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martedì 18 febbraio 2025

Oranssi Pazuzu - Muuntautuja

#PER CHI AMA: Psych Black Sperimentale
Converrete con me che gli Oranssi Pazuzu siano un unicum nel panorama estremo. 'Muuntautuja' è il loro sesto album sempre focalizzato a mescolare elementi black metal, psichedelia ed elettronica, in un'opera che sfida ancora una volta, ogni tipo di convenzione. Con questo lavoro, la band finlandese riesce a mantenere la propria identità unica esplorando nuovi territori sonori mantenendo comunque intatta quell'atmosfera oscura e ipnotica, marchio di fabbrica del combo di Tampere. I brani oscillano tra momenti di intensa aggressività (come nell'iniziale "Bioalkemisti" o nell'ancor più sghemba "Voitelu") e sezioni più tranquille e riflessivo (come accade nella title track, che segna una transizione verso un sound più minimalista e fluido, con l'elettronica che gioca un ruolo centrale, ove dominano sintetizzatori inquietanti e ritmi pulsanti), creando comunque un flusso sonoro avvolgente. I brani possono passare da esplosioni di rumore a momenti di calma quasi meditativa (ascoltare l'angosciante "Hautatuuli"). Un break rumoristico ("●") e siamo già proiettati verso un finale apocalittico con un trittico di song che vede in "Valotus" un esempio di umorale rumoristica espansione primordiale, song straniante dotata di un finale in cui il black sfocia in un puro noise dronico. "Ikikäärme", la traccia più lunga del disco, ha un incipit inquietante e un carattere comunque assai stralunato, quasi stessimo assistendo a un incubo a occhi aperti; il pezzo alterna comunque parti aggressive a sezioni atmosferiche che evocano immagini di paesaggi alieni. La conclusiva e ambientale "Vierivä Usva" conferma l'audacia di un lavoro che si configura a essere come una vera e propria odissea sonora, capace di condurre l’ascoltatore attraverso territori sconosciuti al di là delle Colonne d’Ercole. (Francesco Scarci)

martedì 4 febbraio 2025

Rheinkaos - All my Being is a Dark Verse

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
Ci sono voluti ben 16 anni per risentir parlare dei Rheinkaos, band greca che era uscita nel 2008 con un demo - che il sottoscritto aveva recensito - e poi il nulla. Un silenzio assordante. Si era parlato di un primo full length nel 2010, ma questo rimase strozzato in una carenza di budget che mi fece pensare alla prematura capitolazione dell'act ellenico, cosa che effettivamente accadde nel 2015. Eppure, la creatura di Dimitrios B. aveva lasciato un segno, per quel sound industrial-avanguardistico che scomodava mostri sacri come Dødheimsgard e Ulver. Poi con mia grande sorpresa, lo scorso anno ho letto che la band si era riformata, e addirittura aveva deciso di completare le due tracce lasciate abbandonate una decina d'anni fa. Il trio ha quindi rilasciato questo EP di due pezzi, intitolato 'All my Being is a Dark Verse', che include "Beta Religion" e "The Commencement Fear". Devo dire che i pezzi riflettono assolutamente quanto avevamo già apprezzato su quel 'Demo 2008', ossia una base avantgarde su cui imbastire una ritmica black coadiuvata da elementi sperimentali, che portano i nostri a sbandare in derive di "ulveriana" memoria, complice peraltro un uso possente dei synth, ed evocando, in altri momenti, le cose più progressive degli ultimi Enslaved, con la band greca che arriva a citare addirittura i Fates Warning, tra le proprie influenze. La proposta del trio è davvero molto interessante, con pulsioni cosmiche che divampano dalle linee di basso, chitarra e componenti elettroniche varie, al pari delle esplosioni vulcaniche sulla luna di Giove, Io, mentre la voce del frontman si alterna tra parti pulite e harsh vocals. L'inizio della seconda traccia è ancor più affascinante, e qui si sentono probabilmente quelle influenze che conducono al prog dei Fates Warning, ovviamente in una veste più pesante viste le grim vocals che duettano con altre più cibernetiche e insieme si affacciano comunque su una matrice musicale davvero da brividi. Uno strabiliante break atmosferico centrale miscela hammond e chitarre, mentre oniriche visioni psichedeliche, coadiuvate da giri di chitarra acustica, fughe post rock, un sax delirante e orchestrazioni da applausi, completano un brano esagerato, lasciando trasparire le enormi potenzialità di una band che potrebbe realmente configurarsi come la maggior sorpresa di questo 2025. Per ora mi tengo basso con il voto (e sarà un 75!), solo perchè il qui presente dischetto è stato partorito oltre 10 anni fa e include due sole song, ma la curiosità di conoscere lo stato di forma dei Rheinkaos oggi, vi garantisco che è enorme. (Francesco Scarci)

domenica 26 gennaio 2025

Thy Catafalque - XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek

#PER CHI AMA: Avantgarde/Black/Folk
Il nuovo album 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' dei Thy Catafalque rappresenta un ulteriore capitolo complesso e affascinante nella carriera di Tamás Kátai, la geniale mente dietro il progetto, consolidandone la reputazione nell’universo dellavantgarde black metal. Questo dodicesimo lavoro si distingue per una sorprendente fusione di stili, che si muovono dall’estremo al melodico, con un forte legame alla storia e alla cultura ungherese. La complessità musicale, una firma distintiva dell’artista magiaro, permea l’album attraverso elementi folk, prog, elettronica e avantgarde, oltre a intensi momenti di metal estremo. Per la prima volta, Kátai ha collaborato con il produttore Gábor Vári, ottenendo una produzione più raffinata rispetto ai lavori precedenti. Tra i dieci brani che compongono il disco, identificherei come di maggiore spicco "Mindenevő", un’intensa combinazione di growl e melodie accattivanti che richiamano vagamente gli Amorphis nelle note iniziali, a cui fa seguito una cavalcata black/death a guidarne il refrain. "Ködkirály" sembra articolarsi in due atti: una prima parte malinconica, impreziosita dalla voce femminile di Ivett Dudás (dei Tales of Evening) e una seconda, che si evolve in unesperienza sonora drammatica e potente, sospesa tra sonorità black e atmosfere imponenti dal sapore doom. "Lydiához" è una reinterpretazione malinconica e folkloristica di un brano dell’artista ungherese Sebő Ferenc, cantata con grazia, da Martina Veronika Horváth (The Answer Lies in the Black Void) e Gábor Dudás. I due artisti vanno a unirsi allo stuolo di collaborazioni (oltre 20 musicisti coinvolti) che hanno contribuito a rendere ogni traccia unica, arricchendo il tessuto sonoro dei Thy Catafalque, e donando sfaccettature sempre nuove ai pezzi. Nel frattempo si arriva a "Vakond", un vivace brano strumentale che intreccia stili e strumenti diversi, dal fischio al bouzouki, creando un’atmosfera festosa ma carica di nostalgia. La title track chiude il disco con melodie leggere e un ritornello coinvolgente, mettendo nuovamente in mostra la straordinaria versatilità della band. In definitiva, 'XII: A Gyönyörű Álmok Ezután Jönnek' riflette l’evoluzione continua e coraggiosa dei Thy Catafalque. Sebbene non raggiunga le vette dei precedenti 'Vadak' o 'Sgùrr' (che rimane il mio preferito), questo nuovo capitolo offre una ricchezza di suoni e ispirazioni che non mancherà di stupire anche lascoltatore più ignaro, regalandoci nuove prospettive ed esperienze sonore. (Francesco Scarci)

(Season of Mist - 2024)
Voto: 78

lunedì 20 gennaio 2025

Fickle - Tacet Tacet Tacet

#PER CHI AMA: Ambient/Noise
Il lavoro che è appena uscito, via Bloody Sound, del progetto sonoro denominato Fickle, è da ritenersi un'interessante proposta in ambito ambient sperimentale, proponendo un album che, ascoltato per intero, si avvale dell'aura tipica delle soundtrack cinematografiche, con un suono astratto, visionario, a volte minimale, a volte più complesso, ma che non perde mai la sua corposità, e con un'attitudine che lo contraddistingue e lo fa emergere nella sua essenza più cristallina. Concepito tra i numerosi viaggi fatti tra Islanda e altre parti d'Europa dal titolare del progetto, Francesco Zedde, con l'intento di fondere parti strumentali, realmente suonate, con registrazioni d'ambiente e campioni, rimodulandole, filtrando ed elaborandone l'effetto elettronicamente, emulando gli alfieri del sound ambient e post rock dell'isola di ghiaccio e non solo. Così possiamo trovare all'interno di 'Tacet Tacet Tacet', umori rubati al suono fresco ma pensieroso di album come 'Utopìa' di Murcof, che interagiscono con le ritmiche destrutturate e disturbate da continue interferenze noise, alla maniera dei Mùm in "Yesterday was Drammatic, Today is Ok", riviste in una maniera più cupa e messe spesso in prima linea. Queste interferenze rumorose sono molto affascinanti e sono seminate qua e là su tutto il percorso strumentale dei Fickle, e in qualche modo, riescono a governare tutte le direzioni che intraprende la musica di questo disco, con il pregio inoltre, di non riuscire mai a dargli una via unica e definita, lasciandogli un ampio spettro d'azione sonora, indefinito e libero da scontate strutture. Per questo motivo, lo paragono a una sofisticata colonna sonora futurista, musica che omaggia i suoi precursori e caldamente consigliata ai cultori di questo genere. Al suo interno ci sono anche collaborazioni di valore, come Rea Dubach e Jacopo Mittino dei 52 Hearts Whale, nella composizione e nell'interpretazione di alcuni brani, e bisogna aggiungere che il tempo di incubazione per la nascita di questo album è stato assai lungo, infatti è stato registrato in giro per l'Europa tra il 2017 e il 2023, parecchio tempo a disposizione che va a giustificare cotanta peculiarità e ricerca nella varietà dei suoni. Il brano più indicativo è, a mio avviso, "Recurrence", ossia quello che chiude il disco, il più lungo e il più carico di profondità oscura, lacerato dal suono di una presunta campana che risulta devastante, incastonato in un sound d'ambiente dal ritmo frastagliato e lontano, con un finale a sorpresa sul filo di una svolta ritmica dal gusto etnico. Non possiamo dimenticare poi, senza togliere niente all'intero disco, la verve ritmica di "Pertinence", ai confini con i primordiali concetti compositivi della drum'n'bass, rivista in maniera minimale e fusa a certa new wave riletta in chiave elettronica. Aggiungerei infine una nota per l'ipnotica "Dissimulation". Per chiudere, direi che 'Tacet Tacet Tacet' è un buon disco, curato e avvolto in atmosfere intriganti e dai colori sfuocati, un disco che sarebbe un peccato lasciarsi scappare. (Bob Stoner)

lunedì 6 gennaio 2025

Aborym - Fire Walk With Us

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Sperimentale
La passione di Fabban & soci per la musica elettronica non poteva che dare i suoi frutti. 'Fire Walk With Us' è un album violentissimo ma non monocorde, che annovera, accanto a episodi apocalittici ("Our Sentence", "Love the Death as the Life"), momenti più distesi sebbene non meno oscuri, quali la strumentale "Sol Sigillum". C'è persino un brano techno ("Here is no God"), peraltro ben inserito nel clima rumoristico complessivo dell'album. A destare qualche perplessità è forse la traccia conclusiva, "Theta Paranoia", di cui francamente non si riesce a intravederne il senso, al di là del puro e semplice intento destabilizzante. 'Fire Walk With Us' è un'opera delirante e visionaria (di prossima riedizione per la Dusktone), che riuscirà gradita ai patiti della manipolazione sonora e della commistione fra metal estremo e noise-industrial.

(Scarlet Records/Duskstone - 2001/2025)
Voto: 75

https://aborym.bandcamp.com/album/fire-walk-with-us

giovedì 5 dicembre 2024

Misha Chylkova – Dancing the Same Dance

#PER CHI AMA: Electro/Shoegaze/Folk
Dopo una manciata di singoli, esce finalmente il full length di Misha Chylkova, compositrice sofisticata dalla voce vellutata e intensa. Il disco si muove a ripetizione tra cantautorato dalle sonorità attuali e un'elettronica minimale e cinematica. Loop ripetitivi e circolari fanno da veri e propri tappeti volanti, visto che l'artista londinese di origine ceca, sa costruire brani sognanti e intimi, con quel pizzico di malinconia che non scade mai nel banale, mostrando un lato intimo che non si cosparge di miele ma che, al contrario, incita alla dilatazione delle pupille in una costante ricerca di qualcosa che va oltre il definito, fin dal primo ipnotico brano strumentale, "Coffee". Difficile accostare Misha ad altri artisti; la sua musica, per quanto minimale, è ricercata e certosina, dalla pulizia del suono al bilanciamento dei bassi, la produzione è infatti assai buona e gioca un ruolo importante per poter assaporare l'intero lavoro. Sonorità moderne per un incrocio di stili difficili da focalizzare, forse la Chelsea Wolfe di 'Apokalypsis' e 'Birth of Violence', in una veste meno dark e più dreampop, un folk cristallino dalla vena grigia, per ascoltatori sognanti che non rimarranno impassibili di fronte ad un brano brillante come "Sparrows", che per certi aspetti mi ha ricordato la magia del suono dei Cigarettes After Sex dell'omonimo album, ma anche le ipnotiche sperimentazioni di Anna Von Hausswolff, in chiave meno apocalittica. La bella voce della Chylkova ha venature molto velate e dolci, che ricordano molto le qualità vocali di Tracey Thorn degli Everything but the Girl, mostrando una versatile capacità d'interpretazione, con cui sposta facilmente l'ago della bilancia tra folk ed elettronica, senza cadute di stile, con piccole toccanti ed ingegnose variazioni vocali sparse tra i brani, che ne aumentano il valore e la qualità ad ogni ascolto. "Dead Plants" è un brano killer che si muove sullo stile ritmico di anthems del calibro di "Atmosphere" dei Joy Division, anche se il brano non è così oscuro ma la sua progressione mette in risalto il fatto che tra le note di 'Dancing the Same Dance', esista anche un legame sonoro con certa new wave che ha fatto giustamente la storia. Questo disco nel suo sembrare, al primo ascolto, fragile e dispersivo, nasconde invece un carattere inquieto e variegato, con punte di sperimentazione non impetuose ma peculiari, pacate e curate, tra sonorità vicine ad un moderno post rock ed un fine tocco di musica elettronica d'ambiente. Un album che non si assimila con un solo ascolto, sarà necessario ascoltarlo più volte per carpirne la giusta essenza, magari di notte guidando in solitudine. Un album comunque, che merita e che conquisterà la vostra attenzione. (Bob Stoner)

lunedì 25 novembre 2024

Maverick Persona – In the Name of

#PER CHI AMA: Post Rock/Experimental Sounds
In quante occasioni ci siamo persi nel vasto mondo della musica pop internazionale, cercando qualcosa di interessante da ascoltare, senza mai guardare ai confini nazionali? Ecco, con il nuovo album dei Maverick Persona, vi renderete conto che l'album della "porta accanto" esiste e può avere un respiro internazionale, risultare intrigante e destare la vostra curiosità senza nemmeno passare per il mainstream, preconfezionato e molto spesso vuoto di spessore e idee (vedi ultimi Blur o simili). Il progetto dei due musicisti italiani, Amerigo Verardi e Matteo "Deje" D'Astore, esprime tra le sue note proprio questo, la volontà di essere liberi di creare musica per come la si intende, senza confini o condizionamenti. Infatti, in una intervista uscita al tempo del loro primo album, 'What Tomorrow?', dichiaravano quanto segue: "Non abbiamo la possibilità di investire migliaia di euro in promozione, foto o videoclip; tanto meno siamo in grado di comprare i passaggi nelle radio o in tv, né ci interessa acquistare pacchetti di ascolti virtuali in playlist del cazzo. Adottiamo invece una forma promozionale tutta nostra che si misura in energia piuttosto che in economia: provare a liberare un flusso creativo tale da permetterci di registrare anche due album in un anno, possibilmente uno migliore dell’altro". La magia di questo nuovo disco si misura proprio in questa libertà, e se ci si associamo i testi, cantati in lingua inglese, volti alla critica di una società al limite tra ipocrisia e decadimento culturale e sociale, il gioco è fatto. Il duo cita i generi electronic, experimental, psychedelic, pop, rock, spoken word, new jazz, world music e gli ingredienti ci sono tutti, e si srotolano con un enorme piacere di ascolto. "Somewhere We Have Landed" e "Underword Conspiracy" sorprendono per la maturità del suono, musica ad elevato impatto psichedelico ed emotivo ad ampio respiro internazionale, un elettro-ambient sofisticato, ma non solo; l'impazzito jazz di "Sirshka" e i sussulti new/acid jazz di "Where Are You", confondono ed ampliano gli orizzonti musicali. L'insieme dei brani mi ricorda le teorie ricostruttive di Bugge Wesseltoft in 'New Conception of Jazz' del 1996, aggiornate con rianimata verve e suoni di nuova provenienza, ma l'album nasconde anche tante stanze segrete tra le sue note, sentori di acido trip hop per "Try to Get the Sun", mentre per "Dreaming Laurel Canyon", come dice tra le righe anche il titolo, dream pop e drone, si fondono per donarci una vera e propria sensazione di volo. 'In the Name of' è un disco di palpabile spessore artistico, carico di sorprese, adatto ad un pubblico moderno, che ama il sound variegato, curato e dalla trama intelligente. Un disco che allieterà i vostri ascolti, portandovi anche alla riflessione in più momenti, perché la rivoluzione nel mondo passa anche da suoni che sembrano innocui e pieni di luce ma che in realtà esprimono tanta ribellione. Consigliato l'ascolto! (Bob Stoner)

martedì 29 ottobre 2024

Esoctrilihum - Döth-Derniálh

#FOR FANS OF: Experimental Black
The French project Esoctrilihum has been, since its inception back in 2016, a relentless force of creativity, pushing the boundaries of extreme metal with a vast palette of influences. Asthâghul’s musical vision has navigated between the frontiers of black and metal, combining both genres with experimental and atmospheric arrangements. This combination varies with each album, achieving a very singular career full of monumental albums which obviously are not for everyone. The length, complexity, and brutality of some albums, may take some time to digest, but the reward is always worth your time. It is important to highlight how active Esoctrilihum has been during these years, releasing albums each year, which is quite impressive taking into account the intricate nature of its music.
 
I was curious to listen to what this French project could offer after the particularly lengthy and complex 'Astral Constellations of the Majickal Zodiac', which was like a musical summary of the previous albums. It was an appropriate moment to push once again the boundaries of its music and unsurprisingly Esoctrilium has made it with the new opus 'Döth-Derniálh'. Don’t get me wrong, there is not a radical change here, as most of the well-known elements used by Asthâghul can be found here. Nevertheless, there is a very interesting and generous use of acoustic guitars, which helps to create some kind of folk horror atmosphere throughout this album. The widespread use of clean vocals, alongside the aforementioned acoustic guitars, make this album a more intimate, mysterious, and dark piece of work. It is also less extreme in comparison to other previous albums, although the rage erupts when you least expect it. The keys also play an interesting role in enhancing the occult-like atmosphere of the album. The first track, entitled "Atüs Liberüs (Black Realms of Prisymiush’tarlh)" is a clear example of it, with these great keys, whose melodies are really hypnotic. The already mentioned acoustic guitars make their first appearance, accompanied by some kind of violin or similar instrument, creating an interesting mixture of sounds. The clean vocals have a great role here, as you will notice throughout the album, although in this track they are particularly omnipresent. As said, there is room for some fierceness in this album although to a far less degree, this track being also a clear portrayal of it. Moments of brutality with some great shrieks and relentless double bass can be found here and there, like for example in the second track, being that section one of my favorites as it masterfully combines the fury with some captivating melodies. The third and fourth tracks explore this heavier side, but still keeping a relevant space for the acoustic sections that define this album. The unique approach of this album diminishes the immediate impact of the compositions and requires more time from the listener to become accustomed to it. However, if you allow yourself to be enveloped by the atmosphere, this album can be an intriguing musical journey.
 
Esoctrilihum continues its highly personal musical exploration with the new opus 'Döth-Dernyálh'. The French project has delved into new territories with a more acoustic approach, while still maintaining its dedication to extreme metal. This album may not be the first one I would recommend from this project, as I personally feel that some moments lack brutality, which could have helped achieve a better balance. Nevertheless, the unfathomable and esoteric atmosphere of 'Döth-Dernyálh' makes it a captivating experience. (Alain González Artola)
 
(I, Voidhanger - 2024)
Score: 80
 

domenica 20 ottobre 2024

Rot Coven – Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II

#PER CHI AMA: Black/Drone/Ambient
L'universo musicale di questa band proveniente dalla Pennsylvania, è fatto di sensazioni cosmiche, costantemente avvolte da un alone sinistro, che disegnano un immenso spazio sonoro, decisamente oscuro e minaccioso, ampio e misterioso. La base di partenza è il noise e l'ambient dronico, sfregiati da lunghe e laceranti digressioni doom, death e black metal, in un infinito viaggio psicologico verso i meandri più oscuri della percezione umana. 'Nightmares Devour the Waking World: Phase I + Phase II' è un disco non di facile approccio e volutamente ostile al pubblico, che si rivela come un alternarsi di umori gelidi che generano suoni contorti, vortici capaci di introdurre chi ascolta, verso universi paralleli assai intriganti. L'amalgama sonora è in perfetta sincronia con un'ispirata vena compositiva, che in questo genere deve far da padrona o si rischia la caduta nell'inascoltabile o nel già sentito, e devo dire che in questa versione estesa dell'album (ricordo che la prima parte, Phase I, era uscita l'anno scorso), l'opera si compie a dovere, e per l'ascoltatore già iniziato a questo genere, la scoperta di questo disco (edito dall'Aesthetic Death), risulterà un'ottima sorpresa. Brani dagli intro apocalittici, colonne sonore noir che rasentano uno stile cinematografico in continua evoluzione, dove l'unico colore che emerge è il nero, ecco come si palesa il disco. La voce è inghiottita dal rumore, il distorto veglia su tutto e fa da padrone nel mood dell'intero lunghissimo lavoro (oltre 80 minuti), proiettando il suono verso lidi estremi di post metal di difficile collocazione ma con retaggi, per certi aspetti classici, che vengono ampliati, appunto, dall'uso di suoni strettamente lisergici e psichedelici, qui riadattati all'umore cupissimo della band. In tal contesto, non si può dimenticare il vistoso lato industrial dei Rot Coven, che è molto radicato nel DNA della band, cosa che, unita al maniacale piacere verso suoni distorti e riverberati, costituisce l'essenza del sound di quest'album. Paesaggi siderali costruiti per mettere a dura prova la resistenza psichica e una forte sensazione di disagio psicologico, sono le armi che vengono utilizzate nei solchi di questi brani apocalittici, accompagnati da un senso di caduta costante e tangibile. Non è di facile approccio, come detto in precedenza, ma questo disco, ascoltato nella totalità dei due album, è veramente un'esperienza da provare, ed è inutile smembrarlo per trovarne pregi o difetti tecnico-stilistici, poiché l'ideale è assimilarlo nella sua interezza, lasciandosi trasportare dalla sua fredda corrente. Buon viaggio nella parte più nascosta e oscura della vostra mente. (Bob Stoner)

venerdì 11 ottobre 2024

Doortri - Eeeeels

#PER CHI AMA: Noise Rock Sperimentale
Un album complicato, un album difficile, figlio di una visione ampia e trasversale, disomogeneo, un disco differente. Il secondo disco dei Doortri, cambia le coordinate musicali che li avevano contraddistinti nell'album di debutto (opera sonora di denuncia contro l'inquinamento dei PFAS nella regione Veneto), optando qui per una veste più sperimentale, senza regole, un suono sfuggente a tutte le categorie, fatto di rumori, urla, jazz sperimentale, noise, sussulti punk e hip hop atipico. 'Eeeeels' è una specie di concept diviso in varie tappe, che contengono brani molto diversi tra loro, i quali portano ancora i segni del disco precedente, con tracce della no wave nel segno di James Chance and the Contortions, ma di cui perdono l'urgenza sonora per approdare a un sound ricercato nei meandri del mondo noise più ortodosso, sacrificando parte del sax e di quella batteria così sanguigna, in favore di voci, cantati distorti e non, e tanti rumori sparsi qua e là, come tanti fiori in un prato. Il suono è in generale astratto, in cui vive un'aggressività sofisticata, e spesso, gli esperimenti diventano cerebrali, a volte schegge impazzite, al limite della follia. La batteria spesso suona effettata, come in certi esperimenti solisti di Big Paul Ferguson, in taluni casi si sentono eterei profumi kraut rock, ipnotici richiami tribali ("Filasteen Hurra", con ospite alla voce Ghufran Alkhalili), persino echi etnici e di certo crudo e pesante acid jazz anni '90 ("Jelly Belly"). "Untilted (Untitled)" suona folle e rumorosa (anche senza chitarre distorte), tanto che non sfigurerebbe a un'edizione dell' Obscene Festival; "Monkey Christ" sembra un retaggio dei punk inglesi Crass, con jingle stile carica delle giacche azzurre nei film di Rin Tin Tin, mentre la lunghissima "Sleeeee", funge da portabandiera del cambiamento sonoro attuale della band, dove l'effetto Zorn è calpestato da una batteria pressante e da una sequenza di rumori, synth, interferenze e distorsioni, che impediscono al sax di emergere, riportando alla memoria le oblique teorie musicali dei God nel brano "Love". I Doortri sono una band formata dal percussionista Gianpaolo Mattiello, fiati e programming di Tiziano Pellizzari, e dai rumori vari ottenuti anche dalle frequenze di una vecchia radio portatile usata praticamente come synth non convenzionale da Geoffrey Copplestone, che si occupa anche alle parti vocali, utilizzate sempre ad effetto, ma in quantità contenuta. Inoltre, in questo album la band ha voluto fortemente ampliare la rosa sonora introducendo i già citati synth e parti campionate pre-registrate, rumori d'ambiente, voci e quanto altro gli girava per la testa, utilizzando tanti arnesi che provocano rumori e fruscii. Mixati dalla leggenda Elliot Sharp, che ha suonato anche la chitarra sul brano finale "Sleeeee", l'album è uscito sotto le ali della Zoar Records, l'etichetta newyorkese, appunto di Mr. Sharp. Un disco che ha molte facce e si diversifica continuamente, dove molti brani oscillano tra poco più di uno-due minuti fino a un massimo di ventidue (!), sottolineando così la sua veste surreale. A volte si ha l'impressione di essere di fronte a un disco di elettronica stile Autechre, ma subito si viene smentiti, mentre a un ascolto approfondito, ci si accorge che tutto è suonato veramente da musicisti sperimentatori che rumoreggiano con arnesi di fortuna, coperchi di latta, campanelli e molto altro, uniti a strumenti musicali acustici ed "Eeeeels" è la prova concreta, e forse il brano che più di tutti, richiama nel suo sound, quel pizzico di mondo alternativo proveniente dalla Grande Mela, intrinseco da sempre nella musica del trio vicentino. La conclusiva "Greyhound Bus", è un jingle dal ritmo country folk per un carosello dal finale ambient, suonato in piena regola. Questo disco è un gran bel traguardo, qualcosa che guarda oltre, qualcosa di processato, pensato e distillato in studio nota dopo nota, rumore dopo rumore, ritmo dopo ritmo. Jazz non jazz, sense non sense music, rumoristica, no wave, uno Zorn scarnificato fino all'osso, pillole di musica alternativa per intellettuali amanti dei suoni inusuali e multi direzionali. Ecco, il nuovo mondo dei Doortri è servito. (Bob Stoner)

giovedì 3 ottobre 2024

O.N.O.B. - Viva! Underground (retrospettiva sotterranea)

#PER CHI AMA: Alternative Rock
È successo di nuovo. Lo stravagante collettivo veronese dell'associazione culturale Teuta Gwened, è tornato sotto nuove spoglie. Un po' alla stregua dei Thee Maldoror Kollective, che a ogni album modificavano il proprio moniker, anche i nostri, che includono peraltro il buon Bob Stoner, si presentano sulla scena con differenti sembianze: Cardiac, Agatha, De La Croix, giusto per fare alcuni nomi delle varie incarnazioni, e oggi sotto questo intrigante acronimo, O​.​N​.​O​.​B. (Onirica Notturna Ostentazione di Bellezza), pronti a sfornare un nuovo lavoro, 'Viva! Underground'. Il disco consta di otto tracce che nascono ai tempi dello scioglimento dei Cardiac, e da lì ripartono sfoggiando suoni sperimentali, che si palesano sin dall'iniziale "Torture", song dotata di un riffing impastato su cui poggia un parlato quasi indecifrabile. Tutto assai normale direi, almeno fino a quando il ritmo viene alterato dal diafano poetico cantato di Betty che mi ipnotizza con le sue parole "...il tempo fa tic tac..." che si imprime nella mia testa e da lì non è più voluto uscire. La ritmica non è certo delle più raffinate, buono il lavoro di basso in sottofondo, ma ecco nulla di memorabile, perchè tutta la mia attenzione si focalizza sulla seducente ma al contempo sgangherata, voce della frontwoman, una sorta di italica Julie Christmas, forse meno rabbiosa della vocalist americana, ma sicuramente dotata di una buona dose di personalità. Con "La Madre, l'Inaspettato e l'Apocalisse, il sound dei nostri sterza verso sonorità più garage rock punk, coadiuvate peraltro da una porzione vocale decisamente più accessibile, un peccato, visto che ho adorato la prova della cantante nell'opening track. Il brano è dotato di una buona carica di groove, la voce di Betty è si qui calda ma le mie aspettative forse si erano troppo elevate. Con "Contessa" ci imbattiamo nella prima cover del disco, che ci riporta al 1980, quando quei Decibel, guidati da Enrico Ruggeri, la proposero al Festival di Sanremo. Il pezzo, riletto in chiave più moderna (e molto meno beat nel comparto tastieristico), mostra quella ripetitività marziale tipica della musica italiana di fine anni '70, dando sempre comunque rilievo alla vocalità della brava cantante e a un brano che vede una brusca accelerazione nel finale. Con "Destino" si torna a esplorare territori oscuri di punk sperimentale: buona la ritmica (ma tenete presente che la produzione Lo-Fi ne penalizza notevolmente l'acustica) che esalta costantemente la pulsione del basso, a discapito delle chitarre; eccellente ancora una volta la prova vocale, che sembra tenere a galla le velleità artistico-sperimentali degli O.N.O.B. "Anima Sbagliata" è un mattone di oltre 10 minuti che ci trascina in ambientazioni da film horror, che per certi versi mi hanno evocato alcune cose proprio di quei Thee Maldoror Kollective che avevamo citato inizialmente e del loro ultimo 'Knownothingism', complice la voce irrazionalmente espressiva della frontwoman, che ci accompagna fino a un certo punto, prima di abbandonarci in sonorità lisergico-catartiche davvero ispirate, che sfoceranno addirittura in un assolo dalle tinte psych rock. Il disco ha ancora modo di offrirci altre piccole chicche: dal noise rock di "Agli Occhi degli Uomini" alla più sghemba "Ombre", che chiuderà il disco, passando attraverso la seconda cover del disco, la più normale e rockeggiante "Diversa", a firma The Underground Frogs. Un disco quello degli O.N.O.B., in grado di esaltare la filosofia del DIY e farci potenzialmente ampliare nuovi confini della nostra mente. (Francesco Scarci)

martedì 24 settembre 2024

Cabal - Magno Interitus Rework

#PER CHI AMA: Death/EBM/Industrial
I danesi Cabal hanno fatto uscire nel 2022 'Magno Interitus', un disco all'insegna di un death black, impreziosito da venature djent/hardcore. A distanza di due anni da quel lavoro, la band di Copenaghen torna con un EP, 'Reworks', che include quattro pezzi di quel lavoro, riletti in chiave elettro industriale dai talentuosi artisti elettronici Inhuman, John Cxnnor, Misstiq e il bassista della band, Johu. Ecco, quello che ne viene fuori è qualcosa di notevole, ma solo se siete di mente aperta e apprezzate le contaminazioni in toto in stile dei messicani Hocico e il loro EBM da discoteca. Si perchè quello che si palesa alle nostre orecchie è un sound intriso di musica techno che esplode veemente nei suoi battiti per minuto, quasi ci trovassimo in un rave party dove ballare tutta la notte su ritmi danzerecci. Quello che tiene la proposta ancorata al metal sono forse le vocals, rancide e rabbiose quanto basta. Questo almeno quanto ascoltiamo in "Magno Interitus", visto che già dalla successiva "Plague Bringer", gli ancoraggi alla musica estrema saranno molto più evidenti, sia a livello vocale (imponente il growling del frontman) che musicale, con una ritmica devastante, infettata da qualche effettistica elettronica giusto qua e là, cosi come qualche voce pulita estraniante il contesto. Il risultato però è figo anche laddove i nostri sfondano la barriera del death doom. Ma con "If I Hang, Let me Swing", le cose tornano a pompare pericolosamente in ambito techno hardcore con un quantitativo di bpm davvero sopra le righe, e vocalizzi growl che poggiano appieno sull'impetuoso tappeto ritmico. Ancor più folle la conclusiva "Exit Wound", che ci proietta in mezzo alla pista da ballo, con suoni sintetici in sottofondo, voci aliene, partiture industriali e tanto tanto altro ancora che vi invito ad ascoltare con le vostre orecchie. (Francesco Scarci)
 
(Nuclear Blast - 2024)
Voto: 75
 

venerdì 20 settembre 2024

Scarcity – The Promise of Rain

#PER CHI AMA: Noise/Black
L'ultima opera dei newyorkesi Scarcity, è qualcosa che va oltre le mie aspettative. D'altra parte, sarebbe stupido pensare che colui che ha preso in mano le redini del progetto Glenn Branca Ensemble, dopo la scomparsa nel 2018 del suo fondatore, non riflettesse, nella musica della propria band personale proprio gli insegnamenti del grande compositore Glenn Branca. Brandon Randall Mayers è membro del G.B.E. dal 2016, e con i suoi Scarcity, ha voluto proprio sconfinare e travisare le regole del metal, fondendole con l'avanguardia delle sinfonie di Branca. Il disco si apre con "In the Basin of Alkaline Grief", un capolavoro violentissimo di noise metal, no wave e postcore della Grande Mela, un brano spettacolare ed emblematico, quanto punto focale di quest'album, anche per il metodo di registrazione usato qui e in tutto il resto dell'opera (vedi anche "Scorched Vision" e "Undertow"). La scelta stratificata del muro sonoro è assai ricercata con l'effetto prorompente e rumoroso dell'impatto emesso, in realtà, da suoni che non intendono far insensato frastuono ma rumore clinicamente programmato e mirato. E ancora, le chitarre te le trovi puntate in faccia a dismisura, in una sorta di tortura sonica simile a un allarme isterico; la batteria in sottofondo esce da un piano interrato, per mostrare quanto si può elaborare una partitura ritmica in un brano esasperante, senza risultare ripetitiva e banale, con in più, reminiscenze jazz al suo interno. Infine il basso che, come un serpente impazzito, sfugge alle trame del brano, lavorando in una terra di mezzo per far uscire il suo valore reale. Poi, una parziale pausa al terzo minuto (ma non per le chitarre costantemente in fase di allarme) mette in risalto uno screaming che acquista un senso ben lontano dal solito grido in salsa black metal, con un bridge che non passa certo inosservato. Questo disco è strabiliante per effetto sonoro, da ascoltare in cuffia o ad alto volume, incurante del suo status di terrificante manifesto rumoroso, un campo di battaglia dove melodia, distorsione, tecnica, cacofonia e dissonanza, si fondono assieme, come se il pionieristico spirito di Glenn Branca rivivesse tra il caos di 'Evolution Through the Revolution' dei Brutal Truth, l'umore nero degli Swans di 'The Seer', e le cose più underground prodotte dai Sonic Youth, e tanto spirito No New York. Brano dopo brano, ci si innamora di questo sound corrosivo, emotivamente compromesso, che a ogni passaggio vuole esprimere creatività, una creatività estrema, illuminata e viva. Qui tutto è tensione, è un sound parallelo al canone costituito del solito metal estremo, che porta al suo interno lo spirito più duro e sperimentale della Grande Mela. Un'esperienza sonora che lascia grande soddisfazione, raccomandata e tutta da provare. (Bob Stoner)
 
(The Flenser - 2024)
Voto: 85
 

lunedì 2 settembre 2024

Mekigah - To Hold Onto A Heartless Heart

#PER CHI AMA: Drone/Ambient/Experimental
Ho recensito tutti gli album degli australiani Mekigah, seguendo da vicino l'evoluzione sonora di Vis Ortis, partendo dagli esordi dark gothic di 'The Serpent's Kiss', attraversando la fase death doom, fino ad arrivare alle ultime derive dronico-avanguardistiche dell'ultimo uscito 'Autexousious'. Un percorso assai complesso quello del mastermind di Melbourne, che con questo 'To Hold Onto a Heartless Heart', taglia il traguardo del quinto album. Una miscela sonora quella contenuta nelle sei tracce di questa release, come sempre parecchio ostica da digerire, che si dipana dalle atmosfere sinistre della lunghissima song posta in apertura. "Collapsing Under" dura infatti oltre 14 minuti, costituiti da suoni complessi, infausti e disomogenei, che spaziano con una certa disinvoltura dal drone all'ambient, passando per suoni tribali, noise, funeral e quant'altro di sperimentale possiate immaginare, il tutto accompagnato da un cantato in screaming in sottofondo, che evoca riti sciamanici o litaniche possessioni. Come immaginavo, nulla di quanto ascolterete qui è di facile ascolto, nemmeno la seconda "Broken Rhythm Pressure", che sembra debuttare più teneramente rispetto all'opener, ma presto si immerge in sonorità orrorifiche, affidandosi a suoni stralunati, vocals ingarbugliate, atmosfere tra il rarefatto e il rumoristico, e consegnandoci di fatto, un altro brano assai malato e angosciante, che richiede una grande fermezza d'animo per essere affrontato e non rischiare la pazzia. Se poi siete degli audaci, beh, allora potrete continuare a vivere il delirio musicale servito dal factotum australiano, passando attraverso la sghemba e alienante "Away Drifting From", più easy-listening delle precedenti, ma non per questo, di meno complicato ascolto. Le atmosfere continuano a mantenere contorni agghiaccianti, complice lo stridolio vocale del frontman e un incedere apocalittico che permea il disco nella sua interezza. Un cantico sirenesco sembrerà ammaliarvi nella più breve "An Infinitesimal Difference", ma fate attenzione a lasciarvi sedurre da quei suoi quasi gentili suoni, che lasceranno ben presto il posto alla marziale glacialità della sua coda noisy che sfocerà nelle derive infernali di "It Hisses So", un brano che potrebbe mischiare l'approccio danzereccio degli Hocico con la depravazione sonora degli Aevangelist, ma rallentato e amplificato rispetto alla violenta furia della band finlandese. Chi avrà la forza di arrivare sino in fondo, troverà "Eyes Glazed Over", l'ultima strenua prova di sopravvivenza offerta da quest'album; già vi avverto che non sarà affatto semplice, data la natura ipnotica, stridente e dissonante del brano che potrebbe condurre definitivamente alla follia. Pensavo che l'effetto sorpresa si fosse esaurito, ma mi sbagliavo, il buon Vis Ortis ha ancora molto da offrire. (Francesco Scarci)

mercoledì 28 agosto 2024

Eventide - Waterline

#PER CHI AMA: Experimental Sounds
Gli Eventide sono una costola che si è staccata del gruppo francese degli Epitaphe, o come da loro stessa ammissione, un'evoluzione sonora verso altri lidi musicali, territori che con la band madre non potevano essere evidentemente raggiunti, visto il genere prog, doom, atmospheric black metal trattato. Qui siamo di fronte a una naturale svolta verso l'ambient, il drone, con aperture al dark/jazz e una palese attitudine compositiva che ama le lunghe distanze, come se i brani fossero piccole colonne sonore. Si toglie spazio al ritmo, le chitarre diventano eteree, lisergiche, in funzione della ricerca atmosferica, in un'esplorazione che si avvale anche dell'aspetto sperimentale del jazz, e del suono del sax, che si mette sempre in buona luce in contesti simili. I 15 minuti di "Eventide", si aprono con aria mistico/ipnotica di casa Brendan Perry, con un cantato ancestrale (che è peraltro l'unico presente nell'album), per diventare in seguito un omaggio alle soundtrack degli Ulver, e alle lunghe sperimentazioni e libere improvvisazioni d'insieme. Si muove come una lunga intro dal suono d'ambiente, misteriosa e intensa. Il brano successivo, la titletrack "Waterline", l'unica a esser stata registrata in studio (il resto è tutto live), spiazza un po' l'ascoltatore con il suo mood virato a certe forme, almeno nella sua prima parte, lounge/ambient/jazz (ma prendete con le pinze questa definizione), e un ingresso di batteria che ricorda alcune cose più orecchiabili, e a mio modesto parere discutibili, sempre degli ultimi Ulver. Un brano che non spinge in realtà così tanto verso la sperimentazione, e che non aggiunge molto al già sentito in questi ambienti, e che sembra altresì adagiato su standard usuali, anche se mostra una buona coda finale. L'arrivo di "Adrift", è la cosa più disattesa, per quello che fin qui la band di Grenoble ci aveva fatto sentire. Si tratta infatti di un pezzo breve, di circa due minuti e mezzo, che si sorregge su note pizzicate di piano e acquisisce, per certi aspetti ipnotici, atmosfere eteree di matrice celtica, create dall'arpa splendida di Alan Stivell, che lo renderanno alla fine magico e assai intrigante, simbolo di una piena e raggiunta maturità compositiva. L'opera si chiude con la lunghissima "Sphere", che parte tra rumori in sordina e un sax in sottofondo, che mi ricorda le cose fatte dai Londinesi Lowering (non gli omonimi newyorkesi) in una versione più noise e underground, affidati però a una veste più ansiogena, strumentale e minimale del Dale Cooper Quartet and the Dictaphones. In definitiva, 'Waterline' si configura come un bel disco, sicuramente di transizione, che apre a un nuovo futuro per questi musicisti, un evidente distacco totale dalle belle cose fatte in passato con gli Epitaphe. Un nuovo tassello che va ad ampliare ulteriormente il già prolifico roster del multi artistico collettivo Eptagon di Grenoble. (Bob Stoner)

venerdì 26 luglio 2024

Venomous Echoes - Split Formations and Infinite Mania

#PER CHI AMA: Black/Death Sperimentale
Ascoltando quest'album, posso dire con certezza assoluta che le strade del metal estremo sono infinite e assai variegate. Ho scoperto di recente questa creatura estrema, e fin dal primo approccio, ne sono rimasto affascinato. La one-man-band del polistrumentista americano, Ben Vanweelden, torna in pista dopo l'ottimo debutto 'Writhing Tomb Amongst the Stars', con un nuovo album, uscito per I, Voidhanger Records, che continua sulle orme del suo predecessore e ne consolida la prolifica vena compositiva. Diciamo subito una cosa, 'Split Formations and Infinite Mania' non è per niente un album metal convenzionale. Al suo interno ci troviamo influenze di varia natura, dal black al suicide metal, dal death al metal d'avanguardia, e il noise, che è una componente molto importante per definire il concetto contorto, rumoroso e inquieto, di questa proposta musicale. Il disco nasconde sicuramente una forte vena oscura di avantgarde black metal ma l'interpretazione vocale e i testi rivolti alla dismorfia corporale e alle sue implicazioni psicologiche, virate tra il cosmico e all'horror, donano un landscape concettuale completamente diverso dalle classiche atmosfere maligne tipiche del black e death metal e, seppur usufruendo dei vari stilemi e crismi artistici, Venomous Echoes, crea un universo personale parallelo, dove certi canoni del genere vengono in parte sovvertiti. Di fronte a un impatto sonoro vicino alla devastazione propinata dai Portal, dove vi si può assaporare anche la vecchia scuola dei Morbid Angel, l'uso esagerato della voce in mille sfumature diverse, con conseguente utilizzo della migliore effettistica di scuola grindcore, fanno la differenza qualitativa di questo album. Penso anche che la quantità enorme di cantato, sempre con connotati drammatico / teatrali esasperati, che occupano un buon 70% delle composizioni, lasci nell'ascoltatore qualcosa di appetibile e facile da apprezzare, un contraltare che sopprime almeno in parte, alla poca presenza di veri e propri assoli di chitarra in stile classico, e alla natura del disco stesso propenso al rumore, cosi come inteso dall'artista americano, come mezzo d'espressione musicale, che qui, trova la sua massima espressione nel devastante brano "Abhoth Multiplied to Thy Millennium". Troviamo anche sparse qua e là, chitarre malate, malatissime, ed è il caso del pezzo che chiude il disco e che gli dona il titolo, "Split Formations and Infinite Mania", una vera e propria (s)tortura sonora con aspetti melodici multipli, degni di un vero film horror. Non mancano poi momenti oscuri e molto dark-oriented, come in "Miscreated Pustules", dove dopo appena un minuto circa di infuocato death/black, ci si imbatte in un jingle psicologicamente pericoloso, guidato da un basso spettrale, per poi tornare sulla via maestra. "For Thy Avant-void ha una cadenza rarefatta e i suoi suoni futuristi, stravolgono e spiazzano l'ascoltatore, trasportandolo nel finale verso le desolate terre del doom più decadente. Il metal estremo visto con gli occhi di un visionario cosmico, con una propensione all'horror psicologico, che non lascia nulla per scontato, dalla tipologia dei suoni usati, alla cura maniacale della voce, una splendida voce distorta. Un disco di sostanza che non punta mai sulla tecnica fine a se stessa, ma semmai gioca sulle atmosfere e sul piacere che porta una buona composizione nel suo insieme. La ricerca dell'impatto emotivo come fondamenta sonoro su cui orchestrare il resto, scalza il concetto del solo impatto ritmico/sonoro tipico del metal. Come se parlassimo di un'opera teatrale o cinematografica con effetti paralizzanti, focalizzati ad ammaliare la persona con una vena psicotica e oscura. Un disco che prosegue il cammino di un artista-sperimentatore, un disco che lo evolve ulteriormente, senza mai cadere nel calderone della banalità. Un album insano, terribilmente bello, straripante nella sua capacità espressiva. (Bob Stoner)

mercoledì 24 luglio 2024

LLNN/Sugar Horse - The Horror/Sleep Paralysis Demon EP

#PER CHI AMA: Sludge/Experimental
Una volta si facevano gli split album, oggi il minimalismo sonoro è arrivato addirittura a uno split 7": una canzone per uno quindi, cosi che i danesi LLNN e gli inglesi Sugar Horse, sono accontentati, e con loro, tutti i fan delle due band targate Pelagic Records. Si parte con gli LLNN e la loro "The Horror", un trip sonico all'insegna di un sound ambient-ritualistico, che riesce a sfociare in sonorità che parafrasano il titolo del brano, cosi orrorifiche e angoscianti, con l'arcigna voce affidata a Martin Skou guerriero live dei folksters Heilung. La proposta è davvero intrigante, con un sonicscape electro-industrialoide inquietante al massimo, affidato a suoni freddi e sintetici. Quando arriva la band di Bristol, è quasi un toccasana per le mie orecchi, vista una proposta qui virante a un post punk dissonante. Ecco infatti come si presenta "Sleep Paralysis Demon" sin dalle sue strambe e oblique note introduttive, con una voce pulita che lascerà presto il posto a lancinanti grida hardcore e al ringhiare delle chitarre, che arrivano a sprofondare successivamente nei meandri di uno sludge melmoso e altrettanto sghembo e disturbante, che proverà a insediare quei pochi neuroni residui del mio cervello. Anche qui la proposta è piuttosto particolare e alla fine devo ammettere, che avrei voluto ascoltare di più di entrambe le band. Speriamo pertanto che questo 7" sia il giusto antipasto per una portata di ben altra consistenza. (Francesco Scarci)

Zeal & Ardor - Hide in Shade

#PER CHI AMA: Avantgarde
In attesa di ascoltare il nuovo disco 'Grief', atteso per fine d'agosto, gli svizzero-statunitensi Zeal & Ardor ci danno in pasto un breve aperitivo, l'EP 'Hide in Shade'. Quattro pezzi, che saranno inclusi nell'imminente full length, utili per capire se la direzione stilistica della particolare band di stanza ora a New York, sia sempre quel connubio, da sempre vincente, di sonorità estreme unite a influenze afro-americane. E la title track (di cui è uscito anche un visualizer) posta in apertura, non fa altro che confermare l'attitudine avanguardista dell'ensemble, miscelando ritmiche estreme affiancate dal growling del frontman e partiture più morbide, con voci pulite e cori di chiara derivazione folk/gospel, con tanto di battito di mani a tenere il tempo. A me la proposta di Manuel Gagneux piace, per quanto mostri una vena un po' paracula e forse, stia un po' perdendo del cosiddetto effetto sorpresa. Tuttavia, i brani scorrono via veloci, pregni di ottime melodie, tanta ruffianeria (e "Fend You Off" potrebbe essere un esempio emblematico, comunque estremamente gradevole nella sua progressione, tra influenze alternative e di Devin Townsend memoria), una spettacolare performance canora, da sempre punto di forza del progetto, stralunate e angosciantissime derive sperimentali ("Clawing Out"), e una componente intimista ben accentuata, soprattutto nella conclusiva "To My Ilk". Insomma, un più che discreto antipastino, che però ora mi ha messo addosso una gran fame. (Francesco Scarci)

(Self - 2024)
Voto: 70

https://www.facebook.com/zealandardor/

lunedì 8 luglio 2024

Manes - Slow Motion Death Sequence Remixed

#PER CHI AMA: Avantgarde
Abbiamo appena recensito il nuovo EP 'Pathei Mathos' e la Aftermath Music ci ha sorpreso con un altro regalo: il remix del precedente album 'Slow Motion Death Sequence', realizzato da una brillante serie di ospiti di alto livello. Così, uno degli album più geniali della discografia dei norvegesi Manes, insieme a 'Vilosophe', è stato riproposto in una versione che sembra un disco completamente nuovo. Le danze si aprono con "Endetidstegn", uno dei brani più significativi dell'album. Il remix eseguito dai nostrani Aborym non mostra grandi differenze rispetto all'originale; tuttavia si nota una maggiore pulizia dei suoni, riducendo l'eccessiva ridondanza dei campionamenti elettronici presenti nella versione originale. La seconda traccia, "Building the Ship of Theseus", è stata notevolmente modificata dagli And Then You Die, che enfatizzano la voce dell'eterea cantante presente nella versione precedente e introducono un cantante dallo stile più stralunato, seppur in un contesto che sembra aver perso la magia dell'originale. La complessa "Night Vision" è stata reinterpretata dai francesi Område in modo sicuramente libero e avanguardistico, ma presenta alcune ombre a livello vocale, con una performance ovattata e penalizzante. La seconda metà della traccia è stata completamente stravolta, con un susseguirsi di suoni cacofonici al limite dello sconclusionato, ma considerando gli interpreti coinvolti, era forse ciò che ci si poteva aspettare. "Endetidstegn" è stata nuovamente proposta da Jørgen Mayer in una forma più pop, ma con un'effettistica più secca e diretta, che nella seconda metà virano addirittura verso sonorità electro-dance. Prossima è "Scion", originariamente collocata in seconda posizione nell'album originale e reinterpretata dai finlandesi Throes of Dawn, che modificano immediatamente la parte vocale introducendo una voce femminile in una versione languida e quasi ambient, ma che colpisce per le linee di chitarra reminiscenti i Pink Floyd, presenti nella seconda metà. Tuttavia, la voce di Cernunnos nell'originale è un piacere per l'udito, dotata di una timbrica unica e riconoscibile, mentre nella nuova versione, la voce tende a perdersi. "Chemical Heritage", nelle mani di Fluffybunnyfeet, viene presentata in una nuova e più accelerata veste dance degli anni '80, che sinceramente non mi ha entusiasmato particolarmente, sebbene si possa apprezzarne il tentativo ambizioso. La malinconica "Last Resort" è stata reinterpretata dal musicista norvegese Kristoffer Oustad in una dilatata e minimalista veste dronica, privata della duplice componente vocale presente nella versione originale. Infine, l'ultima traccia "Poison Enough for Everyone" è stata riproposta dagli stessi Manes in una versione completamente diversa, arricchita da una forte componente elettronica (compresa una voce robotica) che accentua il lato psichedelico del brano, ma privandola della parte angosciante che costituiva l'essenza della traccia originale. In conclusione, consiglierei questo remix a chi è alla ricerca di sonorità originali provenienti da una delle band che hanno maggiormente influenzato il panorama musicale estremo. (Francesco Scarci, Silvia Parri)

(Aftermath Music - 2024)
Voto: 70

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