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martedì 14 novembre 2023

Grift - Dolt Land

#FOR FANS OF: Neofolk
The Swedish solo-project Grift was founded by Erik Gärdefors more than a decade ago. Erik has been a quite active member of the extreme metal scene in Sweden. His previous and also current projects are closely tied to the black and death metal subgenres, where he has shown his talent. With Grift, we can appreciate a further vision of Erik’s musical interest as he brings a strong folk influence on the ‘creation table’, where Grift was crafted. Since its inception, Grift’s music has been a quite palatable mixture of black metal and neo folk influences. As it usually happens the first opus entitled 'Syner' already had a very solid mixture of both genres, although the black metal elements sounded a bit harsher than in the subsequent releases. With albums like 'Arvet' or 'Budet', the intrinsically melancholic influence of the neo folk music impregnated the full compositions of Grift and even the blackest metal elements had a strong influence of the aforementioned subgenre. That led to the creation of something unique and, therefore, forged Grift’s own musical vision.

With the new opus entitled 'Dolt Land', Grift leaves behind all the black metal elements, at least for this release, as it seems that the artist contemplates the beauty of its land’s nature and consequently, tries to create an appropriate musical experience for the listeners.  So, 'Dolt Land' is logically a folk/neo-folk album with a strong melancholic touch, which is so present in the purely folk albums that metal projects release in Scandinavia. The album is an immersive experience and a very pleasant listen if you like this kind of slightly gloomy form of folk music. The nature-related ambience of the album opener "Silverne Sitg" is a fine example of what you can listen to here. The nature sounds are elegantly missed with folk instruments, which slowly gain the main role, creating a nice bridge from the wild sounds to the man created ones. Erik’s voice sounds great as he has a deep and emotional tone which is very appropriate for this type of music. Even though an album like this may not have greater variations in the tone and pace, this composition shows that some variations are possible in order to enrich the composition and make the song more interesting. Another aspect where Erik tries to add some different touches in his own voice, as he adds a raspier tone in several compositions, for example in "Nattens Pilgrim". This addition, alongside the use of different folk instruments and variation in the intensity of the structures, help to create folk songs which are not so monotonous. Another song which I enjoy quite a lot is "En Hemskog", that is an acoustic guitar-driver composition, maybe with less variation than other compositions, but with  a very nice work with this instrument that makes me appreciate it a lot.

In conclusion, 'Dolt Land' is a temporary departure from Grift’s fusion of neo-folk and black elements, and although this may disappoint some of its fans, I personally urge all of them to give a chance to this album, as it is a very tasteful and enjoyable listen. (Alain González Artola)

(Nordvis Produktion - 2023)
Score: 75
 

giovedì 9 marzo 2023

Cave Dweller - Invocations

#PER CHI AMA: Noise/Ambient/Dark
Il nuovo album di Cave Dweller, ovvero Adam R. Bryant, ex membro della band post black metal americana Pando, è stato concepito come una lunga colonna sonora, con l'idea stessa di emanare una visione simbolica del rapporto che lega l'uomo alla spiritualità della natura. Un concetto profondamente radicato tra le note della musica di questo uomo delle caverne, che si fa notare fin dal significato del moniker scelto dall'autore stesso. Le danze si aprono con una voce che recita sopra una rarefatta base, acustico ambientale ("An Invitation"), morbida ed eterea per proseguire nella oscura parvenza di "To Accept the Shadow", che ricorda le trame delle musiche più cerebrali dei Virgin Prunes (vedi la splendida raccolta 'Over the Rainbow'), con un piano nostalgico e amaro a condurre le musica, per poi finire a deragliare su di un finale dark/ambient, con la presenza ritmica di una percussione metallica, che sonda i terreni dei lavori, tutti da scoprire, del progetto mistico/ambient russo, Enoia. Da qui, si viene traghettati in modo naturale, verso la splendida "Bird Song". Questo brano era già presente nel precedente ottimo EP, 'Between Worlds', ed è una traccia che vanta un cantato fragile, drammatico ed epico, con una chitarra solitaria dall'animo grigio e un'evoluzione in stile folk black, che fa riscoprire tutta la forza artistica di questo atipico menestrello del Massachusetts. L'arte di Cave Dweller è sotterranea, rurale fino al midollo, criptica, sperimentale e la si apprezza solo se si colgono i dettagli di registrazioni fatte con smartphone, rumori, fruscii e suoni non convenzionali, particolari sparsi un po' ovunque con genialità e la consapevolezza di creare qualcosa di profondamente evocativo. Un'opera di 44 minuti che evolve le sperimentazioni dell'autore in vari ambiti, folk apocalittico, ambient, alternative country, neofolk, senza prendere a prestito niente da nessuno, per un viaggio personale e originale. Suoni d'ambiente, uccelli in sottofondo, gabbiani, noise, oppure una tiepida batteria di matrice jazz, per rendere più accessibile la ballata noir, minimalista, "Entelechy". Un sound tribale e oscuro, con conseguente esplosione black industriale, nello stile della sua precedente band, dona con vigore, una facciata ipnotica e cosmica al lungo brano intitolato "Mirror". Ma la differenza in chiave di bellezza estrema, la troviamo nella canzone conclusiva intitolata "Solastalgia", dove il solo campione di voce simil lirica/sciamanica, che persiste in sottofondo di tutta la traccia, fa onore all'arte di questo musicista unico e impareggiabile nella sua esplicita arte sonora isolazionista, fredda, rumorista e lo-fi, contornata da psichedelia cosmica ed un cristallino folk, con uno spirito etnico proveniente da qualche sistema solare sconosciuto, che rievoca un vero e proprio risveglio interiore. Un album in veste concettuale, che rispecchia un po' la forma del gioiello sonoro quale fu, 'The Inspiration of William Blake' di Jah Wobble, ovviamente da accostare solo come intuizione compositiva, non come stile musicale, visto che i due artisti sono agli antipodi stilistici, ma convergono entrambi per una libertà d'espressione molto proficua. 'Invocations' è stato creato e mixato dallo stesso Bryant in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2018 e il 2021, e si presenta come un resoconto del suo percorso sonoro, quindi da considerarsi come una specie di diario di bordo delle sperimentazioni che hanno dato vita al primo splendido album del 2019 (sotto il titolo 'Walter Goodman – or the Empty Cabin in the Woods') e l'EP sopracitato del 2021. Una musica intimista tutta da scoprire ed apprezzare, per cui consiglio di ascoltare prima questa raccolta introduttiva, per poi passare in ordine temporale, alle altre due ottime opere di questo valido autore. (Bob Stoner)

martedì 18 maggio 2021

Hallowed Butchery - Deathsongs From The Hymnal Of The Church Of The Final Pilgrimage

#PER CHI AMA: Death/Doom Sperimentale
Gli Hallowed Butchery sono la temibile creatura sonora di Ryan Scott Fairfield, factotum originario del Maine, che torna a distanza di 11 anni dal debut album (che conservo gelosamente nella mia collezione) con questo secondo lavoro dallo stravagante titolo 'Deathsongs from the Hymnal of the Church of the Final Pilgrimage'. La proposta del mastermind statunitense è all'insegna di un death doom sperimentale che si srotola attraverso sei psichedeliche tracce. Psych death quindi: basti ascoltare l'opener "Ever Gloom" per capire che l'artista di oggi, a quanto pare votato al culto della morte, sia un personaggio davvero originale. Come la musica da lui proposta d'altro canto, catacombale a tratti, ammiccante a gothic dei Fields of the Nephilim in altri frangenti, con il death metal a fungere da collante. E la proposta inevitabilmente finisce per essere intrigante per quanto cupa o apocalittica. Si perchè l'immagine che mi si para davanti alla fine dell'ascolto della traccia d'apertura, è proprio quella della fine del mondo. Per poi proseguire in territori claustrofobici con la successiva "The Altruist", un altro pezzo all'insegna di un death doom asfissiante che tuttavia vede l'inserto di stralunati inserti sintetici, dove accanto al growling da orco cattivo di Ryan si affianca anche l'eterea voce di una presunta gentil donzella, in un piano sonoro comunque sintetico e paranoico. Con "Flesh Borer" si riparte dalle elucubrazioni doom dell'artista nord americano, avvolte questa volta in un contesto dronico, grazie ad atmosfere minimaliste e a voci filtrate che sembrano provenire da un mondo parallelo, ultraterreno. Ma la song ha ancora modo da regalarci tra rarefatte ambientazioni neofolk nella seconda parte, voci pulite, parti acustiche e visioni distorte. E "Death to All" continua sulla falsariga della precedente traccia, rimbalzando tra drone, noise, un death deflagrante in fatto di pesantezza, atmosfere sinistre e mortifere, vocals ruggenti ed altre litaniche, in un contesto comunque costantemente da brividi. "Internment" è un altro pezzo malato, folle, psicotico, disperato, che può spingere solo verso niente di buono. Provare per credere ma non dite che non vi avevo avvisato. "On the Altar" infine, si slega da tutto quanto ascoltato sino ad ora e con fare folklorico, chiude malinconicamente questo graditissimo comeback discografico degli Hallowed Butchery. (Francesco Scarci)

martedì 30 marzo 2021

Dark Awake – Hekateion

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Neofolk
A cominciare dalla sua immagine di copertina, 'Hekateion', full length del 2020 dei Dark Awake, è un'opera che richiede decisamente un ascolto impegnato. Si propone sin da subito come un lavoro molto interessante, per veri appassionati, che mi porterà alla scoperta delle strade esoteriche narrate nelle note di questo penultimo disco della band greca (da poco è infatti uscito uno split album con i Kleistophobia). Devo riconoscere una certa forma di iperattività artistica che dal lontano 2008 non ha mai abbandonato il progetto ellenico, che ha sfornato numerose creazioni in ambito dark neoclassico, martial e neofolk ambient, fino ad oggi, con una continuità davvero invidiabile. Questo lavoro è un concept incentrato sulla figura di Ecate, antica divinità di origine pre-indoeuropea, venerata da greci e romani, un'opera da intendere come un accompagnamento ritual-esoterico atto alla scoperta della realtà oscura di cui la dea ne era la potente regina dell'oscurità. Il brano di apertura, la title track, è trafitto tutto il tempo da rumori e suoni spettrali, per una lunghezza assai impegnativa che supera i 23 minuti, tra estratti di rumoristica minimale, fruscii, echi e sussurri carichi di oscuro presagio. Il pezzo ha una trama molto noir e si rianima solamente nel finale, trasformandosi in una scarna e affascinante danza tribale, acustica e ancestrale, dal sapore etnico e sciamanico, come se il tutto fosse svolto in una foresta incantata, governata da forze sovrannaturali. La cosa che più colpisce però è il canto, una splendida interpretazione, drammatica ed ipnotica al tempo stesso, per una voce stregata che si destreggia, salmodiando, nel ricordo di Hagalaz' Runedance, Eva O e Diamanda Galas, nel nome delle regine del folk pagano e del goth rock più oscuro. Si avanza con un secondo brano ("Erebenne Arkuia Nekui"), figlio dell'amore per il drone e il dark ambient apocalittico espresso nei primi album dei Dead Can Dance, potente ed evocatore, mentre, "Triformis Dadouchos Soteira", il terzo brano che porta un titolo particolarmente suggestivo, si snoda anch'esso tra rumoristica d'ambiente, dark e nuovamente drone, contraddistinto da una pesante attitudine lugubre, travagliata ed inquietante, un vortice oscuro che paralizza e destabilizza l'ascoltatore. In chiusura "Damnomeneia", che parte con suoni industriali stridenti per entrare in un comparto etnico che ricorda certe escursioni nel mondo devozionale tibetano ma la sua indole cosmica, primordiale e oscura, lo rende alla fine poco propenso alla meditazione. Il suo tetro avanzare, scandito da lente percussioni, una minimale partecipazione dell'elettronica e la sua forte propensione cinematografica, lo propone come perfetta chiusura di un disco che farà la felicità degli amanti del genere. Cosi come in passato, anche qui i Dark Awake dimostrano le loro qualità, una qualificata capacità di rinverdire e far progredire un'idea sonora spesso sottovalutata dalla critica musicale. Un buon esempio di ambient dai potenti tratti dark, uno splendido e sinistro manifesto sonoro, un disco che nel suo genere può essere letto come variegato ed intenso, sicuramente interessante e ben strutturato. Il mondo oscuro e affascinante di una divinità, madre delle arti magiche e della stregoneria, messo in musica in maniera esemplare. (Bob Stoner)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://darkawake.bandcamp.com/album/hekateion

lunedì 11 gennaio 2021

Spectrale - Arcanes

#PER CHI AMA: Ambient/Neofolk
Fluttua gorgogliando, agitandosi lento il primo pezzo degli Spectrale di questo secondo lavoro intitolato 'Arcanes'. “ Overture”: vortici dalla forza centrifuga alimentano acuti inviolati. L’apertura senza colpo di scena non sarebbe degna. Eccoci a “Le Soleil” brano da cui è stato estratto uno splendido video. Cavalcano i suoni le valchirie di Odino con i tocchi acustici del maestro Jeff Grimal. Scompongono i suoni le ancelle di Zeus. Le baccanti danzano sinuose dinanzi al fuoco di Bacco. Capite che in questo corpo di emozioni potreste essere chiunque, senza scordare che la malia del suono vi può portare da Medea. Dagli dei ad un talamo di veli di lino mossi dal vento dell’est. “L’Impératrice”. Un arpeggio di chitarra ed il violoncello di Raphaël Verguin ci portano ad un loop scomposto, poi a singole note pizzicate, ed ancora all’emozione, perché questa song si congeda con un climax ascendente di suoni emotivamente sanguigni. Quest'album è un salto continuo tra continenti. Ora la foresta Amazzonica ci ospita nell’ascolto di “Le Jugement”. I tronchi sentono i suoni, rimbalzandoli di volta in volta per rendere giustizia ai pensieri degli Spectrale che sembrano riflettere qui, alimentando l’attesa del prossimo brano. Non si fa attendere “Le Pendu”. Musica e poesia. Ripetuti e Rabbia. Carezze e diamante. Un vetro scolpito. Una soglia che cela. Un manto invisibile che vorrebbe cadere. Lasciamo l’atmosfera per una colonna sonora al cardiopalmo. “Interlude”. E vi ho detto troppo. Cambia ancora la veste trasformista degli Spectrale. Eccoci a “La Justice”. Ebbene siete innocenti? O siete colpevoli? Questo brano, col suo ritmo vibrante, vi porterà alla soluzione catatonica delle vostre incertezze. Aspettate che debbo vestirmi appositamente per questa “Le Bateleur”. Senza forma non potremmo assorbire la sostanza invisibile di questo grido femminile che vede il sublime featuring di Laure Le Prunenec (Igorrr, Corpo-Mente, Öxxö Xööx, Rïcïnn) dietro al microfono. Noi sulle rive della Senna. Lei sulle vette piu alte di una città. Noi predati dal suono. Lei suono. Ed è come avessimo vissuto un istante in mille anni. Sempre sul suono strumentale. Sempre sul ghiaccio sciolto dall’armonia. Sempre chiara, lontana e nostalgica è “La Lune”, un pezzo oscuro quanto una notte di luna nuova. Gli Spectrale chiudono con “La Papesse” il loro album. Un labirinto di speranza ed attesa. Una caccia ed una preda. Una evoluzione sonora che può ravvivare il nostro ascolto o portarci in un ghiaccio che solo noi potremo sciogliere. Immaginoso. Folgorante. Enigmatico. In questo lavoro degli Spectrale, ascoltate e scrivete. Avrete sorprese in musica.(Silvia Comencini)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 75


https://ladlo.bandcamp.com/album/arcanes

lunedì 21 dicembre 2020

Cave Dweller - Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)

#PER CHI AMA: Neofolk/Psych
Sono dieci i brani che compaiono in quest'album di debutto in qualità di solista, del musicista americano Adam R. Bryant. Uscito con il nome di Cave Dweller (da non confondere con altri, omonimi progetti sparsi per il web), già mastermind e componente effettivo della band post industrial, Pando, Mr Bryant ne evolve il concetto musicale, spostandolo decisamente verso le terre sconfinate del neofolk. Dieci canzoni immerse nelle nebbie mattutine, notti insonni e spazi aperti di natura incontaminata tra i paesaggi del Massachusetts. Storie che parlano di solitudini e disordini mentali, malattie, affrontate con il tono solenne del folk apocalittico ("Ancestor"), dell'alternative country filtrato dalla più buia espressività del dark e dell'alternative più rumoroso ("Why He Kept the Car Running"). La ballata nello stile di David J, soffocata da rumori d'ambiente, cicale, uccelli, fruscii, registrazioni in finto low-fi, una sorta di Burzum in veste di menestrello folk, imbevuto nello shoegaze, che a suon di chitarre acustiche mescola la selvaggia libertà di 'Into the Wild' con certo noise minimale e sperimentale, tanto caro ai Death in June. 'Walter Goodman (or the Empty Cabin in the Woods)' è un disco intimo e frastagliato, che riporta alla mente proprio l'album del 2016, 'Negligible Senescence', degli stessi Pando, con una ricercata vena poetica di base che si snoda lungo tutte le tracce. A volte si sentono echi post rock ma il suono è scarno, acustico e pieno di interferenze, anche il folk psichedelico appare tra le fila, ma il buio lo anima e lo rende tragico, mai spensierato, spesso ipnotico, malinconico, a volte persino evanescente, quasi ad inseguire un suono fantasma che ammalia, rapisce e sconcerta ("Where Trees Whispers"). Parti recitate e rumori d'ambiente inquietanti, disseminate ovunque ("Upon These Tracks"), registrati con smartphone e qualche altro aggeggio anomalo. Allucinazione e un senso di angoscia che si trasforma nei quattro brani conclusivi, spostandosi verso una tenue luminosità quasi pastorale con il coro di "The Secret Self", la cavalcata, alla Hugo Race (tipo 'Caffeine Sessions 2010'), tra country e synth wave cosmico di "Your Feral Teeth", lo strumentale dal solitario e rallentato passo bluegrass con il sottofondo di gabbiani e mare di "Bliss" ed il finale (con l'inizio che ha la stessa intensità della splendida "October" degli U2) lasciato ai rintocchi di piano di "To Return", segnano il battito di un disco non convenzionale, pieno di paesaggi in chiaroscuro tutti da scoprire, un viaggio insolito nel mondo di un folk parallelo, assai personale, intimo e nero come la pece, votato alla pura espressività poetica, per certi aspetti coraggioso ed innovativo. Una nuova veste per il neofolk a stelle e strisce. (Bob Stoner)

martedì 29 ottobre 2019

Michael Feuerstack - Natural Weather

#PER CHI AMA: Folk/Indie
Il nuovo album di Michael Feuerstack è pervaso da una quieta atmosfera, vagamente malinconica, dal tono sfuggente ed intimo. Il giovane cantautore canadese evita la tristezza profonda per regalarci sofisticati quadri di vita quotidiana, racconti pieni di riflessioni e sentimenti nascosti, piccoli rumori messi da un lato e ricomparsi da un altro angolo del brano senza far rumore, in punta di piedi. Un lavoro musicale assai certosino, una perizia meticolosa sui suoni usati, degna del miglior Nick Drake, che arricchisce le canzoni di mille sfaccettature, un po' come gli ultimi album degli Arcade Fire, dove tutto deve essere ascoltato più volte per essere realmente percepito. In comune con la famosa band canadese, il nostro cantautore ha anche una collaborazione in questo disco con Sarah Neufeld, violinista proprio del collettivo di Montrèal oltre che della Bell Orchestra. L'incedere lento e sognante diventa progressivamente una costante dell'album, i suoni di questo 'Natural Weather' fanno la differenza in questo disco e sembra che scarnificare la musica, aiuti il giovane artista ad entrare nel vero personaggio del cantastorie, solitario e fluttuante, sul filo di una leggera psichedelia evanescente. Ecco che al quinto brano ci attraversa le orecchie il sound di "Heavenly Bells", un'infinita ballata dal cuore tenero ed etereo, sospesa in aria come alcune creazioni del fuoriclasse David J ("Bauhaus", "Love and Rockets"). Il folk, l'alt country ed il pop si fondono cosi in un sofisticato tributo ai colori più variegati, dalle tonalità di grigio ad un arcobaleno appena pronunciato e la coda di "Birds of Prey" la dice lunga in merito. L'artwork di copertina è centrato, con le sue nuvole grigie e le scritte glam di un luna park surreale. "Don't Make Me Say It" richiama il menestrello Dylan e lo mette a fare i conti con i moderni suoni vintage di "Everything Now" di Win Butler & C., mentre lo slide delle chitarre della lunare "Outskirts" (il rimando al capolavoro di Neil Young, "Harvest Moon" è evidente) suona polveroso e solitario, come se a dirigerla ci fosse il miglior David Lynch. Così, alternando momenti di soffice psichedelia, rallentando il passo del paisley underground ed esaltando la composizione folk, ci si avvia verso il finale di un disco maturo e ricercato, leggermente derivativo ma dotato di buona personalità, tanto buon gusto nella produzione e nella costruzione. Un album piacevole, ben fatto e di alto profilo che porta avanti un giovane musicista con le idee già chiare sulla direzione artistica da intraprendere per le sue opere future. Un disco tutto da scoprire. (Bob Stoner)

domenica 11 marzo 2018

Fleet Foxes - Crack-up

#PER CHI AMA: Neofolk/Rock
Le velleità letterarie di Robin Pecknold, recentemente suggellate da una laurea in lettere conseguita presso la occhialuto-hipsterosissima Columbia University, si concretizzano mirabilmente nelle tortuose eppure conturbanti liriche dell'album. Sottomissione e misoginia ("- Naiads, Cassiades"), la insensata iperviolenza urbana di "Cassius" (l'assassinio di Alton Sterlin, avvenuto il 5 luglio del 2016 è ricondotto al complotto di Cassio nei confronti di Giulio Cesare in un modo che non potrà non ricordarvi certi recenti sforzi tecnopop degli Ulver), la coraggiosa riconsiderazione di sé ("I Am All That I Need / Arroyo Seco / Thumbprint Scar", una canzone gioviale, nelle parole dello stesso R-P, ma anche l'allegoria malinconica di Mearcstapa), o dei propri rapporti interpersonali ("Third of May / Ōdaigahara" ma anche la successiva "If You Need to, Keep Time on Me"). Progressivamente scoscesi fino all'inaccessibilità i suoni, dove il folk regredisce a mero substrato, quasi una sorta di pretesto di lusso per dipingere impressioni sonore di inoppugnabile e distante alterità. Pensate ai dettagli: ai grappoli di note vagamente percepibili in "Kept Woman", alle digressioni casualmente progressive di "Mearcstapa", alle tinte melodrammatiche di "Third of May / Ōdaigahara", a certe improvvise (dis)orchestrazioni new-björkesi (la title track e nuovamente la “gioviale” opening track "I.A.A.T.I.N. / A.S. / T.C."). Alla distanza interposta tra sé e i Fleet Foxes che conoscevate, intenzionalmente oggettivata in canzoni come "Fool's Errand". La medesima sensazione che provaste ascoltando i Talk Talk di 'Spirit of Eden' dopo quelli di 'The Colour of Spring', i Pink Floyd di 'The Final Cut' dopo quelli di 'The Wall', o ancora i Radiohead di 'Kid A' dopo quelli di 'OK Computer'. Ehi, che diamine vi succede? Vi sentite bene? (Alberto Calorosi)

(Nonesuch Records - 2017)
Voto: 75

http://fleetfoxes.co/crack-up

giovedì 12 ottobre 2017

Paolo Spaccamonti & Paul Beauchamp - Torturatori

#PER CHI AMA: Sperimentale/Drone, Ulver
Paolo e Paul, due musicisti particolari, il primo torinese (ma di origini lucane), il secondo americano ma trapiantato nel capoluogo piemontese. Un album, due brani, "White Side" e inevitabilmente anche un "Black Side", a definire i due lati del vinile (in vinile rosso) e le due facce della stessa medaglia di un disco tutt'altro che facile da ascoltare. Una proposta musicale in cui s'incontrano due amici e le loro anime sperimentali che si traducono in questo condensato musicale intitolato 'Torturatori'. Non conosco la ragione di questa scelta, posso solo dire che il loro torturare in realtà si svela dapprima in raffinate linee di chitarra acustica di stampo neofolk coadiuvate successivamente da una svalangata di suoni apparentemente improvvisati che ci accompagnano per quasi quindici minuti di musica minimalista, ipnotica e surreale, un ambient dronico, un'ipotetica colonna sonora per un film come 'Blade Runner 2049' anche se verso il decimo minuto, i nostri tornano a lanciarsi in un altro oscuro arpeggio di chitarra. Una proposta quella del duo italo-americano, che per certi versi mi ha ricordato quello di t.k. bollinger, anche se l'artista australiano può vantare nelle sue composizioni, anche un cantato che qui manca totalmente. Pertanto, spazio alle chitarre, ai synth, ad atmosfere rarefatte e oniriche, soprattutto nella seconda song, in cui il suono della sei-corde è decisamente più ribassato, e molto più spazio viene concesso ai suoni cibernetici affidati ai sintetizzatori di Paul Beauchamp, qui emulo di quelle sonorità alla Vangelis che popolavano il primo 'Blade Runner'. Un disco alla fine parecchio sperimentale per le nostre orecchie e i nostri sensi, per quanto in realtà, i due musicisti non offrano proprio sonorità avanguardistiche. Un'esperienza simile all'ascolto degli album strumentali degli Ulver, un ascolto da provare in rigoroso silenzio e nel buio più assoluto. (Francesco Scarci)

martedì 9 maggio 2017

1476 – Our Season Draws Near

#PER CHI AMA: Indie/Post Punk/Neofolk
Dei 1476 siamo stati tra i primi, in Europa, a parlare, all’epoca dell’uscita del loro secondo album 'Wildwood', accoppiato all’EP acustico 'The Nightside', e all’epoca li definimmo come uno dei segreti meglio custoditi dell’underground americano. Finalmente qualcuno se n’è accorto, per la precisione l’ottima label tedesca Prophecy Productions, che lo scorso anno ha ristampato i lavori, inizialmente autoprodotti, della band di Robb Kavjian e Neil DeRosa. Non è mai bello vantarsi delle proprie scoperte, dire “L’avevo detto io…” con aria saccente e compiaciuta, però è indubbio che faccia piacere vedere una band di cui si era parlato con toni più che positivi più di quattro anni prima, raggiungere ampi e diffusi consensi una volta promossi come si deve da un’etichetta competente. E allo stesso modo non è bello poi, girare la faccia dall’altra parte davanti ad un nuovo disco pubblicato dalla nuova etichetta, dicendo che “erano meglio prima”. Per cui eccolo qui, 'Our Season Draws Near', un disco atteso come pochi altri ultimamente, e che vale ogni giorni passato ad aspettarlo. Rispetto al decadentismo un po’ naif (ma anche tanto affascinante, va detto) delle release precedenti, questo è un album asciutto e rigoroso, che abbandona ogni sovrapproduzione e si concentra sul suono delle chitarre e della batteria, ora acustico e sussurrato, ora ruggente e aggressivo, in un’esasperazione dei contrasti che, alla fine, è il tratto distintivo della band del New England. È evidente il miglioramento a livello di produzione, che ha permesso ai 1476 di esplorare un nuovo lato della loro natura, evolvendo definitivamente dall’art rock degli esordi in un ibrido tra canzoniere gotico americano, una certa wave scura e selvaggia e metal estremo che non ha effettivamente termini di paragone al giorno d’oggi nel panorama internazionale. Provate a pensare, se ci riuscite, a una fusione tra 16 Horsepower, Death in June, Agalloch, Gun Club e, chessó, Iced Earth, e forse vi avvicinerete all’effetto finale. Non è facile descrivere certe tracce, ma la sequenza "Solitude (Exterior)" – "Odessa" – "Sorgen (sunwheels)" - "Solitude (Interior)", col suo alternarsi tra atmosfere acustiche e muri di suono, dolcezza ed improvvise accelerazioni che conducono ad un saliscendi emotivo davvero incredibile, è una cosa che vale intere discografie. La voce di Kavijan si conferma una delle più particolari ed emozionanti sulla piazza, e marchia a fuoco 10 canzoni (11 nella deluxe edition) che sono forse meno immediate al primo impatto rispetto al passato, ma che crescono in maniera costante e inesorabile ad ogni ascolto, disegnando i contorni di quello che si configura come un grande classico, un disco con cui dovremo tutti fare i conti alla fine dell’anno e negli anni a venire. (Mauro Catena)

(Prophecy Productions - 2017)
Voto: 85

https://1476.bandcamp.com/album/our-season-draws-near

giovedì 4 maggio 2017

Kinit Her - The Blooming World

#PER CHI AMA: Avantgarde/Musica Medievale/Psichedelia/Ambient
Immaginate Angelo Branduardi, Enya e i Mumford & Son fatti di allucinogeni; ora, dategli in mano strumenti medievali, trattati di esoterismo ed una manciata di campioni elettronici, tritate il tutto per bene, e avrete i Kinit Her. Troy Schafer e Nathaniel Ritter sono le menti dietro questo progetto arcano e sperimentale, che unisce musica corale, folk, psichedelia e musica classica in un disco perfettamente prodotto ('The Blooming World' è addirittura il dodicesimo album per i Kinit Her, attivi ormai da oltre 7 anni!). Il songwriting è fortemente influenzato dalla scrittura medievale, condita da una forte volontà avanguardista: non aspettavi quindi ritmiche decise, né battute in quattro, né una forma canzone tradizionale. Chitarre acustiche e percussioni danno la struttura (“Learning Conveyed in Daylight”), ben supportate da string e da una per nulla artificiale elettronica sullo sfondo (“Blooming World”), che pure si concede episodi più ambient (“Opposition”). E poi voci, voci e voci; cori che decantano formule magiche e versi arcani; sussurri, intonazioni orientali, vocalizzi lontani, cantiche gregoriani, litanie inquietanti. Siamo di fronte ad un lavoro che è assolutamente fuori dal tempo e dallo spazio (i Kinit Her sono del Wisconsin, ma questo disco è internazionale — pesca a piene mani dalla tradizione musicale orientale e occidentale, passata e presente), un viaggio acustico e interstellare in un universo oscuro e inconoscibile. Per pochi. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2016)
Voto: 65

https://kinither.bandcamp.com/

venerdì 28 ottobre 2016

Ekstasis – The Adversary

#PER CHI AMA: Neofolk acustico
L'universo della musica folk è talmente inconsueto e trascendentale che se si evita il tradizionale e quindi omologato, per ovvi motivi, standard d'esecuzione, si hanno sempre nuove e ottime sorprese. La super band in questione viene da Olympia, Washington (anche se il loro sound non ha nulla di americano) e suona come una sorta di neofolk dalle tinte color pastello molto calde e avvolgenti, con una componente mistica di elevata intensità e, cosa che li contraddistingue dalla grande massa, è un confine labile tra classicismo barocco e folk acustico di rara bellezza e forte emotività. Al secondo album, uscito in collaborazione con la Pest Productions via Invisible Oranges, Johnny DeLacy alla chitarra e voce (Faun, Threnos, Fearthainne), coadiuvato alla seconda chitarra da Ray Hawes (Skagos, Iskra), e con Mara Winter ai flauti, Mae Kessler al violino, Marit Schmidt alla viola (Sangre De Muerdago, Vradiazei, Memory boys) e Michael Korchonnoff (Alda, Fiume, e Novemthree) alle percussioni e voce, i nostri Ekstasis sfornano un disco decisamente di alto livello riuscendo a compiere quel salto finale che li colloca tra le migliori uscite in ambito neofolk degli ultimi tempi. Già nell'album precedente, il paesaggio acustico era portato ad una bellezza senza tempo mentre in questo secondo lavoro la bellezza diviene infinita con picchi di qualità che sfiorano la divinità. In primis, il gusto espresso per un sound colto e rurale (passatemi il termine), una produzione egregia, e un suono talmente naturale che sembra di entrare in un paesaggio medievale immerso nella natura fin dalle prime note d'ascolto; poi, il legame con album epocali come 'Beautiful Twisted' di Sharron Kraus, 'Quaternity' dei Sabbath Assembly o le alchimie ancestrali dei bretoni Triptyque e del folk senza tempo dei mitici Sedmina, è indissolubile e inevitabile per una comune capacità di reinterpretare il folk in termini futuristi senza mai tagliare il cordone ombelicale che lo lega alle radici più oltranziste del genere. Nei sei brani spettacolari contenuti in 'The Adversary' troviamo diverse provenienze musicali riprese da mondi diversi, tutte attinenti al folk più radicale, ma sia chiaro, nessuna parentela con il folk metal o affini, qui c'è un totale isolamento dalla musica di routine ed un'enfasi estatica memorabile tradotta in influenze celtiche, musiche dell'est Europa e tanto altro. Non vi è un brano meno splendido dell'altro, tutti insieme formano una sorta di lungo pellegrinaggio verso una terra di nuova speranza, sofferta e cercata, passando da un impatto epico, sognante e malinconico. Musicisti navigati ed esperti gli Ekstasis, si mostrano oggi desiderosi di creare nuove pagine di una tipologia di folk concettuale, legata saldamente al passato ma lanciata più che mai nel costruire nuovi territori sonori acustici, affascinanti, intimi e barocchi. Senza tempo né origine geografica, universali connessi alle visioni eteree di band quali Ataraxia, Dead Can Dance e The Moon and the Nightspirit. Se il mondo si affidasse alle musiche di artisti come questi, la vita spirituale di tutti sarebbe di uno spessore decisamente più elevato. Capolavoro tutto da scoprire! (Bob Stoner)

mercoledì 14 settembre 2016

Elane - Lore Of Nén

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Neofolk, Dead Can Dance, Nebelhexe, Enya
Suoni mistici, magici ed intensi... ecco cosa racchiude 'Lore of Nén', secondo capitolo discografico dei teutonici Elane. Addirittura 19 tracce che richiamano inequivocabilmente la tradizione celtica, i suoi segreti e le sue ancestrali melodie. Il quintetto tedesco, a distanza di tre anni da 'The Fire Of Glenvore' si riaffaccia sulla scena, con un lavoro pregno di fascino e ideale colonna sonora per un film fantasy: soffuse e vellutate melodie costruite da chitarre acustiche, tastiere, archi e percussioni, arricchite da ottimi arrangiamenti orchestrali e poi, come tralasciare la soave e sensuale voce di Joran Elane, la leader indiscussa della band, la cui magica ugola non può non ricordare i vocalizzi delle grandi esponenti della scena folk, quali Loreena Mckennitt o Enya. Raggi di luce squarciano il cielo, oscure ombre e tenebrose atmosfere vengono dipinte dagli strumenti degli Elane; pennellate malinconiche grigio scure viaggiano attraversano i nostri sensi e non è solo l’udito a beneficiare di questo disco, ma anche la vista ci conduce in paesaggi fiabeschi, stile “Il Signore degli Anelli”. È sufficiente chiudere gli occhi e immergersi in un’altra epoca, farsi avvolgere da un altro mondo in cui gli gnomi passeggiano per le strade, ove maghi dagli strani cappelli volano nel cielo ed epici cavalieri lottano per uccidere pericolosi draghi. 'Lore of Nén' vi porterà lontano dal vostro mondo per vivere un’esperienza unica in posti incantati, dove un eccitante fluire di emozioni vi strapperà dal cuore, la noia della triste quotidianità. Magia allo stato puro. (Francesco Scarci)

(Distinct Music - 2006)
Voto: 75

http://elane-music.com/

mercoledì 31 agosto 2016

Faun - Totem

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Neofolk, Medieval, Orplid
A distanza di un paio d’anni dal precedente lavoro, 'Renaissance' (datato 2005), tornò in pista il quintetto teutonico dei Faun, con un nuovo affascinante album. Dopo una lunga intro di quasi quattro minuti, inizia un viaggio nel loro mondo ancestrale. 'Totem' è suddiviso virtualmente in tre capitoli: la prima parte viaggia su binari dark gothic, con le voci di Lisa e Fiona sempre in risalto e l’intrigante uso di strumenti folkloristici, come il bouzouki irlandese, l’arpa celtica, il didgeridoo e l’hurdy-gurdy, che conferiscono al sound dei nostri, le emozioni tipiche della musica classica, per la sua capacità di essere senza tempo. Si tratta di composizioni vellutate, estremamente rilassanti, che ci riportano con la mente a paesaggi incantati, con quell’uso delle chitarre acustiche che tracciano dolci linee melodiche e angeliche vocals femminile che declamano splendide poesie. Ciò che mi fa storcere il naso è come sempre il cantato maschile di Oliver Sa Tyr in lingua tedesca, e quella sua incapacità di fondo di risultare melodica. La parte centrale del disco è invece orientata a sonorità medievali: sembra di essere scaraventati indietro nel tempo di quasi mille anni nella lande scozzesi che hanno ospitato il film 'Braveheart', grazie all’utilizzo di strumenti “vetusti” quali mandolino, flauti, percussioni e cornamusa. La terza parte del cd infine, torna a ricalcare il sound posto in apertura di questo lavoro, con ambientazioni più oscure e ipnotiche, fatte di atmosfere evocanti antichi riti pagani ed una certa spiritualità che mostra la connessione dei nostri con la natura. 'Totem' non è certo un disco di facile approccio, ma se siete alla ricerca di musica di sicuro non banale, la proposta dei Faun, potrebbe sicuramente fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Curzweyhl/Rough Trade - 2007)
Voto: 70

http://www.faune.de/faun/pages/start_en.html

martedì 1 settembre 2015

Hercyn - Dust and Ages

#PER CHI AMA: Post Black/Folk, Agalloch
Non mi nascondo, gli Hercyn li ho osannati in occasione del loro demo cd, 'Magda', un po' meno per lo split album con i There Roya, ma li stavo aspettando al varco. Finalmente esce in questi giorni il loro debut album, 'Dust and Ages' per cui sono assai curioso di saggiare lo stato di forma del quartetto del New Jersey, che tanto mi aveva impressionato per quel sound in stile 'The Mantle' degli Agalloch. Quattro i brani a disposizione, anche se il terzo è in realtà una lunga suite costituita da cinque momenti. Si parte con "Dust", pezzo semi strumentale di quasi quattro minuti che funge più che altro da intro, ove si subodora già la vicinanza ai mostri sacri dell'Oregon. È con "Of Ruin" che inizio a godere: chitarra acustica ed elettrica procedono sincrone, legate da un invisibile filo che serve a donare quell'impercettibile aura magica, di cui avverto 'Dust and Ages' esserne ampiamente avvolto. I suoni po' ovattati sono quasi un must nel genere, le vocals di Ernest Wawiorko sono molto simili a quelle di John Haughm degli Agalloch, ma poco importa. La musica degli Hercyn, pur essendo inevitabilmente derivativa da quella dei ben più famosi colleghi, preserva intatto quello spirito neofolk che avevo saggiato ai loro albori. I quattro musicisti partono poi con le tipiche incursioni malinconiche che si muovono tra il post black e il post rock. Lungo i 14 minuti abbondanti di "Storm Before the Flood" se ne sentono di tutti i colori: si parte da un approccio decisamente brutale, ma poco a poco, la band va in cerca della propria essenza naturistica e la struttura tipicamente black del prologo, lascia spazio ad un mid-tempo più ragionato e onirico, anche se a cadenza puntuale, il sound sfocia in rabbiose galoppate che trovano presto la pace in inebrianti break acustici dal forte sapore rock. A metà brano, e siamo al minuto 7'40" è la splendida abbinata chitarra acustica/basso a solleticare la mia fantasia, consentendomi l'abbandono a soffuse atmosfere rilassante. Ma da li a poco, ecco il rutilante incedere dell'armeria pesante a spezzare ancora una volta l'incantesimo con un riffing epico, che tuttavia non dilapida quello status emotivo che si era fin qui addensato nella mia anima e che troverà peraltro modo di accrescere anche nello spumeggiante assolo di questa lunga song. "Ages" chiude ahimè il debutto degli Hercyn, con 4 minuti e mezzo di delicati arpeggi e il soffice percuotere della batteria. Siamo alla fine di questa prima avventura ufficiale targata Hercyn, ma ne sono certo, sentiremo ben presto parlare di loro. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 80

mercoledì 29 luglio 2015

Black Claw - S/t

#PER CHI AMA: Neofolk, Current 93, Scorpion Wind, Tom Waits
Il Reverendo Black Claw è un personaggio d'altri tempi che ha saputo rinvigorire il neofolk con malata ironia e profonda malinconia, punteggiandolo di spunti presi dalle più svariate forme musicali acustiche. Quindi non mi sottraggo al mio compito di innalzare quest'album, uscito nel 2013, a piccolo gioiello e luminare capolavoro underground, dove tutto è meraviglia e strabiliante incrocio sonoro. Cinque brani, per circa diciotto minuti di musica, destinati a farvi innamorare ancor più delle immense foreste canadesi, indubbia e acclamata fonte d'ispirazione del mitico Reverendo! L'artwork di copertina è cupissimo e ritrae un teschio stilizzato su sfondo nero e gotico, quasi a richiamare vagamente uno spettro intriso di rock alla Zakk Wylde ma, all'interno tutto troverete tranne che tracce di vecchio e irsuto heavy rock. Acustico con la vena psichedelica/notturna che ha ispirato Hugo Race per anni, un neofolk come i Current 93 più movimentati (con evoluzioni timbriche marziali, minimali e dark che ricordano Death in June e Scorpion Wind), il barocco come lo erano gli And Also the Trees, un jazz folk come il Tom Waits superbo del teatrale 'Alice' e il Nick Cave oscuro di 'The Good Son'. Istrionico, come se i Korpiklaanii suonassero combat folk armati di banjo, in compagnia dei Gogol Bordello, con la visione mistica di Stille Volk e l'umore schivo, profondo, nero, viscerale che agita il capolavoro black metal acustico di Ajattara, 'Noitumaa'. Non vi sono parole per esprimere tale delizia se non costringervi ad ascoltarlo prima che arrivi agosto 2015 (io sto contando i giorni!) quando il reverendo offrirà alle mostruose creature della foresta ben due nuovi lavori, un full length intitolato 'Thieving Bones' e uno split cd in compagnia dell'artista australiano (anche lui da seguire assolutamente!) T.K. Bollinger & That Sinking Feeling . Lode al reverendo canadese. Semplicemente geniale! (Bob Stoner)

(Self - 2013)
Voto: 90