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venerdì 8 marzo 2024

Monoscopes - Endcyclopedia

#PER CHI AMA: Psych Rock
Devo ammettere che mi sono sempre piaciute queste band ispirate dalla neo psichedelia, e il loro rifarsi, come nel caso dei Monoscopes, alla musica dei La's, è un toccasana. Quel modo di fare arte, tipico di questo genere musicale, di essere omogenei e coerenti con la propria musica, col rischio di risultare costantemente fuori moda, anche quando negli anni '90, le band potevano vantarsi di un buon seguito e il look e il taglio di capelli alla Tim Burgess, era trendy per i teenagers più scaltri di allora. Non griderò al miracolo per questa nuova band patavina, che per i miei gusti personali, rimane sempre un po' troppo alla larga dall'essere sonica e lisergica in maniera pesante, ma non posso negare che riesca a creare degli ottimi brani, cantabili e cristallini, e ben confezionati, con gusto e capacità, ripercorrendo le terre della neo psichedelia virata al pop d'autore e al folk. Poco contano le relazioni con Travis o in ambito folk rock, ai Camper Van Beethoven al netto del violino, o come dicono loro stessi, con il lato più morbido dei Velvet Underground, i Monoscopes, non tradiscono chi cerca questo tipo di sound, morbido e luminoso, contornato anche dai due bei video psichedelici di "Hey Atlas" e "The Electric Muse", usati per il lancio di questo nuovo disco. Per cercare di descrivere l'opera dei Monoscopes, aggiungerei un tocco della scena psych australiana con echi lontani alla The Dream Syndicate, un'andatura sempre moderata delle composizioni, con poche e controllate deflagrazioni soniche, nello stile dei The Third Sound, e una linea costante di rock evoluto e maturo. Se mi è concessa una critica, direi che l'approccio così soft del cantato, in alcune parti andava trattato con una mano più pesante a livello di effetti, per renderlo più interstellare: è il caso di "The Maker", dove la voce mi sembra troppo normale nei confronti delle incursioni di chitarra noise presenti nel brano, mentre in "This Silly Night", dove un leggero effetto eco si rivela ideale, per rendere una ballata standard, in una passeggiata lunare di scuola Mercury Rev. Questo è solo un punto di vista di un eterno innamorato dei suoni lisergici, e non cambia la mia idea sul fatto che 'Endcyclopedia', sia a tutti gli effetti un buon album, ricordando peraltro l'importante partecipazione di Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, di Francesco Candura dei Jennifer Gentle e di Paolo Mioni al basso in "Today Today Today". Nota di merito per "It's a Shame About You", che sembra un brano tra Swirlies e Weezer d'annata, con quel superbo tocco garage, vintage e retrò, proprio una splendida canzone. La ballata "The Thinghs That You Want to Hide", con appunto Cerasuolo come ospite, risente chiaramente della sua influenza, ha la luminosità e il fascino del sole in una giornata d'inverno, per una canzone che ti obbliga a dilatare le pupille verso l'infinito, mentre la conclusiva "Today Today Today", riporta l'orecchiabilità e il suono del paisley underground all'attenzione delle masse. "You're Gonna Be Mine", rilasciando una formula di suono più corposo e saturo di distorsione e reverberi, rimanda piacevolmente il mio udito ai gloriosi fasti dei mai dimenticati The Wedding Present, per un'altra affascinante emozione sonora. Disco da scoprire nei suoi sofisticati rimandi, nei suoi tanti cunicoli musicali nascosti. Vietato fermarsi al primo ascolto e da evitare l'ascolto a basso volume. (Bob Stoner)

(Big Black Car Records - 2024)
Voto: 74

https://monoscopes.bandcamp.com/album/endcyclopedia

martedì 6 febbraio 2024

The Cosmic Gospel - Cosmic Songs For Reptiles In Love

#PER CHI AMA: Psichedelia/Indie Rock
Nel valutare il primo full length dei The Cosmic Gospel, mi sono trovato in difficoltà, per la difficoltà nel dargli una giusta collocazione. Si tratta infatti di un album pieno di belle sonorità, ricercate con dedizione nei cassetti della psichedelia del passato, ma le derivazioni sonore, per quanto efficaci e rieducate a dovere in ambientazioni più moderne, di scuola lo-fi, non lasciano molto spazio a un'autentica originalità. L'amore per i The Beatles più allucinati è palese, basti ascoltare "The Richest Guy On The Planet Is My Best Friend", e in parallelo esiste anche una certa devozione, come annunciato dal polistrumentista di Macerata, unico responsabile del progetto, per Damon Albarn, Beck e Donovan, con il sound cosmico di "Hurdy Gurdy Man" e quella velata felicità dai toni pacati, a tratti malinconici, coperti da una finta spensieratezza esistenziale, tipica dei '60s o dell'album 'Odelay' del già citato Beck. Questo approccio in stile power flower, dona a giusta ragione, un'immagine d'artista completo, e mette in evidenza un amore viscerale per un certo tipo di psichedelia, fino a renderlo, anche se solo sporadicamente, ossessivo. Il musicista italico trova quindi sfogo tramite questi otto brani solari, dal taglio psych folk, ipnotici e molto space rock oriented, creando cosi un album colorato, curato e ben confezionato, quasi perfetto, che nel suono dei synth di "Core Memory Unlocked", oppure in quello di "Hot Car Song", trova la sua collocazione ideale. Il disco è interessante e vivace, eppure soffre del fatto che in taluni frangenti, sembra incombere il pericolo di ricordare in qualche pezzo, altri artisti o composizioni famose. Questo non è un male assoluto ma crea nel sottoscritto un certo sconcerto, un dubbio atroce sul come giudicare quest'opera, se un capolavoro o una normale buona replica di musica del passato. Quello dei The Cosmic Gospel è sicuramente un buon progetto che lavora al di sopra della media dando vita a una musica surreale, pop e dal gusto vintage, avvalendosi peraltro di nuove e moderne tecnologie di registrazione, con eccellenti esiti di produzione, e sono sicuro che il passo futuro sarà ancora più articolato e personalizzato, in un ambiente non certo facile come quello della psichedelia. Mi piace il coraggio della proposta di questo musicista che impugna i The Beatles come gli EELS, cercando di fonderli assieme e lo immagino proiettato nel raggiungere il cosmo, inspiegabile e floreale, del genio di Julian Cope, magari sulla scia del suo ultimo album 'Robin Hood', dello scorso anno. Un disco da assaporare lentamente, sposandone l'ottica derivativa ma anche assaporandone le sfumature di colore e luce che vi sono nascoste tra le note delle sue composizioni. Un album che ha dei centri di gravità permanenti molto definiti ma al tempo stesso ben rimescolati tra loro, per un consigliato, gradevole ascolto, ovviamente al limite dell'allucinogeno. (Bob Stoner)

sabato 16 dicembre 2023

Vokonis - Exist Within Light

#PER CHI AMA: Stoner/Psych Rock
Un po' di sano stoner con gli svedesi Vokonis che con 'Exist Within Light', ci stanno fondamentalmente dicendo di metterci comodi, che dopo le tre canzoni di questo EP, arriveranno anche quelle di un nuovo quinto lavoro, che verosimilmente uscirà nel 2024. E allora godiamoci il sofferto esempio di stoner doom dei nostri, che si arricchisce qui di ulteriori influenze. L'iniziale "Houndstooth", oltre ad evocarmi un che dei primi Baroness/Mastodon, mostra una prepotente ritmica rabbiosa nella sua seconda parte che va a braccetto con le growling vocals della gentil donzella Simona Ohlsson, che nella parte più pulita sembrerebbe in realtà un uomo, mah. Comunque, la proposta dei nostri si fa ancor più obliqua, e dalle venature progressive nella seconda "Revengeful", che oltre a mostrare ritmiche poco lineari, si conferma super sghemba anche nella componente solistica. Il suono per quanto più caustico e forse più difficile da digerire, sottolinea la progressione sonora dei nostri, dovuta anche ai vari cambi di line-up. Ma il terremoto in casa Vokonis non sembra aver minato le qualità del quartetto di Borås. In chiusura, la lunga title track mostra il lato più psichedelico dei nostri (anche a livello vocale), che mantiene comunque ancorati i capisaldi ritmici nello stoner, per una performance soddisfacente che potrebbe addirittura portare nuovi fan alla band scandinava. Ora non ci resta che attendere i nuovi sviluppi con l'iiminente Lp. (Francesco Scarci)

(Majestic Mountain Records - 2023)
Voto: 70
 

martedì 28 novembre 2023

Turangalila - Lazarus Taxa

#PER CHI AMA: Psych/Post Metal
Li avevo recensiti un paio di anni fa con quel sorprendente 'Cargo Cult', che delineava una band in preda a psichedelici slanci math/post rock. Li ritrovo oggi con un nuovo lavoro, 'Lazarus Taxa', e una maturità artistica rinnovata che sottolinea l'eccellente stato di forma della band barese. Dieci nuove tracce quindi per assaporare ancora quell'irrequietezza di fondo che permea il sound del quartetto pugliese, che si materializza immediatamente con le soffuse ma granitiche melodie shoegaze dell'introduttiva "Wow! Signal", un pezzo che in un qualche modo, sembra evocare quel post metal che avevo descritto nell'ultima "Die Anderen" del precedente album. Un pezzo timido che lascerà ben presto il posto a "Neopsy" e a una ritmica potente ma forte di una linea melodica più dinamica e coinvolgente, che si muove comunque in un'alternanza tra sonorità più fluide e altre più oblique che giocano, non poco, a disorientare l'ascoltatore. Effetto quanto mai recepito durante il mio personale ascolto di questa song, cosi incisiva e ipnotica, e convincente soprattutto a livello vocale. Soffice invece l'approccio offerto in apertura della spettrale "Ugo", dove un senso onirico perdura fino a quando i nostri non decidono di aumentare il numero dei giri, in una strategia musicale che vede una successione ritmica tra atmosfere più pacate e altre più movimentate, dove peraltro a palesarsi, c'è anche una sezione d'archi. Suggestiva non c'è che dire, anche nella porzione più rabbiosa nel finale che ci introduce alla più nevrotica "P38", traccia che si muove tra ritmiche sincopate e vocals eteree, altro effetto che potrebbe essere confondente a chi approccia la band per la prima volta. Ma questo è ciò che vogliono trasmettere i Turangalila, ne sono certo: in "Antonio, Ragazzo Delfino" la band ci scuote con una ritmica di tooliana memoria, anche se ad un certo punto (verso il terzo minuto), il sound diviene più lisergico nelle sue deliranti e ossessive linee di chitarra. Ancora tanta sofficità nelle note sognanti della title track, almeno fino a metà brano, quanto farà capolino l'asprezza delle chitarre che per 50 secondi ringhiano come lupi inferociti, ma che successivamente ci accompagneranno in incorporee atmosfere ultra sensoriali. "Reverie" è una schiva (e stranita) strumentale traccia arpeggiata che tuttavia sembra cullarci in modo psicotico, prima di un'altra breve song, "A Pilot With No Eyes", che sembra lontanamente odorare di un che dei Neurosis più sognanti. Lo sludge più torbido e melmoso di questi ultimi si fa più evidente nelle note di "To The Boy Who Sought Freedom, Goodbye", costituita da atmosfere dense e dilatate al tempo stesso, esplosioni convulsive e spasmodiche e rallentamenti angoscianti, che la innalzano quale brano più strutturato del lotto e anche mio preferito, e dove, i vocalizzi del frontman abbandonano la componente shoegaze per abbracciare quella più pulita e profonda del buon Scott Kelly. A chiudere ci pensa un ultimo buffetto sul viso, ossia le delicate note strumentali (con tanto di malinconico sax) di "Jisei" che fissa nuovi ed elevati standard artistici per i Turangalila. (Francesco Scarci)

(Private Room Records - 2023)
Voto: 78

https://turangalila.bandcamp.com/album/lazarus-taxa

domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

giovedì 5 ottobre 2023

Hemina - Romancing the Ether

#PER CHI AMA: Prog Rock
Ho letto un po' di tutto su questa navigata band australiana, chi li accosta al Devin Townsend Project, chi li avvicina ai Dream theater, chi li vuole con impulsi djent. Io, semplicemente, resterò fedele al mio istinto da ascoltatore per cercare di farvi crescere la voglia di avvicinarvi ad un album assai complesso e vivace, il quinto lavoro degli Hemina, 'Romancing the Ether', che già dal titolo e dall'artwork di copertina, vagamente hippie, invita alla fuga cervellotica senza nessun pregiudizio musicale. Partiamo col dire che è un'opera enorme dal punto di vista della quantità sonora che vi troviamo al suo interno, la band suona da manuale e le doti traboccano in eccesso, le melodie straripano e l'alto minutaggio dei brani a fatica riesce a contenere il flusso di idee che il quartetto australiano ha messo in campo per comporre questo disco. Gli Hemina sono una sorta di band d'altri tempi, poichè nelle loro composizioni, non nascondono un amore immenso per il retro rock di matrice progressiva, l'hair metal più complesso come quello dei sottovalutati Tychetto, e l'AOR ovvero Adult Orient Rock, un genere pieno di variegate influenze, mai troppo pesante, melodicamente ineccepibile, sempre orecchiabile e suonato da musicisti altamente qualificati, sottovalutato dal pubblico medio, apprezzato da una valanga di musicisti, intenditori e addetti ai lavori. Avvicinarsi al mondo di questo disco vuol dire quindi calarsi in un cosmo musicale che varia dall'universo degli Styx o dei Journey, per arrivare in punta dei piedi per i Coheed and Cambria e i conterranei Closure in Moscow, ovviamente per quanto riguarda il lato più moderno del sound, rivisitando i giustamente già citati Dream Theater, soprattutto prendendo spunto dal loro lato più romantico. Metteteci dentro anche che, per romanzare l'etere, gli Hemina si sono calati in una forma di psichedelia che si addentra in luoghi sconsacrati al rock, come la dance elettronica intelligente della EDM, anticipata al minuto 22 circa della lunga suite iniziale che dà il titolo all'album, da un intro etnico, dal sapore orientaleggiante, che richiama niente meno che, le sperimentazioni cosmiche degli Ozric Tentacles, e se si ha il tempo di chiudere gli occhi per 35 minuti filati, difficilmente si potrà non notare la passione per le doppie voci in falsetto o la maestosità fatta rock dei Toto o dei Supertramp (tipo quelli di 'Crisis? What Crisis?' del 1975), amalgamati da una voce spettacolare che con la sua estensione canora, imprigiona l'ascoltatore al disco, una performance vocale dinamica vicina al timbro vocale di Brandon Boyd degli Incubus e James Labrie. "Strike Four" continua con la magnificenza dei Dream Theater, e con una chitarra che si mette in bella mostra tra una melodica ballata di pianoforte e la voce di Douglas Skene, sempre in ottima evidenza. Un sound maestoso ad ampio respiro per 10 minuti di puro melodico rock suonato in maniera emotiva, con accenni di pesanti ritmiche di natura metal e una fluidità d'ascolto di una classe superiore. "Embraced by Clouds" parte con la voce femminile, che già aveva fatto la sua comparsa nel primo brano, a cura della bassista Jessica Martin che sfodera molte similitudini con gli ultimi lavori degli Anathema, ma senza perdere la propria originalità. Gli Hemina fondono il loro sound con un pungente, raffinato e moderno hard rock, e altri spunti di pesante metal, trafitto da innesti di tastiere progressive, assoli importanti e non ultimo, il canto corale di vecchia scuola Yes, e proprio per non far mancare niente alla tela di questo quadro multicolore, una lunga coda romantica cantata in maniera splendida a due voci, che farà felici gli amanti delle parti più melodiche dei Dream Theater. Il brano che chiude i circa 63 minuti dell'album è "Revelations", il più corto del disco, che riporta la band in territori di rock da grandi arene, di grande apertura, arioso e luminoso. 'Romancing the Ether' alla fine è un album che abbisogna di svariati ascolti per essere compreso appieno, è un disco che ha una veste progressiva, ma vanta un'anima, uno smalto e un vigore, più vicini alla rock opera, con tutti crismi del caso, nessun tipo di aggressività musicale ma tanta energia e virtuosismo, romanticismo tangibile, tecnica sopraffina ma nessuna traccia di rock urticante, maligno o nervoso. Un disco d'altri tempi come detto nelle prime righe, una lunga carrellata che non stanca, vivace, solare e pieno di tecnica strumentale e vocale, che sottolinea le alte aspettative di questa band, in termine di composizione ed esecuzione, un lavoro che non tutti apprezzeranno visto le sue doti atipiche, per sound e costruzione, un'opera che farà tuttavia la felicità di quelli che il rock lo vogliono pulito e di qualità. Una o meglio, più di una completa immersione d'ascolto, per questo album è vivamente consigliata. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 80

https://hemina.bandcamp.com/album/romancing-the-ether

domenica 17 settembre 2023

Palmer Generator - Ventre

#PER CHI AMA: Instrumental Psych/Math Rock
È il terzo lavoro dei Palmer Generator che mi appresto a recensire. Dopo lo split con i The Great Saunities e l'album 'Natura', eccomi qui a parlarvi oggi di 'Ventre', quinta fatica della famiglia PG (vi ricordo infatti che i membri della band marchigiana sono padre, figlio e zio). Ancora quattro i pezzi che compongono questo disco (come fu per 'Natura') per una durata complessiva di 39 minuti, quindi pronti per delle mezze maratone musicali? È un inizio comunque lento ma progressivo quello del trio di Jesi, con le melodie di "Ventre I", un pezzo di quattro minuti e pochi spiccioli, di sonorità ipnotico-strumentali, che ammiccano a destra e a manca, a tutte quelle che rappresentano palesemente le influenze musicali dei nostri, dal psych-math rock, al noise e il post rock. Non manca quindi niente per chi è avezzo a questo genere di suoni, che in questo caso, si confermano comunque tortuosi e un po' ostici da digerire nelle loro oscure dilatazioni spazio-temporali. Se il primo brano ha una durata "umana", già con "Ventre II" ci dobbiamo preparare a 10 minuti di sonorità più psichedeliche: l'apertura è affidata ad un semplice ma disturbante giro di chitarra che per oltre 120 secondi riesce nell'intento di intorpidire le nostre fragili menti. Poi parte un riffing circolare, dal mood un po' introverso, che continuerà un'opera di rincoglionimento totale per dei cervelli già comunque in panne. Lo dicevo anche ai tempi di 'Natura' che i suoi suoni ridondanti ci trascinavano in un vortice sonico da cui era difficile uscirne integri mentalmente, non posso far altro che confermarlo anche in questo nuovo disco, che trova comunque modo di stemperare i suoi loop infernali con porzioni sonore più oniriche, come quelle che aprono "Ventre III", una montagna da 15 minuti da scalare, riempita in realtà nei suoi primi cinque giri di orologio, da una blandissima spizzata strumentale che va tuttavia lentamente crescendo, irrobustendosi, e al contempo dilatandosi e diluendosi in strali psichedelico-siderali (mi sembra addirittura di udire una sorta di vento galattico dal decimo minuto in poi) che si dissolveranno in suoni dronico/ambientali nei suoi ultimi tre minuti. In chiusura, i nove minuti di "Ventre IV" che gioca su una robusta altalena sonica di "primusiana" memoria, tra giochi in chiaroscuro di basso, chitarra e batteria che approderanno ad un flebile e compassato atmosferico finale. Bella conferma, senza ombra di dubbio. (Francesco Scarci)

(Bloody Sound Fuctory - 2023)
Voto: 75

https://palmergenerator.bandcamp.com/album/ventre 

sabato 15 luglio 2023

Hex A.D. - Delightful Sharp Edges

#PER CHI AMA: Heavy Prog Rock
Se la Norvegia negli anni '90 rappresentava il luogo là dove il black metal è nato, oggi lo stesso splendido paese scandinavo è diventato sinonimo di sonorità progressive. L'ho già detto più di una volta, lo ribadisco oggi in occasione dell'uscita del sesto album degli Hex A.D., 'Delightful Sharp Edges', un disco peraltro focalizzato su un tema davvero straziante, il genocidio, dall'Olocausto degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale, al massacro dei Tutsi in Rwanda, per finire con la persecuzione e genocidio dei Rohingya in Birmania. Un tema molto pesante che viene affrontato attraverso questo concept album suddiviso in tre parti narrative, che conducono l'ascoltatore in un viaggio della memoria davvero complicato da digerire liricamente parlando. Il disco si apre con la lunghissima (quasi 13 minuti) "The Memory Division" ed una proposta che si muove tra il prog e l'heavy rock, chiamando in causa mostri sacri della storia, da Uriah Heep, Thin Lizzy e Black Sabbath, combinando un innumerevole numero di influenze, generi e stili, da un utilizzo massivo di synth e tastiere, dotate di una spinta psichedelica ad un approccio hard rock oriented. Il brano è sicuramente complesso e forse necessita di molteplici ascolti per essere assimilato e capito appieno. Molto più semplice invece l'ascolto di un brano classico come potrebbe essere "Murder in Slow Motion", che non inventando nulla di che, ci investe con il suo hard rock graffiante in pieno stile settantiano. "...By a Thread", nel suo lungo e patinato acustico d'apertura con tanto di voci effettate, rievoca poi gli ultimi Opeth. Con l'ingresso di batteria e percussioni, queste danno una bella sterzata al sound, che evolve poi nei suoni spiazzanti di quel treno che deportava gli ebrei nei campi di concentramento. Cosi inizia "Når Herren Tar Deg I Nakken", un brano dalle atmosfere sinistre, inquietanti, sorrette da una voce che sembra dare delle istruzioni ai nuovi ospiti di quel campo di concentramento, mentre la musica si muove tra riff pesanti e suoni di hammond. "Radio Terror" attacca con un flebile sound, una chitarra che sembra più un grido di dolore, mentre la voce del frontman si presenta qui più delicata rispetto ad altre parti. E poi ecco entrare in scena delle percussioni tribali a stravolgere un po' tutto con un incedere che potrebbe stare a metà strada tra Pink Floyd e Blue Öyster Cult, in quello che reputo essere il miglior pezzo del disco. Non siamo nemmeno a metà disco (la brevissima "St Francis" è giusto a metà) ma rischierei di dilungarmi esageratamente nel raccontarvi questo 'Delightful Sharp Edges'. Mi limiterò pertanto a suggerirvi un altro paio di pezzi, anche se devo ammettere che la seconda metà del disco non sembra essere altrettanto convincente quanto la prima, in quanto suona più deboluccia, complice la presenza di un paio di brevi tracce, per cosi dire, accessorie. A salvarne l'esito c'è però la splendida "The Burmese Python", in grado di emanare un feeling di grande impatto, evocando una sorta di improbabile mix tra Pink Floyd e Green Carnation. Un buon lavoro, non c'è che dire, ma che necessita di una certa attenzione e sensibilità per essere realmente apprezzato al 100%. (Francesco Scarci)

lunedì 10 luglio 2023

The Sun or the Moon - Andromeda

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Era l'agosto del 2021 quando recensivo 'Cosmic' dei tedeschi The Sun or the Moon. A distanza di due estati, eccomi con il comeback discografico dei nostri in mano, 'Andromeda'. I nostri ci ripropongono, ancora attraverso un tema di tipo cosmico, il loro ispiratissimo connubio tra kraut rock e psichedelia, spingendoci indietro nel tempo di quasi 50 anni. Si perchè anche questo lavoro, come il precedente, affonda le proprie radici musicali, in band baluardo di quelle sonorità, Pink Floyd, Tangerine Dream, Ozric Tentacles e Hakwind, giusto per fare qualche nome qua e là a casaccio. E "Operation Mindfuck", che sembra fare il verso a 'Operation Mindcrime' dei Queensryche, in realtà si muove su fluttuanti sonorità oniriche, con tanto di sensuali percussioni che ne guidano l'ascolto interstellare, verso galassie lontane, e la voce del frontman a deliziarsi con vocalizzi puliti e delicati. Con "Psychedelik Kosmonaut", le cose cambiano drasticamente (ma sarà la sola traccia del disco a scostarsi cosi violentemente dalle altre) con una proposta più incalzante, come se i Rammstein suonassero cose dei Kraftwerk in versione più danzereccia, e con le voci in lingua madre, a sancire il senso di appartenenza a questo genere. "Planet 9" nuovamente imbocca la strada dell'opening track, tra lisergiche atmosfere rilassate, pulsioni cosmiche, suggestioni prog e aperture jazzy, con flauto e pianoforte veri punti di forza di un brano che sembra frutto di pura improvvisazione. Anche "Andromedan Speed Freaks" prosegue su binari affini, anche se a metà brano irrompe un robustissimo riff di chitarra, per poi successivamente rientrare nei ranghi di un sound cosmico, composto ed illuminato, pronto ad accompagnarci nelle esotiche contaminazioni di "The Art of Microdosing". Una song quest'ultima, che riassume nella sua interezza la proposta dei teutonici, che vede chiamare in causa anche i Cosmic Letdown in quelle parti più orientaleggianti, e che peraltro, nelle sue fosche melodie, concede il palesarsi di una ugola femminile e di un ispiratissimo sax, vera ciliegina sulla torta di questo inebriante pezzo. Si prosegue sui tocchi di piano di "Into Smithereens" ed una voce che, inequivocabilmente, chiama in causa i Pink Floyd, per un brano dotato peraltro di un'animosità splenica davvero emozionante. "Surfin' Around Saturn" (splendido questo titolo per cui è stato anche girato un video) ci fa fluttuare nel vuoto spaziale tra sonorità di doorsiana memoria e una forte vena pinkfloydiana che rappresenta probabilmente la principale influenza per i nostri. Analogamente, per la chiusura affidata all'ancor più eterea "40 Days", un pezzo che, seppur strumentale, rappresenta con il suo lungo assolo prog, il vero pamphlet dei The Sun or the Moon. Siete pronti anche voi quindi per un nuovo viaggio interalattico? (Francesco Scarci)

venerdì 7 luglio 2023

CRM - My Lunch

#PER CHI AMA: Electro/Post Psych Punk
CRM non è un nuovo ufficio deputato a chissà quale burocratica mansione, ma è l'acronimo per i romani Customer Relationship Madness che tornano con un nuovo album, 'My Lunch'. La proposta del quartetto si muove su coordinate stilistiche che, già dall'iniziale "Interference", strizzano l'occhiolino all'elettronica, per ciò che concerne la base ritmica, al dark/post-punk di "curiana" memoria, per ciò che riguarda la voce e lo psych rock, in fatto di solismi. Un approccio stilistico che mi mette subito a mio agio, mi rilassa e induce a immergermi con maggiore consapevolezza nel suono dilatato dei nostri, che vedono nel finale anche la presenza di una voce femminile (Elisabetta Caiani) a sublimare il tutto. "Buy" non fa che confermare le parole spese per l'opening track, con un sound energico, che ammicca sicuramente a destra e a manca al post punk, ma che comunque sconfina in altri generi, garage rock, elettronica, alternative e sperimentalismi sonori che potrebbero evocare addirittura il Duca Bianco (e se non sapete chi è, andatevelo a cercare). Ancor più spiazzanti le sonorità psych/space rock incluse in "Alone", complice l'uso massivo di synth, theremin e dronin, senza tralasciare un ipnotico basso in sottofondo che ne guida l'ascolto, ed un feeling che, per certi versi, potrebbe qui evocare i Doors. Mi piacciono, lo devo ammettere, anche se la cibernetica title track non mi fa troppo impazzire. Ha una durata un pochino impegnativa (oltre nove minuti), mentre per questo genere cosi complesso, opterei per brani più veloci per facilitarne la fruizione; ha sonorità poi molto più stralunate, il che potrebbe essere un pregio, ma la durata cosi importante necessita comunque di un grande sforzo nell'ascolto, soprattutto se i mutamenti in seno al brano virano verso la musica EBM/techno/dance. Ecco, 'My Lunch' non è proprio un disco da mettere per un picnic nel prato, è qualcosa che entra sotto la pelle, richiede una buona dose di concentrazione per assuefarsi ai suoi umori. Dopo essersi immersi nel mondo dronico di "My Lunch", ecco "Mirror", decisamente più rilassata nel suo incedere malinconico, che mostra peraltro più di una certa reminiscenza con i Depeche Mode. Anche qui, oltre otto minuti che, vista la ridondanza del pezzo, avrei interrotto almeno con un paio di minuti di anticipo. "Weirdo", che significa strano, lo è di nome e di fatto grazie a quella sua andatura sbilenca nella prima metà; poi assistiamo all'enesimo fenomeno di trasfigurazione musicale che evolve in stranite atmosfere. Una bella tromba apre "Vanity Wheel" e l'atmosfera è quella da lounge bar, locale fumoso, luci soffuse, una voce alla Robert Smith, che si alterna con quella della particolare Elisabetta, in un pezzo dotato sicuramente di un certo carisma e che vede altri richiami ai Frankie Goes to Hollywood. Potrebbe essere un'eresia, però provate a dargli un ascolto e dirmi se non ho ragione. In chiusura, un altro paio di pezzi: "Dreamers", parafrasando il suo titolo, ha un che di onirico che mi ha risvegliato nella memoria due vecchi pezzi dei Simple Minds, "Big Sleep" e "Hunter and the Hunted"; potrete immaginare quindi il mio piacere. Infine, "Jesus's Back", mosso da un ultimo afflato che chiama in causa il movimento trip hop guidato da Portished/Massive Attack, e lo fa convivere con un psych rock tanto sbalestrato quanto accattivante, che sancisce le eccelse qualità compositive di questi folli CRM. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://crm-music.bandcamp.com/album/my-lunch

sabato 1 luglio 2023

The Upland Band - Living in Paradise

#PER CHI AMA: Psych/Indie
Chissà a quale territorio montano si riferisce Michael Beckett, unico membro di questa The Upland Band? A quanto pare il polistrumentista teutonico farebbe riferimento ad un piccolo villaggio in una zona collinare della Renania orientale, quell'area, per intenderci, posta tra Germania e Paesi Bassi. È qui che è ambientato questo 'Living in Paradise'. Nove brevi racconti a narrarci, attraverso un soft-psych-indie-pop, fatti storici, osservazioni oggettive e addirittura piccanti gossip del villaggio stesso, grazie anche ad un cast di personaggi assai particolari. Si parte con le prime due song del disco, "A Partial Overview of the Neighborhood" e "ohfivetwosixfive" (si, con la "o" minuscola), e un sound che sembra ammiccare ad un post punk contaminato dalla psichedelia, quella stessa che annebbia le nostre menti nella successiva "Metamphetamine and Clay" (che narra di una cartiera utilizzata nella produzione di massa delle metanfenamine, insomma un 'Breaking Bad' de noialtri), un pezzo decisamente più blando (e pop) nei ritmi e nelle chitarre, per quasi quattro minuti di atmosfere rilassate e con la voce di Michael, vicino a certe cose dei Yo La Tengo, a contribuire a questo stato di ovattamento mentale. Se avevo apprezzato decisamente le prime due tracce, non posso dire altrettanto di quest'ultima e della quarta "Walk or Run", un altro pezzo quasi anestetizzante e dotato di scarso mordente, almeno fino al break acustico celestiale, posto da metà brano in su, sembra valorizzare maggiormente il prodotto del buon Michael. "Ontario" parla del fantasma di un pilota di bombardieri canadese abbattuto, ma il pezzo è in realtà puro drone per due minuti e mezzo. "The Curly Kale Express" parla ironicamente di un treno dove potersi mangiare cavolo riccio, in un brano dai ritmi e contenuti decisamente ironici, cosi come la seguente "Swastika Ink". In chiusura, "Down and Out (in the 17th Century)" e "Rain, Sleet and Mud", la prima col suo riff ridondante sparato in loop per oltre cinque minuti, la seconda più sghemba ed ipnoticamente indirizzata a chiudere un disco apparentemente easy listening, in realtà complicato da digerire e comprendere. (Francesco Scarci)

(Cargo Records/Sonic Rendezvous/Differant/Irascible/Goodfellas - 2023)
Voto: 65

https://kapitaenplatte.bandcamp.com/album/living-in-paradise

giovedì 25 maggio 2023

The Pink Mountaintops - Axis of Evol

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Psichedelia
Strafattanza sydbarrettiana in apertura ("Comas"). "Plastic Man, You're the Devil": blues urbano di quelli tanto cari a Jack White, ma aromaticamente zeppeliniano (per la precisione, aromaticamente Zep-3, e per la maggior precisione, aromaticamente "Hats Off to Roy Harper", la traccia che conclude Zep-3). Il nervosismo velvet-sotterraneo di "Cold Criminals". Lo psych-space della cupa "Slaves", a metà tra certa neo-psichedelia anni '90 (cfr. "Spiritualized") e i Pink Floyd di "Obscured by Clouds", amplissimamente esplorato in seguito con i Black Mountain. Il fuzzy-gospel sincretico "Lord, Let Us Shine". "New Drug Queen": inappuntabile darkwave, forse prossima a certi riusciti, consapevolissimi coxonismi. Saltate pure l'interminabile post-noia di "How We Can Get Free". Sette tracce, meno di trentacinque minuti. Psichedelico negli intenti e non certo nelle sonorità, il side project di Stephen McBeam sembra conferire forma alle emanazioni più inconsce della sua tumultuosa creatività di "una specie" di Mr. Hyde dei Black Mountain, insomma. Non vi pare? (Alberto Calorosi)

lunedì 22 maggio 2023

Ashinoa - L'Or​é​e

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock strumentale
Non ho ben capito la reale data di uscita di questa release dei francesi Ashinoa. Il sito bandcamp riporta infatti marzo 2022 come release date, mentre il flyer informativo in mio possesso, recita Maggio 2023. Mah, fatto sta che il quartetto di Lione ha rilasciato questo vinile per la Fuzz Club Records, cercando di coniugare le molteplici anime della band nei 12 brani inclusi in questo 'L'Orée', un disco fatto di suoni cinematico-elettronici, che mi ha fatto immediatamente balzare nella testa gli inglesi Archive (ascoltatevi l'iniziale "Vermillion" con quella sua chitarra southern per dirmi se anche voi non avete avuto la medesima sensazione). A differenza dei più blasonati colleghi di oltremanica però, i quattro galletti ci sorprendono con un approccio strumentale, ma quella valanga di campionamenti che si possono ascoltare lungo questo minimalistico percorso post industriale, suppliscono alla grande la malefica assenza di un vocalist. E cosi, si rivela meraviglioso farsi inglobare dalle sperimentazioni psych/kraut rock/trip hop dei nostri, manco ci trovassimo di fronte ad una versione strumentale dei Portishead fatti di acidi che decidono di lanciarsi in ritualistiche porzioni di "massive attackiana" memoria ("Koalibi"). Ci sono anche sonorità più fredde o tribali ("Space Cow", "Fuel of Sweet" e l'etnica "Disguised in Orbit"), spoken words interlocutorie ("Falling Forever"). Ma nelle note di questo lavoro, troverete ben altro: dall'elettronica orchestral-jazzistica della roboante (splendide le distorsioni chitarristiche a tal proposito) e psicotica "Feu de Joie", alla più cibernetico-pachidermica (per quei suoi suoni vicini al barrito di un elefante) "Yzmenet", che vi permetterano di apprezzare ulteriormente le alterazioni visionarie di questi pazzi Ashinoa, di cui non posso far altro che incentivarne l'ascolto. Esploratori coraggiosi. (Francesco Scarci)

(Fuzz Club Records - 2022)
Voto: 75

https://ashinoa.bandcamp.com/album/lor-e

lunedì 1 maggio 2023

Atsuko Chiba - Water, It Feels Like It's Growing

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Con un moniker fantastico, mi avvicino con una certa curiosità agli Atsuko Chiba, band originaria del Canada il cui nome sembra derivare dal protagonista di un anime giapponese. ‘Water, It Feels Like It's Growing’ è il loro terzo lavoro che ci delizia con un post rock ritualistico, sperimentale e riflessivo. Almeno questo è quanto testimoniato nella splendida traccia d’apertura, “Sunbath”, che si muove tra atmosfere ipnotiche guidate da un eccellente lavoro di basso e chitarre e dalla gentile ugola del frontman. Echi di Tool, Lingua e A Perfect Circle si coniugano in questo primo splendido pezzo che ci accompagna a “So Much For”, song alquanto imprevedibile per quel che concerne una musicalità in bilico tra prog rock, alternative, math e suoni sperimentali che sembrano scomodare addirittura i The Mars Volta, mentre la voce sembra aver perso qui quella morbidezza che avevo apprezzato nell’opener, per una versione più in linea con la band australiana e anche con Mike Patton. La traccia, per quanto dotata di una certa dose di originalità, devo ammettere non mi faccia del tutto impazzire. Molto meglio la successiva “Shook (I’m Often)”, più dotati di ritmi compassati e di una buona base melodica su cui poggia la meritevole voce del cantante canadese che si conferma ad altissimi livelli anche nella successiva “Seeds”, meravigliosa, con quei suoi ritmi pulsanti e synth che donano al pezzo un certo spessore, complice peraltro l’utilizzo di violino e violoncello nel break centrale del brano. Quando gli Atsuko Chiba provano a uscire dagli schemi per voler strafare, perdono un po’ della loro magia, leggasi la prova di “Link”, un pezzo che risente di una certa vena post punk sperimentale che tuttavia non riesce a sfondare, complice ancora una volta un utilizzo più alternativo e meno suadente del cantato che sembra snaturare il sound dei nostri. In chiusura, ecco la title track, un connubio tra psych blues post rock dalla verve pink floydiana che ci lascia con uno splendido assolo che sottolinea, ancora una volta, la classe e l’eleganza che permea questi straordinari musicisti. (Francesco Scarci)

(Mothland – 2023)
Voto: 75
 

sabato 29 aprile 2023

Blind Ride - Paranoid-Critical Method

#PER CHI AMA: Garage Rock/Post Punk
Per Dalí, la rielaborazione razionale delle conseguenze della paranoia, ovvero le delusioni, le allucinazioni e il delirio, rappresentano il processo critico, concetto sul quale poggia la nascita del disco di debutto dei molisani Blind Ride, ‘Paranoid-Critical Method’, che esce tre anni dopo l’EP ‘Too Fast for a Sick Dog’ che ci aveva fatto conoscere la band italica. Ora il terzetto torna più in forma che mai con un sound scontroso ma atmosferico, pesante ma vellutato, il tutto certificato dall’apertura affidata a “Surrogate of a Dream” che mi conquista immediatamente con quella sua matrice ossessiva che sembra coniugare dissonante post punk e garage rock. Il post punk esplode forte anche nella successiva distorsiva “Relationship Goals”, un pezzo che per certi versi mi ha evocato lo spettro dei Fountains D.C. che vanta peraltro un fantastico lavoro alle chitarre nel finale. “For You” ci prende a schiaffi con un groviglio di riff marci quanto basta per catapultarci indietro nel tempo di una trentina d’anni (chi ha detto Sonic Youth?), con la voce di Marco Franceschelli a mandare a fare in culo il mondo intero. “Holy Arrogance” è un manifesto contro le guerre fatte in nome della religione, che si muove su una ritmica piuttosto lineare e che mostra un buon lavoro alle percussioni, al pari di quello delle chitarre. Con “Numbers” ci si muove nei paraggi di uno psych rock compassato, melodico ed ispirato, tale da renderla anche la mia traccia preferita del disco. È decisamente in questa veste più raffinata ed elegante che preferisco infatti i Blind Ride, anche se devo ammettere che il loro fare “arrogante” non mi dispiaccia affatto, come testimoniato nelle chitarre sghembe di “Corporate Rock” e nelle sue lugubri atmosfere dark punk di primi anni ’80. Una modalità che sembra ripetersi anche nella tribalità stoner psych rock di “Stranger to My Eyes”. A decretare la fine dei giochi ci pensa la frenesia pulsante acid rock della strumentale “A Song Without Words”, che sottolinea la capacità dei Blind Ride nel districarsi positivamente in territori musicali battuti e strabattuti. Bravi! (Francesco Scarci)

giovedì 27 aprile 2023

Svntax Error - The Vanishing Existence

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Era da un po’ che non avevo dischi della Bird’s Robe Records da recensire, ci pensavo qualche giorno fa, eccomi accontentato. A giungermi in soccorso in questa mia richiesta, ecco arrivare i Svntax Error, band australiana che rilascia questo ‘The Vanishing Existence’ a distanza di quattro anni dal precedente ‘Message’. La proposta, come potrete intuire dall’etichetta discografica, è un fluido post rock (semi)strumentale come solo la Label di Sydney sa offrire. Dico fluido perché è la prima sensazione che ho fatto mia durante l’ascolto della traccia d’apertura “Radio Silence”, timida, psichedelica, quasi ipnotica, a cui si aggiunge poi quell’ipnotismo claustrofobico intimista della seconda “Broken Nightmares”, che vede peraltro comparire la voce di Ben Aylward in un pezzo dai forti brividi lungo la schiena, un vellutato manto di dolce malinconia che fa allineare i miei chakra a quelli dei musicisti originari di Sydney. “215 Days” è ancora imbevuta di note di velluto, flebili e morbide come la famosa copertina di Linus, un porto sicuro, un abbraccio della persona amata, un posto dove piangere, riflettere o rilassarsi. “Circular Argument” è invece un pezzo più da lounge bar, di quelli dove un riff o un giro di chitarra si fissa nel cervello e da li non si muove; nel medesimo brano ritorna anche la voce del frontman a confortarci con la sua ugola gentile. Esperimento che si ripeterà anche nella percussiva, arrembante e ben riuscita “Relentless”, un brano che mi ha in questo caso richiamato gli Archive più sperimentali, e nella conclusiva “Backwards Through the Storm”, in una sorta di tributo ai Tool. La title track si affida ad un post rock strumentale cupo e dal flavour notturno, che nella sua crescente dinamicità, potrebbe addirittura evocare un che dei Pink Floyd. Ultima menzione per “Kelvin Waves Goodbye”, con i sentori pink floydiani che si coniugano alla perfezione con gli estetismi shoegaze dei Mogwai, ma dove a prendersi tutta la scena, è in realtà lo spettacolare suono del theremin di Matthew Syres. Provare per credere il crescendo di un brano di una portata spettacolare, unico ed epico, che vi invito decisamente a supportare. (Francesco Scarci)

martedì 25 aprile 2023

Zagara - Duat

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ascolto di questo album mi lascia più di un punto di domanda. La band torinese, alla sua seconda uscita discografica, parte molto bene, e fino al quarto brano, "Apophis", strumentale e sperimentale in senso electro ambient rumorista, si comporta in modo degno di lode, curando testi e artwork in maniera ottimale. Le idee su cui imbastiscono il loro scopo sonoro sono attraenti, tra cantato e sfumature melodiche che raccolgono frammenti di prog rock italico dei mitici anni '70 miscelato a un alternative sound capitanato da una distorsione zanzarosa, esplosiva e accattivante, che espande l'idea di trovarsi di fronte ad una band assai originale, con richiami alla new wave degli '80 di Faust'o e Denovo, cosi come pure trapela una dose di passione per l'electro rock e l'elettronica nazionale moderna. Il tutto lascia sperare in un piccolo miracolo dei giorni nostri, visto come ce la passiamo per via di musica cantata in lingua madre in Italia. "Maat", "Quello che ha un Peso", "Se ha Fame" e appunto "Apophis", hanno questo sentore, se poi ci si aggiunge quel giusto pizzico di alternative rock emotivo, di vecchia scuola Afterhours o Verdena, senza difficoltà, ci si rende subito conto che i primi quattro brani diventano molto piacevoli. Questa sensazione purtroppo, viene a decadere nei successivi brani, dove l'ispirazione sembra attenuarsi per aprirsi a strade, per così dire più consone allo standard commerciale italico. Intendiamoci, l'album è ben fatto e ben prodotto, la band suona bene e quello che fa, lo fa bene, ma quando cade la tensione e si opta per aperture pop rock, dalla dubbia intuizione compositiva, sulla falsariga dei Coldplay di recente ascolto ("Pezzi di Ossa"), oppure, si crolla crudelmente in uno stile sanremese ("lluminami"), che crea una voragine tra i primi quattro brani e i successivi tre, bisogna prendere atto di un certo sconforto musicale. E se "Illuminami" dicevo potrebbe partecipare e vincere tranquillamente la kermesse ligure, "Amnesia", finalmente, risolleva la verve dei Zagara e si riappropria un po' di quel coraggio sperimentale presente all'inizio del disco. "Sole e Limo" parte un po' in sordina, ma ha un bellissimo finale, estremamente distorto, che compensa un'evoluzione abbastanza piatta. La chiusura è affidata a quello che probabilmente è il brano più intenso del disco, "Lago", che con coraggio, unisce ritmica post rock ad un cantato/recitato ad effetto, in un'atmosfera surreale e drammatica, con delle sospensioni temporali di scuola floydiana, miste ad aperture ed evoluzioni teatrali veramente intriganti. Un brano, a mio avviso, che può, e deve dare, la direzione artistica futura di questa band, che sembra non aver ancora trovato la sua vera identità, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un qualcosa di veramente originale nel panorama italiano. Rimaniamo in paziente attesa. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 69

https://zagara.bandcamp.com/album/duat

giovedì 23 marzo 2023

Dez Dare – Perseus War

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock
In un rituale cosmico di circa 35 minuti, Dez Dare ci delizia con un altro album di psichedelia acuta, stralunata, astratta, figlia di una serie di teorie musicali molto personali, che ruotano attorno a questo musicista australiano con sede a Brighton (UK). La peculiarità nell'accostare strade diverse dalla psichedelia è innegabile nello stile di Dez Dare (al secolo Darren Smallman), passando dalle immagini dell'artwork, colorate e allucinate, al bel video di "Bozo", questa volta il nostro menestrello sonico, crea muri sonori con un ammasso di suoni provenienti da variegate direzioni. Che siano le chitarre fuzz dei Dinosaur Jr, il garage dei Gorilla, il krautrock, il noise rock, il fattore hippie caro a Brant Bjork, il proto punk degli Stooges, la prima synth wave elettronica o il mondo immaginario messo in musica da Daevid Allen, poco importa al nostro incredibile figlio, non dei fiori, ma dei funghi allucinogeni. Ogni cosa nel suo mondo è psichedelia, quindi, nelle sue composizioni, ci si può trovare di fronte ad un cantato che ricordi i primi riverberi dei Monster Magnet ("OUCH!"), o che un effetto vocale, diciamo alla The Pop Group (!?!), sia inserito in un contesto ipnotico di un rock scheletrico proveniente dallo spazio ("My Heels + My Toes, My Lies + My Nose"), ricordando l'effetto follia di "The Return of Sathington Willoughby", brano d'apertura di 'Brown Book' dei Primus. Tutto questo è praticamente concepito con una logica di libera espressione, di fatto tra le mura domestiche, un "Do It Yourself" anticonvenzionale, che rende tutti gli album di Dez Dare un'esperienza cosmica unica. Il suo è uno stile altamente originale, da puro e simpatico anti divo e artigiano del suono, dove il canto/parlato alla Beastie Boys, si confonde con quello dei Fu Manchu e con il tipico approccio punk, in un'atmosfera costantemente dilatata, sormontata da montagne di fuzz e xilofoni dal retrogusto dark. In effetti, come tutte le sue realizzazioni, non è facile descrivere le sue opere, si possono fare degli accostamenti a priori, ma il mood compositivo con cui genera e degenera la sua musica, scardinando il modus operandi della maggior parte delle bands che suonano questo genere, gli permette di essere veramente unico, nel bene e nel male dell'opera, e nel percorrere la strada che porta alle infinite lande della psichedelia sotterranea. L'orecchiabilità dei suoi brani è un'altra delle sue caratteristiche, poiché anche 'Perseus War', si contraddistingue per la sua facilità di approccio, anche se tutto è allucinato ed ipnotico a dismisura e nulla è lasciato al caso, e questo lo si percepisce benissimo ascoltando la ricercata musica di Dez Dare. I 2:54 minuti del singolo "Bozo", sono un apripista splendido. Garage rock degno dei 500ft of Pipe, guidato da una ritmica spinta alla Hawkind, rumori di fondo, feedback, un tremolante xilofono giocattolo e umore lo–fi. Un video divertente accompagna il brano, surreale e spettrale, decisamente geniale, come del resto anche il video inquietante di "Bloodbath-on-HI". Penso che in ambito sotterraneo Dez Dare non abbia tanti rivali, lui è diversamente psichedelico, in senso talmente ampio, che l'impossibilità di paragonarlo a qualche altro artista è reale. La sua arte riesce a parlare delle lotte dell'universo per la sua sopravvivenza come della pressione quotidiana che l'uomo subisce nella sua esistenza contemporaneamente, attraverso suoni ed immagini, che sdoganano con una certa naturalezza, incubi, sogni, allucinazioni e figure da cartone animato, atmosfere horror e commedie satiriche del sabato sera. La proposta di quest'artista è forse quanto di meglio il mondo psych rock oggi possa offrire, un rock disagiato, che non guarda necessariamente al virtuosismo, che abbandona la veste patinata e torna allo splendore del sottosuolo, fa rumore intelligente, oltrepassa il confine nuovamente, e illumina come le band di un tempo. Una musica adatta per i più folli ma sani di mente, una musica da evitare per i puristi e poco liberi all'ascolto. (Bob Stoner)

venerdì 3 marzo 2023

Paul Chain - Park of Reason

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Psych Rock/Dark
Veramente malata questa fatica di Paul Chain. Atmosfere dark come da tanto non ne sentivo, pura ossessione creata dalle tastiere che, nella loro prevalente lentezza, sembrano insopportabili, complice una durata medio-alta delle canzoni. Non manca la sperimentazione noise, come la quinta "War Abysses" mostra egregiamente. La voce, pur essendo pulita, è strana, monotona ma seducente all’ascolto. La lentezza, ribadisco, regna disperata assopita solo da qualche spunto stoner. Paul ha composto quasi tutte le canzoni, eccetto la settima traccia, cover dei Saint Vitus. Mantenendo la sua ispirazione dark, Mr. Chain è riuscito ad evolvere e trovare, attraverso alcune sperimentazioni/improvvisazioni soluzioni originali che fanno sicuramente onore ad un pioniere come è Paul. La produzione è ottima: ascoltate più volte "Wings of Decadence" e scoprirete come determinati suoni sappiano diffondere atmosfere già di per sè allucinanti. La undicesima "Logical Slow Evolution", in verità, è composta da due canzoni sovrapposte, registrate in mono, che possono essere ascoltate in tre modi differenti: se si porta l’equalizzazione a sinistra si ha "Logical Slow Revolution". Se invece si sposta l’equalizzatore a destra, si può ascoltare "… In Time". Con l’equalizzazione bilanciata, non sono sicuro del risultato che si può ottenere, forse questo esperimento si può gustare maggiormente con un buon impianto stereo. Comunque tutto è azzeccato, e Paul non ha fatto che confermarsi. L'unica nota che mi rende perplesso, è il linguaggio usato in queste canzoni. Nella prima pagina del booklet è riportato che ciò che canta Paul Chain, è "purely phonetics", mah...

(Beyond Productions - 2002)
Voto: 73

https://www.facebook.com/paolocatena4/

lunedì 30 gennaio 2023

Kamala - Limbo666

#PER CHI AMA: Psych Rock
A dicembre dello scorso anno usciva il nuovo disco dei Kamala, band tedesca con base a Lipsia, che avevamo lasciato con ottime credenziali ai tempi del precedente album del 2019, 'Your Sugar'. Oggi il quintetto ci grazia con un disco ancora più elegante e curato, guidato a dovere dalla bella e ispirata voce di Christian Kamper, e da un guitar style delicato e tanto efficace, dedito a raccogliere stilemi artistici di stampo jazzistico ma rivolti ad un suono frizzante, intimo, e decisamente rock, anche se in maniera molto originale e soft. La caratteristica principale che identifica questa band è il modo moderato, ricercato e sofisticato con cui si apprestano a divulgare il verbo del rock, in una veste decisamente accessibile e volutamente, passatemi il termine, intellettuale, in molti casi ai confini di tante altre derive musicali. A modo loro, i nsotri presentano un crossover sonoro diviso tra alternative rock, soul, '70s rock, psichedelia teutonica (tra echi lontani di Harmonia e La Dusseldorf), new wave, free jazz e fusion. Tutte queste idee sono però filtrate da un gusto musicale assai melodico che, come scrissi nella precedente recensione, li avvicina ad un certo modo di fare musica, simile a band di culto, dal tocco vellutato ed ipnotico, note per la loro capacità creativa; parliamo di artisti come gli Aztec Camera oppure la psichedelia dei The Dukes of Stratosphear. La cosa interessante è, che quando la band teutonica si sposta da questo terreno le cose cambiano, come in "Freudian Autocorrect", brano in cui la band, pur tenendo alto il tasso di qualità esecutiva, non riesce ad esprimere la sua magia completamente, ma la dirotta verso qualcosa di non propriamente suo, formando in questo caso, uno spartiacque tra le prime quattro tracce del disco, una più bella dell'altra (il mio brano preferito in assoluto rimane "Talking Dirty"), e le restanti quattro che chiudono il disco. Posso dire comunque, che lo spartiacque è veramente momentaneo, perchè la successiva "Yuko & Memori", rimette in carreggiata i miei sentori verso quest'opera, ripristinando l'equilibrio sperato, con un inizio quasi psychobilly, introdotto da una chitarra in lontananza che riecheggia ad un virtuosismo alla maniera di un Van Halen d'annata, per poi correre con quella verve nobile e luminosa che contraddistingue la band. Il rock scorre multicolore ed in molteplici direzioni, mai troppo rumoroso, quasi tenuto in sordina, per non offuscare con il rumore e lo strepitio di muri di distorsione, le capacità di questi ottimi musicisti (la sezione ritmica è notevole con il suo tocco pulsante ma sempre composto). "Narcissus" è una lunga ballata dai colori vividi, cari a certa neo psichedelia inglese degli anni '90, e mette in mostra le notevoli capacità vocali di Kamper, che ricorda molto da vicino il Jeff Buckley più intimista. La conclusione è affidata a "Blindspots", coronata di piccole gemme ritmiche e variazioni geniali che amplificano la bravura tecnico/compositiva di questi musicisti. 'Limbo666' è un album curato nei dettagli, compreso l'artwork di copertina, dove colori e fantasia sono uno standard fin dal loro EP d'esordio, un suono caldo e pieno tutto da gustare. Aggiungerei anche, che 'Limbo666', è la loro più completa uscita discografica, il rock che si mostra nella sua forma migliore, rinunciando a muscoli e giubbotti di pelle. Alla fine ne consiglio l'ascolto a chi ama la musica rock d'ampie vedute, suonata a dovere. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2022)
Voto: 79

https://kamalapsych.bandcamp.com/album/limbo666