Cerca nel blog

giovedì 13 febbraio 2025

Hippotraktor - Stasis

#PER CHI AMA: Post Metal/Djent
Io non gli avevo dato molto credito all'inizio ma 'Stasis', dei belgi Hippotraktor, è uno di quegli album che ha ricevuto un'accoglienza entusiasta da parte della critica e dei fan, consolidando la band come una delle nuove promesse nel panorama post-metal. Alla fine anche il sottoscritto si è ricreduto, e non è rimasto immune al fascino emanato dal secondo album del quintetto di Mechelen, per un disco che si distingue per la sua fusione di generi, combinando elementi djent (l'opener "Descent", cosi come la title track, con il loro groove sincopato alla Meshuggah, ne rappresentano il manifesto programmatico), post-metal (palesi, a tal proposito, le influenze di scuola The Ocean in "The Reckoning") e progressive metal (e qui, "Echoes" e "The Indifferent Human Eye", potrebbero essere dei buoni esempi della combinazione di questi ultimi due generi). In questo modo, la band riesce a mantenere un equilibrio tra complessità e accessibilità, con brani che si sviluppano in modo dinamico e coinvolgente, mantenendo la componente melodica una parte importantissima nell'economia del disco. Questo approccio diretto è, alla fine, una delle caratteristiche distintive dei nostri, che sembrano non amare le introduzioni lente, privilegiando l'immediata immersione dell'ascoltatore nel cuore dell'azione, in cui a primeggiare sono le vocals pulite del chitarrista Sander Romi (che strizza l'occhiolino al bravissimo frontman dei The Ocean), a cui fanno da contraltare i grugniti di Stefan de Graaf, mentre la ritmica è un macigno che si muove talvolta sinuosa ("Renegade"), e in altri casi più robusta ("Silver Tongue"), comunque garantendoci alla fine un ascolto coinvolgente, ispirato, e certamente destinato a lasciare il segno nel panorama post moderno, soprattutto tra tutti quelli che amano un sound più ricercato e originale, io in primis. (Francesco Scarci)

(Pelagic Records - 2024)
Voto: 80

https://hippotraktor.bandcamp.com/album/stasis

martedì 11 febbraio 2025

Unreqvited - A Pathway to the Moon

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Il buon William Melsness (aka 鬼), nonostante la sua giovane età (30 anni compiuti da poco), è arrivato al ragguardevole traguardo del settimo album con gli Unreqvited, senza contare poi EP, split sotto lo stesso moniker e altri album sotto il nome H V N W R D ., The Ember, the Ash, il fantasy dungeon dei Ilúvatia o l'emo dei Write Home. Insomma, un artista a tutto tondo che in 'A Pathway to the Moon' trova, a mio avviso, la sua consacrazione. Il nuovo album si presenta come un'opera audace e intensa, che esplora le profondità dell'emozione umana attraverso sonorità ricche e stratificate che portano avanti il marchio distintivo del blackgaze/post black degli Unreqvited. Dopo l'intro di rito, ecco esplodere, quasi inaspettatamente, il black di "The Antimatter", un brano che sembra coniugare l'orchestralità dei Dimmu Borgir con atmosfere più eteree, mescolando splendide melodie con passaggi più violenti (quasi djent), creando un contrasto in grado di destabilizzare chi conosce bene la one-man-band canadese, tra cui il sottoscritto. Riconosco invece il marchio di fabbrica del polistrumentista nord americano in "The Starforger", un pezzo onirico, dannatamente malinconico, quasi straziante nelle sue melodiche linee di chitarra e nel dualismo vocale tra voci pulite e scream. Un brano, subito eletto come il mio preferito, che avvolge come un tenero abbraccio da cui sarà difficile staccarsi. Ma il disco è un susseguirsi di emozioni in grado di indurre una profonda analisi introspettiva. Pezzi come "Void Essence/Frozen Tears" e "Into the Starlit Beyond", offrono altri esempi ineccepibili di un sound incentrato su uno shoegaze evocativo, coinvolgente, delicato che merita di essere ascoltato e soprattutto vissuto, con tutto quell'impatto emotivo che da essi ne deriva. 'A Pathway to the Moon' è un gioiello che vede ancora in "Departure: Everlasting Dream", l'ideale colonna sonora del nuovo capitolo della saga di Avatar, 'Fuoco e Cenere', di prossima uscita, per quella sua capacità di creare paesaggi sonori complessi ed evocativi. Un lavoro questo che, enfatizzato da una produzione spettacolare, permetterà di accogliere nuovi adepti tra i fan degli Unreqvited, per un viaggio sonoro che merita di essere esplorato da chiunque. (Francesco Scarci)

Volt Ritual - Swamp Lake City

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Giusto un paio di pezzi per il nuovo EP dei polacchi Volt Ritual, intitolato 'Swamp Lake City'. Quello, da pochi giorni uscito, dovrebbe essere (almeno stando a Bandcamp) il secondo EP per i nostri (all'attivo peraltro anche un full length), che s'inserisce nel filone stoner/doom rock, un lavoro che segna un passo in avanti nella carriera musicale del terzetto di Bielsko-Biała. Il sound della band è caratterizzato dai classici riff pesanti, accompagnati da sonorità distorte tipiche di un certo occult doom rock, coadiuvato dalle altrettanto classiche influenze stoner, in grado di aggiungere anche un pizzico di psichedelia ai due brani qui contenuti. Ecco, quanto certificato almeno nell'iniziale "The Giant Awaits", una song piuttosto canonica per il genere, in cui la produzione risulta comunque solida ed equilibrata, esaltando la pesantezza sonora, senza perdere la chiarezza necessaria per apprezzare le diverse sfumature musicali. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna evoluzione sonora o invenzione di chissà quali nuove sonorità, in quanto il disco si muove sulla combinazione di momenti aggressivi con fasi più riflessive e atmosferiche. La voce grungy (a volte un po' troppo in ombra) di Mateusz è tesa a flirtare con quella del vocalist dei Fu Manchu. Un bel chitarrone apre "Miasto Wśród Bagien", una traccia cantata in polacco che sembra evocare, nelle sue note piuttosto lineari e dirette, anche spettri garage/punk rock, al pari di derive di scuola Electric Wizard. Il brano alla fine sciorina un orecchiabile bridge ma l'acme del brano, si registra esattamente a metà con una deliziosa parte atmosfera ricca di riverberi di grande efficacia. La chiusura percussiva, dotata di una tribalità coinvolgente, chiude un EP che sembra promettere interessanti sviluppi futuri ma che verosimilmente, necessita di un'ulteriore sgrezzata per permettere al trio di indossare il giusto abito per le grandi cerimonie. (Francesco Scarci)

lunedì 10 febbraio 2025

The Bottle Doom Lazy Band - Clans Of The Alphane Moon

#PER CHI AMA: Doom/Stoner/Psichedelia
Ci hanno impiegato ben nove anni i doomsters francesi The Bottle Doom Lazy Band a tornare sulle scene con un nuovo full length, sebbene in mezzo siano usciti un EP nel 2020 e un live album, l'anno successivo. E cosi a squarciare questo lungo silenzio, ecco 'Clans of the Alphane Moon', nuovo album pubblicato dalla Sleeping Church Records. Un lavoro che combina gli elementi pesanti del doom di Pentagram e Trouble (aver detto Black Sabbath sarebbe stato troppo scontato) con influenze spaziali e psichedeliche, andando a creare un'atmosfera coinvolgente che sicuramente ridarà entusiasmo ai vecchi sostenitori della band. Il disco, come da tradizione, è caratterizzato da riffoni belli tosti che, sin dall'iniziale "Ride the Leviathans", fondono nelle loro note, stoner e doom. Ispirandosi alla cultura fantascientifica degli anni '60 e '70, il disco, nel suo litanico incedere, va aumentando i giri del motore con la sinistra "Crawling End", e un giro di chitarra ripetitivo e per questo, parecchio ansiogeno, su cui si andrà a porre la teatrale voce di Bottleben. Poi è ancora l'opprimente sezione ritmica a prendere il sopravvento, con una porzione percussiva davvero impressionante che ci accompagnerà fino a "To the Solar System". Un altro brano intenso che mi ha fatto pensare ai Candlemass di Messiah Marcolin, e comunque a un genere dotato di un canovaccio ben preciso, dal quale fuggire sembra essere compito assai arduo, se non affidandosi a una componente solistica imprevedibile, strumento che sembra non mancare ai nostri e gli consenta di prendere le distanze dai vari mostri sacri del genere. Un bel basso pulsante apre "Castle Made Of Corpses", un brano oscuro che ricorda storie di orrore, e che vede le chitarre intrecciarsi con il basso, lungo il suo ardimentoso cammino. La successiva "The Technosorcerer" (il brano più lungo del lotto) non è da meno per tenebrose ambientazioni e una ridondanza, nella sua componente ritmica, che vede sviluppare, in psichedelici giochi di luce, una significativa evoluzione della narrazione sonora. Quasi dodici minuti di sonorità asfissianti che vanno, grazie a Dio, via via crescendo fino a un finale chiuso, in realtà, un po' in sordina. "Flames of Sagitarius" vira verso suoni decisamente più classici e se da un lato, è un piacere rievocare certe sonorità, dall'altro, sembra anche voler dire che 70 minuti per un disco sono forse un po' troppi per rimanere ad alto livello tutto il tempo. E stancamente (sfiancato già da oltre un'ora di musica), mi appresto ad abbracciare "The Dying Earth", ultima e gustosa traccia di un lavoro mastodontico che magari non brillerà in originalità, ma comunque ci restituisce una band dotata di buon gusto e sfumature innovative, capace di incorporare elementi psichedelici e sperimentali nel proprio sound. (Francesco Scarci)

Weather Systems - Ocean Without A Shore

#PER CHI AMA: Prog Rock
Sono sempre stato un grande fan degli Anathema e il loro split del 2020 è stato un macigno da sopportare. Per alleviare questo dolore, ecco arrivare i The Radicant (nuova creatura di Vincent Cavanagh, ex voce degli Anathema, che magari avremo modo di recensire più avanti) e 'Ocean Without a Shore' dei Weather Systems, un significativo ritorno per l'altro fratello, Daniel Cavanagh e con lui, l'ex batterista della band inglese, Daniel Cardoso. È però quest'ultimo lavoro a suonare come ideale progressione musicale degli Anathema, riflettendone la sua evoluzione artistica anche nel moniker, che altro non è che il titolo dell'album dei nostri del 2012. E allora, a fronte di tutte queste situazioni, e alla voglia di Daniel di non porre la parola fine alla band che ha guidato in compagnia dei fratelli per trenta lunghi anni, ecco la proposta che non ti aspetti, con un sound che appunto prosegue la parabola stilistica degli Anathema, attraverso nove nuove composizioni. E si parte dalle splendide melodie di "Synaesthesia" e "Untouchable - Part 3" che proprio al disco 'Weather System' afferiscono musicalmente, esibendo melodie al chiaroscuro, tocchi di una malinconia disarmante, la collaborazione alla voce con vari personaggi (Soraia, Petter Carlsen e Oliwia Krettek) che ci permettono di avere tra le mani un lavoro introspettivo che strizza l'occhiolino a Porcupine Tree e Pink Floyd, sempre votato alle sperimentazioni psichedeliche ("Do Angels Sing Like Rain?"), ai loop ritmici ("Ghost in the Machine"), ai reprise di vecchi e strazianti brani ("Are You There? Part 2"), che fanno capire quanto sia ancora forte e durevole il legame con il passato dei nostri, cosi come il contatto con le ultime cose più elettroniche di 'The Optimist' ("Still Lake"). Insomma, 'Ocean Without A Shore' sembra rivelarci una sorta di continuità musicale quasi a dire che gli Anathema non sono ancora morti. Quale somma gioia per il sottoscritto. (Francesco Scarci)

(Music Theories Recordings - 2024)
Voto: 77

https://weathersystems.bandcamp.com/album/ocean-without-a-shore

venerdì 7 febbraio 2025

Until Death Overtakes Me - Diagenesis

#PER CHI AMA: Funeral Doom
'Diagenesis' è un'opera che trasforma il funeral doom in una potente esperienza catartica. La one-man band belga Until Death Overtakes Me, guidata dall'enigmatico Stijn Van Cauter, consegna al pubblico il suo tredicesimo album, un viaggio musicale che trascende la mera fruizione sonora per diventare una meditazione profonda su morte, trasformazione e rinascita. Ogni traccia, dalla durata monumentale di circa un quarto d'ora, si configura come un capitolo indipendente di una narrazione cupa, permeata da malinconia e dalla totale assenza di speranza, con titoli capaci di evocare immagini intense e riflessioni spirituali. L’album si apre con "Ascension", un brano che agisce come portale verso un abisso insondabile. Le chitarre si insinuano lentamente, simili a vapori irrespirabili che sgorgano da una ferita nella terra, mentre i synth ambient costruiscono un’atmosfera intrisa di suggestioni ritualistiche e oscure. La voce di Van Cauter emerge come un ruggito cavernoso che recita versi intrisi di morte e devastazione. Tra inni solenni e lamenti desolati, "Ascension" mantiene una delicatezza sonora quasi eterea, come se volesse preparare l’ascoltatore a un imminente cataclisma musicale. È una perfetta introduzione al resto del disco, capace di catturare e inquietare, trascinando chi ascolta in un vortice sonoro dal quale sarà difficile far ritorno. Il viaggio continua con "End’s Lure", un'immersione totale nel tema della trasformazione. La batteria segna un ritmo sepolcrale, quasi a scandire il lento fluire di ere geologiche, mentre le tastiere disegnano melodie rarefatte dall'impronta eterea. Il brano avanza con un’evoluzione lenta ma inesorabile, creando una sensazione di metamorfosi tanto sonora quanto spirituale. La successiva "White Light" non è da meno: il suo andamento lento e insondabilmente oscuro, evoca immagini di raggi luminosi che filtrano a malapena attraverso fenditure nella roccia. Il pezzo dissolve le barriere tra reale e trascendente, grazie a un impianto sonoro minimalista che invita alla contemplazione. A chiudere l'opera troviamo "For", il brano più breve della raccolta (poco più di 13 minuti). Questo pezzo avvolge l’ascoltatore in paesaggi sonori opprimenti e introspettivi, fungendo da degna conclusione per un album che non teme di addentrarsi nei temi più profondi e tenebrosi dell’esistenza. "For" suggella l'esperienza d'ascolto con una performance che lascia un segno indelebile, consigliata solo a coloro che ricercano nella musica qualcosa che vada oltre il semplice ascolto, verso una dimensione emotiva e introspettiva. 'Diagenesis' è molto più che un album: è una davvero ostica opera immersiva che invita alla contemplazione del mistero della morte e delle sue trasformazioni. Perfetto per chi desidera perdersi in paesaggi sonori oppressivi e avvolgenti, questo lavoro si distingue per la sua capacità di trasformare l’oscurità in arte catartica. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2024)
Voto: 73

https://udom.bandcamp.com/album/diagenesis

Akhlys - House of the Black Geminus

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
'House of the Black Geminus' degli statunitensi Akhlys, l'ho inserita nella mia top 5 del 2024, ed è per questo che ho deciso di recensirla qui nel Pozzo. Un'opera straordinaria che incarna l'essenza del black metal atmosferico con una maestria senza pari. Questo progetto, guidato dal visionario Naas Alcameth, riesce a trasportare l'ascoltatore in un viaggio sonoro avvolto da oscurità e mistero. Il tutto è immediatamente dimostrato dalle melodie sghembe ma ammaglianti, di "The Mask of Night-speaking", che da porzioni dark ambient, che richiamano gli esordi della band del Colorado, ci conducono poi nel gorgo più infernale degli abissi pensati dagli Akhlys. Un viaggio che prosegue sempre più verso il basso con "Maze of Phobetor" e una ritmica incendiaria che, nelle sue sinistre linee di chitarra, evoca inequivocabilmente Blut Aus Nord e Deathspell Omega. Quello che mi esalta qui è la violenza incarnata dal brutale cantato del frontman. Con "Through the Abyssal Door", le atmosfere sono sempre più plumbee e nebulose grazie a sonorità doomish che si incastrano alla perfezione con un black magistralmente suonato e soprattutto prodotto. "Black Geminus" pur essendo una tappa strumentale di puro passaggio, poggia le sue basi su claustrofobiche atmosfere droniche, il cui compito è di prepararci agli ultimi due assalti del disco, "Sister Silence, Brother Sleep" e "Eye of the Daemon - Daemon I", per altri quasi 20 minuti di musica malefica, maestosa, orrorifica, inquietante ma soprattutto epica. Un'opera da non perdere per chiunque desideri esplorare le profondità della musica estrema. (Francesco Scarci)

(Debemur Morti Productions - 2024)
Voto: 85

https://akhlys.bandcamp.com/album/house-of-the-black-geminus

mercoledì 5 febbraio 2025

Body Count - Merciless

#PER CHI AMA: Crossover/Thrash
Mai avrei pensato di scrivere dei Body Count, la provocatoria band statunitense guidata da Ice-T, sempre attenta alle tematiche sociali e antirazziali. Eppure quando ho dato un ascolto distratto a 'Merciless', il mio iniziale scetticismo e la mia scarsa attenzione, si sono trasformati in grande entusiasmo. L'ottava release del collettivo americano è caratterizzata da un sound denso e aggressivo, con chitarre pesanti e ritmi incalzanti che riflettono la furia e l'intensità tipiche della band, pur mantenendo la propria identità ancorata a quel crossover, tra rap metal e hardcore. Brani come "Psychopath" e "Drug Lords" (la prima con la comparsata di Joe Bad dei Fit for an Autopsy e la seconda con Max Cavalera alla voce) offrono riff potenti e ritmiche serrate, creando un'atmosfera di urgenza. In particolare mi soffermerei sulla title track che ho particolarmente amato, con quel suo sound ipnotico e robusto al tempo stesso, che mi ha evocato 'South of Heaven' degli Slayer. Aggiungiamo poi una produzione che privilegia la rotondità del suono, permettendo a ogni strumento di risaltare, e alla voce di Ice-T di farsi sentire con una forza ineguagliabile (anche se a volte rimanda un po' troppo al buon vecchio Tom Araya). E a proposito di vocals e vocalist, nella selvaggia "The Purge", dobbiamo segnalare il featuring di Mr. Corpsegrinder (Cannibal Corpse), in un altro pezzo che francamente grida al miracolo, in una miscela tra gli Slayer più compassati e i Massacre. Parlando di guest star, poi non posso tacere l'assolo di David Gilmour (si, quel signore inglese che suonava nei Pink Floyd) nell'intramontabile cover di "Confortably Numb", un pezzo riletto in chiave rappeggiante. E ancora da menzionare, le apparizioni di Howard Jones (ex Killswitch Engage) nella velenosa e super ruffiana (ascoltatevi il ritornello) "Live Forever". Potrei andare avanti citandovi altri mille personaggi che hanno preso parte a questo disco, ma la mia raccomandazione è di dare un'opportunità a questo disco, ne potreste rimanere anche voi piacevolmente sorpresi. (Francesco Scarci)

(Century Media - 2024)
Voto: 78

https://bodycountband.com/