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martedì 18 ottobre 2016

Stormtide - Wrath of an Empire

#PER CHI AMA: Symph Death, Whispered, Tengger Cavalry
L'artwork del debut album degli Stormtide concede largo spazio alla fantasia: montagne incantate, templi e druidi, lasciano presagire ad un che di epico e fantasy che potrebbe tradursi in suoni power metal. Mai ipotesi fu cosi azzardata e soprattutto sbagliata dal sottoscritto. I sei australiani si lanciano infatti in sonorità death sinfoniche che incorporano pesanti elementi orientaleggianti. La title track apre le danze con un sound che in alcuni frangenti mi ha evocato i taiwanesi Chthonic e il loro black folklorico ricco di sonorità della cultura dell'estremo oriente o, per rimanere in Cina, la musica degli Stormtide potrebbe essere assimilabile a quella dei Tengger Cavalry, mentre se guardiamo in Europa, l'accostamento più plausibile sarebbe con i finlandesi Whispered ed il loro "samurai" sound. Fatto sta che gli Stormtide mi piacciono e mi convincono sin dal primo pezzo in cui, complice una ricerca spasmodica di melodie dell'estremo oriente, identificano le tastiere come elemento cardine su cui si vanno poi ad inserire tutti gli altri strumenti, compreso il growling del frontman, Taylor Stirrat. Certo, questo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per chi mal sopporta brani stracarichi di orchestrazioni sinfoniche, ma a quel punto meglio lasciar perdere e volgere la propria attenzione altrove. Qui tutto quello che dovete e potete aspettarvi, sono brani stracolmi di melodie che scomodano in un modo o nell'altro altre influenze derivanti dal viking ("As Two Worlds Collide") che chiamano in causa Einherjer e Amon Amarth. I nostri provano a essere un po' più aggressivi con robuste linee di chitarra ("Dawnsinger"), ma inevitabilmente si torna a cavalcare quello che è il genere che identifica gli Stormtide: un melo death aggressivo per ritmiche e vocals, corredato da fiumi di tastiere che guidano l'intero evolversi dei brani. Immaginate dei Children of Bodom in versione più orchestrale, anche se poi in un brano come "Conquer the Straits", i ragazzi di Melbourne hanno il merito di picchiare come fabbri e, sebbene le cinematiche tastiere rispolverino un non so che dei Bal Sagoth, ci ritroviamo fra le mani una traccia ruggente ed incazzata. La durata delle song si assesta quasi ovunque sui 4-5 minuti, permettendo una più facile memorizzazione delle stesse, sempre traboccanti di groove. La cosa che convince è poi un approccio musicale che volge il proprio sguardo all'heavy metal classico piuttosto che agli estremismi sonori di altri esponenti di questo genere. Anomalo il break di basso centrale di "Sage of Stars", che mostra una ricerca di originalità da parte dell'ensemble australiano, in un genere ove è parecchio difficile inventarsi qualcosa di mai sentito. In fatto di liriche, inevitabile che i testi contengano storie di rovina (la ballata folk "Ride to Ruin"), eroismi ("A Heroes Legacy") o gesta malvagie. 'Wrath of an Empire' non può che essere un album epico che trova ancora il tempo di sorprendere con quella che è la mia canzone preferita, "Ascension", non la song più veloce del lotto, ma quella che a suo modo, trova anche punti di contatto con il black metal. Il disco si chiude con un pezzo, "The Green Duck", che invece sembra strizzare l'occhiolino ad un viking/power che, per quanto mi riguarda, non apprezzo più di tanto, ma che comunque non modifica il mio personale giudizio di un disco che, pur non presentando grandi novità, ha comunque il merito di coinvolgerci per oltre 42 minuti di buona musica. (Francesco Scarci)

martedì 4 febbraio 2014

Crocell - Come Forth Plague

#FOR FANS OF: Melodic Death, Illdisposed, Amon Amarth
A solid third release from this Danish set, and one that really shows them honing themselves in on where they’re going in the future if the collection of material here is any indication as this is easily their finest release to date. Having honed their songwriting chops, which was a large part of their earlier struggles and more-than-likely responsible for the gap between this and their previous album, that extra time has turned this into a heaping slab of modern Death Metal presided over by a ravenous guitar tone and tight, pounding drumming that accentuates the melodies in the riff-work more than ever, and the result is quite impressive at times. While there’s a multitude of bands attempting to mix the melodic guitar chugging and lead melodies with tight, blasting drumming and pummeling patterns, this is a more than serviceable slice that attempts to slow down the pedestal to those groups and incorporate some Doom elements in the form of their pacing and tempo, not so much in arrangements. This tends to set them up much like countrymen Illdisposed though they opt for more groove rather than the Doom elements here, but the general practice is still the same where it marries melody and brutality in a cohesive package. Despite barely three minutes in length, opener "Perfidious Ceremony" sets the stage to come with barreling drumming, tight guitars and a thick, well-textured sound that offers up far more hints of melody than expected and really sets this off in the right direction. The album’s stand-out track, "The Dark I Will Inhale," tends to encapsulate the majority of what makes this one work with razor-edged riffing, tight leads and a choppy, energetic tempo that never rises up the mid-tempo, yet it works well in displaying what the band is about and how it’s evolved over time with a series of controlled variation switches and tempo changes, making for an overall enjoyable and satisfying track. This tends to crop up in tracks like "Trembling Realms," "Teachings of Terror – Doctrines of Death," "Scars of Red" and the title track, all of which tend to fall into the same overall pattern and presentation that really highlights the main flaw to this in that it does tend to run together with slight variations on the same theme. "My Path of Heresy" contains some rather intriguing acoustic guitar work before dwelling in a thrashing groove that would make Amon Amarth fans happy with its’ technically-proficient rumblings and an extended running time, while "Seven Thrones" sticks out for its overt Doom influence and plodding pace. Overall, though, it doesn’t really do a whole lot to distinguish itself from the hordes out there playing a similar brand of metal who are a lot more accomplished and prolific at accomplishing this feat, so it serves mostly as a turn for the right direction but still not enough to really make a lasting mark. (Don Anelli)

(Metal Hell Records - 2013)
Score: 75

http://www.crocell.dk/