specie di assolo di basso, tutti elementi che rendono la song parecchio interessante, seppur pecchi un po' in prolissità. "Aku Aku" è un oscuro pezzo strumentale che spezza il ritmo incessante instaurato fin qui dal combo elvetico e che ci introduce alla seconda parte del disco, quella che inizia con la accattivante "Skylla", pezzo meno tirato rispetto ai precedenti, quello che potrebbe anche scalare le classifiche per una vena pop insita nelle sue note, che vedono una versione più equilibrata di Andrea alle vocals. Con "Rudra" si torna a viaggiare sulle velocità heavy fin qui prodotte, con qualche backing vocals che fa capolino qua e là, opera del drummer. La song mantiene intatto il suo spirito folklorico in un incedere che continua a preservare qualche traccia di thrash metal, che si conserverà anche nella successiva "Morrigan", in cui la cantante, per qualche istante, si lancerà addirittura in un cantato lirico. Ancora il violino ad aprire "Amon", un'altra song dal rifferama compatto e veloce che per alcuni versi mi ha evocato anche un che dei Running Wild, e che propone un bel break centrale. Arriviamo al lungo finale affidato a "A New Hope", oltre tredici minuti aperti da uno spoken word in lingua germanica, poi eteree melodie e angeliche vocals che, insieme al suono del mare, dischiuderanno l'ultima sorpresa, un'arrembante ghost track che chiude un disco solido, piacevole e indirizzato soprattutto agli amanti di heavy/power/epic/folk, ma anche ai fan più aperti di thrash e death metal. (Francesco Scarci)

domenica 7 maggio 2017

A|symmetry - Fragility

#PER CHI AMA: Power/Prog
Da Belgrado, Serbia, gli A|symmetry ci presentano il loro primo full length, intitolato 'Fragility', una storia che narra del destino di un uomo proveniente da Aralsk, la cui vita è condivisa col futuro del lago Aral. Veniamo introdotti nell’album dalla prima parte della title-track, che si presenta con un intro oscuro scandito da un organo: poco dopo fanno il loro ingresso le distorsioni di Zoran Perin e il mid-tempo della batteria. Aggiungiamoci delle corpose sezioni di pad, tempi dispari e cambi di dinamiche davvero ben congegnati e otteniamo un piccolo “sunto” del lavoro che gli A|symmetry svolgono in modo impeccabile. Il songwriting del disco porta la mano del tastierista Petar Milutinović e questo è intuibile anche dall'abbondanza di tastiere e synth all'interno dei brani, sempre estremamente studiate e ricercate, senza mai cadere nella banalità. Esempio lampante potrebbe essere il pezzo “A Cogwheel” che presenta un bellissimo assolo di synth a sovrastare la potenza sonora del brano. La terza traccia, “Memories From The Old Country”, può richiamare alla mente gli Amorphis di 'Eclipse' e il fatto che azzardi un paragone con una band di tale calibro, non è veramente cosa da poco: si tratta di un pezzo solido, importante (è anche il più lungo del lotto con i suoi nove minuti) e presenta le caratteristiche migliori dell’ensemble balcanico. Un progressive metal veramente ben strutturato, ricco di tecnicismi, variazioni sul tema e tempistiche dotate di una pregevole dinamicità. Un plauso va fatto anche al vocalist Aleksandar Stojković, che dimostra tutta la sua preparazione tecnica con i numerosi e repentini cambi di registro, fino ad arrivare all'improvvisazione vocale sul finale, che porta a ricordare sperimentazioni di altri mostri sacri della musica come i Pink Floyd (seppure in modo minore e in un contesto decisamente diverso). Il disco prosegue su questa falsariga, alternando momenti di quiete a sezioni decisamente più aggressive e potenti, mantenendo l’impianto prog/power già citato, esprimendo al massimo tutte le capacità di questi musicisti, senza scadere nella noia o nella piattezza del puro tecnicismo. Altri pezzi da segnalare sono “The Grand Turmoil”, il quale abbonda di maestosi fraseggi in alternanza piano-chitarra, e la potente “Towards Utopia”, che si muove tra bassi distorti e growling vocals. A chiudere questo gioiellino sfornato dal quintetto serbo, troviamo la seconda parte della title-track “Fragility”, che non delude assolutamente le aspettative. Posso dire di essere rimasto veramente colpito da questo debut album degli A|symmetry, ben concepito e suonato nel migliore dei modi: ascolto estremamente consigliato! (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Self - 2016)
Voto: 85

domenica 12 febbraio 2017

Revenience - Daedalum

#PER CHI AMA: Power Symph
Formatisi nel 2014 dalle ceneri di precedenti band, principalmente dai Nemoralis, i bolognesi Revenience ci presentano la loro prima fatica discografica, 'Daedalum', uscita per la Sliptrick Records lo scorso anno. Forti della soave voce di Debora Ceneri e di un’inclinazione melodica, la band ci propone con naturalezza un carico symphonic metal forgiato da influenze gotiche, seguendo le fortunate orme di gruppi come i connazionali Soundstorm. Il quintetto bolognese non si fa mancare nemmeno qualche sfumatura più elettronica, che possiamo avvertire fin dall’inizio del disco, già dall’introduzione strumentale: questa, per i nostalgici come me, può richiamare alla mente i vecchi album dei Rhapsody, che si presentavano sempre con la canonica intro composta da cori ancestrali e orchestrazioni da soundtrack. Tuttavia, se allora capitava di perdersi nelle sinfonie provenienti da mondi antichi e fantastici, qua ci troviamo in una terra ben diversa e in un’epoca decisamente più attuale! “Blow Away By The Wind” è forse il pezzo più emblematico, in cui si avvertono un po’ tutte le caratteristiche principali dei Revenience: sound potente a sostegno delle vocals della Ceneri, che qui si destreggia in modo impeccabile, sfoderando la sua padronanza delle corde più alte e alternandosi nel chorus alle growl-vocals del batterista Simone Spolzino. Le tastiere lavorano a tempo pieno, con le onnipresenti orchestrazioni d’archi e gli stacchi “electro” arricchiti da una sovrapposizione di fluttuanti pad. La lenta ballad piano-voice “Lone Island”, molto ben congegnata musicalmente e con vocals ancora vincenti, è seguita dall’irruenta "A-Maze", che racchiude il lato più potente e cattivo dell’ensemble bolognese, ma in cui non può comunque mancare uno stacco di richiamo fortemente melodico (bel lavoro la parte pianistica sul finale!). La traccia conclusiva dell’album, “Shadows and Silence”, dalla struttura leggermente più articolata, rappresenta una degna chiusura per un esordio altrettanto degnamente riuscito: la doppia cassa a sostenere i ritornelli, l’assolo ‘catchy’ di chitarra nella parte centrale, l’ottimo lavoro dietro le tastiere di Pasquale Barile e poi una scordata melodia in fade, lasciano l’atmosfera sospesa in un misterioso sospiro. Possiamo con piacere definire questo 'Daedalum' un debutto discografico decisamente azzeccato da parte della band bolognese che, pur senza introdurre particolari novità, riescono a proporsi con un certo stile, senza annoiare: una piacevole sorpresa nostrana nel campo power/sinfonico, come furono qualche tempo fa anche i Sailing To Nowhere. Speriamo dunque di stupirci ancora! (Emanuel 'Norum' Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Revenience/

lunedì 30 gennaio 2017

Kiuas - Reformation

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Power Thrash, Nevermore, Ensiferum
Vedendo le facce di questi ceffi avrei scommesso 100 € che si trattasse di una band finlandese, poi la casa discografica prima e il sound dei nostri dopo, non hanno fatto altro che confermare le mie ipotesi. Trattasi dei Kiuas, band dedita ad un power thrash, che con 'Reformation' il loro secondo album del 2006, hanno sicuramente contribuito alla gioia degli amanti del genere. Tecnica squisitamente all’altezza delle mie aspettative, gusto per la melodia tipica finlandese, composizioni orecchiabili e di facile presa: ci sono tutti gli ingredienti affinché i Kiuas potessero conquistarsi un posto di diritto nell’olimpo dei grandi di questo genere (e forse per un po' ci hanno creduto anche loro, prima dello scioglimento nel 2013). Ottime e ben strutturate le linee di chitarra; bravo il vocalist, capace di spaziare da timbriche più suadenti ad altre più urlate ed aggressive, eccellente il tastierista, sempre in primo piano a creare momenti atmosferici. Ottimi pure gli assoli, con i due axemen che si incrociano e sfidano in interessanti duelli chitarristici. C’è poco da fare, la Finlandia è da sempre fucina di talenti e i Kiuas non hanno fatto altro che confermare la regola. Da segnalare la sesta traccia, “Black Winged Goddess”, song dall’inizio furioso, dalla ritmica bella tosta e dal growl profondo del vocalist, peccato poi vada un po’ a scemare d’intensità. Interessante poi, qualche inserto dal vago sapore folk, soprattutto udibile nella title track posta a chiusura dell’album. Band davvero buona, peccato non abbia ottenuto il successo che forse meritava (Francesco Scarci)

(Spinefarm Rec - 2006)
Voto: 70

https://www.facebook.com/kiuasofficial 

giovedì 12 gennaio 2017

Angelseed - Crimson Dyed Abyss

#FOR FANS OF: Power Symphonic Metal, Dragonland, Kaledon, Ancient Bards
Croatian symphonic power metal newcomers AngelSeed have struggled with numerous lineup changes over the years as the band’s complex arrangements and vast array of influences have kept the band in check throughout the years. Forging forward with these elements, the band is quite adept at their style here which manages to interject so many rather strong and dynamic elements that range from operatic vocals, soaring cinematic orchestrations that generate the kind of power and bombastic grandiosity present there to heavy, thumping riffing alongside the straightforward riffing which is quite a great backbone of attack which generates quite a lot to like here. The fact that it’s not as intense and driving as the vast majority of the genre’s practitioners for the full-on album as they prefer to stay in the mid-tempo chugging realm and offer complex arrangements rather than indulge in those overt speed-drenched numbers might make this a somewhat clashing tone for some but otherwise isn’t all that flawed since the consistency and tone makes up a lot of that. The three ballads might be overkill, but the tracks are still enjoyable enough. First effort ‘Bloodfield’ gets this going with moody atmospherics and pounding drumming that propels this along at a steady pace as the operatic elements coming to pass throughout the swirling keyboards leading into the finale for a decent-enough start. ‘Dancing with the Ghosts’ offers heavy, thumping rhythms and harmonious leads that bring about the controlled Gothic-flavored outbursts while chugging along to the strong rhythms as the mid-tempo patterns keep this one flowing nicely into the final half for another strong offering. Their first ballad ‘Man with Black Roses’ drops off into softer rhythms with a more relaxed tempo that still retains some solid atmospheric keyboards amid the simple strumming and romantic vibe that runs continuously throughout here for a rather nice attempt at the style without really doing much else. ‘Forever Blind’ returns to the forefront of heavy, chugging patterns and utterly frenzied patterns that blast along at more traditional speed-drenched rhythms and bombastic drumming throughout the finale that makes for a standout highlight track. Second ballad ‘Leaving All Behind’ offers even softer and more romantic patterns with simplistic elements and orchestral patterns that brings the keyboards to the forefront against the guitars as the gentle rhythms continue on for a much more engaging and up-tempo effort than the previous effort. ‘Fallen Angel’ and ‘Schizo-head’ tread into the cinematic realm with surging keyboards and simple mid-tempo riffing that relies more on dramatic arrangements as the pounding rhythms and harmonious cinematic melodies make for fun and rather engaging efforts. ‘Dreamer / Breaking Dawn’ mixes the ballad and mid-tempo crunch styles nicely with soft, gentle melodies and dramatic arrangements that contain romantic rhythms alongside the bombastic keyboards which is nice but does feel way too dragged out at it’s current length. ‘Soulcollector’ brings some electronic influences into the dramatic cinematic rhythms and pounding arrangements as the crushing riff-work and swirling keyboards combine into a fine operatic whole for a rather enjoyable offering. ‘The Healer’ offers the heaviest variation yet with the faster rhythms and thumping patterns offering plenty of cinematic-styled outbursts alongside the softer, gentle melodies and simple keyboards only with a lessened impact against the driving orchestral rhythms for a rather enjoyable offering. Finally, the final ballad and album-closer ‘Now’ uses the soft strumming and gentle melodies for a romantic guide through the solid rhythms and engaging vocal melodies that carries on into the final half for a solid if completely inappropriate lasting impression that drops this a notch. Otherwise, this here is a solid addition to the genre overall. (Don Anelli)

(Sliptrick Records - 2015)
Score: 75

http://www.angelseed.info/

mercoledì 28 dicembre 2016

Lost Opera - Hidden Sides

#PER CHI AMA: Power/Prog, Kamelot, Epica
Sono diverse le influenze che si trovano all’interno di quest'ultimo lavoro dei Lost Opera, 'Hidden Sides': dal power basilare a qualche ritmica prog. Si ascoltano anche derivazioni da generi più ruvidi, in cui il front-man Loic Conti, sfoggia le sue growling vocals come accade nel brano più duro dell’album, “O.P.S.”, che diventa quasi un pezzo in puro stile death. Le sonorità che però emergono su tutte nel resto del disco, sono quelle melodiche "kamelotiane" come si sentono in “Betrayal”. Le parti orchestrali ben studiate di “The Inquisitor”, “So Wrong” o “The Sinner, potrebbero invece ben figurare negli intermezzi di un qualsiasi disco degli Epica. Le onnipresenti tastiere si muovono su orchestrazioni semplici, che appaiono tuttavia spesso troppo deboli, e non riescono pertanto a conferire una seria componente sinfonica ai pezzi, lasciandoli sospesi cosi, a mezza via. Questo accade anche nel singolo "Follow the Signs", seppur si tratti di un brano mica male. I suoni electro e le contaminazioni death non trovano la perfetta amalgama con l’impianto melodico del disco e alla fine la resa non è delle migliori. Sebbene questo secondo full-length della band normanna rappresenti comunque un notevole passo in avanti rispetto al precedente lavoro uscito nel 2011, che mostrava ancora acerbe sonorità, in realtà non riesce ancora veramente a convincermi. Ci sono delle buone premesse, ma c’è bisogno di lavorare ancora un po’ per imboccare la giusta via, che non sappia di “già sentito (un sacco di volte)”, anche se un ambiente quasi saturo come quello del melodic francese non sia di troppo aiuto. Le idee sono tante ma bisogna metterle in ordine, cercando di accantonare quelle troppo scontate. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Dooweet Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/lostoperametal/

giovedì 1 dicembre 2016

Ivory - Southern Cross


#FOR FANS OF: Symphonic Metal, Stratovarius
Without wanting to sound too much like an sociologist, Ivory's 'Southern Cross' just wouldn't happen in Australia, I reckon. I just feel like we have a lower tolerance of cheese down here in the antipodes- or perhaps we tolerate a different kind of cheese? Anyway, it's easy to come away from this album thinking "thank god heavy metal is not a mainstream pursuit here"; it's just a shiny, overwrought nothing of a thing.

Instrumentally it's not terrible. It plods like a sauropod on valium, but you can tell there's a few parts where at least they tried. It's not a new sound or anything- Stratovarius with some occasional Dream Theatre-lite moments and maybe some Metallica meets My Little Pony when the band wants to get heavy. The keys and guitars are saccharine sweet but they play a lot of busy parts- the occasional neat bit of interplay here, a lot of cool little runs and solos all over the place. The overall impression is that while it's dripping with mature cheddar, the musicians weren't content with just being a backing track for a vocalist to wail over.

It's the vocals are the main problem. With a charismatic, powerful vocalist this would probably still be the most artificial thing since diet coke, but it would at least have a chance at being entertaining. As it stands though it's pretty gross. Devoid of power, writing not a single memorable vocal, atrocious lyrics (all of which are easily audible, just to increase the cringe), forever sounding like he's at the absolute end of his range, and possessing a very strong, very cringy accent, there is absolutely nothing going here for the poor guy. He clearly tries, but that doesn't matter- he sounds awful, he's loudly mixed and he's everywhere.

It's not a horrible album or anything, but I certainly don't like it that much and I can't see it getting any play after this review. If you can get past the vocals you've got a fairly okay, symphonic, vaguely proggy power metal album. I couldn't get past the vocals. There's far better albums in this vein- don't bother looking here. (Caspian Yurisich)

martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

giovedì 4 agosto 2016

Asylum Pyre - Spirited Away

#PER CHI AMA: Power/Prog, Amaranthe
La Francia si rivela ancora una volta terra fertile per le branchie più melodiche, ormai definibili in una nuova vera e propria corrente power, con caratteristiche comuni e radicate nell’ultima decina d’anni. Questa volta la band in questione arriva dalla capitale Parigi, con il terzo full-length in studio, dopo 8 anni dall’uscita del primo demo della band. Esperienza ed evoluzione sonora portano il loro dovuto contributo e si avverte fin da subito che 'Spirited Away' presenti una marcia in più, per quanto riguarda la produzione, rispetto ai due precedenti lavori ('Natural Instinct' e 'Fifty Years Later'). La formula sviluppata dagli Asylum Pyre è la classica riscontrabile in gran parte degli esponenti del movimento francese (vedi Benighted Soul): un power melodico con l’aggiunta di elementi di provenienza diversa, dalle influenze prog agli elementi elettronici e sinfonici. La voce femminile, cristallina e pop-eggiante, è arricchita da una buonissima interpretazione da parte della cantante Chaos Heidi, sempre articolata su forti melodie a sovrastare i riff di chitarra e i tappeti di tastiere, che in certe occasioni ricordano quelli dei più navigati Amaranthe. Un pianoforte apre e chiude questo lavoro dall’intro di "Second Shadow" alla lenta dissolvenza di "Fly". Fra di esse invece troviamo le ricercatezze melodiche dell’ensemble parigino, fra la potenza della vocalist, che apprezziamo particolarmente nelle prime tracce dell’album "Only Your Soul" e "Unplug My Brain", le quali si prestano per caratteristiche anche a diventare dei buoni singoli. Successivamente incontriamo varie sfumature, dagli stacchi che sanno di prog (parte centrale di basso nella seconda traccia), alla lenta ballad "The White Room", fino a sezioni decisamente più potenti come nella più lunga e articolata "Soulbrust" o in "Shivers", nelle quali interviene anche il chitarrista Johann Cadot con le sue vocals più aggressive. Buona prova per la band d’oltralpe che mostra una naturale maturità rispetto ai precedenti lavori. Non si tratta certamente di qualcosa di eccezionale o innovativo, anzi si colloca proprio nei canoni del movimento. Certamente però rappresenta una nuova conferma del fatto che negli ultimi anni la Francia stia sfornando una notevole corrente power-melodica, destinata di certo ad evolversi ulteriormente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Massacre Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asylumpyre/

lunedì 9 maggio 2016

Crafter of Gods - The Scarlet Procession

#PER CHI AMA: Black Symph/Power
Nati dalle ceneri dei Black Lotus, i Crafter of Gods si sono formati nel 2007 e in quasi dieci anni di vita hanno prodotto un demo, un promo cd nel 2010 e questo EP nel 2015, nonostante una stabilità nella line-up che perdura dalla loro fondazione. Il genere proposto da questi trevigiani è in apparenza un death gothic che, dalle prime note di "The Tempest Legacy", sembra chiamare in causa il binomio Lacuna Coil/Evanescence. Devo ammettere che ero già terrorizzato all'idea di dover recensire un prodotto cosi mainstream. Fortunatamente la band viene in mio soccorso, pensando bene di infliggere delle percosse ritmiche in stile black sinfonico (ricordate i tappeti tastieristici dei primi Limbonic Art?). Tuttavia, è fin troppo palese che il genere dei nostri volga il suo sguardo a sonorità ben più miti, data la decisione di affidare quasi interamente le vocals a Francesca Eliana Rigato, per carità brava vocalist, ma la cui presenza stona quando la ritmica si fa più incalzante e i nostri, nelle linee di chitarre, arrivano ad evocare addirittura lo spettro dei Cradle of Filth. Dei Crafter of Gods prediligo quindi il loro approccio più black oriented, anche se qui il black viene dosato con una certa parsimonia. Ben venga l'inizio di "In the Midst of Ocean's Infinity", cosi rabbioso nel suo growling; appena subentrano le female vocals però, la proposta della band si fa più orchestrale, e vado in confusione, non riuscendo ben a delineare il genere trattato. Probabilmente, questa difficoltà nel dare un'etichetta potrebbe anche rivelarsi vincente, ma attenzione perchè rischia di essere un pericoloso boomerang. La song si muove infatti tra leggiadre parti atmosferiche, ambientazioni arabesche, brevissime cavalcate black, ritmiche heavy power, assoli e cambi di tempo di chiara matrice prog, il tutto corroborato dalle eteree voci femminili di Francesca, a cui fanno da contraltare il growling e il cantato pulito dei due vocalist della band. Interessante lo ammetto, ma se non ben amalgamate tutte queste sfaccettature tra loro, si rischia di avere una certa difficoltà nel capire il prodotto finale, sebbene chi scriva sia uno che per forza di cose, è in grado di masticare un po' tutti i generi dello spettro metallico. "A Mirage of Hanging Moons" attacca nuovamente con una certa influenza black, sebbene in sottofondo ci siano delle tastiere barocche e il growling lasci ben presto posto a un cantato pulito maschile che stona in un simile contesto, facendomi inarcare paurosamente il mio sopracciglio sinistro, in tono di disapprovazione. Mi ritrovo ancora una volta proiettato in un luogo a me sconosciuto: ci sono ottime melodie, suoni pomposi, parti atmosferiche che si contrappongono ad altre più tirate, ma quelle clean vocals no, proprio no, non devono stare li. "In Silence of Death We March" apre con lo stesso canovaccio: chitarre e vocals black che da li a poco si tramuteranno in eteree voci femminili e ritmiche quasi power, per poi tornare a lanciarsi in infuocati pattern estremi, in una versione black degli Epica, che mi lascia francamente spiazzato. Arrivo alla coda del disco dove ad attendermi c'è "Celestial Breed, Treacherous Blood", il cui inizio tastieristico fantasy richiama i Bal Sagoth: poi la musica dei nostri si affida a una ritmica che lascia ampio margine di manovra alle tastiere, prima che Francesca intervenga e spegni definitivamente la magniloquenza delle linee di chitarra, lasciandomi titubante nella mia stanza. Sono quasi convinto che in 'The Scarlet Procession' ci sia troppa carne al fuoco e che gli ingranaggi della band non siano ancora ben oliati, sebbene l'ensemble veneto palesi buone idee e una certa padronanza strumentale. Tuttavia, questa mistura di generi potrebbe far felice chiunque cosi come nessuno, attenzione quindi. Da rivedere. (Francesco Scarci)

domenica 1 maggio 2016

Persona - Elusive Reflections

#PER CHI AMA: Power Symph
Il debut album dei Persona, band attiva dal 2012, ci arriva direttamente dalle desertiche lande della Tunisia. La terra dell'antica e splendente Cartagine non è di certo un ambiente molto battuto dalle band metal, ma anzi decisamente esotico per questa scena musicale. Per questo mi trovo a guardare (e ascoltare) questo disco con un occhio/orecchio piuttosto sorpreso. Questo esordio si apre subito come ci si aspetterebbe: atmosfere orientaleggianti vengono subito evocate grazie al sitar nell'intro e proseguono poi per tutto il pezzo con tempi e ritmiche davvero sahariane. Si nota infatti come “Somebody Else” riesca subito a calarci nella giusta atmosfera, fatta di sogni onirici e miraggi, immagini sfuggenti che ci avvolgono, magari dentro una tenda o intorno ad un fuoco, in un accampamento di Tuareg del deserto. Lo stile dei Persona si identifica come un power solido, con chitarre piene e un sound potente su una doppia cassa aggressiva e onnipresente, anche quando le ritmiche si fanno più blande. Le tastiere si ricavano ampio spazio all'interno dei brani, insistenti ma non eccessive, e vengono spesso coinvolte in sezioni strumentali e ricchi assoli, intrecciandosi con le chitarre. Un buon esempio può essere il brano "Blinded", in cui l'alternanza keys-guitars nella seconda parte del pezzo, apporta un tocco epico davvero suggestivo. A completare il quadro si aggiungono le vocals acute di Jelena Dobric, che perdurano fino alla fine sulle studiate linee melodiche (rafforzate anche da qualche sovrincisione qua e là). Unica eccezione la ritroviamo nell'interessante traccia "Monsters", in cui è presente un passaggio in growl . Brano particolare all'interno dell'album, che si distingue innanzitutto per le sue continue variazioni ritmiche e stilistiche, senza però uscire dal tema e mantenendo la sua solidità e compiutezza. Basti pensare al continuo cambio in ¾ (tanto amato dalla band tunisina) nei ritornelli, o al caratterizzante passaggio centrale che evoca sonorità desertiche ed arabeggianti, prima di passare alla sezione più aggressiva del brano, vicina a sonorità death. Altro punto di forza del pezzo l'ottimo e articolato assolo chitarristico sul finale, a sottolineare ancora una volta le buone doti tecniche dei musicisti. Il pezzo successivo, dai tempi più smorzati ,“He Kills Me More”, si apre con una forte linea di basso, che si rende protagonista fino alla conclusione. Infine, a chiudere questa prima fatica dei Persona, incontriamo la semiballad “The Sea Of Fallen Stars”, rigorosamente in ¾ ed accompagnata dal solito guitar-solo, questa volta più ricercatamente melodico. Dalle solide fondamenta di quest'album i Persona possono cominciare a modellare e rifinire il proprio stile, che per il momento si sofferma sui canoni classici del genere. Buono il livello tecnico della band, che seppur impeccabile nell'esecuzione, manca ancora di quel “guizzo” che sappia far emergere pienamente le proprie qualità. Per ora infatti, la band sembra non voler “osare” particolarmente oltre a questi orizzonti limitati, con l'unica eccezione di alcuni buoni elementi, come i passaggi e le sonorità orientaleggianti, che riescono a conferire una minima caratterizzazione al lavoro dell'ensemble tunisino.(Emanuele "Norum" Marchesoni)