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mercoledì 30 dicembre 2020

Grufus - Sabor Latino

#PER CHI AMA: Instrumental Alternative/Stoner, Tool
Niente tacos o fajitas ad attenderci in 'Sabor Latino', anche se il titolo poteva farci ben sperare. In realtà dalle prime battute veniamo investiti in pieno dalle schitarrate di “Trapanus”, che potrebbe tranquillamente sembrare un sequel di 'Fear Inoculum' dei Tool. Suono bello tagliente, groove serrati, tribali, coinvolgenti. Le sei-corde stendono riff titanici, fino ai limiti del noise. Gli episodi di pura violenza si evolvono in strutture mai banali, l’elemento sorpresa si scopre gioco-forza in questo disco. Dallo stoner vediamo addirittura approdare a ritmiche centro-americane in “Mezcal”. Connubio indubbiamente originale. Le idee sono tante, la full-immersion al Vacuum Studio di Bologna, è servita ai Grufus per metabolizzare al meglio i diversi background di provenienza. Si attinge un po’ ovunque: grunge, alternative fino ai ricorrenti respiri psych, come attimi di pausa fra una galoppata e l’altra, e che ritroviamo anche in chiusura dell’album. Sorprende notare come la mancanza di schemi non vada per niente ad inficiare l’ottima coesione che ritroviamo in questi 40 minuti strumentali. Nonostante gli spunti siano innumerevoli, il disco si ascolta tutto d’un fiato. Le abbondanti soluzioni ritmiche, ben congegnate e in costante evoluzione, insieme a qualche mirabolante acrobazia, non fanno per nulla rimpiangere la mancanza di una linea vocale. Al contrario, si ha la possibilità di cogliere maggiori dettagli, che altrimenti sfuggirebbero in secondo piano, mascherati per esempio dalle martellate di “Oipolloi”. Una menzione d’onore va fatta sicuramente per “Le Vacanze di Pippo”. Titolo strappalacrime, ma le sue progressioni strepitose, i pregevoli arrangiamenti e una linea di basso magistrale, vanno a confezionare un pezzone tritasassi. Non troveremo certamente novità particolari nelle sonorità di questa prima fatica in studio, pubblicata per la Grandine Records. Ma il gran senso delle dinamiche della formazione emiliana, unito alla disinvoltura con la quale propongono un caleidoscopio di cambi di tempo, lo rendono indubbiamente un esordio con gli attributi. 'Sabor Latino' diverte, non stanca e invita a riascoltare i Grufus più e più volte. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

martedì 3 novembre 2020

Jahbulong - Eclectic Poison Tones

#PER CHI AMA: Doom/Stoner
Per le mani oggi abbiamo un altro proiettile in canna per la GoDown Records, che questa volta tira fuori dal cilindro un promettente gruppo al suo battesimo nelle acque del fiume Stoner. Stiamo parlando dei Jahbulong, che si presentano sulle scene con questo primo full-length, in uscita proprio in questi giorni, mentre sto scrivendo. Dopo qualche pubblicazione negli anni precedenti, un primo EP d’esordio e uno split condiviso con i concittadini Mongoose, la band veronese pubblica il singolo anticipatore "Under the Influence of the Fool" e, a rimorchio, 'Eclectic Poison Tones'. Si compone di soli quattro brani, lunghi e catatonici. Eterni sospiri che accentuano il tetro lamento proveniente da una quinta dimensione, quella del fuzz. "Under the Influence" è un’apertura in stile pienamente “Electric Funeral”, che ci spara in orbita con le sue distorsioni sabbathiane, in continuo crescendo fino all’esplosione finale. Da qui le note fluiscono lente nella successiva "The Tower of the Broken Bones": i tempi si dilatano enormemente già dai primi riff di questa “doom-ballad”, che può fregiarsi anche di numerosi rimandi seattliani nella sua inesorabile progressione verso l’abisso. L’oscura "The Eclipse of the Empress" invece, si avviluppa senza via di fuga attorno ad un lisergico tema che si trascina per tutti i suoi nove minuti, fra assoli psichedelici e distanti riverberi. La conclusione la porta "The Eremite Tired Out (Sweed Dreams)", l’ultima suite, quella dalla durata maggiore, la più allucinata. Dal funereo doom più distorto la spirale si apre su vibrazioni acide, scandite da interminabili pause e silenzi. Il sound minimale della formazione scaligera senza dubbio porta con sé il filone acid-psych anni '70, oltre a vari spunti dal grunge '90s, fino alle distorsioni doom più pesanti. L’impronta del binomio Sabbath – Electric Wizard resta comunque la più evidente sulle tenebrose e disorientanti sfumature di questo disco, attraverso cui il power-trio traspone con decisione la sua idea di musica. (Emanuele ‘Norum’ Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/JAHBULONG/

giovedì 22 ottobre 2020

Mad Dogs - We Are Ready To Testify

#PER CHI AMA: Hard Rock
Non è facile evitare di cadere in certi pregiudizi o clichè da trito e ri-trito, se nell’Anno Domini 2020 ci troviamo per le mani un disco hard rock. Ma bisogna pur ammettere che si avverte, eccome, quando le corde sono fatte vibrare con il cuore e con passione. O quando a prevalere über-alles è la trascinante carica di certe schitarrate, che ti obbligano a scuotere la testa, senza un preciso motivo. Lo fai e basta. Questa nuova uscita per la Go Down Records, nonché terzo album in studio per i Mad Dogs, racchiude appieno il rock’n’roll sanguigno e genuino della band, senza mezze misure. Di derivazione spiccatamente seventies, ma con un’energia affilata e straripante. L’opener del disco, “Leave Your Mark On What You Do”, si presenta già con un richiamo Zeppeliniano negli stacchi di batteria iniziali. Semplice riscaldamento muscolare prima delle folli cavalcate che ci attendono, scandite da una raffica di groove: reminiscenze australiane in questa direzione, ma senza scomodare Bon Scott e compagni una volta tanto. Citiamo piuttosto le influenze dei Radio Birdman per affinità (con i cui componenti tra l’altro, i Mad Dogs hanno condiviso il palco). Siamo a bordo ormai, su questa locomotiva che corre all’impazzata: i rockers marchigiani non cedono di un beat e si prosegue a tutta birra. Le sei corde sono letteralmente “on fire” e senza tregua danno vita a riff diretti e travolgenti ed assoli irrefrenabili. Bad Religion e MC5, saltellando freneticamente tra garage rock e street punk, poi una rapida apparizione delle tastiere nella title-track, ma sempre e comunque guidati dallo stesso filo conduttore, unico vero e proprio credo: il Rock. Anticipato dall’uscita di tre singoli ("Not Waiting", "Hard Fight" e "Postcard From Nowhere"), 'We Are Ready To Testify' è la consacrazione del rock’n’roll secondo la visione della band italica e allo stesso tempo ne incarna appieno il messaggio. Si respira a pieni polmoni la devozione che i nostri hanno da sempre dedicato alla loro vera fede. E non si può che apprezzare la semplice caparbietà con cui scelgono di imboccare questa strada: testa bassa, pochi giri di parole e qui si suona sul serio. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/maddogsrnr/

mercoledì 22 luglio 2020

The Mills - Cerise

#PER CHI AMA: Alternative Garage Rock, The Strokes
Pronti partenza via. Tempo un annetto di rodaggio motori e i The Mills, formatisi appunto nel 2019, sono già pronti per entrare in studio di registrazione con il loro primo album, sotto l'egida della Overdub Recordings. Morris e soci non si sono lasciati scoraggiare dal lockdown e hanno dato alle stampe 'Cerise', distribuito a partire da fine aprile sulle piattaforme digitali. Sette i brani usciti dalla penna del founder e arrangiati con l’apporto di Augusto Dalle Aste (basso, contrabbasso) e Giovanni Caruso (chitarra solista). Sette tracce che hanno molto l’aspetto di un super-tributo a certi grandi nomi del passato, lampanti ispirazioni per il suond dell’attualmente-quartetto vicentino (che, senza perdere tempo, si sta già dando da fare con una serie di live). D’altro canto, il vocalist e fondatore del progetto lo afferma chiaramente, come con questo disco gli sia “servito rielaborare il passato per meglio concepire il presente”. Le influenze dei nostri sono decisamente british, dal garage al punk londinese dei The Clash, irrorati a pioggia con brit-pop e ritornelli squisitamente beatlesiani, più o meno evidenti. Già con “Invain”, il brano d’apertura, si sente attingere a piene mani da questi generi, chiamando in causa da Graham Coxon ai Blur passando dagli Oasis. Pochi orpelli di forma o struttura: le note scorrono fluenti e con ruvida decisione. E così anche in una “Camden Town”, dal titolo decisamente simbolico, ci si lascia avvinghiare da rapide schitarrate e cori d’oltreoceano, in stile The Strokes / Ramones. “I Barely Exist” invece sa molto di richiamo alla “Californication” della West Coast, con i suoi costanti fraseggi di basso, di cui Flea potrebbe essere orgoglioso, tolta la ritmica più lineare. Molti spunti che fra loro possono sembrare anche abbastanza disparati, ma che inevitabilmente ci riconducono ad una casa base. 'Cerise' sembra suonare appunto come un nostalgico capitolo, più che una reale evoluzione fondata su solide radici. Grinta e mordente che probabilmente si sposano bene con l’immediatezza ricercata dal progetto, ma si sente la mancanza di qualche spunto o idea che potrebbero essere metabolizzati in modo efficiente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Overdub Recordings - 2020)
Voto: 66

https://www.facebook.com/The_Mills-357560558192782/

sabato 16 maggio 2020

Beesus - 3eesus

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Le vie dello stoner sono infinite. Almeno così pare, osservando la prolifica scena underground del belpaese, in costante fermento ultimamente per quanto riguarda le ruvide sonorità fuzzate e le frequenze ultrabasse. La trasposizione del copione poi, può risultare anche altamente personalizzata, nel caso intervenga una sapiente lungimiranza dell’interprete. Ne sono un esempio i Beesus, gruppo laziale attivo da una decina di anni, che pubblica quest’anno il terzo LP. Dopo qualche burrascoso cambio di line-up occorso negli ultimi anni, la formazione si assesta sull’attuale essenziale power-trio. Non si può dire però che '3eesus' sia altrettanto essenziale. Abituata a sperimentare incessantemente per dare forma alle varie visioni allucinogene, la band capitolina riconferma la propria tendenza ad assimilare elementi delle più disparate provenienze, dal doom allo psych, fermandosi talvolta ad un “lo-fi-pit-stop”. Quello che forse traspare da quest’ultimo lavoro rispetto alle due precedenti uscite, è probabilmente il raggiungimento di una maggior compattezza e organizzazione sonora, per quanto possibile. Ci si scrolla di dosso qualche sporcatura punk da 'Sgt. Beesus… And The Lonely Ass Gangbang!' (2018), senza però perderne l’attitudine. Il primo impatto con “Reproach” è un vero pugno nello stomaco, con riff annichilenti da far tremare le interiora. Energia catalizzata in ritmo e potenza. Compaiono anche i primi cori ed intrecci a tre voci, come novità. Se pensate poi che non sia possibile sentire Melvins e The Doors in uno stesso brano, vi invito ad ascoltare “Sand for Lunch”. Uno dei più emblematici del disco sicuramente, dal titolo già di per sé evocativo. Ci troviamo inizialmente immersi in una tipica allucinazione morrisoniana, a sorvolare distese aride e desolate, per poi riscoprire nella seconda parte della track, le antiche tracce dei pionieri, quelli del già più riconoscibile Palm Desert. Se è vero che i Kyuss hanno interrato un seme estremamente vigoroso, è altrettanto vero che i germogli che crescono assumono le forme e le dimensioni più varie in assoluto. “Flags of the Sun” rappresenta un’altra dimostrazione di come il trio romano abbia concepito la propria impronta sonora per questo disco. Oltre alla viscerale sintesi dello stoner, qui si scorge qualche ispirato fraseggio dalle intenzioni blueseggianti. Le atmosfere psych sempre a fare da cornice, anche nella lisergica “Gondwana”. Forte anche di un’ottima produzione, più pulita e diretta, '3eesus' vanta l’interessante privilegio di essere stato registrato in presa diretta dal vivo. Pootchie (Guitars/Vocals), Johnny (Bass/Vocals) e Mudd (Drums/Vocals) hanno infatti avuto l’occasione di eseguirlo niente meno che al Monk Club, famoso locale da concerti della capitale. Questo grazie anche alla disponibilità di Giacomo Serri che ha reso possibile la realizzazione di questo notevole lavoro. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(More Fuzz Records/GoDown Records/New Sonic Records - 2020)
Voto: 77

https://beesus.bandcamp.com/album/3eesus

sabato 11 aprile 2020

Licantropy - Extrabiliante

#PER CHI AMA: Surf Rock'n' Roll
Storie di lupi e di lune, di metamorfosi e delirio, di fantasie e demoni squisitamente antropomorfi. Scritte e cantate dal diabolic-trio più diabolic del Triveneto, i Licantropy. Incise ad arte su un compact-disc e confezionate da un’iconica copertina, decisamente evocativa (devo ammettere che mi ha fatto sorridere a prima vista). Se pensate che un tale abstract, non possa riassumere un album simile rendendogli giustizia, beh avete certamente ragione. Non è compito facile raccontarvi con esattezza cosa si può trovare dentro questo disco. Niente paura, non vi ho per niente rovinato la sorpresa, anzi: quelle non mancano. Sempre in agguato dietro l’angolo, brano dopo brano. Dopo una ispanica intro ("Hispanic Wolf") a dipingere il background notturno in cui ci trasportiamo, veniamo investiti dall’impetuoso surf-rock’n’roll sanguigno e affamato dei Licantropy. Aggiungiamoci un pizzico d’influenza punk e una buona dose di psichedelia ammaestrata dagli organi e dai synths di Mr. “Royal Albert Wolf”. Ed eccoci servito. Due brani diretti e sparati come "Big Bad Affaire" e la licantropica "Pale Moon Light", ottimamente impiegabile come colonna sonora per una surfata al chiaro di luna, con i suoi notevoli fraseggi affidati all'Hammond guitar. E ancora, dopo le cavalcate a ritmo di rock della title-track (che contiene addirittura una sezione di scratching), arriviamo persino ad incontrare elementi progressivi: ad esempio in "Bite Me Wolf", con la sua struttura ritmica in continua evoluzione, seppur poco evidente ad un primo ascolto, o nella conclusiva "Coyote", perfetto brano da applausi finali. Dall’incalzante energia iniziale giungiamo, oso dire, ad una dilatazione in chiave stoner. Complessità strutturale, arrangiamenti da manuale ed un’altra abbondante dose di scratch per questo vero e proprio viaggio, verso la fine dell’incubo a luna piena, iniziato una decina di canzoni prima. La visione interpretativa personale di un rock’n’roll più oscuro e notturno, mi ha ricordato un’altra underground-band nostrana a cui sono piuttosto affezionato, gli Slick Steve & The Gangsters, seppur, sia chiaro, ci troviamo su due strade stilistiche abbastanza diverse. 'Extrabiliante' vede la luce come secondo album in studio dei Licantropy, che avevano esordito nel 2017 con 'We Were Wolves', un disco dalle sonorità molto più ruvide e scatenate. Il ritorno del trio composto da Tom Wolf (chitarra & voce), Luke Sky Wolfer (batteria & voce) e Royal Albert Wolf (organo & voce), vede un lavoro di canalizzazione di quella stessa energia in arrangiamenti molto ben studiati. Molta attenzione ai numerosi e ricercati dettagli, che emergono ascolto dopo ascolto: come dicevo, ricco di sorprese che non si raccontano, ma si devono ascoltare. Avvertenze: 'Extrabiliante' può causare irrefrenabile voglia di muovere la testa e battere i piedi a ritmo frenetico. Voluto omaggio al west di Costner 'Dances with Wolves'? (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

domenica 19 gennaio 2020

Prime Creation - Tears of Rage

#PER CHI AMA: Heavy/Power, Hammerfall, Stratovarius
Dopo le iniziali scorribande nelle lande del power metal, i membri orfani del gruppo svedese Morifade, si riuniscono nel 2015 in un nuovo progetto che sancisce una svolta sostanziale negli intenti dei musicisti di Linkoping: i Prime Creation. Esauritasi infatti la spinta del filone power scandinavo, probabilmente indispensabile per sostenere i quattro album all’attivo, non molto convincenti a dire il vero, e terminati gli argomenti da spendere in materia, i tre amici e compagni Henrik Weimedal al basso, il batterista Kim Arnelled ed il chitarrista Robin Arnell hanno optato per una brusca sterzata al loro sound originale. Già dal 2016, con l’omonimo (ottimo) disco d’esordio, i Prime Creation mettono in chiaro i propri intenti per un deciso passaggio verso territori meno aulici e più diretti. Un solido heavy metal di scuola svedese con qualche riffone di chitarra e cavalcate in doppia cassa da headbanging puro, talvolta a sconfinare nel thrash. Un po’ il percorso che seguirono a suo tempo i connazionali Hammerfall, ma senza il loro classico biker-appeal. Durante la stesura del primo album, l’ensemble si completa con il reclutamento di Esa Englund ($ilverdollar, Hellshaker), vocalist dalle tonalità baritone, decisamente più adeguate allo scopo. Tuttavia, sembra quasi che il cambio di direzione fosse più convinto e convincente, nell'album d’esordio, rispetto a quest’ultima uscita intitolata 'Tears of Rage', risalente a pochi mesi fa. Nonostante l’impronta sia quella più heavy tradizionale che avevamo sentito in 'Prime Creation', questo secondo disco lascia permeare tra i solidi riff, qualche respiro rievocante il passato dei Morifade. Qualche refrain a ritmi abbassati, i cori e le tastiere che ritornano a farsi sentire pressoché in tutti i brani (seppur con peso differente) e sporadici rimandi a certe icone della vecchia guardia. Penso per esempio ad “All for my Crown” che sa un po’ di Stratovarius, anche se quelli meno ispirati del periodo tardivo. Oppure i Symphony X più orecchiabili (di 'Paradise Lost', per dire), con un alone percepibile in “Before the Rain”. Appunto, pare che solo qualche anno fa, i nostri fossero stati più radicali nelle scelte stilistiche. Oltre al sound meno deciso rispetto al precedente esordio, le sezioni “di respiro” si fanno più frequenti. Le tastiere ritornano ad assumere maggiore importanza, in tracce come l’opener “Finger Crossed”. Oltre a questa, buoni anche i brani “Pretend till the End” con la suo intro elettronica e la title-track “Tears Of Rage”, coi suoi carichi ed abbondanti riff ed un’ottima sezione solista di chitarra. Mancano però quei meccanismi che inneschino la giusta scintilla. Questa seconda fatica dell’ensemble svedese non è decisamente al livello del precedente. Un po’ troppo diluita forse. Oppure banalmente povera di ispirazione nel songwriting, magari troppo affrettata a causa del contratto discografico, anziché beneficiato dai giusti tempi per composizione e organizzazione delle idee. Anche la conclusione appare un po’ fuori luogo, con un tappeto di tastiere e la cadenzata voce di Englund su ritmi blandissimi in "Endless Lanes". Un passetto all’indietro quindi per i Prime Creation: peccato perché ci avevano davvero stupiti all’esordio, piazzando un bel colpo alla prima uscita. Ma appunto per questo, restiamo fiduciosi in attesa. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

giovedì 3 ottobre 2019

L'Ombra - S/t

#PER CHI AMA: Progressive Rock
Un tenebroso melting-pot di stili, idee e suggestioni, è ciò che trapela da questo eclettico EP d’esordio della band italo-francese dall'emblematico nome, L’Ombra. Capitanati dalla front-woman piemontese Giulia Romanelli a collocarsi dietro al microfono, il quartetto transalpino si cimenta con maestria nel rappresentare quelle sensazioni eteree ma arcane allo stesso tempo, che vogliono fungere da tratto distintivo di questo progetto altamente sperimentale. Ombra appunto, è sicuramente il sostantivo che più si può accostare alle immagini evocate dalle sonorità dell’ensemble. Essenziali ma ricercate. Di una semplicità solo apparente, indice di un livello di difficoltà ancora maggiore. Ancor più complesso probabilmente è fornire indicazioni che possano categorizzare questo lavoro. L’alone progressivo che lo pervade si snoda fra dark-blues e intrecci quasi fusion, a sostegno della grande potenza espressiva delle linee vocali. Sono loro a farla da padrone, pescando a piene mani da una moltitudine di tecnicismi stilistici, ricche di teatralità ed interpretazione, sempre al posto giusto nel momento giusto. Le liriche si alternano tra italiano e francese, scorrendo fra le quattro tracce (+ bonus) proposte. Un interessante connubio per trasporre il concept proposto dalla band. Ogni brano corrisponde alla trasposizione di un personaggio che ci viene presentato: tra i versi si delineano pertanto quattro personalità diverse, in armonia o contrasto. Come tra i paragrafi di un libro misterioso che ci viene narrato dalla carismatica voce della vocalist piemontese. Senza dubbio siamo di fronte ad un sapiente lavoro di ricerca e di composizione, firmata Romanelli – Judet (bassista de L’Ombra). Compreso ovviamente il successivo arrangiamento all’insegna di quel motivetto spesso citato (anche a sproposito) del “lessisgood”. Utilizzato sicuramente a sproposito anche dal sottoscritto, ma credo sia uno di quei flash che è possibile riportare dopo un primo ascolto di questa uscita del quartetto transalpino. Eclettico ed introspettivo. Ma comunque comunicativo con un lessico musicale tutto suo, a stuzzicare l’immaginazione o quelle sensazioni poco spolverate, anche fra gli ascoltatori più navigati. Questo EP, come l’intero progetto, credo racchiuda appieno l’attitudine camaleontica ed imprevedibile della sua vocalist: una danza costante a spaziare fra mondi distanti, ad esplorare gli anfratti più reconditi di quei sogni vividi, del dormiveglia. L’Ombra: un mondo da scoprire. Questo mini-debut merita davvero parecchi e parecchi ascolti, mano a mano ogni dettaglio si carica di una precisa importanza. Ottimo lavoro per questo giovane progetto, un inizio davvero promettente che, speriamo possa spianare la strada a nuove uscite di tale calibro o anche più! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 23 giugno 2019

Hunternaut - Inhale

#PER CHI AMA: Hard Rock/Post Grunge, Alice in Chains
Terminata l’eterea intro di sintetizzatori, ammetto di aver pensato per un attimo di aver inserito per sbaglio un disco degli Alter Bridge nello stereo! Scherzi a parte, il riff introduttivo di “Oxidize”, con quell’intreccio della doppia linea di chitare whammate, lascia percepire da subito certi richiami al quartetto di Orlando nel disco, soprattutto nelle parti chitarristiche di ispirazione piuttosto Tremontiana. L’impronta Hunternaut emerge comunque in un hard rock solido, ma dalle sfumature tetre allo stesso tempo, quasi ancorate a certe cose dei Tool. Certo giungono ad alternarsi anche sezioni meno grevi (“Soap Bubbles”, “Out There”), funzionali più per orecchi non abituati a volumi troppo alti, ma comunque piuttosto piacevoli. Le linee vocali abbastanza melodico-italianizzate, coniugano poi la potenza propria del gruppo a questi momenti di ristoro, dai toni più leggeri, rendendo il climax complessivo abbastanza altalenante. Forse proprio per questo gli otto brani di 'Inhale' ci portano anche a qualche spunto riflessivo, più di quanto ci si aspetti di primo acchito. Il quartetto di rockers si era presentato al mondo musicale con "Hundreds of Scars", versatile singolo estratto da quest’album d’esordio, uscito nell’aprile di quest’anno per la (R)esisto Distribuzione. Nonostante la giovane età, i quattro musicisti bresciani dimostrano comunque una notevole attenzione agli arrangiamenti, supportata poi dal mordente e dalla passione tipici, che si concretizzano in questo debut dalle diverse chiavi di lettura, senza estremismi o leziosità, ma adatto a tutte le tipologie di ascoltatori, anche i meno attenti. Le potenzialità ci sono, soprattutto perché questi ragazzi hanno una strada lunga davanti, per poter stupire con qualche bel colpo. Restiamo in traccia. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

((R)esisto Distribuzione - 2019)
Voto: 68

https://www.facebook.com/HunterNautBand/

sabato 11 maggio 2019

The Worst Horse - The Illusionist

#PER CHI AMA: Hard Rock/Stoner
Una mitragliata hard-stoner-fucking-rock’n’roll ci getta violentemente in questo 'The Illusionist'. L’opener “Tricky Spooky” ci aggredisce e ci trascina giù, vorticosamente nel disco, al grido rabbioso dei milanesi The Worst Horse. Un grido che sale dal basso e si protrae fino alla successiva “313 Pesos”, che non accenna a diminuire i toni, con l’imposizione del suo groovvone metallico e fregiandosi di richiami (e ricami) hard blues, sempre ovviamente con gli amplificatori sparati al massimo. 'The Illusionist' è in realtà un concept, improntato appunto sulla figura appunto dell’Illusionista. Questo tetro personaggio è artefice ma allo stesso tempo vittima di malvagità, ormai schiavo di quei mostri interiori che ha voluto seguire ma che ora si impongono al suo volere, gli stessi mostri che sovente s'impossessano anche dei cupidi esseri umani. Le tetre fantasie che s'incontrano nei brani, sono infatti profonda allegoria di una realtà che troppo spesso cede alle malvagità, quei demoni che raschiano il fondo dell’anima umana e tuttavia ne sono anche parte integrante. La title-track, coi suoi richiami ai Motorpsycho più recenti, funge appunto da descrizione-presentazione del nostro Illusionista e della sua eterna caduta. L’album procede senza intoppi, sempre sfoggiando riffoni e groove trascinanti in puro stile Worst Horse, tra pure sonorità stoner alla The Sword ed ispirazioni dark-blues sabbathiane. Elemento fondamentale, anche per lo storytelling del concept, le vocals potenti e laceranti (come nel brano “XIII”) di David Podestà, fondatore del gruppo assieme al guitar-man Omar Bosis. Dopo essere passati per oscuri anfratti e scabrosi pensieri, arriviamo in conclusione, dove ci aspettano sette abbondanti minuti con la sparata hard-rock “It”, brano solido, dal titolo già decisamente evocativo in ambito di demoni e terrori. La struttura è decisamente articolata rispetto agli altri brani, ma pur sempre coesa, traduzione di un ottimo lavoro a livello compositivo e di arrangiamenti del trio milanese (oggi quartetto con l’ufficializzazione dell’ingresso del nuovo bassista). Da segnalare anche la presenza su quest’ultima traccia di un ospite d’eccezione: Luca Princiotta (Doro Pesch, Blaze Bayley) come chitarra solista. Diretto e deciso, ma molto più profondo del previsto nelle tematiche, questo concept-album è sicuramente un’eccellente prova da parte dell’ensemble milanese, che prima di 'The Illusionist' aveva pubblicato un EP omonimo, 'The Worst Horse'. Negli ultimi anni la frequente attività live deve aver temprato le corde di questi ragazzi dal grande potenziale, che ci regalano un’altra piccola chicca da inserire nell’ampio panorama dello stoner-rock nostrano, arricchito però da quell’anima groove ed aggressiva che li contraddistingue. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Karma Conspiracy Records - 2019)
Voto: 82

https://theworsthorse.bandcamp.com/album/the-illusionist

domenica 7 ottobre 2018

Deadline - Nothing Beside Remains

#PER CHI AMA: Hard Rock, Whitesnake
I rockers francesi Deadline tornano alla carica con la loro terza pubblicazione, uscita quest’anno e intitolata 'Nothing Beside Remains'. Il gangster ritratto in copertina preannuncia la linea tematica del disco, che si snoda fra 12 tracce basate su altrettante storie, oscure e criptiche, da vero romanzo giallo. Quello che ci aspetta all’interno di quest’album è un rock solido, duro e puro, pregno di richiami stilistici a mostri sacri come ad esempio Whitesnake, Ronnie James Dio, Warrant, che si notano decisamente influenzare il sound molto chitarroso della band. Sonorità decisamente americanizzate (nonostante la provenienza europea dei nostri) si articolano su uno spregiudicato 4/4, scandito da un lineare ed imperturbabile drumming. Un discreto lavoro nel complesso, che si fonda certamente sulla passione dell’ensemble per il buon vecchio hard rock, quello sporco, privo di compromessi. Le chitarre di Gabriel Lect e Chris Gatter lavorano incessantemente fra riffoni prepotenti e fraseggi più ricamati, piazzandoci anche qualche notevole assolo e tecnicismo. Molto pregevole per esempio, quello concatenato nel brano "Silent Tears", che fra l’altro è un tributo ai tragici avvenimenti di novembre 2015 a Parigi, la famigerata strage del Bataclan. Altri pezzi da segnalare, l’opener "Devil’s in the Details" o anche "Fly Trap" con delle buone parti strumentali. Si sente dunque quanto i Deadline sappiano muoversi bene sul loro terreno, quello dal sound dritto e sparato, ma bisogna spingersi un po’ più in là con la navigazione, abbandonare le “placide” acque dell’hard rock per poter dar vita a qualcosa di davvero memorabile. Questa terza fatica dei rockettari d’oltralpe, infatti, per quanto risulti ben suonata ed appassionata, finisce un po’ nel calderone del genere, senza riuscire ad esprimere qualcosa di realmente degno di nota… Attendiamo novità che ci possano stupire! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Bad Reputation - 2018)
Voto: 65

https://www.deadlinehardrock.com/

lunedì 25 giugno 2018

Hadeon - Sunrise

#PER CHI AMA: Progressive, Porcupine Tree, Dream Theater
Direttamente da Udine ci arriva 'Sunrise', disco d’esordio dei progsters Hadeon, band attiva dal 2014, ma che esce solo a fine 2017 per la prima volta con un full-length. Già a primo impatto mi colpisce la meditata attenzione ai dettagli, a partire dal bellissimo booklet, che vanta una grafica eccezionale: una texture simil-cuoio (magistralmente disegnata) fa da copertina al “diario” musicale degli Hadeon, o meglio al quaderno di appunti, vista la tematica dell’album. Il concept è infatti un racconto che esplora da diversi punti di vista, disturbi e malattie che colpiscono l’uomo moderno, raccontate in prima persona dai personaggi rappresentati nei brani. Certo, una tematica piuttosto cupa e particolare, che però è riferita non tanto alla presentazione del dolore in sé, bensì alla ricerca di se stessi attraverso il dolore, con la necessità dell’essere umano di superarlo e porvi rimedio. Tutto questo concept è musicato dai friulani con sonorità prog, molto ricche di richiami melodici e passaggi sperimentali, derivanti dalle più diverse lande del metal e non solo. Le composizioni del chitarrista e fondatore Alessandro Floreani, pur ancorate ad un sound metal-progressive, spaziano infatti in diverse dimensioni, dalla contaminazione elettronica di synth nell’opener “Thoughts’n’Sparks”, che dopo un intreccio centrale di assoli chitarra-tastiere, sfocia in un passaggio quasi free-jazz, finanche a sonorità più cattive, arricchite da fugaci passaggi di growl vocals. Le influenze dell’ensemble, come da loro stessi affermato, sono per l’appunto molteplici, a partire dai mostri sacri del prog come Yes e Marillion, fino a band più affini per sonorità agli Hadeon, ovvero Porcupine Tree e i Dream Theater del 21esimo secolo (in particolare con qualche richiamo a 'Systematic Chaos'). Mi sento di aggiungere un ulteriore paragone con una band che ben conosco e che ho automaticamente associato al gruppo di Udine dopo un primo ascolto, ovvero i veronesi Methodica: sotto certi aspetti associabili sia come sonorità che per ricerca compositiva. Devo dire che 'Sunrise' rappresenta davvero un ottimo esordio per gli Hadeon: le composizioni sono tutte ricche di idee messe in campo con un’attenzione strategica, anche nei brani più complessamente strutturati come “I, Divided” e “Sunrise” (che supera i 10 minuti). Il condimento è rappresentato naturalmente da molteplici tecnicismi, sia ritmici che strumentali, con un gran numero di sezioni solistiche. Un album che mi ha piacevolmente sorpreso, profondamente curato nel particolare. Tutta la dedizione che la band ha impiegato nella realizzazione del disco si nota, eccome. E dopo questo debut, la strada non può che essere spianata, dato il grande potenziale dimostrato da questo gruppo! (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 22 aprile 2018

Eternal Silence - Mastermind Tyranny

#PER CHI AMA: Symph/Gothic, Within Temptation
Con una copertina ed un’introduzione che sembrano provenire direttamente dalle profondità più remote dell’inferno, è lecito aspettarsi da 'Mastermind Tyranny' un’anima piuttosto brutale, degna delle lande più estreme del death. Invece, sorprendentemente, una volta superato il diabolico monologo introduttivo ed il primo riff, ci accolgono delle sonorità meno “cattive” del previsto. Le tematiche comunque esoteriche di quest’ultimo lavoro della band nostrana degli Eternal Silence, vengono sostenute infatti da un impianto piuttosto melodico, un symphonic metal ricco di orchestrazioni che viene alternato a qualche cavalcata più potente, come nel primo brano "Lucifer’s Lair". C’è spazio anche per qualche contaminazione elettronica come in "Game of the Beasts", fra le sue numerose variazioni di tempo. Le liriche oscure e strazianti vengono incarnate con maestria dalla voce di Marika Vanni, forte di una buona estensione e di grande potenza espressiva, che si percepisce soprattutto in brani come la ballad "Adagio" (la quale richiama i Within Temptation più recenti). Le vocals sono spesso alternate con la timbrica maschile di Alberto Cassina, secondo chitarrista e principale compositore del gruppo lombardo, che si occupa anche degli arrangiamenti orchestrali per questo disco. L’album procede in modo piuttosto lineare sino alla conclusione, senza troppe sorprese rispetto ai canoni del symph/gothic in cui si inserisce l’ensemble di Varese. Manca forse quell’idea, quella “scintilla” che faccia decollare l’ascolto di 'Mastermind Tyranny', nonostante rappresenti una buona prova per il gruppo, che dimostra di aver maturato un proprio stile rispetto ai precedenti album, a partire da un’ottima produzione, che ne evidenzia il notevole impegno. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 70

https://www.facebook.com/eternalsilencemusic

lunedì 8 gennaio 2018

Fabulae Dramatis - Solar Time’s Fables

#PER CHI AMA: Prog Avantgarde
Riffoni articolati, vocals curatissime, groove e tanta sperimentazione. Potremmo riassumere con queste poche parole 'Solar Time’s Fables', l’ultimo album in studio dei Fabulae Dramatis. Si comincia dall’opener (e singolo) “Agni’s Dinasty”, con la sua ritmica trascinante, la quale passa in rassegna tutte le qualità e peculiarità del sestetto belga, a partire dai bei fraseggi chitarristici. Elemento interessante il continuo interscambio fra i 4 (!) vocalist, dal growl al canto lirico delle voci femminili, che si articolano in innumerevoli intrecci. Arriviamo a percepire una notevole interpretazione vocale, soprattutto nella terza traccia “Heresy”, dove il contrasto vocale maschile-femminile (ad opera di Hamlet e Isabel Restrepo) è accentuato da vere e proprie parti recitate più che cantate. Brano particolare anche strutturalmente, presenta un insolito riff in levare che assume, nella parte centrale, quasi un carattere da ballad, a dispetto dell’introduzione. Da segnalare anche il brano “Sirius Wind”, con l’originale intervento del sax sostenuto da un groove drum-bass, a tratti orientaleggiante. Tante idee e sfumature curate emergono da tutti i pezzi del disco, dai cori e dalle percussioni etniche in “Coatlicue Serpent Skirt” all’elettronica di “Nok Terracottas” o i sitar della strumentale “Forest”. Tutto sempre condito dai pregevoli ricami vocali delle due componenti sudamericane della band, Isabel Restrepo e Isadora Cortina. “Roble Para El Corazon” è il coronamento di questa influenza latina delle due musiciste: trattasi di un vero e proprio tango, con tanto di fisarmonica e violino, rinforzato poi dalla corazza metal della band, che si destreggia bene su queste ritmiche decisamente insolite. Ciò che emerge da questa seconda fatica del “variegato” ensemble, sono sicuramente le numerose idee che riempiono le loro particolari composizioni. Metal e non solo, perché dalla solida base prog, si delineano quelle sfumature e quegli elementi peculiari che animano ogni brano, respirando anche climi “esotici”, rispetto alla fedele spiaggia metallica. Ai Fabulae Dramatis bisogna poi riconoscere il merito di notevole impegno e di grande professionalità, come si può evincere non appena prendiamo in mano il booklet: studiato, preciso e particolareggiato, proprio come il disco stesso. Ascolto consigliato a chi non disdegna un po’ di avant-garde per colazione. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

lunedì 27 novembre 2017

Stolen Memories - Paradox

#PER CHI AMA: Heavy Progressive
'Paradox' è il terzo album in studio per i francesi Stolen Memories, che avevano esordito nel 2010 col disco 'The Strange Order'. Con una formazione di insolito power-trio, privo di bassista, la band di Villeurbanne si ripropone con questo nuovo lavoro in chiave prog metal. A farla da padrone fin dalle prime note di quest’album è la notevolissima abilità tecnica del chitarrista/polistrumentista Baptiste Brun, colonna portante della band insieme al fratello batterista Antoine, nonché autore della quasi totalità delle composizioni. La mancanza delle basse frequenze in pianta stabile è ampiamente sopperita dai movimenti chitarristici che vanno a creare un solido muro sonoro adagiato sulle variabili ritmiche della cassa. In diversi pezzi infatti, cito ad esempio “Exile”, non fa nemmeno ricorso alla quattro corde, seppur in “Obedience” sia presente un bell’intro iniziale basato su una pregevole linea di basso che caratterizza il brano. Solitamente appunto è sufficiente il carattere totalitario assunto dagli assoli e dai fraseggi chitarristici che sostengono ogni brano, come ad esempio in “The Badge” o “Constant Liar”. All’andamento progressivo predominante dell’album si affianca poi una buona dose di sfumature epico-melodiche, grazie anche alla presenza di diverse parti di synth ed effettistica varia, che stabiliscono valide armonie sotto gli assoli del buon Baptiste (davvero notevole quello della già citata "Constant Liar"). A mio avviso però la pecca più evidente dell’album va ricercata nelle liriche poco particolari e le associate linee vocali, forse un po’ troppo “deboli” per lo spirito complessivo del disco. Tuttavia, è notevole l’impatto dei musicisti: tecnica da vendere e belle composizioni, con una certa complessità ritmica. Da tenere sotto controllo. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

mercoledì 27 settembre 2017

Persona - Metamorphosis

#PER CHI AMA: Symph Metal, Epica
Ci eravamo lasciati lo scorso anno con il loro album d’esordio, 'Elusive Reflections', che aveva rivelato le potenzialità della band, improntandosi su un solido power-symph, gradevole seppur non esageratamente innovativo. Quest’anno i tunisini Persona si ripresentano con il loro nuovo lavoro in studio, il full-length 'Metamorphosis'. E avvertiamo subito un aggiustamento di tiro rispetto al precedente lavoro: seppur più caratteristico nelle scelte stilistiche, il primo album presentava al suo interno qualche avvertibile fragilità. Con 'Metamorphosis' invece approdiamo indubbiamente ad un operato di più ampio respiro, frutto di scelte studiate e composizioni ben curate. A partire dal clavicembalo di “Prologue”, assistiamo al crescendo complessivo del disco, seguendo le fasi di questa metamorfosi fino al suo culmine, la liberazione, l'epilogo affidato a “The Final Deliverance”. All’interno di questi 12 brani si può notare tutta l’evoluzione compositiva e tecnica effettuata dalla band. Le continue oscillazioni e i repentini passaggi di Jelena Dobric dalle tonalità più soavi alle potenti linee di growl, si fanno leit-motiv dell’intero disco. Si avverte come la cantante afferri decisamente le redini dell’ensemble, ricamando le liriche sull’alone gothic di oscure atmosfere che avvolgono l’album fin dalle prime note. Pad e soprattutto organi sono determinanti in questo caso, frutto di un pregevole lavoro alle tastiere. Notevoli sono i numerosi passaggi squisitamente tecnici, caratterizzati dalle continue alternanze di tempo, che condiscono l’opera, altro esempio della migliorata qualità compositiva del gruppo. Frequenti sono anche le decise e spregiudicate accelerate, guidate da un drumming imperioso, sviluppando una fragorosa potenza che spezza i più pacati equilibri melodici. Ritroviamo in 'Metamorphosis' anche diversi richiami al primo album, con sonorità e passaggi “esotici”, sfruttando particolari scale musicali che conferiscono quel tratto “orientaleggiante” ai brani (per esempio in “Hellgrind”). Sul finale da segnalare un pezzo in puro stile Epica, profondamente melodico e atmosfericamente curato, “The Seeress of Triumph”, prima della traccia in chiusura già citata, “The Final Deliverance”. Quest'ultima alleggerisce nettamente i toni rispetto al resto, in quanto si trova dover simboleggiare la salvezza finale dell’essere dopo questa serie di trasformazioni. Che dire, quest'ultimo disco dei Persona è indice dell’impegno e della dedizione che questi ragazzi hanno impiegato per migliorarsi sotto molteplici aspetti. Un risultato che premia gli sforzi, poiché la qualità dell’album di debutto viene ampiamente superata e deve fungere da incoraggiamento per la band, intrepida ed insolita portavoce del metallo nell’Africa Nord-occidentale, a fare ancora meglio per gli anni a venire. (Emanuele Norum Marchesoni)

domenica 7 maggio 2017

A|symmetry - Fragility

#PER CHI AMA: Power/Prog
Da Belgrado, Serbia, gli A|symmetry ci presentano il loro primo full length, intitolato 'Fragility', una storia che narra del destino di un uomo proveniente da Aralsk, la cui vita è condivisa col futuro del lago Aral. Veniamo introdotti nell’album dalla prima parte della title-track, che si presenta con un intro oscuro scandito da un organo: poco dopo fanno il loro ingresso le distorsioni di Zoran Perin e il mid-tempo della batteria. Aggiungiamoci delle corpose sezioni di pad, tempi dispari e cambi di dinamiche davvero ben congegnati e otteniamo un piccolo “sunto” del lavoro che gli A|symmetry svolgono in modo impeccabile. Il songwriting del disco porta la mano del tastierista Petar Milutinović e questo è intuibile anche dall'abbondanza di tastiere e synth all'interno dei brani, sempre estremamente studiate e ricercate, senza mai cadere nella banalità. Esempio lampante potrebbe essere il pezzo “A Cogwheel” che presenta un bellissimo assolo di synth a sovrastare la potenza sonora del brano. La terza traccia, “Memories From The Old Country”, può richiamare alla mente gli Amorphis di 'Eclipse' e il fatto che azzardi un paragone con una band di tale calibro, non è veramente cosa da poco: si tratta di un pezzo solido, importante (è anche il più lungo del lotto con i suoi nove minuti) e presenta le caratteristiche migliori dell’ensemble balcanico. Un progressive metal veramente ben strutturato, ricco di tecnicismi, variazioni sul tema e tempistiche dotate di una pregevole dinamicità. Un plauso va fatto anche al vocalist Aleksandar Stojković, che dimostra tutta la sua preparazione tecnica con i numerosi e repentini cambi di registro, fino ad arrivare all'improvvisazione vocale sul finale, che porta a ricordare sperimentazioni di altri mostri sacri della musica come i Pink Floyd (seppure in modo minore e in un contesto decisamente diverso). Il disco prosegue su questa falsariga, alternando momenti di quiete a sezioni decisamente più aggressive e potenti, mantenendo l’impianto prog/power già citato, esprimendo al massimo tutte le capacità di questi musicisti, senza scadere nella noia o nella piattezza del puro tecnicismo. Altri pezzi da segnalare sono “The Grand Turmoil”, il quale abbonda di maestosi fraseggi in alternanza piano-chitarra, e la potente “Towards Utopia”, che si muove tra bassi distorti e growling vocals. A chiudere questo gioiellino sfornato dal quintetto serbo, troviamo la seconda parte della title-track “Fragility”, che non delude assolutamente le aspettative. Posso dire di essere rimasto veramente colpito da questo debut album degli A|symmetry, ben concepito e suonato nel migliore dei modi: ascolto estremamente consigliato! (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Self - 2016)
Voto: 85

lunedì 24 aprile 2017

Rossometile - Alchemica

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Nightwish, Lacuna Coil
La band di oggi arriva (con notevole ritardo) da Salerno: si tratta dei Rossometile e l’album in questione è il loro ultimo lavoro in studio, 'Alchemica', ormai datato 2015. Trattasi di un disco prevalentemente hard rock con delle pesanti influenze gotiche e pop-melodiche, senza farsi mancare nemmeno qualche sprazzo progressive. Ciò è il risultato dei diversi cambiamenti di direzione musicale intrapresi nel tempo dalla band, attiva sin dal 1997. Con l’ingresso in line-up della cantante Marialisa Pergolesi e grazie alla sua soave voce, i Rossometile sembrano essersi stabilizzati su questo gothic-rock di 'Alchemica', senza abbandonare comunque le sonorità pop che caratterizzavano i precedenti lavori, 'Tirrenica' e 'Plusvalenze'. Il risultato è un richiamo a certi mostri sacri come i primi Nightwish o i nostrani Lacuna Coil, certo un po’ meno aggressivi e senza grandi artifizi sinfonici. Qualche sfumatura dai toni più pesanti la si avverte nel brano “Le Ali Del Falco”, che con i pregevoli assoli di Rosario Runes Reina, contribuisce ad aumentare il tiro dell’album. Il lavoro dei Rossometile è sicuramente impreziosito dalle vocals di Marialisa, che si destreggia egregiamente anche su registri quasi lirici inseriti nei pezzi (cito ad esempio “Nel Solstizio d’Inverno” ). Le liriche sono tutte cantate in italiano, quasi insolito in questo contesto, molto rischioso più che altro. La band salernitana tuttavia, riesce nell’intento di non cadere nella banalità dei testi, proponendo anche qualche passaggio davvero ispirato, focalizzandosi su temi introspettivi e di interiorità complesse. Quest’ultimo lavoro dei Rossometile è un disco adatto a chi predilige sonorità più leggere, con le componenti melodiche e pop-eggianti che sovrastano spesso e volentieri quelle più dure: l’album scivola via avvolgendosi nelle sue atmosfere gotiche, senza intoppi ma senza nemmeno lasciare un segno particolarmente evidente. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 12 febbraio 2017

Revenience - Daedalum

#PER CHI AMA: Power Symph
Formatisi nel 2014 dalle ceneri di precedenti band, principalmente dai Nemoralis, i bolognesi Revenience ci presentano la loro prima fatica discografica, 'Daedalum', uscita per la Sliptrick Records lo scorso anno. Forti della soave voce di Debora Ceneri e di un’inclinazione melodica, la band ci propone con naturalezza un carico symphonic metal forgiato da influenze gotiche, seguendo le fortunate orme di gruppi come i connazionali Soundstorm. Il quintetto bolognese non si fa mancare nemmeno qualche sfumatura più elettronica, che possiamo avvertire fin dall’inizio del disco, già dall’introduzione strumentale: questa, per i nostalgici come me, può richiamare alla mente i vecchi album dei Rhapsody, che si presentavano sempre con la canonica intro composta da cori ancestrali e orchestrazioni da soundtrack. Tuttavia, se allora capitava di perdersi nelle sinfonie provenienti da mondi antichi e fantastici, qua ci troviamo in una terra ben diversa e in un’epoca decisamente più attuale! “Blow Away By The Wind” è forse il pezzo più emblematico, in cui si avvertono un po’ tutte le caratteristiche principali dei Revenience: sound potente a sostegno delle vocals della Ceneri, che qui si destreggia in modo impeccabile, sfoderando la sua padronanza delle corde più alte e alternandosi nel chorus alle growl-vocals del batterista Simone Spolzino. Le tastiere lavorano a tempo pieno, con le onnipresenti orchestrazioni d’archi e gli stacchi “electro” arricchiti da una sovrapposizione di fluttuanti pad. La lenta ballad piano-voice “Lone Island”, molto ben congegnata musicalmente e con vocals ancora vincenti, è seguita dall’irruenta "A-Maze", che racchiude il lato più potente e cattivo dell’ensemble bolognese, ma in cui non può comunque mancare uno stacco di richiamo fortemente melodico (bel lavoro la parte pianistica sul finale!). La traccia conclusiva dell’album, “Shadows and Silence”, dalla struttura leggermente più articolata, rappresenta una degna chiusura per un esordio altrettanto degnamente riuscito: la doppia cassa a sostenere i ritornelli, l’assolo ‘catchy’ di chitarra nella parte centrale, l’ottimo lavoro dietro le tastiere di Pasquale Barile e poi una scordata melodia in fade, lasciano l’atmosfera sospesa in un misterioso sospiro. Possiamo con piacere definire questo 'Daedalum' un debutto discografico decisamente azzeccato da parte della band bolognese che, pur senza introdurre particolari novità, riescono a proporsi con un certo stile, senza annoiare: una piacevole sorpresa nostrana nel campo power/sinfonico, come furono qualche tempo fa anche i Sailing To Nowhere. Speriamo dunque di stupirci ancora! (Emanuel 'Norum' Marchesoni)

(Sliptrick Records - 2016)
Voto: 80

https://www.facebook.com/Revenience/

mercoledì 28 dicembre 2016

Lost Opera - Hidden Sides

#PER CHI AMA: Power/Prog, Kamelot, Epica
Sono diverse le influenze che si trovano all’interno di quest'ultimo lavoro dei Lost Opera, 'Hidden Sides': dal power basilare a qualche ritmica prog. Si ascoltano anche derivazioni da generi più ruvidi, in cui il front-man Loic Conti, sfoggia le sue growling vocals come accade nel brano più duro dell’album, “O.P.S.”, che diventa quasi un pezzo in puro stile death. Le sonorità che però emergono su tutte nel resto del disco, sono quelle melodiche "kamelotiane" come si sentono in “Betrayal”. Le parti orchestrali ben studiate di “The Inquisitor”, “So Wrong” o “The Sinner, potrebbero invece ben figurare negli intermezzi di un qualsiasi disco degli Epica. Le onnipresenti tastiere si muovono su orchestrazioni semplici, che appaiono tuttavia spesso troppo deboli, e non riescono pertanto a conferire una seria componente sinfonica ai pezzi, lasciandoli sospesi cosi, a mezza via. Questo accade anche nel singolo "Follow the Signs", seppur si tratti di un brano mica male. I suoni electro e le contaminazioni death non trovano la perfetta amalgama con l’impianto melodico del disco e alla fine la resa non è delle migliori. Sebbene questo secondo full-length della band normanna rappresenti comunque un notevole passo in avanti rispetto al precedente lavoro uscito nel 2011, che mostrava ancora acerbe sonorità, in realtà non riesce ancora veramente a convincermi. Ci sono delle buone premesse, ma c’è bisogno di lavorare ancora un po’ per imboccare la giusta via, che non sappia di “già sentito (un sacco di volte)”, anche se un ambiente quasi saturo come quello del melodic francese non sia di troppo aiuto. Le idee sono tante ma bisogna metterle in ordine, cercando di accantonare quelle troppo scontate. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

(Dooweet Records - 2016)
Voto: 60

https://www.facebook.com/lostoperametal/