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venerdì 31 ottobre 2025

Hulder - A Beacon From Darkened Skies

#PER CHI AMA: Black/Folk
Una semplice cassetta (tra l'altro disponibile anche in una ritual edition) con sole due tracce, per tutti gli amanti dell'oggettistica vintage. Per chi ama il digitale invece, la pagina bandcamp degli statunitensi (ma in realtà originari del Belgio) Hulder, vi darà modo di ascoltare il loro ultimo EP, 'A Beacon From Darkened Skies'. Noi, la one-woman-band l'avevamo già recensita in passato, sottolineando come fosse avvezza a un certo tipo di black atmosferico, piuttosto grezzo. Non posso far altro che confermare le parole del mio collega Alain e sottolineare come la polistrumentista belga, ora basata nello stato di Washington, e qui aiutata da altri due musicisti, Vrolok e Necreon, si muova nell'ambito di un genere estremo che affonda le sue radici nel black scandinavo. Lo dimostra subito la title track, con chitarre ultra tirate e screaming vocals, spezzate da un break più atmosferico. Non posso invece dire altrettanto della seconda "Zonnesteen", una song che richiama sonorità folk in stile Wardruna/Ivar Bjørnson & Einar Selvik, guidate da una chitarra acustica e da un drumming tribale, nonché dalla calda voce pulita di Hulder e dalle oscure backing vocals di Necreon, per un esperimento sicuramente ben riuscito. (Francesco Scarci)

(Self/Medieval Darkness - 2025)
Voto: 66

venerdì 10 ottobre 2025

Dor - The Dream In Which I Die

#PER CHI AMA: Dark/Folk/Psych
E questi Dor da dove saltano fuori? Dal flyer informativo in mio possesso, leggo che si tratta di un quartetto italico, nato in realtà come one-man-band nel 2019, che torna sulla scena con questo 'The Dream In Which I Die', a distanza di un paio d'anni dal full length d'esordio, intitolato 'In Circle'. Questa seconda loro fatica, al pari del predecessore, è ispirata alla letteratura, più specificatamente alla rilettura di Giorgio Manganelli al 'Pinocchio' del Collodi, e sembrerebbe far ripartire la band là dove aveva lasciato, ossia da uno psichedelico e occulto dark rock, tuttavia esplorando qui sentieri musicali leggermente differenti. Guardando la cover dell'album, è inevitabile che il primo pensiero vada a 'In the Court of the Crimson King' dei King Crimson, ma musicalmente parlando, non trovo ci siano cosi tanti punti in comune con la famosa band progressive britannica. Le dodici tracce incluse si muovono infatti dagli umori dissonanti dell'opener "Silence", un pezzo non certo semplice da digerire tra spoken words, litaniche e sghembe linee ritmiche che in taluni frangenti mi hanno fatto pensare anche a derive noise (forse la reale novità tra l'esordio dei nostri e questa seconda fatica). Un delicato arpeggio apre e guida "Mangiafuoco", attraverso vicoli bui che sembrano quasi proiettarmi nella narrazione dell'oscura e losca figura del burattinaio collodiano. Un riffone imponente, altra novità rispetto a 'In Circle', apre la successiva "Rigmarole", una song sinistra, poco lineare, a tratti malata, e che nelle sue distorsioni ritmiche, mi ha evocato certe cose dei Black Heart Procession. Apprezzabili i tocchi di piano nella seconda metà del brano che provano a contrapporsi a un clima che si fa ben più cupo e morboso nel finale. "When My Life Was Ebbing Away" ha un incipit tiepido al pari delle sue vocals, timide in sottofondo, a richiamare il dark folk statunitense. Saranno nuovamente le sonorità oblique delle chitarre a prendere il sopravvento nel corso del brano, quasi a indicare la nuova via intrapresa dal combo abruzzese. Avendo ascoltato anche il precedente album, posso immaginare che chi aveva apprezzato quel disco, magari si troverà maggiormente in difficoltà qui, dove in certi frangenti, si viene investiti da roboanti approcci ritmici. Non è certo il caso della sognante "Time Machine", in linea con le sonorità intime e minimali del debutto. Tralasciando il superfluo intermezzo di "Gazing", ascoltatevi semmai le divagazioni math/jazz di "The Light Keeper", per scoprire le nuove avanguardistiche e intellettualoidi trovate della band italica, che ama sicuramente sperimentare, catalizzando con molteplici trovate (e l'utilizzo di svariati strumenti) l'attenzione di chi ascolta. Lo facevano più timidamente nel primo lavoro, affidandosi ad atmosfere sognanti atte quasi a cullare l'ascoltatore, lo fanno in modo più diretto e "shockante" in questa release, quasi a voler sottolineare una progressione stilistica rispetto agli esordi. Forti poi di una produzione cristallina che enfatizza ogni singolo strumento (spettacolari a tal proposito le percussioni iniziali di "Icona", che mi deflagrano in cuffia), i Dor cavalcano l'onda del post rock cinematico nel finale di "Rest", affidandosi invece a deviate suggestioni dark folk nella conclusiva "Nobody Knows". Alla fine, per il sottoscritto che ha ascoltato prima il qui presente disco rispetto al debut, sembra evidente il passo in avanti stilistico, soprattutto alla luce di una maggior varietà dei suoni, dopo le eccessivamente blande melodie degli esordi, che forse non mi avrebbero entusiasmato più di tanto. (Francesco Scarci)

(Dischi Bervisti - 2025)
Voto: 75

lunedì 29 settembre 2025

Mylingen - Svartsyn

#PER CHI AMA: Black/Doom
Un altro gruppo fuoriesce dalle nebbie scandinave. Si tratta del duo svedese dei Mylingen, al loro terzo capitolo in discografia con questo nuovo EP, 'Svartsyn', dopo un full length e un altro EP, quello di debutto. E dalle fredde lande della Svezia che attendersi se non un black dalle tinte melodiche, forse anche legato alla militanza di Viktor Jonas negli Apathy Noir. Il risultato che ne viene fuori è comunque assai confortante tra scudisciate black, arpeggi folk e partiture doom, che mi hanno portato a pensare ai nostri come la risposta europea agli Agalloch sin dalla title track che apre il dischetto. Fatto sta che la band mi seduce sin dal primo ascolto con la propria furia black controllata, che si palesa attraverso riff acuminati, i classici tremolo picking ad amplificare la componente melodica, break acustici (presenti un po' ovunque lungo tutto il lavoro), eterei passaggi tastieristici e uno screaming lacerante, che sa il fatto suo, a completare un lavoro che sembrerebbe già avere connotati di maturità di un certo tipo. "Hatets Avgrund" parte a mille per rallentare quasi immediatamente; ma è la parte centrale a colpirmi per le sue affascinanti melodie ancestrali, figlie probabilmente di un retaggio folklorico che ben va a braccetto con l'intermezzo acustico che segue e amplifica la portata emotiva del brano. La chiusura è affidata all'intensità alchemica di "Månens Kraft", un brano di oltre nove minuti, in cui ci ho sentito un che di viking nelle note iniziali, prima che cedessero il posto a chitarra acustica e keys in un suggestivo intermezzo malinconico, per poi lasciarsi sopraffare dall'asprezza delle chitarre che vanno a chiudere veementemente, ma anche con una certa eleganza, una release sicuramente intensa, tagliente, epica, e a cui concedere senza esitazione una chance d'ascolto. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 75

giovedì 25 settembre 2025

Skyforger - Teikas

#PER CHI AMA: Pagan/Folk
Nel panorama del folk metal europeo, dove le tradizioni antiche si fondono con la furia del metal estremo, gli Skyforger rappresentano un pilastro indiscusso, una band che dal 1995 a oggi, ha portato con fierezza la voce della propria eredità culturale. 'Teikas" è il settimo album dell'ensemble lettone, che da sempre mescola pagan metal con elementi folk autentici, e ancora oggi mantiene un ruolo centrale nella scena, quasi come se fossero i custodi di un prezioso segreto. Il nuovo lavoro segna un gradito ritorno, dopo un preoccupante decennio di silenzio discografico. Il disco è influenzato dalle radici black metal dei primi lavori (e "Dieva Suss" già conferma questo spirito indomito) ma arricchito da un folk più maturo e narrativo, confermando i nostri come un punto di riferimento per chi cerca un metal che sia al tempo stesso brutale e culturalmente profondo, complici anche liriche che affrontano miti e leggende della tradizione lettone. Gli arrangiamenti poi sono stratificati e organici, con un uso di strumenti folk, mai invasivi, come cornamuse e flauti, che s'intrecciano a riff black/speed metal affilati e una batteria martellante, creando un contrasto tra aggressività e melodia epica. La voce di Pēteris Kvetkovskis al microfono alterna growl feroci a un cantato pulito. Per quanto riguarda i brani chiave, citerei "Spēlmanis", che palesa una certa vena speed metal, arricchita da lievi derive folkloriche. Ottima quella linea di basso potente che apre invece la più roboante "Spīgana", mentre "Mājas Kungs" si distingue per la sua tellurica intro, l'intensità epica, e un rifferama compassato che marcia, rutilante, alla stregua di un corteo funebre, e si muove tra porzioni atmosferiche quasi fiabesche, merito di un flauto che si guadagna la scena per la melodia che rilascia. Una chitarra poi ne raddoppia il suono per prenderne successivamente il posto e lanciarsi in un bell'assolo, elemento che di certo non scarseggia in questa release. E se l'incipit di "Rex Semigalliae" sembra uno dei vecchi pezzi acustici degli In Flames, di sicuro quando inizia a premere sull'acceleratore, fa capire come i nostri negli ultimi dieci anni, non si siano certo cullati sugli allori, ma accanto a quel sound che evoca anche i vecchi Annihilator e Skyclad, si divertono ancora a impreziosire il proprio sound con tutto l'armamentario folk in loro possesso e, ciliegina sulla torta, a piazzarci un altro fantastico assolo in chiusura. Le cornamusa aprono "Svētbirzs" e sembra quasi che la band ci voglia narrare qualcosa della storia del proprio paese, in un brano decisamente più controllato rispetto ai precedenti. E se "Velnakmens" lascia intravedere alcune reminiscenze di "Iron Maideniana" memoria nella linea delle chitarre, ecco che zampogne e zampognari, calano quegli elementi etnici per rendere il brano più peculiare. Il disco contiene 13 tracce e sarebbe delirante soffermarsi su tutte, cosi ecco che la conclusiva "Vecie Latvieši" chiude con un finale fatto di ancestrali melodie folk che chiudono un disco che brucia ancora come un fuoco antico. (Francesco Scarci)

(Thunderforge Records - 2025)
Voto: 74

lunedì 22 settembre 2025

Ellereve - Umbra

#FOR FANS OF: Dark/Folk/Post Rock
Ellereve is an Austrian solo project whose mastermind is the German artist Elisa Giulia Teschner. Since her debut effort, 'Heart Murmurs', this project has represented the collision of two forces: one delicate and melancholic, showcasing the most introspective side of the artist, and the other full of force and intensity. The palette of different influences, such as dark folk, doom metal, post-rock, and some blackish touches, forms an enriching number of layers that define what Ellereve offers to the avid listener seeking something soulful and unique.

The latest offer, entitled ‘Umbra’, is another step in Ellereve’s faultless career, a step further into darker realms as the compositions have a heavier, darker, and more intense feeling. The compositions of this album explore complex concepts related to emotions and inner conflicts. Elisa’s hypnotic and deeply emotional voice is undoubtedly the star here, a beautiful yet pale and delicate star surrounded by a vast, gloomy sky. ‘Umbra’ deepens the influences coming from post-metal and doom, even adding some blackened textures. Even though there is no break from what we knew of this project, it presents a more intense musical depiction of her vision. The contrast between the calmest and heaviest sections is a very common, yet always tastefully used resource in this album. "The Funeral" has plenty of these moments, where Elisa’s absolutely stunning and touching voice explores different levels of intensity and tones, while the heavy riffs and solid drums accompany the ups and downs in strength in a very adequate way.

The aforementioned layers of Ellereve’s music are present in another top-notch composition like "Irreversible", where the heavy burden of untold feelings storms the listener in the form of excellent guitars, whether they are heavier or have a more fragile and atmospheric touch. The single "Crawl" certainly deserves to be highlighted, as it is one of the best compositions and probably the catchiest. It contains excellent harmonies that irreparably stick to your head and soul. It was indeed a great choice by Ellereve, as it rightly represents what ‘Umbra’ offers. In any case, I could spend lines and lines describing each song, as all of them have a great amount of work behind them. The approached concept may be the same, but the enriching diversity and excellence in Elia’s vocal lines, the tasteful work in the guitars, and the always variable structure in the compositions create an album that requires many listens to be fully appreciated.

To summarize it in a couple of lines, 'Umbra' by Ellereve is like a stormy day in spring. The intensity and darkness of the storm are accompanied by peaceful moments when even the sun can appear and enlighten us. 'Umbra' is an emotionally intense musical experience, where the singer’s delicate yet powerful voice finds its counterpoint in the powerful riffs, even though all the instruments can adapt their fierceness to what the composition requires. (Alain González Artola)

(Eisenwald - 2025)
Score: 88

mercoledì 23 luglio 2025

Concrete Age - Awaken the Gods

#PER CHI AMA: Death/Folk
'Awaken the Gods', pubblicato a maggio di quest'anno, celebra il traguardo del decimo album in studio dei Concrete Age, formazione russa che si è affermata come pilastro dell'ethnic metal grazie al suo stile unico che mescola death, thrash e influenze folk provenienti da tradizioni orientali e slave. Attivi dal 2010, il quintetto ora di stanza a Londra, ha conquistato la scena underground con lavori acclamati come "Bardo Thodol" nel 2020 e "Motherland" nel 2022, rinforzando la loro reputazione per l'uso di strumenti etnici e racconti mitologici intrecciati con sonorità estreme. Con il nuovo album, la band continua a superare i limiti del genere, proponendo un'opera ambiziosa che combina potenza sonora e una profonda esplorazione culturale, consolidandosi come una delle realtà più innovative nell'ethnic metal contemporaneo. La produzione raggiunge livelli straordinari, garantendo un sound ricco e ben bilanciato. Gli strumenti etnici come balaban, duduk e kamancheh si amalgamano perfettamente con pesanti riff di death e thrash metal, arricchiti da melodie orientali sin dall'iniziale "Prey for Me". Questo brano evoca atmosfere esotiche ed è impreziosito dalla performance carismatica del frontman, la cui voce spazia tra toni epici quasi narrativi e sfumature più aggressive. Tale versatilità amplifica l'impatto emotivo dell'album, creando un legame potente tra passato ancestrale e presente musicale. Tra i brani che spiccano, "Forbidden Ministry" si distingue per il suo riff thrash metal accompagnato da una ritmica incalzante, capace di evocare vibrazioni che ricordano un immaginario incontro tra Nevermore e Orphaned Land. La title track, invece, si fa notare per la sua riuscitissima fusione di elementi etnici e metal, culminando in un ritornello estremamente coinvolgente. È il fulcro narrativo del progetto, un tributo alla forza primordiale che prepara il terreno alle ritmiche frenetiche di "Cursed Reincarnation", memorabile soprattutto nella seconda parte con un'energia quasi tribale. La strumentale "Mid-East Boogie" è un autentico vortice di energia. Il groove dei riff s'intreccia prepotentemente con scale medio-orientali, mentre il balaban e la kamancheh aggiungono un'atmosfera distintiva. I ritmi rapidi e le percussioni tribali donano, inoltre, un tocco sorprendentemente danzereccio. Non meno impressionante è il resto del disco con "Warrior’s Anthem", che si conferma ricco di assoli spettacolari e intriso di quell'inconfondibile mood folklorico che attraversa tutto l'album. In chiusura, le cover di "Boro Boro" di Arash e "Şımarık" di Tarkan, aggiungono ulteriore profondità all'esplorazione della tradizione musicale orientale, identificando 'Awaken the Gods' come un album che riesce a emozionare, far ballare e trasportare l'ascoltatore in un mondo fatto di energia e sogno. (Francesco Scarci)

martedì 8 luglio 2025

Wardruna - Birna

#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Leggere Columbia Records (alias Sony Music) accanto al nome dei Wardruna, devo ammettere mi faccia un certo effetto. La band norvegese d'altro canto, ha avuto un successo cosi importante negli ultimi anni (complice anche la partecipazione sonora alla serie TV Vikings e al videogioco Assassin’s Creed Valhalla) che gli varrà anche la possibilità di suonare all'Anfiteatro degli scavi di Pompei quest'estate. Fatto sta che 'Birna' è il sesto album del duo scandinavo che tra le sue fila in passato, ha visto anche la presenza di Gaahl. 'Birna', che in norreno significa "orsa", rivela un concept nel suo titolo, ossia il ciclo di vita dell'orsa, la sua morte e rinascita. Il disco, forte di una produzione a dir poco spettacolare che enfatizza ogni singolo strumento, include dieci tracce che vedono intrecciarsi elementi folk, ambient e ritual music, per un'esperienza sciamanica, evocativa, spirituale, capace forse alla fine di riconnetterci alla natura, sin da quel battito di cuore che apre "Hertan", un pezzo solenne, che stabilisce sin da subito che cosa attendersi dall'ascolto dei 66 minuti di musica che costituiscono questo lavoro monumentale. Un disco che vede un massiccio utilizzo di strumenti tradizionali, come la talharpa, il flauto, la lira, il corno di capra e l’arpa a bocca, combinati poi con suoni della natura, atmosfere ipnotiche e meditative ("Birna"), suggestioni ritualistiche che a occhi chiusi, inducono immagini che ci riportano a uno stato di primordialità e al contempo di sacralità ultraterrena. Suoni di ruscelli aprono "Ljos Til Jord", accompagnati poi da eteree voci femminili che accompagnano quella di Einar Selvik, su di un tappeto ritmico tribale. "Dvaledraumar" ha la pretesa di durare oltre 15 minuti, con un tema ambient per la maggior parte del suo tempo, il che, devo ammettere, alla fine stufa un pochino. Trovo infatti che i Wardruna siano più intriganti nei brani più brevi, caldi ("Hibjørnen"), o comunque formati da una struttura canzone più consolidata ("Skuggehesten"). Tuttavia, 'Birna' alla fine è un signor album che segna il ritorno di una delle band in ambito ambient folk, forse più influenti al mondo. (Francesco Scarci)

(Columbia Records - 2025)
Voto: 77

https://www.wardruna.com/

lunedì 7 luglio 2025

Fleet Foxes - Shore

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Folk
L'acqua. Vista dalla spiaggia. 'Shore'. Nuotare, crogiolandosi nella dimessa rivelazione dell'amore sentimentale ("Wading in Waist-High Water") o nell'amore ammirato per i miti del rock ("Sunblind", una sorta di non-solo-white hymnal annata twenty-twenty), con un'attitudine laicamente ma catarticamente battesimale. O più semplicemente, rievocare le onde dei ricordi passati, nelle istantanee della memoria ("For a Week or Two"), opposte agli angoscianti marosi dei presenti avvenimenti mondiali. Omaggiare Victor Jara (l'uomo, più che l'artista) significa cantare le sue canzoni sulla spiaggia ("Jara" introduce, nelle parole dell'autore, il suo personale concetto di headbanging, il che è tutto dire), e poi diciamocelo, cavarsela nella vita è un po' come navigare ("I'm Not My Season"). Se da un lato i riverberanti chiaroscuri della bellissima "Featherweight", al contempo semplicissimi e complessissimi, o la dissolubilità sussurratamente progressive di "Quiet Air / Gioia" riportano al precedente 'Crack-up', è altrettanto vero che complessivamente quest'album, maieutico e al contempo massimamente terapeutico (le ansie da foglio bianco raccontate in "Can I Believe You", ma anche quelle per il mondo che rotola a rotoli in "A Long Way Past the Past"), intende allontanarsene per sonorità e approccio tematico, riapprodando per quanto possibile, a quel freschissimo spleen pastorale, ruralissimo (ma soltanto sotto tortura userò il termine "pasturalissimo"), che rendeva grandi, anzi enormi, i primissimi lavori. (Alberto Calorosi)

(Anti-Records - 2020)
Voto: 75

https://fleetfoxes.bandcamp.com/album/shore

domenica 30 marzo 2025

Octoploid - Beyond The Aeons

#PER CHI AMA: Melo Death/Folk
Se sei un appassionato degli Amorphis, preparati a essere travolto da 'Beyond The Aeons', il fantastico album di debutto degli Octoploid! Questa si configura come una sorta di side project di Olli-Pekka Laine (bassista degli Amorphis) includendo anche un altro ex, Kim Rantala, il vecchio tastierista che ha lasciato il segno ai tempi di 'Elegy'. E inevitablmente, le influenze non tardano a farsi sentire, in un'opera che si distingue per la combinazione di elementi di death progressivo con influenze folk e sonorità psichedeliche. Vi ricorda niente? L'apertura è un vero colpo al cuore con "The Dawns in Nothingness", dove si fa sentire l’incredibile voce di Mikko Kotamäki degli Swallow the Sun (che ritroveremo anche in "The Hallowed Flame" e nella meno convincente "Concealed Serenity"). Questo brano, come opener, cattura immediatamente l’attenzione con i suoi riff potenti e melodie irresistibili, rievocando il fascino degli anni '70, mostrando una notevole abilità nel mescolare sonorità diverse, creando transizioni fluide tra momenti di pura aggressività e sezioni più melodiche. "Coast of the Drowned Sailors" è un inno agli Amorphis di 'Tales from the Thousand Lakes'. Qui, la voce di Tomi Koivusaari, che mi ha fatto innamorare delle melodie avvolgenti dei finlandesi, si unisce a quella di Janitor Muurinen degli Xysma, creando un connubio di ricordi e nuova magia. L’affinità con gli Amorphis è palpabile: entrambe le band sanno come incantare con la melodia e atmosfere psichedeliche, ma gli Octoploid si divertono a esplorare un approccio più giocoso e variegato. Andando avanti nell'ascolto, cambiano le performance dietro al microfono, con la comparsata di Tomi Joutsen (attuale frontman degli Amorphis) nell'inizialmente allegra - prima di addentrarsi in territori più oscuri e death oriented - "Human Amoral", Petri Eskelinen (dei Rapture) nell'inizialmente vivace - poi più tetra - "Shattered Wings". Infine, Jón Aldará, il talentuoso cantante degli Iotunn, arricchisce con la sua voce "A Dusk of Vex", dando un ulteriore tocco a questo debutto impressionante che, pur richiamando gli Amorphis, conquista per la sua freschezza unica e irresistibile. (Francesco Scarci)

(Reigning Phoenix Music - 2024)
Voto: 80

https://octoploid.bandcamp.com/album/beyond-the-aeons

sabato 22 marzo 2025

Saor - Amidst the Ruins

#PER CHI AMA: Folk/Black
Dalle nebbie delle Highlands, dove il vento canta inni di un passato dimenticato, i Saor, guidati dal visionario Andy Marshall, hanno rilasciato un nuovo capitolo sonoro in grado di scuotere le fondamenta del tempo. 'Amidst the Ruins', sesto capitolo della loro discografia, si manifesta come un portale verso l’anima selvaggia della Caledonia. Cinque brani, cinque torri di suono che si ergono tra le rovine di un mondo perduto, intrecciando black atmosferico a melodie folkloriche, in un arazzo di tragica bellezza che risuona tra le valli e i glen della Scozia, un inno alla terra e ai suoi spiriti ancestrali. La title track è il primo brano e si presenta, travolgendoci con i suoi riff possenti e i tamburi che rullano come un esercito in marcia, mentre le melodie delle tastiere soffiano come brezze lontane. La voce di Marshall stride come un corvo sopra le rovine, mentre flauti e cornamuse si levano in un canto di gloria e rovina. È un viaggio in epoche lontane tra le pietre spezzate di antichi castelli, dove ogni nota è un colpo di spada e ogni melodia, un’eco di un regno caduto. Ma non scopriamo certo oggi il valore di una band che adoro da sempre. Questo è quanto possiamo godere già dall'opening track e dalle sue eccelse melodie cinematiche, ma anche dalla successiva "Echoes of the Ancient Land", che esplode sin dall'inizio con ritmiche che galoppano come cavalli selvaggi su e giù per le colline. Poi, un’orgia di fiati e archi succede al caos, dipingendo visioni di foreste fiabesche. L’atmosfera è maestosa, un’ode ai tempi in cui gli dèi camminavano tra gli uomini, con un crescendo musicale e vocale - complice per quest'ultimo le splendide clean vocals di Marshall - che spinge verso cime nebbiose, ma solo per lasciarci poi cadere in un abisso di malinconia che si concretizzerà sul finale del brano. Non ci sono parole. E in "Glen of Sorrow", il tono si fa più cupo e solenne inizialmente, per poi lasciar viaggiare melodie folk e fantasie in un sound che sembra evocare anche un che degli Alcest. La voce eterea di una gentil donzella (Ella Zlotos) si affianca a quella del mastermind scozzese in un maestoso tripudio sonico. Arpeggi acustici e i tiepidi sussurri di Andy caratterizzano invece "The Sylvan Embrace"; presto la voce di Ella lo raggiungerà in questo momento di pace inquieta, dove un'ombra sembra tuttavia suggerire l'imminente ritorno del caos. Presto accontentato, visto che "Rebirth" divampa con il suo assalto di chitarre e blast-beat in un titanico inno di rinascita. Quattordici minuti di pura trascendenza in un brano che si muove in realtà su un mid-tempo malinconico e in un'atmosfera che richiama una fenice che risorge dalle ceneri, un ciclo di morte e vita che si chiude con un ruggito eterno. 'Amidst the Ruins' è un album notevole, un black metal atmosferico che non si limita a sfogare oscurità, ma la eleva con melodie folk che colpiscono l’anima. Ogni traccia è un capitolo di un’epopea, un ponte tra il passato glorioso della Scozia e un presente che ne reclama l’eredità. (Francesco Scarci)

giovedì 20 marzo 2025

Sólstafir - Hin Helga Kvöl

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Folk
'Hin Helga Kvöl' è il nuovo album dei Sólstafir, un viaggio sonoro che si snoda come una strada polverosa attraverso un paesaggio desolato, dove il sole tramonta su un orizzonte di emozioni contrastanti. Come da sempre la band islandese ci ha abituato, nel loro sound riusciamo a trovare un mix di post-rock, metal e influenze folk, che cattura l'essenza di una terra antica e misteriosa. L'album si apre con "Hún Andar," un brano che introduce l'ascoltatore a un'atmosfera quasi mistica. Le chitarre vibrano come il canto di una chitarra acustica suonata attorno a un fuoco, mentre la voce di Aðalbjörn Tryggvason si erge come una figura solitaria in un vasto deserto, in un canto antico rafforzato dall'utilizzo delle liriche in islandese, ormai vero marchio di fabbrica per i nostri. La produzione è curata, permettendo a ogni strumento di risaltare senza sopraffare l'emozione trasmessa dalle liriche incentrate su temi emozionali. La title track ha un incipit oscuro che dà ampio spazio alla tribalità possente delle sue percussioni (in certi punti mi ha evocato addirittura gli Slayer), lasciando poi il posto a un riffing serrato, epico che evoca immagini di battaglie passate e paesaggi maestosi, in cui oltre a brandire le spade, è la voce del frontman a ergere il suo grido in cielo. La varietà stilistica è uno dei punti di forza del quartetto di Reykjavík e "Blakkrakki" dimostra la capacità di variazione del tema con la più classica impostazione alternative southern rock della band. "Sálumessa" incarna, con le sue melodie lente e soffuse, quello spirito magico e ancestrale che caratterizza le composizioni dei nostri. "Vor ás" prosegue in una dimensione ultraterrena, aggiungendo addirittura la voce femminile di tal Erna Hrönn Ólafsdóttir in una song oscura e non so ancora, se realmente ben riuscita. Un malinconico pianoforte introduce a "Freygátan", in cui troviamo un altro ospite, Borgar Magnason, al doppio basso, per una song dal forte sapore depressive rock. E a proposito di forza, ecco arrivare "Nú Mun Ljósið Deyja", traccia rabbiosa e ricca di intensità emotiva. In chiusura, la ritualistica "Kuml (Forspil, Sálmur, Kveðja)" offre l'ennesima dimostrazione della sapienza dei nostri nel trasportare l'ascoltatore in luoghi lontani, grazie all'utilizzo di sax e voci pulite all'interno di una elegante cornice atmosferica. Sicuramente, 'Hin Helga Kvöl' non è la migliore opera dei Solstafir, ma comunque è un buon lavoro atto a sancire l'originalità della band nordica. (Francesco Scarci)

lunedì 24 febbraio 2025

Häxkapell - Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp

#FOR FANS OF: Black/Folk
The Scandinavian music scene is full of talented musicians, which explains the quantity and quality of projects in the metal scene. The musicianship, displayed in these projects, proves how crucial it is to teach young people to play and love music. It also shows how a single member can create a very competent project with little or no help from other musicians. Today, we focus on one of these intriguing projects, called Häxkapell. It was founded in the northern lands of Sweden by the musician Oraklet, who plays all the instruments except for the drums, with some guest appearances.

After its remarkable debut 'Eldhymmer', and as a celebration of its ten years of existence, the interesting Swedish solo project is back with its sophomore effort, entitled 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. I like the fact that the lyrics are written in Swedish as it gives authenticity and personality to Häxkapell’s music. I have always considered that the black metal genre, where this project is firmly rooted, gives a great room to sing in each own's language, as the genre has proven to be a great portrait of different cultures’ expression. Häxkapell’s musical approach does make a strong connection between this metal subgenre, as its music has an influence from Sweden’s folklore and cultural heritage. Häxkappel’s compositions are not a generic black metal collection of songs, but compositions that have an intimate connection to that land and its history. The wise use of atmosphere and resources like acoustic guitars or folk instruments reinforce this idea. For example, a song like "Vindar Från Förr" successfully combines a strong folk touch thanks to the violin and clean vocals, with the trademark high-pitched screams and the traditional black metal riffing. This essence is also immediately felt in the album opener "Satans Rötter". Its riffs and vocals remind me of the traditional approach of pagan black metal bands, with this barbaric and powerful riffing, hammering drumming, and a great combination of aggressive vocals, which are dominant, and the clean ones. All in all, the purest black metal essence is clearly present in many sections, which sound darker and more aggressive, thanks to the well-known use of tremolo picking. There are many moments to choose, but the listener will easily appreciate it in a quite straightforward composition like "Metamorfos".

The way an album ends is essential, as it leaves you with a greater or worse impression of it. Häxkapell surely was conscious of this fact, and it closes this second album with a magnificent track called "Den Sanna Modern Talar". This is the longest and most epic piece, with an excellent combination of all the elements used by this project throughout 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. It’s a fast, yet varied track that combines folk and black metal elements in a very inspired way, achieving a majestic and energetic tone that makes you headbang like a beast. I personally love how powerful riffs are combined with the violin or the acoustic guitars, and the result sounds so well fused. The excellent clean vocals are also an interesting addition, as they enhance the majestic yet mature tone of this track. This is certainly a tasteful way to end an album.

In conclusion, 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp' is a step forward as it successfully continues with the fundamentals seen in the first album, but with improved compositions and a great variety, which results in a phenomenal album. (Alain González Artola)


martedì 18 febbraio 2025

Evoking Winds - Your Rivers

#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk
L'album 'Your Rivers' degli Evoking Winds si è rivelato per il sottoscritto una delle sorprese più entusiasmanti del 2024, consolidando il talento di questa band bielorussa che continua a stupire con la sua capacità di fondere black metal e folk in un equilibrio impeccabile. Giunto al loro sesto lavoro, il gruppo dimostra una maturi artistica notevole, spingendosi verso nuove direzioni sonore senza tradire il proprio stile distintivo. Questo disco, composto da dieci tracce per un totale di 51 minuti, si distingue per la sua atmosfera incredibilmente evocativa e malinconica, un viaggio musicale che intreccia riff di chitarra possenti con melodie folk ricche di profondità e intensità emotiva. Brani come l'opener "Verily Said" o le straordinarie "The Lights of Skellige" e "Lilac and Gooseberries" sono perfetti esempi della versatilità della band: momenti di feroce aggressività si alternano a sezioni melodiche e contemplative, intrise di una magia eterea che deve molto anche alla presenza di vocalizzi femminili sognanti. La strumentazione usata dalla formazione a otto elementi, è un vero punto di forza dell’album: flauti, arpe, cornamuse e ben tre chitarristi creano un senso dinamico e stratificato, arricchendo ogni traccia con contrasti affascinanti. Questo connubio tra strumenti acustici e parti elettriche si fa particolarmente evidente in episodi come "Brotherhood of Brenna" o la title track, dove soluzioni orchestrali amplificano l'aspetto epico e cinematografico del disco. La produzione è impeccabile, riuscendo a valorizzare ogni dettaglio senza mai sacrificare l’impatto emotivo o l’intensità dei brani. Blast beat furiosi, tremolo picking raffinati e arrangiamenti curati convivono in un insieme che non stanca mai, offrendo un’esperienza sonora a dir poco immersiva. I testi affrontano con sensibilità e profondi temi universali come i mutamenti del mondo, i conflitti, l’amore, la morte e il ciclo perenne della vita, conferendo ulteriore spessore a un’opera già straordinaria sotto il profilo musicale. Seppure disponibile solo in versione digitale unico piccolo rammarico 'Your Rivers' si guadagna, senza esitazione, un posto tra i migliori album dell’anno, almeno per il qui presente. È un lavoro imprescindibile per chi cerca autenticità, innovazione e una freschezza rara nel panorama musicale contemporaneo. Una scoperta che merita tutta l’attenzione possibile. (Francesco Scarci)

domenica 26 gennaio 2025

Thy Catafalque - XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek

#PER CHI AMA: Avantgarde/Black/Folk
Il nuovo album 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' dei Thy Catafalque rappresenta un ulteriore capitolo complesso e affascinante nella carriera di Tamás Kátai, la geniale mente dietro il progetto, consolidandone la reputazione nell’universo dellavantgarde black metal. Questo dodicesimo lavoro si distingue per una sorprendente fusione di stili, che si muovono dall’estremo al melodico, con un forte legame alla storia e alla cultura ungherese. La complessità musicale, una firma distintiva dell’artista magiaro, permea l’album attraverso elementi folk, prog, elettronica e avantgarde, oltre a intensi momenti di metal estremo. Per la prima volta, Kátai ha collaborato con il produttore Gábor Vári, ottenendo una produzione più raffinata rispetto ai lavori precedenti. Tra i dieci brani che compongono il disco, identificherei come di maggiore spicco "Mindenevő", un’intensa combinazione di growl e melodie accattivanti che richiamano vagamente gli Amorphis nelle note iniziali, a cui fa seguito una cavalcata black/death a guidarne il refrain. "Ködkirály" sembra articolarsi in due atti: una prima parte malinconica, impreziosita dalla voce femminile di Ivett Dudás (dei Tales of Evening) e una seconda, che si evolve in unesperienza sonora drammatica e potente, sospesa tra sonorità black e atmosfere imponenti dal sapore doom. "Lydiához" è una reinterpretazione malinconica e folkloristica di un brano dell’artista ungherese Sebő Ferenc, cantata con grazia, da Martina Veronika Horváth (The Answer Lies in the Black Void) e Gábor Dudás. I due artisti vanno a unirsi allo stuolo di collaborazioni (oltre 20 musicisti coinvolti) che hanno contribuito a rendere ogni traccia unica, arricchendo il tessuto sonoro dei Thy Catafalque, e donando sfaccettature sempre nuove ai pezzi. Nel frattempo si arriva a "Vakond", un vivace brano strumentale che intreccia stili e strumenti diversi, dal fischio al bouzouki, creando un’atmosfera festosa ma carica di nostalgia. La title track chiude il disco con melodie leggere e un ritornello coinvolgente, mettendo nuovamente in mostra la straordinaria versatilità della band. In definitiva, 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' riflette l’evoluzione continua e coraggiosa dei Thy Catafalque. Sebbene non raggiunga le vette dei precedenti 'Vadak' o 'Sgùrr' (che rimane il mio preferito), questo nuovo capitolo offre una ricchezza di suoni e ispirazioni che non mancherà di stupire anche lascoltatore più ignaro, regalandoci nuove prospettive ed esperienze sonore. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2024)
Voto: 78

giovedì 5 dicembre 2024

Misha Chylkova – Dancing the Same Dance

#PER CHI AMA: Electro/Shoegaze/Folk
Dopo una manciata di singoli, esce finalmente il full length di Misha Chylkova, compositrice sofisticata dalla voce vellutata e intensa. Il disco si muove a ripetizione tra cantautorato dalle sonorità attuali e un'elettronica minimale e cinematica. Loop ripetitivi e circolari fanno da veri e propri tappeti volanti, visto che l'artista londinese di origine ceca, sa costruire brani sognanti e intimi, con quel pizzico di malinconia che non scade mai nel banale, mostrando un lato intimo che non si cosparge di miele ma che, al contrario, incita alla dilatazione delle pupille in una costante ricerca di qualcosa che va oltre il definito, fin dal primo ipnotico brano strumentale, "Coffee". Difficile accostare Misha ad altri artisti; la sua musica, per quanto minimale, è ricercata e certosina, dalla pulizia del suono al bilanciamento dei bassi, la produzione è infatti assai buona e gioca un ruolo importante per poter assaporare l'intero lavoro. Sonorità moderne per un incrocio di stili difficili da focalizzare, forse la Chelsea Wolfe di 'Apokalypsis' e 'Birth of Violence', in una veste meno dark e più dreampop, un folk cristallino dalla vena grigia, per ascoltatori sognanti che non rimarranno impassibili di fronte ad un brano brillante come "Sparrows", che per certi aspetti mi ha ricordato la magia del suono dei Cigarettes After Sex dell'omonimo album, ma anche le ipnotiche sperimentazioni di Anna Von Hausswolff, in chiave meno apocalittica. La bella voce della Chylkova ha venature molto velate e dolci, che ricordano molto le qualità vocali di Tracey Thorn degli Everything but the Girl, mostrando una versatile capacità d'interpretazione, con cui sposta facilmente l'ago della bilancia tra folk ed elettronica, senza cadute di stile, con piccole toccanti ed ingegnose variazioni vocali sparse tra i brani, che ne aumentano il valore e la qualità ad ogni ascolto. "Dead Plants" è un brano killer che si muove sullo stile ritmico di anthems del calibro di "Atmosphere" dei Joy Division, anche se il brano non è così oscuro ma la sua progressione mette in risalto il fatto che tra le note di 'Dancing the Same Dance', esista anche un legame sonoro con certa new wave che ha fatto giustamente la storia. Questo disco nel suo sembrare, al primo ascolto, fragile e dispersivo, nasconde invece un carattere inquieto e variegato, con punte di sperimentazione non impetuose ma peculiari, pacate e curate, tra sonorità vicine ad un moderno post rock ed un fine tocco di musica elettronica d'ambiente. Un album che non si assimila con un solo ascolto, sarà necessario ascoltarlo più volte per carpirne la giusta essenza, magari di notte guidando in solitudine. Un album comunque, che merita e che conquisterà la vostra attenzione. (Bob Stoner)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)


sabato 12 ottobre 2024

Forelunar - Hwaa (​화​)

#PER CHI AMA: Post Black
Da queste parti, seguiamo da sempre con un certo interesse, le gesta di Forelunar (all'anagrafe Harpag Karnik), artista iraniano che oltre alla presente band, offre la sua arte musicale anche sotto molteplici altri moniker, tra i quali mi preme menzionare Broken Pillars, Désespéré, Erancnoir, Etheraldine, Forestionist e Menakeret, giusto per ricordarvi i più interessanti. Un altro EP comunque, e ahimè sempre e solo in formato digitale, per Mr Karnik, un'altra piccola gemma di post black sofferente, che risponde al titolo di 'Hwaa (​화​)'. Due soli i pezzi a disposizione per mostrarvi la qualità del factotum di Teheran: "Hwaa (火)" ossia fiamme, come quelle che divampano con la medesima velocità di un incendio che si ciba di ossigeno, e che con velocità sostenute combinate ad atmosfere astrali, screaming vocals e splendide melodie, saprà conquistarvi sin dal primo ascolto, cosi come è riuscito con il sottoscritto. Disperazione, dolore estatico, sonorità eteree che ammiccano al blackgaze, vocalizzi cerimoniali, ottimi synth e tanto altro ancora, a confermare le qualità di un musicista non ancora trentenne, ma in grado di emozionare quanto un altro genio incompreso, come l'azero Emin Guliyev dei Violet Cold. E la seconda "Hwaa (花)" (fioriture) è in grado di toccarvi l'anima forse ancor di più del precedente brano. Qui vi imbatterete in sonorità e atmosfere che evocano la tradizione giapponese (come si evince anche dalla cover del disco) e che in questo pezzo, posso immaginare faccia riferimento alla fioritura dei ciliegi dopo il gelo dell'inverno; da quì ripartire con un'epica cavalcata che ci porterà a esplorare nuovi luoghi che forse Harpag stesso vorrebbe realmente visitare. Un graditissimo ritorno da celebrare assolutamente con l'ascolto di 'Hwaa (​화​)'. (Francesco Scarci)

(Ardawahisht Kollective - 2024)
Voto: 78

https://forelunar.bandcamp.com/album/hwaa

martedì 25 giugno 2024

Korozy - From Cradle To the Grave

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine  
#PER CHI AMA: Symph Black/Folk
Con la loro terza e ultima release ufficiale prima dello scioglimento, i bulgari Korozy sfornarono un album degno di appartenere a tutti i black metallers. Otto tracce di black metal infarcito di parti folk che richiamavano la tradizione bulgara, mai banali o sdolcinate, sempre in linea con le sfuriate dei nostri quattro eroi. Orchestrazioni sempre presenti e massicce che apportano un tocco di malinconia al tutto. Degne di nota sono la opening track che dà pure il titolo al disco, ”From Cradle to the Grave”, che vede la partecipazione di una voce femminile personificata da una vera operista bulgara (una voce come poche nel genere), e “Keeper of the Cemetary”. Ascoltatela bene e provate a sentire la tristezza emanata dalla voce pulita, supportata qui da un giro di basso semplice ma efficace. Questa song figura anche nella remix version nata dalle mani di ZZ MINEFF & R.O.B.T.F e devo dire che fa proprio una bella figura (e se lo dico io, dovete credermi). I testi sono ragionati e per niente scontati come del resto la produzione agli Acoustic Version Studios, cosi compatta, e che mette in risalto e dà forza a tutti gli strumenti. Una bella realtà per la Bulgaria e per la scena black in genere. Ascoltate per credere.

(О.Ч.З. Records - 2000)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Korozy