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sabato 26 dicembre 2015

Thee Maldoror Kollective - New Era Viral Order

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Che i Maldoror fossero una band fuori dal comune lo si era già capito quando nel 1998 uscì il loro debutto 'Ars Magika', ma il black metal degli esordi, seppure non scevro di alcune contaminazioni di ritual-ambient, ancora non lasciava trasparire quelle evoluzioni sbalorditive che il gruppo avrebbe intrapreso in futuro. Nella metà del 2001, il secondo capitolo discografico 'In Saturn Mystique', giungeva invece come una rivelazione e metteva completamente a nudo lo straordinario talento della band torinese, sincretizzando, in un'unica formula, intricate e violente partiture black metal con suggestive esplosioni electro-wave che toccavano spesso il limite del progressive. Dopo il cambio di monicker in Thee Maldoror Kollective (che sottolinea un nuovo assetto del gruppo, teso alla collaborazione con altri progetti extramusicali), uscì il terzo full-length 'New Era Viral Order', un concept sul 'Liber Al vel Legis' di Aleister Crowley che voleva approfondire il complesso tema dell'insediamento del Nuovo Eone di Horus: il simbolo di una nuova consapevolezza e della centralità dell'uomo nell'universo. Da sempre seriamente coinvolti in studi e pratiche magistiche, i Maldoror non abbandonano quindi il loro itinerario artistico fatto di cultura esoterica e danno vita ad un'opera ambiziosa ed innovativa che si priva del sostrato mistico e spirituale. Rispetto al precedente 'In Saturn Mystique', il nuovo album si spoglia dei connotati intransigenti del black metal e prende il largo verso una sperimentazione più audace (che sarà ancor di più enfatizzata nei successivi album), contraddistinta dalla ricerca di un continuo dinamismo sonoro e di un ritmo ipnotico. Terremotanti riff di chitarra in stile 'Demanufacture' si incastrano in un tessuto sonoro complesso, fatto di ruvidi beat industriali e dalle tastiere ispirate di Evanghelya, musicista con un gusto compositivo affascinante ed insolito, sempre a cavallo tra le ambientazioni sinistre di Goblin e Jacula e la trascinante modernità dell'EBM più corrosiva. Le parti vocali del leader Kundahli mantengono la brutalità dei precedenti lavori ma vengono sporadicamente filtrate da un effetto robotico che dona un'impronta ancor più sintetica al suono. Da segnalare anche l'elegantissimo digipack, la prestigiosa partecipazione degli MZ412 con il remix di "Epidemic Noise Age" e per finire gli episodi che a mio avviso sono tra i più intensi dell'album: "Xaos DNA Released", "Haemorrhage Transmission", "Rhytmagick Disturbance" e "Slaughter Mass 2002", flussi di energia invisibile e scardinante che si insinuano come un virus nel subconscio, tutti brani che attraverso la sperimentazione rivendicano comunque una forte appartenenza al metal estremo. Seguite dunque il mio consiglio: recuperate 'New Era Viral Order' e lasciatevi avvolgere dal Chaos. (Roberto Alba)

venerdì 25 dicembre 2015

Witchsorrow - No Light, Only Fire

#PER CHI AMA: Doom Metal
'No Light, Only Fire' è l'ultimo lavoro dei doomster britannici Witchsorrow, in circolazione dal 2005 e con all'attivo già tre full-length, un EP e una demo risalente al 2008. Nel loro decimo anniversario, pubblicano quest'album che si apre con "There is No Light Only Fire“, song dalle sonorità oscure ma con un vocalist dalla voce pulita: non v'è infatti traccia di growl, anzi sembrerebbe quasi una canzone adatta a una sorta di karaoke metal (se mai qualcuno volesse ispirazione, consiglio quest'album). La stessa atmosfera all'insegna del puro doom, prosegue in “Made of the Void” e in “Negative Utopia”, con la differenza che in quest'ultima song la disperazione traspira minuto dopo minuto fino a portare all'esasperazione dei sensi. Dalla metà in poi del brano qualcosa cambia: ci si ridesta, la chitarra e la batteria vengono liberate per un breve lasso di tempo e un barlume di luce si intravede nell'oscurità più fitta. Restando sempre su questa riva, troviamo “The Martyr”: l'inizio è grave, scandente ogni secondo con il drumming che si agglomera alle chitarre a lutto (sarebbe un'ottima marcia funebre alternativa). Qui la rabbia traspare nei diversi cambi di tonalità vocale, che diventa addirittura roca. Poco dopo metà brano, il ritmo cambia e vira, avvicinandosi a un punk-rock: grida, ritmica cadenzata e assoli di chitarra rendono il tutto perfetto per l'headbanging (grazie anche al tono vocale del cantante Necroskull). Come in ogni lavoro che si rispetti, c'è sempre un giro di boa (o un piccolo cambio in corsa, se vogliamo definirlo in tal modo) ed è scandito da “To the Gallows”, le cui sonorità sono decisamente metal puro, con la voce sempre assestate ad un livello acuto, e fiumi di dirompente potenza, energia e rabbia che fuoriescono dalle casse dello stereo. “Disaster Reality” comincia in punta di piedi, una nota ogni due secondi fuoriesce dalla chitarra, per poi essere supportata brevemente dal binomio batteria-basso. Il risultato che ne esce è come un'onda: prima piccola, poi enorme, piccola e poi una sorta di tsunami, con uno spettro di pura angoscia che aleggia per tutto il brano. “Four Candles” è totalmente strumentale e acustica, un piccolo intermezzo curioso. Il disco si chiude con un piccolo salto nel passato: “De Mysteriis Doom Sabbathas”, già apparsa nell'omonimo EP uscito nel 2013 su cassetta in edizione limitata (ne sono uscite solo 150 copie). Strumentale per i primi 4 minuti, segue la falsariga di “The Martyr”, offrendo un assolo meraviglioso verso l'ottavo minuto che dà carica e potenza e coincide con la parte migliore del pezzo. La chiusura poi riprende il mood dell'apertura e le sonorità oscure tornano alla ribalta per collegarsi al primo brano. Buon lavoro questo 'No Light, Only Fire', ma mi sento di dare un unico consiglio: provare ad usare il growl nel prossimo lavoro, se non come voce principale almeno nei cori. (Samantha Pigozzo)

(Candlelight Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/witchsorrowdoom/

Interview with Laniakea

Follow this link to know much better the French band Laniakea and their sound dedicated to an atmospheric death/black:


The Frozen Autumn - Emotional Screening Device

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Electro Cold Wave
Non nascondo che provai un po' di dispiacere quando qualche tempo fa mi giunse la notizia della separazione del duo torinese formato da Diego Merletto e Claudio Brosio, che con i primi due album 'Pale Awakening' e 'Fragments of Memories', avevano permesso al nome The Frozen Autumn di affermarsi come uno tra i più interessanti nella scena dark-wave del nostro paese. Fortunatamente tale separazione non comportò anche il termine dell'attività artistica di Diego, che decise nel 1998 di continuare da solo nel suo progetto e di affrontare assieme alla cantante Arianna un percorso più sperimentale con gli Static Movement. E fu proprio dall'incontro di Diego e Arianna che ripartì il nuovo cammino dei Frozen Autumn, che nel 2002 tornarono con il loro terzo lavoro 'Emotional Screening Device', un album che parve aver assimilato gli stessi elementi di synth-pop presenti nel notevole 'Visionary Landscapes' (primo album degli Static Movement, uscito per Eibon Records nel 1999). È un tocco magico quello dei Frozen Autumn, che rapisce con le sue fredde melodie e cattura l'ascoltatore per più di un'ora in un'atmosfera irreale, dove si risvegliano emozioni nostalgiche e i ricordi del passato ci appaiono così nitidi e frammentati allo stesso tempo. Solamente gruppi come Talk Talk, Alphaville, Eurythmics e Depeche Mode hanno saputo ricreare con pari abilità armonie tanto incantevoli e, non a caso, gli 11 brani presenti nell'album, attingono a piene mani proprio dalla new wave, rivisitando nella maniera più attuale e raffinata il suono delle band che negli anni '80 resero così popolare questo genere. Abbandonata dunque l'impronta romantica dei precedenti lavori, l'elettronica del gruppo si riveste di sonorità più gelide e taglienti, supportate da ritmi danzabili veramente piacevoli e dalle voci eteree di Diego e Arianna, che si alternano nel cantare i vari brani. Vi basterà ascoltare "Silence is Talking", "When You are Sad", "Verdancy Price" e "Second Sight (A)" per avere conferma del valore di un album che non necessita di ulteriori elogi, ma solo di un un ultimo invito, rivolto a chi leggerà queste righe, ad avvicinarsi alla musica dei Frozen Autumn e lasciarsi conquistare. (Roberto Alba)

(Eibon Records - 2002)
Voto: 80

https://www.facebook.com/TheFrozenAutumn/

Attila Bakos - Aranyhajnal

#PER CHI AMA: Progressive/Epic, Nightingale, Bathory
Mi ero già incazzato in occasione del precedente progetto del buon Attila Bakos, i Taranis, per lo scarso interesse mostrato nei confronti di un artista eccellente. Torno ad arrabbiarmi oggi, in occasione della recente uscita dell'album solista del polistrumentista magiaro. Attila esce con il full length d'esordio, 'Aranyhajnal', fuori esclusivamente in digitale, e proprio qui risiede la mia rabbia, la mancanza di un'uscita fisica per un album di questa caratura. Il lavoro contiene otto tracce che si muovono nella scia di un metal progressivo che lascia ampio margine di manovra alla musicalità del mastermind ungherese, che abbiamo visto coinvolto anche in altre band, come Thy Catafalque, i norvegesi Quadrivium e con i Woodland Choir. Come per il progetto Taranis, anche in questo caso Attila sembra ispirarsi a certa musica nordica e penso a Dan Swano, Bathory o agli Arcturus, nomi di una certa rilevanza, la cui spiritualità, magia, passione e una forte emotività, sembrano rivivere nelle song del sempre bravo Attila. La opener "Ősi Szó" evidenzia sin da subito l'elevata componente orchestrale messa in scena, che si miscela con una certa vena malinconica riscontrabile nelle splendide linee melodiche di chitarra, su cui si stagliano le epiche vocals del frontman, sempre in grado di trasmettere suadenti emozioni, grazie alla sua estesa linea vocale (che arriva a toccare il falsetto nella successiva "Életerő"). Una certa rilevanza la giocano anche i synth, abili a tessere splendide ed eteree melodie, duettando con la chitarra, dotata, nella seconda traccia, di una vena più folkish. Se "Lángolj" mi ricorda a livello ritmico qualcosa dei primi Nightingale, "Ármány"sembra rievocare lo spirito di Quorthon e dei suoi Bathory più epici. Non importa poi se Attila canta tutto in rigorosa lingua magiara, la release acquisisce connotati ancor più esotici che la rendono addirittura più interessante. Il disco trova modo anche di lanciarsi nell'iperspazio dello space rock, e non solo perchè l'apertura ambient di "Áldás", le palesi influenze classiche, la dirompente voce di Attila (che qui trova modo anche di sfondare nel growling), i break acustici, certi splendide digressioni etniche, rendono questa lunga traccia di oltre 12 minuti, la mia favorita tra le otto. "Sziklák Szívén" è un altro pezzo dal mood triste, ma di sicuro impatto, che oscilla tra il progressive e un approccio più violento. "Lépj át" sembra nella prima parte una ninna nanna, poi fortunatamente si riprende e dà modo a Bakos di dar sfoggio della sua preparazione tecnica, sciorinando un altro vibrante assolo. Brividi lungo la schiena, che si concludono con la fragranza estiva di "Az éj Rejtekén" che chiude questa nuova interessante opera firmata Attila Bakos. Mi raccomando ora: 'Aranyhajnal' per alcun motivo dovrà passare inosservato. (Francesco Scarci)

Laniakea - At the Heart of the Tree

#PER CHI AMA: Techno Death/Deathcore/Black, Gojira, Tesseract
I Laniakea sono una giovane band di Avignone che con l'uscita di questo full length cerca di rimarcare una posizione di rispetto in quello che possiamo definire il braccio più tecnico del death metal, unito trasversalmente a quell'attitudine mistica e di pensiero che qualche tempo fa rese grandi band come Alcest e Agalloch. I video trovati in rete non lasciano molti dubbi sul fatto che la band deponga nella forza della natura l'unica via d'uscita per l'uomo del futuro, i vari stacchi d'atmosfera disseminati tra i cinque brani del disco fungono da legame immaginario, tra i paesaggi autunnali pieni di pathos che la band usa per mostrarsi al pubblico nel web e una coltre di riff death pesanti, dallo stile chirurgico, taglienti e caricati da un sound modernissimo, freddo e potente. I tre musicisti francesi riescono a dotare il proprio suono, che affonda le proprie radici nella matrice sonora dei Gojira, di una particolare aura futurista grazie alla presenza nella line-up di una dinamica drum machine, mentre sul versante chitarristico riescono a differenziarsi dai conterranei per un tocco deathcore, simile ai Misery Index o ai mai dimenticati The Haunted, con un cantato robusto vicino ai viaggi di Dan Swanö solista, il tutto filtrato da una buona dose di impulsi modernisti di scuola Fear Factory. 'At the Heart of the Tree' gode alla fine di un buon effetto sorpresa, anche se la band mostra la sua forma migliore nelle parti più sperimentali o in quelle più tranquille, dove le doti tecniche dei due chitarristi emergono più chiaramente. Infatti, le parti più dure dei brani si dimostrano più interessanti quando il terzetto osa nell'essere più noise e sperimentale, infarcendo il tutto di suoni tecnologici e taglienti. Solo in alcuni casi i nostri soffrono di qualche veduta musicale stereotipata, complice forse il limite comprensibilissimo che può offrire una drum machine, una macchina infernale che per quanto usata ad arte, appiattisce e appesantisce l'evoluzione del brano. Un limite che comunque non arriva mai a compromettere né l'integrità e neppure la bellezza di ogni singola traccia. In generale è un debutto con i fiocchi e l'ascolto è consigliato a tutti gli estimatori del metal, suonato con una cura smisurata quasi maniacale e prodotto anche meglio. Anche l'approccio della band ad una evoluta forma di metal estrema, complessa e assai spirituale sulla via di Tesseract o Gorguts, alla fine è dimostrazione di una bella prova di maturità. Ascoltate "Pillars of Creation", la conclusiva "Le Vent Sous les Cendres" o la title track, con le sue pause atemporali sospese nel nulla, i ritorni al pulito, i riff distruttivi, per un contrasto sonoro di tutto rispetto. Ennesima delizia sonora transalpina. (Bob Stoner)

(Self - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/Laniakea

CONTEST WILL'O'WISP: i vincitori



Annunciamo i vincitori del concorso "Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'":

Roberto Coltro di Zimella (VR)
Lorenzo Dolciami di Magione località San Savino (PG)
Adamo Proserpio di Reno di Tizzano (PR)

Complimenti!

Le risposte corrette erano:


1) Il titolo dello storico demotape è "Nocturnal Whispers".
2) Il titolo della raccolta di poesie è "Flame in Chalice".

giovedì 24 dicembre 2015

Varen - S/t

#PER CHI AMA: Black Atmosferico, Blut Aus Nord
I Varen sono una delle innumerevoli creature di SoMnius, polistrumentista belga che vanta nel suo curriculum anche la band omonima e gli Stories From the Lost. In questo mini cd di 5 pezzi, il bravo mastermind fa coppia con Wesley Dewanckel, voce e chitarra del progetto. Cinque pezzi dicevo, aperti da "Hic Incipit Pestis" e dal suono delle campane, dal ronzio delle mosche che si cibano dei cadaveri morti a causa della dilagante pestilenza e da voci in background. La musica romba come un tuono, tra il fremito di malinconiche chitarre in tremolo picking, un programming un po' troppo glaciale, e convincenti harsh vocals, con il sound che si muove tra un black atmosferico mid-tempo, e soventi accelerazioni dal forte tono sinistro. L'album s'incupisce ulteriormente, rendendosi peraltro ancor più affascinante, con la successiva "Attero Sententia", song che mostra una certa decadenza di fondo nella matrice sonora del duo belga, ma che evidenzia anche un'inusuale ricerca di originalità a livello ritmico, con suoni non proprio convenzionali, ma soprattutto capaci di sprigionare una carica emotiva a tratti entusiasmante. Diavolo, i Varen non si presentano certo come degli sprovveduti, anzi finiscono per mettere in mostra un songwriting già maturo e avvolto da una epicità che si paleserà anche nella terza "Vermes", traccia dal piglio veemente ma che mi esalta appieno per le sue linee melodiche quasi strazianti. Il ronzio delle chitarre delinea la veste mortifera di "Manes", il quarto pezzo dell'EP, un'altra song ammantata di oscuri presagi che alla fine, risulterà il brano più claustrofobico di questa prima fatica dei Varen. La conclusiva "Odium" straborda inizialmente per l'abuso della drum machine, ma poi fortunatamente rallenta il proprio ritmo e si lancia nei vicoli ciechi tracciati dallo psicotico e spettrale sound della band. La strada imboccata dal duo delle Fiandre è decisamente buono, ora attendo solo con sommo interesse, il loro full length d'esordio. (Francesco Scarci)

mercoledì 23 dicembre 2015

Nepente - I Will Get Your Soul

#FOR FANS OF: Death/Black, Hate, Necrowretch
This new EP from the Colombian Death/Black Metal veterans offers up much of the same as what was on display throughout the rest of their offerings. The basis is on impossibly blistering riff-work augmented by truly ferocious drumming in their up-tempo moments that continue for the most part unheeded by their full-throttle paces which is an utterly devastating series of tactics that makes this here truly enjoyable. This is all nicely balanced with a mid-tempo groove-styled charge that drops the chaotic frenzy of the frantic drumming that brings in a nice amount of restraint and balance to the material as it’s not set on full-scale demolition the entire time out and that variety is nicely appreciated. A lot of this is mainly due to the rather frantic ability of the drumming to be almost triggered with a machine, lending even more of a frenzied and off-the-walls quality of the material in addition to the blistering tempos and more melodic work present throughout the rest of the album which gives it that absolutely dirty and primal sound that’s so common and enjoyable about extreme South American bands. On the whole there’s little about this that’s not to like, it just mainly comes from the fact that being only four tracks long it’s over so quick and is so enjoyable as it runs through its paces that it serves as a teaser more than a collection of extra tracks and really seems destined to fall short as if a full-length effort would be more appreciated despite the consistent and cohesive quality displayed here. For the most part this is a wholly enjoyable and explosive piece of work. The title track opens with a light acoustic guitar before blasting into frenzied, chaotic drum-blasts and wholly ferocious riffing firing through blistering tempos as the impossibly brutal machine-gun blasts and the accompanied tremolo-picked rhythms continue jockeying throughout the ravenous pace with the lighter tremolo riffs into the final half for a truly enjoyable first impression here. ‘Show Me That You Are Suffering’ offers a lighter tremolo-styled rhythm swirling through blistering drumming into an intense mid-tempo charge balanced with the frenzied riffing and frantic drumming that comes off with ferocious intent with the pounding rhythms firing along through the finale for another stand-out highlight. Being a little more melodic, ‘Gray Lands’ starts with a ravenous mid-tempo charge with restrained riffing and drum-work that works a devastating mid-tempo groove augmented with plenty of blistering drumming and a fine series of tremolo riffs that offer a melodic touch to the mid-tempo work with a frantic final half that makes this another fully enjoyable and standout track. Finale ‘Last Rites’ offers blistering drum-work and dynamic tremolo riffing with dynamic rhythms bouncing from the frenzied up-tempo blasts through the more melodic tremolo patterns through the sprawling, droning paces with a dynamic mid-tempo crunch giving way to the extended fade-out final half for an exciting conclusion to this. It’s really only the fact that, being so short it desperately leaves the listener wanting even more that lowers this somewhat. (Don Anelli)

(Cimmerian Shade Recordings - 2015)
Score: 85

lunedì 21 dicembre 2015

Poseidon – Octavius

#PER CHI AMA: Symphonic/Cinematic/Progressive, Arcturus
La band russa di Stravropol, dopo aver pubblicato nel 2014 'Infinity' per Argonauta Records, è tornata in pista, nell'estate del 2015, con questo lungo singolo di quasi dieci minuti, qui proposto in doppio formato composto da una lunga suite cantata e a seguire lo stesso brano in veste strumentale. Devo ammettere che mai riferimento ad un genere fu più azzeccato di quello che gli stessi autori si sono affibbiati, ossia 'cinematic metal'. Il brano è straordinario, carico di suggestioni sonore vicinissime alle colonne sonore, preferibilmente epiche, classicheggianti e sinfoniche, oserei quasi dire perfette sotto ogni profilo. Pur mantenendo una forma molto metal, il suono acquista sfaccettature progressive e moderne con una qualità sonora veramente degna di un colossal, suonato divinamente e concepito per stupire, aiutato poi da un'ottima produzione. Nella versione cantata, la performance vocale fa la differenza, solcando le orme di un death metal sinfonico, in cui il canto dona ulteriore epicità al brano, e l'interpretazione a più voci risulta veramente indovinata e di alta qualità. Nulla è fuori posto, è tutto esageratamente completo e stilisticamente perfetto, cori, synth, tastiere e chitarre dal divino, classico gusto progressivo, una sezione ritmica impeccabile, compatta e peculiare, precisissima, effetto cinematografico ed un modo di intendere il metal senza singoli sfarzi musicali ma una coralità invidiabile, una compattezza adorabile, un'ottima attitudine al suono d'insieme, ideale per raggiungere l'intento sonoro della band, ovvero, un maestoso e potente metal progressivo dal sapore fortemente cinematico. Dieci minuti di intenso piacere, da ascoltare interamente senza riserve. Ottimo lavoro, ora attendiamo il full length! (Bob Stoner)

(Crowford Records - 2015)
Voto: 80

Interview with Windfaerer

Follow this link to know much better the US sensation Windfaerer and their incredible sound in the vein of Australian Ne Obliviscaris:



sabato 19 dicembre 2015

Sky Shadow Obelisk - Beacon

#PER CHI AMA: Prog/Doom, Aarni
Peter Scartabello, cognome tipicamente italiano, è l'uomo che si nasconde dietro al moniker Sky Shadow Obelisk e alla musica assai particolare contenuta in 'Beacon', disco di debutto del polistrumentista americano dopo un paio di EP. La proposta del musicista del Rhode Island non è quanto di più facile potrete ascoltare: è necessaria infatti una certa predisposizione allo sperimentalismo sonoro e avere anche timpani adatti ad accettare il cantato alieno del mastermind statunitense. 'Beacon' consta di cinque brani, alcuni dei quali parecchio lunghi (si sfiorano addirittura i 20 minuti con "Velus Temporum"). Il disco si apre con le atmosfere inquietanti, ma aliene si addice di più, della title track: una melodia stralunata e totalmente dissonante (leggasi Ved Buens Ende) su cui si instaura la voce psicotica del buon Peter, che propone una timbrica pulita ma di assai difficile approccio in quanto appare palesemente stonato. Non ho la più pallida idea se l'effetto sia voluto o meno, ma ascoltando le linee melodiche totalmente sghembe, mi farebbe propendere per una scelta voluta che conduca ad una proposta musicale fuori dagli schemi e da ogni termine di paragone con altre realtà musicali. L'obiettivo alla fine è centrato. Anche nella seconda "The Ancient Yeasts of Yoh-Vombis", titolo che richiama inequivocabilmente l'occulto mondo di H.P. Lovecraft, attraverso una song lenta, e resa triste dal cantato drammatico di Peter (che qui trova sfogo anche in una veste growl), troverete una proposta assai sperimentale e non comune. La musica, nella sua lentezza disarmante, palesa una certa influenza che rimanda al rock progressivo e a fraseggi jazz. Influenze che svaniscono con la più ruvida e death doom oriented "Scepter of the Black Sun", che mette in luce uno splendido assolo e una serie di ubriacanti scale ritmiche conclusive. Non è certo la campana di "For Whom the Bell Tolls" quella che risuona in "The Polymorphic Bell of the Messenger", un'altra song che evidenzia la natura psicotica e sperimentale dell'artista di Providence. Sul suono di una campana infatti si insinuano una serie di improbabili suoni intergalattici e vocals robotiche. La sperimentazione qui raggiunge livelli parecchio elevati e se non vi sentite pronti ad andare oltre i vostri limiti, è molto meglio che vi interrompiate qui. Mr. Scartabello è un pazzo furioso lo devo ammettere, per cui nulla suonerà convenzionale nel delirio musicale in cui vi imbatterete ascoltando 'Beacon'. Frastornato da suoni idiosincratici, mi preparo a scalare gli ultimi 19 minuti di "Velus Temporum", neanche fosse "L'Alpe d'Huez" nel Tour de France. È funeral doom quello che mi attende al valico orrorifico di quest'ultima traccia, che mi fa sprofondare in un dirupo di disperazione e paranoia, consumandomi i pochi neuroni avanzati nel mio cervello. Il connubio voce delirante e growl, instauratosi sul tappeto plumbeo, suona come angosciante e agonizzante per il sottoscritto, pur mostrando tuttavia qualche punto di contatto con i primi Candlemass. Fortunatamente e in modo alquanto inatteso, mi imbatto in 5-6 minuti di silenzio, manna dal cielo per la mia mente già consumata, dopo aver affrontato un album del genere. Ma rimangono ancora gli ultimi due minuti di cui godere: altri estranianti suoni di un folle musicista. Marziano. (Francesco Scarci)

(Yuggoth Records - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/skyshadowobelisk

Closet Disco Queen - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock/Psichedelia
Oggi parliamo di un interessante duo svizzero, precisamente da La Chaux-de-Fonds, città storicamente conosciuta per essere il centro strategico dell'industria orologiera. Qui, Luc (batteria) e Jona (chitarra) si sono incrociati e hanno unito la loro esperienza pregressa per formare un power duo strumentale che fonde psycheledic kraut rock’n'roll con influenze prog. Il risultato è spumeggiante e il loro album di debutto è da ascoltare con attenzione: molti strati si susseguono ed anche se al primo approccio l'ascolto fila via liscio come l'olio, man mano che 'Closet Disco Queen' girerà nel vostro lettore cd, percepirete sempre nuove sfumature ed intrecci. Un po' come l'idea dell'album che nelle sette tracce vuole raccontare la storia di una brava ragazza, ma che in fondo nasconde un'attitudine da bad girl, la classica bambina cattiva. Nel lavoro troviamo diverse influenze ma volendo sintetizzare si tratta di un post rock unito a passaggi jazz con tappeti ambient che mantengono l'ascoltatore in costante stato di tensione emotiva, pronto a sfociare in un turbine di battute e accordi sgraziati al limite del noise. "Hey Sunshine!" è l'opening track che inganna per quel suo appeal positivo e crescente dove la velocità di esecuzione è al limite delle possibilità umane, ma comunque lascia spazio a melodie meticolose e repentine. Il batterista è probabilmente il musicista più felice su questa terra, infatti trova largo spazio per poter tessere paradiddle vorticosi e trascinanti. Spesso si ha quasi l'impressione che trascini anche la chitarra nel suo mondo di battute alternate, ma è una sensazione che dura poco perchè si viene subito investiti dai riff intrecciati della sei corde. Quest'ultima punta su un suono minimalista, una leggera distorsione e riverbero per non essere incatenata nell'esecuzione e pertanto avere la massima libertà possibile. Ottima sia la progressione che l'evoluzione melodica del brano che termina con un outro ambient-post rock per allacciarsi al pezzo seguente. "Caposhi" rallenta e punta su un riff ossessivo di chitarra che si ripete come un mantra, sempre inserito su una ritmica ostica e puntuale, caratteristica ormai assodata della band. Pian piano il brano si apre, acquista potenza gradualmente e finalmente il riff cambia, rimanendo semplice e di facile ascolto. Sicuramente una song dal discreto impatto prog nei live. L'album si chiude con "Black Saber", una suite di dodici minuti di puro rock psichedelico alla vecchia maniera, dove chitarra e batteria si fondono come due amanti senza tempo a formare un duo perfetto. Anche qui groove a palate con tanto di assolo selvaggio, pochi orpelli, ma musica vera e sudata come nei '70s. A tre quarti del brano i Closet Disco Queen rallentano, si prendono una piccola pausa per riprendere fiato e via che si imbarcano in un crescendo che li porterà a chiudere in bellezza, a suon di feedback. Un gran bell'album, disponibile in digisleeve, vinile e digitale, un lavoro che si incastra perfettamente in una collezione rock con reminiscenze anni '70, ma rivisto in chiave prog/psichedelica. (Michele Montanari)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 80

https://www.facebook.com/closetdiscoqueen/

giovedì 17 dicembre 2015

CONTEST

Vinci una copia dell'ultima release Will'o'Wisp, 'Inusto'.



Aggiudicatevi una copia del nuovo album dei Will'o'Wisp, rispondendo correttamente a due semplici domande che riguardano rispettivamente l'esordio e la nuova fatica della band ligure:

1. qual è il titolo dello storico demotape di debutto dei Will'o'Wisp?
2. qual è il titolo della raccolta di poesie pubblicata da N. Roerich su cui si basa il concept di 'Inusto'?

Il concorso prevede che gli intestatari delle prime 3 mail contenenti le risposte corrette inviate a pozzodeidannati@yastaradio.com entro e non oltre il 20 dicembre 2015, riceveranno direttamente a casa una copia del cd, licenziato dalla band nella primavera di quest'anno.

mercoledì 16 dicembre 2015

Void Of Sleep - New World Order

#PER CHI AMA: Psych Rock/Occult Progressive
Stavolta ho fatto le cose per bene. Ho ascoltato il singolo in streaming per il lancio del nuovo album, sono andato ad uno dei primi concerti del tour (il release party era un po' fuori mano, ma mi pento ancora di averlo perso) e ho preso il nuovo album direttamente dalle mani della band. Questo è la breve cronistoria del mio approccio a 'New World Order', secondo album dei Void of Sleep (VoS). Per chi non li conoscesse, il quartetto di Ravenna si è formato nel 2010 ed ha all'attivo un EP prodotto nel 2011 e il primo album, 'Tales Between Reality and Madness', uscito nel 2013. In questi anni di duro lavoro, la band ha riscosso grande successo, sia sul palco (condividendolo con OM, Unsane, Mondo Generator e tanti altri) che a livello di produzioni. I ragazzotti infatti hanno fatto un percorso impegnandosi costantemente e grazie al positivo allineamento astrale del mondo della musica, ora sono una realtà importante della scena musicale nostrana (e non solo). Diciamo subito che rispetto al precedente album c'è stata un'evoluzione del sound, passando infatti da un mix di doom, stoner, sludge e psychedelic rock ad un metal prog dalle venature occulte. Anche questo secondo lavoro è prodotto dalla Aural Music che non ha esitato un momento a prendere sotto la propria egida una band di tale spessore musicale. I sette brani contenuti nel jewel case, peraltro dalla grafica assai curata, sono un perfetto mix di tecnica, arrangiamenti e qualità sonora, che vi avvolgeranno nelle loro lunghe spire e vi porteranno nell'oscuro mondo della band, fatto di poteri occulti che governano il mondo. Non a caso il primo brano si intitola "Devil's Conjuration": qui i riff di Gale sanciscono l'imperioso avanzare della batteria (Allo) e del basso (Paso, peraltro noto produttore della scena metal) che formano assieme una miscela accattivante fatta di ritmiche incalzanti, distorsioni potenti e appaganti all'orecchio. La voce di Burdo ha una timbrica particolare e camaleontica, prima eterea ed elegante quando i riff sono più leggeri, poi aggressiva e d'impatto seguendo l'evoluzione del brano. Quest'ultimo alla fine è ben fatto e consta di quattro minuti dotati di una progressione costante e convincente che si ascolta con gusto e soddisfazione per i nostri timpani. In "Ordo Ab Chao" (motto massone che significa "ordine dal caos") si inizia in modalità stoner/psichedelic rock, a conferma che i Void of Sleed non rinnegano le proprie radici. Dopo questo breve excursus, riff e melodie riprendono il mood attuale della band, con evoluzioni stilistiche e melodiche in un continuo turbinio sonoro, a rispecchiare il senso del brano che richiama appunto l'ideologia che solo attraverso il raggiungimento del massimo livello di caos, le persone saranno disposte ad un regime di ordine e quindi di potere gestito dagli eletti. Si aggiungono poi momenti di claustrofobia, specialmente nella parte del parlato, dove temporaneamente gli strumenti calano di intensità, ma solo per preparare un ulteriore slancio. Alcuni hanno scritto che i VoS richiamano Opeth e Tool, vero in parte, soprattutto perché la band di Ravenna è riuscita a forgiare un proprio sound e uno stile personale che gli permette di essere ben identificabile. La title track probabilmente rappresenta al meglio la band: otto minuti abbondanti in cui troverete tutta l'essenza mistica dei VoS racchiusa in un vaso pronto a liberare gli spiriti ormai oppressi da troppo tempo. Le linee melodiche sono assai complesse, le chitarre si sovrappongono per qualche battuta, poi si allontanano per seguire i propri arrangiamenti e si ricongiungono più avanti per esplodere all'unisono, mentre batteria e basso si occupano della loro sezione in maniera scrupolosa. Ancora una volta il vocalist interpreta il brano in maniera ineccepibile regalando sempre grande enfasi ai vari passaggi della canzone. In definitiva ci troviamo di fronte ad un ottimo full length, pensato, eseguito e registrato con perizia, da una realtà da seguire ed apprezzare. I VoS hanno fatto la loro parte, ora tocca a noi sostenerli e farli crescere ancora di più. (Michele Montanari)

(Aural Music - 2015)
Voto: 85

Appollonia – Dull Parade

#PER CHI AMA: Postcore/Post Grunge/Psichedelia
Ci arriva con un sensibile ritardo questo splendido quarto album, pubblicato nel 2014, dalla band transalpina degli Appollonia, act proveniente da Bordeaux e attivo fin dal 2005. La maestria accumulata in anni di note e sudore, si sente tutta e si mostra alla grande nella sapiente modalità compositiva del trio, nella classica veste rocciosa di basso, chitarra e batteria. Una scrittura musicale completa, capace di creare un potente heavy/rock dalle tinte forti e psichedeliche alla stessa maniera, una vena metal moderna e revisionista come potrebbe essere considerata quella degli ultimi album dei mitici Mastodon, anche se qui la componente progressive è meno evidente e lascia posto ad una vena di pesante rock coperta di delicate e allucinate escursioni in tinta post-core. In realtà gli Appollonia, che già avevo avuto piacere di recensire nel buon precedente album, mostrano un ulteriore passo in avanti, affilando le proprie armi in un sound corposo, suonato divinamente, che non esaspera mai le sue influenze, e che alla fine risulterà potentissimo e intricato al punto giusto, mescolando egregi granitici riff metallici e cori hardcore con una cadenza post grunge devota al suono di certi lavori degli ultimi Alice in Chains. Una punta di leggerezza che caratterizza tutti i brani, ricavata da una verve indie/neo prog/psichedelica molto cara ai visionari Mercury Rev e ai polacchi Riverside. Il risultato è inspiegabile per una band con un simile impatto e la resa dei brani è impressionante. La solidità delle composizioni e la bellezza delle parti cantate a più voci è a dir poco perfetta, affascinante, orecchiabile, in grado di dare un valore aggiunto inestimabile, un'originalità incantevole senza l'obbligo di dover per forza suonare come qualcosa di nuovo. Lo scorrere dei brani è fluido, coinvolgente ed anche la scelta di trascinare l'ascoltatore in una scaletta che parte dalle tracce più potenti per finire dolcemente sulle ultime due tracce, "Anelace" e "Welsh Rarebit", animate da un puro spirito rock più moderato e psichedelico, è simbolo di padronanza estetica e maturità compositiva ormai raggiunta, vicina alla totale perfezione. La cosa sconvolgente è che dietro ad un album del genere ci sia poi un'ottima produzione indipendente e che ancora dopo dieci anni di attività, una band simile non sia stata acclamata dalla scena musicale internazionale. La Francia si dimostra ancora una volta fabbrica eccezionale di talenti musicali e gli Appollonia meritano tutta la nostra ammirazione e il massimo supporto. Album da sogno! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Of Spire and Throne – Sanctum in the Light

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Drone
Carattere oscuro e personalità da vendere, passione e tenebrosità. Una musica schiva, intensa per questo primo full length della band scozzese degli Of Spire and Throne, un album carico di luoghi comuni del doom ma allo stesso tempo ricco di fascino e mistero, trascinante e a suo modo fantasioso, che coglie lo spirito eterno del suono Sunn O))) e lo rielabora in una forma più accessibile, più rock, che riprende i canoni usuali del doom e li rilegge con una tetra sensibilità da far impallidire anche l'ascoltatore più esigente. Proprio qui sta la forza della band di Edimburgo, riuscire ad essere personali ed interessanti con cadenze tipiche del funeral e rallentamenti ipnotici, aperture epiche ed atmosfere infinite dal sapore di epoche antiche, primordiali. Brani interminabili, voce maligna, con esplosioni inaspettate ed evoluzioni curate, un certo gusto cinematico e una esasperata, deliziosa pesantezza, mai forzata né arrogante, sempre in equilibrio, paragonabile solo al capolavoro 'As Heaven Turns to Ash...' dei Warhorse, una genialità seminale, inesorabile, devastante e "Upon the Spine" ne è la prova, un brano stupendo. Sono quattro le tracce dalla durata interminabile che in totale sfiorano l'ora di musica, eppure tutto scorre tranquillamente in un ascolto vario ed impegnato tra impennate lisergiche, atmosfere drammatiche, drone, sound granitico e cadenza rallentata. La produzione è impeccabile e si vede che i quattro musicisti scozzesi ne hanno fatto di strada dal 2009, ad oggi. Le numerose fatiche fatte a suon di demo, split ed EP hanno dato frutto a questo gioiellino sotterraneo indipendente, distribuito in cd dalla Aesthetic Death Records, in cassetta e vinile rispettivamente dalla Tartarus Records e dalla Tatterdemalion Records. 'Sanctum in the Light', ossia il fascino luminoso dell'oscurità, un album perfetto! D'obbligo l'ascolto per gli amanti del genere. Splendido lavoro! (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2015)
Voto: 90

sabato 12 dicembre 2015

Nono Cerchio - Ombre

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal strumentale
Il primo album dei Nono Cerchio è uno di quei lavori in cui ti imbatti tanto casualmente quanto ti lascia di stucco già dopo pochi minuti, ma partiamo dal principio. Il trio nasce a Bologna nel 2013 e vede coinvolti Francesco D'Adamo (Nero di Marte), Andrea Burgio (Nero di Marte, Miotic) e Jonathan Sanfilippo (Caffè dei Treni Persi), quindi musicisti di grosso calibro del panorama musicale nazionale. Da subito la loro idea era di fondere il proprio bagaglio artistico per dare alla luce ad un progetto post rock strumentale, con grosse influenze prog e ambient. Il mix è oscuro, complicato e affascinante come non mai, infatti le sei tracce vi accoglieranno tra le loro lunga braccia e vi trasporteranno in quel posto recondito in fondo al vostro cervello, dove le sinapsi brillano e pulsano come esseri bioluminescenti. "Cocito" metterà subito alla prova le vostre difese mentali e vi avviso che l'unico modo per apprezzare la musica dei Nono Cerchio è l'abbandono totale. Quasi undici minuti di intrecci strumentali, dove batteria-basso-chitarra vi racconteranno una storia che evolve costantemente in una profusione di riff, feedback, delay e ogni altro suono etereo che può essere generato da uno strumento fisico. La classica struttura strofa-ritornello-break viene sbriciolata per non rimanere incatenati ad alcun cliché che limiterebbe l'espressione artistica del trio bolognese. Vi troverete avvolti da un'inquietante atmosfera che non farà altro che accrescere il vostro stato di ansia, con suoni che sembrano unghie su una lavagna o lame che stridono sul vetro, ma un secondo dopo l'esplosione vi annienterà. Tutto grazie a una chitarra distorta, un basso profondo e ad una batteria simile ad un bisturi da quanto è precisa e perentoria. Pochi secondi di vuoto e poi arriva "La Porta Cremisi", un'intro sostenuta da una batteria dai suoni talmente realistici che sembra di averla li in salotto appoggiata sul tappeto buono. La ritmica è intrecciata, complessa e poco a poco, basso e chitarra si appoggiano alla stessa per iniziare a raccontare la loro storia fatta di riff sinuosi e umidi. Il breve break permette un attacco più incisivo, carico e di nuovo il drumming fantasioso conduce i giochi, tra rullate velocissime e tocchi da maestro. Atmosfere liquide e degne di un film di Lynch, semplicemente perfette. "La Caduta" ricalca l'approccio delle precedenti tracce, con una continua iperbole di arrangiamenti fatti di arpeggi delicati di chitarra che si infervorano e portano all'esplosione totale che non ha in realtà mai un vero picco, ma si configura come un saliscendi continuo, con intermezzi noise ed ambient che farebbero ammalare qualsiasi mente equilibrata. Una musica che scrosta la patina di finzione che ricopre la vita di tutti i giorni e porta alla luce i nervi tesi, il sudore e i denti che digrignano in silenzio. "Ombre" è il post rock portato ai massimi livelli, quello introspettivo che non cede alla depressione, anzi sfrutta le debolezze dell'animo umano per scandagliarne le profondità e cogliere ogni singola sfumatura. Immaginate i Vanessa Van Basten redivivi e incazzati, o i Giardini di Mirò che si scrollano di dosso la polvere del pop. Se questa è la musica italiana underground, impegnata e alla continua ricerca del fuoco artistico, mi tengo stretto questo cd e a tal proposito, cercatevi putr la XXXIII Limited edition e cominciate a sbavare. (Michele Montanari)

Morphing Into Primal - Collateral

#FOR FANS OF: Melodic Death Metal, Planet Rain
The Spanish Melodic Death Metal act offers up album number two here, and it’s quite a decent offering a more modern-day melodic death metal with some very enjoyable elements found within. Basically taking the main route that the almighty chug riff is the dominating factor in here, there’s very little else on display throughout here as the band tends to whip through the material quite easily. With these chugging riffs keeping the material for the most part up-tempo and enjoyable, providing this with some intensity as it rages along at a mostly mid-tempo pace that will occasionally kick up into a minor gallop but for the most part dropping down into a series of swirling rhythms and loud, ringing melodic leads played over the top of the weak, shrieking vocals that manages to constitute the majority of Melodic Death Metal these days. In a nutshell, that along harms the album more than anything else, for its’ certainly decent enough when it lets loose but the vast majority of the running time is spent in slower, overly-familiar areas that aren’t really that original or emphatic enough to really rise this up a whole lot despite the seeming competence on display. It’s really more a factor of the band not really doing much of anything extra impressive throughout here to really differentiate with its rhythms and riff-work, which is the main stumbling factor. For the most part, the songs aren’t that bad. Intro ‘When the Evil Wears Gold’ offers furious razor-wire riffing and frenetic tempos with dexterous drumming along the scorching melodic leads and the more up-tempo rhythms that continue along the jagged solo section that continues on into the dynamic finale that makes for a solid starting point. ‘Karma’ features a simple chugging riff with mid-tempo melodic leads flowing through the slow, stuttering rhythm with simple patterns and low-key moments with the minor solo section bringing more urgent intensity into the charging final half for a decent if not altogether thrilling effort. ‘Until You Can Fly’ goes for a similarly simple chugging riff but offers more dynamic melodic leads as the more intense drumming blasts bring the blazing melodic leads into fine fashion with the more technical riffing flowing throughout the strong solo section into the melodic finale for a pretty strong and enjoyable effort. The overall bland ‘My Demons' Words’ starts with a melodic keyboard riff into a steady mid-tempo charge that keeps the hard-hitting chugging on full-display with a melodic tinge offered here with the straightforward riffing that delves into more fervent melodic realms on the solo section in the final half for an overall disappointing and wholly bland effort. Making up for that last effort, ‘Out of the Blue’ launches forth with swirling rhythms and generally more intense melodic leads with plenty of fine rhythms bouncing along at a fine mid-tempo pace as the varying tempo changes fire away into the scorching melodic solo section with the melodic rhythms carrying through the finale for a decent if unspectacular effort. Instrumental ‘Road 317’ offers a simple acoustic guitar strumming away on a one-note performance throughout for a fine mid-album break before segueing into the vicious ‘Bucle’ features rapid-fire drum-blasts and plenty of frantic razor-wire riffing that allows the rather intense mid-tempo chugging rhythms to take over after swirling and diving through the intense solo section with plenty of bombastic drumming running throughout the blistering tempos of the final half for the album’s best song overall. ‘She...incomplete’ continues with more up-tempo chugging and fine melodic leads that bring forth the intense melodies alongside the urgent chugging rhythms that keeps the second half’s tight pace in line through the solo section with the mid-tempo melodies continuing through the final half, making for a solid effort overall. ‘Inhumano’ charges along at a frantic pace with intense swirling riffing and blasting drumming carrying through an urgent, intense series of rhythms diving along at frantic tempos with frantic melodic rhythms running along the intense solo section as the chugging leads into the frantic finale for another strong effort. Lastly, ‘Throne of Two Lands’ blazes through intense razor-wire riffing and dexterous lead rhythms through utterly frantic tempos scorching with melodic leads with a stuttering drop-off into a simply bland mid-section break that kicks back into the more frantic tempos back into the strong melodic leads of the final half for a great ending note here. It’s really just the one main issue here holding this one back. (Don Anelli)

The Wankerss - Blackborn

#PER CHI AMA: Punk Rock
Padova è un'altra provincia ad alta concentrazione di band, questo a conferma che la musica è in ottima salute. Il quartetto dei The Wankerss, composto da Micke Lafayette (voce e chitarra), GG Rock (chitarra), Syracuse Hewitt (basso) e MC Memphis (batteria), ci riprova dopo il primo album 'Tales for a Sweet Demise' lanciato ormai cinque anni fa. Per loro infatti 'Blackborn' rappresenta la rinascita, un nuovo inizio che a leggere la presentazione dell'album sembra un percorso obbligato che la band ha dovuto prendere come unica alternativa per dare un senso alla strada fin'ora percorsa. Lasciamoci alle spalle questo oscuro manifesto ed addentriamoci nella musica dei nostri, un punk rock (o meglio death punk come loro stessi dicono) rude e veloce come vuole la vecchia scuola, ma impreziosito da cambi puntigliosi, potenza quanto basta e sonorità moderne. "And the Legion Goes..." è la opening track, una tirata di ben quattro minuti e mezzo, considerando che il genere predilige brevi excursus, dove salta all'orecchio la potenza del vocalist e della sezione ritmica. Non aspettatevi quindi il classico punk furioso degli anni che furono, con la batteria sempre dritta e quattro accordi ripetuti all'infinito, la band qui arricchisce il brano con assoli in stile Slash, sovraincisioni e cori, per cui alla fine 'Blackborn' si caratterizza per una ridotta velocità di esecuzione che permette di ricamare varie linee melodiche e arrangiamenti rock. C'è spazio perfino per le tastiere che aiutano nei cambi di direzione della traccia con un tappeto di string/pad. Un bel brano, carico ed eseguito con perizia ed esperienza. L'accelerazione finale chiude poi in bellezza; magari non rischiamo di strapparci i capelli per l'originalità, ma la band fa comunque il proprio dovere. Qualcosa cambia in "27 Miles Behind Enemy Lines", ove il sound è ancora più oscuro, la voce esplode e i riff di chitarra danno una sferzata di aria fresca, infrangendo la barriera del punk. Dopo queste tracce mi domando perchè definirsi con questo genere visto che si le song viaggiano a tavoletta, ma il punk ha ben altri canoni e nel caso dei The Wankerss mi sembra alquanto riduttivo. "Geminaìs Drowning" è il pezzo che mi ha catturato maggiormente: in solo settantadue secondi, la band patavina tira fuori un intermezzo oscuro, tra il doom e lo sludge che viene spezzato da una linea melodica di tastiere oniriche. Una divagazione che spero non sia solo il frutto di una jam in studio, ma che nasconda un seme veramente oscuro pronto a germogliare se ben curato. L'ultimo pezzo del quartetto è un mix che sfrutta anche passaggi hardcore, metal e quant'altro, per trasmettere il subbuglio emotivo dei suoi componenti, che sgomitano e si agitano sentendosi a proprio agio nei quattordici brani incisi discretamente per la Jetglow Records. Buona la prova dell'ensemble veneto che in alcuni tratti si trova legata a doppia corda ad alcuni canoni inflazionati, ma che sente il bisogno di una conferma dal pubblico per poter osare di più. Personalmente avete la mia benedizione, avete le palle, quindi osate e sarete ricompensati. (Michele Montanari)

(Jetglow Recordings - 2015)
Voto: 70

https://www.facebook.com/THE-WANKERSS

mercoledì 9 dicembre 2015

VI - The Praestigiis Angelorum

#PER CHI AMA: Avantgarde Black Metal, Deathspell Omega, Blut Aus Nord
La Agonia Records è un portento! Ha una capacità fuori dal comune di immettere nel mercato band dalle potenzialità incredibili, proprio come il trio francese denominato semplicemente VI. La band parigina, formata da componenti di Antaeus, Aosoth e The Order of Apollyon, è straordinaria nel ripercorrere le linee tracciate dai maestri Blut Aus Nord e Deathspell Omega con la stessa classe e fantasia, la stessa ricca composizione dove i brani si evolvono in senso progressivo senza mai dimenticare la furia violenta della fiamma originaria che diede inizio al genere black metal. Il versante transalpino con questa uscita si riconferma scena originalissima e prodigiosa, carica di sostanza e capace di vivere autonomamente, proprio come questo album che passo dopo passo ti incolla allo stereo senza mostrare pietà verso l'ascoltatore. Il trio suona velocissimo, claustrofobico, velenoso ma allo stesso tempo intenso ed evocativo; grazie a una chitarra geniale, si ha la tipica sensazione astratta del black metal d'avanguardia, quel confine labile tra malinconia, follia e ribellione. Gli stacchi nervosi, gli arpeggi distorti dal sapore apocalittico e le dissonanze, modellano le sfuriate al vetriolo in maniera tale che l'intero disco, di ben quarantaquattro minuti, sia una sorta di film devastante a livello emotivo con brevi ma continui cambi di scenario. L'iniziale "Et in Pulverem Mortis Deduxisti Me" non lascia scampo e si finisce in adorazione di una sei corde che fa degli accenti stralunati e dei riff dissonanti le sue armi più letali, una chicca stilistica che si ripete in "Una Place Parmi Les Morts" e che relega la figura del cantante e chitarrista INVRI a leader indiscusso ed insostituibile del progetto. Una sezione ritmica di tutto rispetto ed una produzione calda e reale, li rende super appetibili e facile preda di fans intransigenti, incalliti ammiratori di Forgotten Tomb, Virus, Arcturus, Deathpsell Omega oppure di Pale Chalice. 'The Praestigiis Angelorum' è un colosso sonoro in continua evoluzione, un'esposizione molto personale del black più estremo, una reinterpretazione intelligente e una prosecuzione degna di nota di quello che i maestri oscuri francesi (Blut Aus North e Deathspell Omega su tutti) hanno insegnato fino ad oggi. Ascoltatevi "Il Est Trop Tard Pour Rendre Gloire..." dove il titolo rispecchia perfettamente la trama sonora: affascinante, buia, drammatica e violentissima. Otto tracce divine! Un piccolo gioiello oscuro! (Bob Stoner)

(Agonia Records - 2015)
Voto: 90

martedì 8 dicembre 2015

Martin Nonstatic – Granite

#PER CHI AMA: Ambient/Elettronica
Sono convinto che l'autore olandese di questo splendido album, uscito nel 2015, sia stato colpito nel profondo (come riporta nel booklet interno al suo digipack) dalle atmosfere colte in un viaggio attraverso la nazione austriaca, tra natura e riscoperta del proprio essere, esattamente lo spirito che serve per affrontare un lavoro simile. 'Granite' è un album mastodontico creato ad arte in una forma spettacolare nata per ipnotizzare, aumentare la ricerca della propria esistenza tramite suoni, rumori, umori e ritmiche raccolte dalla natura e fatte evaporare nello spazio libero, mirate all'introspezione, dimenticando la banalità di una vita metropolitana, sfruttando la tecnologia moderna per creare arte senza tempo né spazio. Il suono in hi–fi è d'obbligo, quindi tra bassi profondissimi d'ispirazione dub, tecno e drone music, vediamo intercalarsi retaggi mistico/estatico di Kitaro e tribalità minimal alla Seefeel. Una musica elettronica variegata divisa a metà tra anni novanta e duemila, la dinamica sonora dello stupefacente esperimento musicale firmato John Fox e Luis Gordon ai tempi di 'Crash and Burn' in veste ambient e votata all'atmosfera più riflessiva, nessuna traccia di frenesia e senza dimenticare quanto sia importante la figura del Ryuichi Sakamoto dei momenti più intimi, almeno come fonte d'ispirazione. Album prodotto divinamente con un piede nell'orecchiabilità ed uno nella struttura complessa, ricercata e proiettata verso un ascolto impegnato e mai ostico. Dodici tracce per una durata consistente di circa settanta minuti di pura evasione mentale, un album ispirato e colto per menti libere da preconcetti sonori, proseguo ideale in chiave ambient della via illuminata dalle divinità Tim Hecker e Tosca. Ennesimo gioiellino rilasciato dall'ottima etichetta francese Ultimae Records. (Bob Stoner)

(Ultimae Records - 2015)
Voto: 80

Lachrymose – Carpe Noctum

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Nightwish, Candlemass
Una campana a morto scandisce lentamente l'incedere di una spettrale atmosfera. “Precipice Of Bliss”. La notte cala. E con la notte i Lachrymose si destano, presentandosi nella seconda traccia “False God” con un intro in pieno stile doom. Il tempo cresce e viene lasciato spazio alle lyrics. È a questo punto che veniamo colpiti dall'inaspettato cantato della vocalist Hel, con una vera e propria impostazione lirica che ricorda le vecchie vocals di Tarja nei primi Nightwish, anche se le materie sono decisamente differenti. I greci Lachrymose, in questo primo lavoro, si muovono in direzione death/doom, grazie sicuramente alle influenze apportate dai due fondatori Blackmass (guitars) e Mancer (drums), già attivi nei Rotting Flesh, prima di prendere parte nella formazione dei Lachrymose, che si completano poi con la già citata Hel e il bassista Kerk. Il disco prosegue sulla strada intrapresa già nel prologo, senza troppi sconvolgimenti e senza uscire dagli schemi. Buona la prova offerta dai nostri nel brano “My Shadow”: con i suoi 8 minuti sfora leggermente dal minutaggio medio, intro e outro sono dominati dal basso, mentre nel mezzo si articola un brano dalle cupe sfumature, sostenuto da un buon lavoro di chitarre. Piacevoli risultano anche la title-track, in cui il tempo si abbassa e il riffing incessante della sei corde ci accompagna fino alla fine, ed anche la più death oriented “In a Reverie”. Questo pezzo vede la partecipazione speciale di Thomas Vickstrom, già in forze agli svedesi Therion. La sua impostazione operistico/teatrale, impiegata nel duetto con Hel (a cui si aggiungerà poi anche il growling viscerale di Blackmass), contribuisce notevolmente alla buona riuscita di questa song, apportandovi un tocco di particolarità allo stile dei nostri. L'ultimo pezzo prima della conclusione strumentale è affidato a “Thyella”, che insieme al precedente, rappresenta uno dei brani meglio riusciti in questa prima fatica della band ellenica. Nel complesso il debut è sufficiente ma i Lachrymose potrebbero dire sicuramente di più, sfruttando al meglio le proprie peculiarità (in particolare la voce di Hel) e garantendo una maggior cura a particolari e sfumature (che fanno risaltare brani come i già citati “My Shadow” e“In a Reverie”). Questo garantirà alla band greca di non uniformarsi e non cadere nella monotonia, come purtroppo accade in alcuni passaggi di 'Carpe Noctum'. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Pure Steel Publishing - 2015)
Voto: 65

The Pit Tips

Emanuele "Norum" Marchesoni

Equilibrium - Erdentempel
Lachrymose - Carpe Noctum
Trick or Treat - Evil Needs Candy Too

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Francesco Scarci

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Odetosun - The Dark Dunes of Titan
Panopticon - Autumn Eternal 

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Don Anelli

Necroblaspheme - Belleville
Agony Divine - March of the Divine
Vermingod - Whisperer of the Abysmal Wisdom

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Mauro Catena

Fine Before You Came - Teatro Altrove (Genova 29.01.2015)
Hugo Race and the True Spirit - The Spirit
Phased - Aeon

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Samantha Pigozzo

Blutengel – Omen
Lordi – Scare Force One
Godhead – 2000 Years of Human Error

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Stefano Torregrossa

Clutch - Blast Tyrant
High On Fire - Luminiferous
Björk - Vulnicura

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Michele Montanari

Nono Cerchio - Ombre
Vanessa Van Basten - Closer to the Small / Dark / Door
Palmer Generator - Shapes

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Kent

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!
Sedna - Sedna
Ben Frost - Steel Wound

sabato 5 dicembre 2015

Atma - Im Nebel

#PER CHI AMA: Post Black/Blackgaze
Tre brani per quarantadue minuti. Non sarà certo una passeggiata affrontare 'Im Nebel', album di debutto dei teutonici Atma. In realtà non so che aspettarmi dal sound di questa band che apre minaccioso con i suoi suoni lontani, imperscrutabili e ambientali. È "Im Nebel I" a segnare l'inizio delle danze o forse dovrei dire dell'incantesimo sciamanico a cui, il duo formato da Malte e Lucas, ci sottoporrà. Suoni ambient dicevo, quasi estratti da un lavoro dei Pink Floyd più sperimentali e stralunati che lentamente prova ad uscire dal proprio misantropico guscio, ove i due loschi figuri si celano. Trascorsi 7 minuti dall'inizio del cd però non ho ancora ben capito con chi o quale musica avrò a che fare. Gli Atma sembrano avvolti da un manto di fitta nebbia nel quale sia quasi impossibile scorgervi dentro. Ci sono accenni di chitarra elettrica, lo sfiorare dei piatti, ma null'altro che lasci presagire a qualcosa di più. Finalmente un accenno fa capolino verso l'ottavo minuto: una chitarra scarna e una batteria minimal sembrano movimentare un disco che stenta a decollare o comunque ad acquisire una forma ben definita. Che genere fanno gli Atma? Non saprei, rock di sicuro, ma non mi è chiaro a quali livelli di violenza dobbiamo porci. Certo, quella chitarra marcia e decadente mi fa propendere per una forma di estremismo sonoro orientato al black metal. Finalmente al minuto 13, sboccia un selvaggio riffing votato al nero a cui mi stavo preparando e forse tra me e me già pregustavo. L'elementarità sonica però, accompagnata dallo screaming belluino e da una produzione non proprio all'altezza, delude quelle aspettative che un po' mi ero creato nell'attesa che il sound del duo della Westphalia si palesasse nel suo ardore. Forse li prediligo nella loro veste più meditativa e la formula di "Im Nebel II", che ricalca esattamente quella della opening track, mi dà modo di rilassarmi nel blackgaze dei nostri, in attesa che si abbatta sulle nostre teste una nuova burrasca di selvaggio e incandescente metallo nero. Una voce narrante, rumori disturbanti in sottofondo, una chitarra acustica di sottofondo preallertano anticipano il primitivo post black degli Atma che puntuale come un orologio svizzero, cala la propria scure con elementari scudisciate di raw black e grida furiose. Una melodia che omaggia un rock anni '90 (non sono riuscito a ricondurre l'abbinata riff/synth ad una canzone ben precisa) apre e conduce il prologo di "Im Nebel III", la traccia più orecchiabile (almeno nella sezione atmosferica) e quella forse meglio strutturata, complice un finale assai intrigante che segue la furiosa cavalcata black. C'è sicuramente ancora molto da lavorare per dar modo all'estro compositivo dei nostri di emergere in una veste meno primordiale e meglio curata. (Francesco Scarci)

Sunpocrisy - Eyegasm, Hallelujah!

#PER CHI AMA: Dark/Post/Alternative, Cult of Luna, Klimt 1918, The Ocean
Ogni numero di magia è composto da tre parti o atti. La prima parte è chiamata "La Promessa". L'illusionista vi mostra qualcosa di ordinario: un mazzo di carte, un uccellino, o un uomo. Vi mostra questo oggetto. Magari vi chiede di ispezionarlo, di controllare se sia davvero reale, sia inalterato, normale. Ma ovviamente... è probabile che non lo sia. Il secondo atto è chiamato "La Svolta". L'illusionista prende quel qualcosa di ordinario e lo trasforma in qualcosa di straordinario. Ma ancora non applaudite. Perché far sparire qualcosa non è sufficiente; bisogna anche farla riapparire. Ora voi state cercando il segreto... ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati. Per questo ogni numero di magia ha un terzo atto, la parte più ardua, la parte che chiamiamo "Il Prestigio". Ho voluto parafrasare le parole dell'inizio del film di Christopher Nolan, "The Prestige", in quanto lo svolgimento di questa ennesima perla dei bresciani Sunpocrisy, si muove esattamente allo stesso modo dell'illusionista. Il sestetto infatti parte con qualcosa di (apparentemente) ordinario e tranquillo che ben presto sarà in grado di strabiliarvi con tutta l'innata capacità e l'inventiva di cui sono dotati questi ragazzi, che ormai rappresentano il top in ambito post del nostro bel paese. 'Eyegasm, Hallelujah!' è il secondo mirabolante disco dei Sunpocrisy che in questa nuova release abbandonano quell'approccio più viscerale del funambolico e innovativo 'Samaroid Dioramas', per lanciarsi in un qualcosa di più meditativo che scomoderà, come vedrete, alcuni mostri sacri del panorama metal mondiale. Si parte con "Eyegasm", una song dall'attacco psichedelico che vede Jonathan Panada alle voci, alla stregua di Marco Soellner dei Klimt 1918 all'epoca di 'Dopoguerra'. Dicasi lo stesso delle atmosfere, cosi evocative e che seguono per certi versi quelle della band romana, prima che il sound esploda in un fragoroso e vibrante post dai contorni djent (Born of Osiris e Tesseract i riferimenti rintracciabili). Il raggiungimento della maturazione musicale dei mostri è ufficialmente sancita dalla sola opening track che conferma che il full length di debutto non era stato dettato da un banale colpo di fortuna. In "Eyegasm" c'è tutto quello che possiate pretendere da un pezzo: atmosfere lisergiche, montagne di groove, vocals pulite/growl, chitarroni che si inseguono e susseguono, ubriacandoci di emozioni, colori e suggestioni. Suggestioni che rimangono agganciate anche con la successiva "Mausoleum of the Almost", song incollata letteralmente alla prima, che grazie a una tempesta magnetica di basso e splendide vocals, elabora la nuova magia dei nostri. Una calma magmatica che ribolle ed esplode come quelle fontane di lava che si vedono emergere in questi giorni dal maestoso Etna. La song cresce, le chitarre squarciano l'etere con frastagliati suoni di scuola Cult of Luna che mi emozionano come da troppo tempo non accadeva. La storia continua, quel viaggio fatto di simboli e parole viene ulteriormente affrontato dai nostri. Si passa attraverso la noisy "Transmogrification" per giungere a "Eternitarian", una traccia infinita, come solo i Sunpocrisy e pochi altri sanno condurre, una song guidata dallo splendido connubio di synth e chitarre, una song che chiama in causa anche gli Anathema nelle parti più eteree. Le chitarre continuano ad affrescare l'aire di splendide note con la voce pulita di Jonathan a proprio agio anche sul tappeto post black che deflagrerà verso il sesto minuto e ci accompagna in ipnotici giri di tremolo picking, screaming corrosivi e meditative atmosfere, fino alla fine del brano. Un altro intermezzo acustico che li per li mi ha evocato nella mente i Radiohead di 'Ok Computer': sublimi tocchi di piano che preparano a "Kairos Through Aion", brano dal forte mood malinconico che si riflette in un andamento più ritmato che non tarderà a sfociare in rabbia adrenalinica di scuola The Ocean, uno dei pochi retaggi rimasti delle vecchie influenze (ravvisabile anche in "Gravis Vociferatur" e in alcune movenze in sede live), nei solchi di questo nuovo disco. Ma la traccia si conferma sorprendente verso la sua metà, ancora a voler giustificare le mie parole iniziali ossia partire da un qualcosa di normale che ben presto si trasformerà nel prestigio degli illusionisti Sunpocrisy. Anche questa volta infatti, il sound dell'act lombardo diviene nebuloso, votato quasi a uno space rock onirico, che saprà sorprendervi e illuminarvi. Di "Gravis Vociferatur" abbiamo già detto, forse la song che più avvicina la band al collettivo berlinese ma che comunque spinge i nostri verso le vette del perfetto post-metal. La tempesta stellare a cui siamo sottoposti viene smorzata da un altro splendido break centrale, affidato all'enorme lavoro delle chitarre, per cui vorrei spendere un plauso particolare a quella ispiratissima di Matteo Bonera. Detto anche di una certa originalità in fatto di titoli dei pezzi, arriviamo alla esoterica "Festive Garments" che ha qualche punto in comune col passato recente della band e che non disdegna anche qualche rimando ai Tool, non fosse altro per il growling imperioso di Jonathan e per sprazzi di un dark rock sognante, nella seconda metà. La cura maniacale nei dettagli, musicali ancorchè grafici è minuziosa e ben studiata a tavolino, cosi era lecito attendersi a conclusione del disco "Hallelujah!", con i suoi ultimi incredibili e spettrali 10 minuti. L'inizio è affidato alla celestiale elettronica di Stefano Gritti e poi via via tutti gli altri strumentisti convergono in una traccia che richiama una sorta di Novembre più orchestrali (in salsa post doom) miscelati agli *Shels. Trovo poche altre parole da spendere per i Sunpocrisy se non dire che ormai rappresentano la punta di diamante del metal nostrano che li spinge di diritto nel gotha dei maggiori esponenti del post- a livello mondiale. (Francesco Scarci)