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lunedì 24 febbraio 2020

Nairobi - S/t

#PER CHI AMA: Experimental Rock, Jesus Lizard
I Nairobi sono un trio sperimentale di Venezia che si potrebbe catalogare come puramente post rock, ma relegarli ad alfieri di questo genere sarebbe a mio avviso un grosso errore. Alla band veneta piace infatti uscire dagli schemi e costruire una propria personale interpretazione del genere, fatta di atmosfere a tratti più energiche e cariche di quel groove del post rock “canonico”, arrivando ad associare i nostri ai Jesus Lizard, i Primus ma anche agli Slint e ai Pink Floyd. I pezzi sono corti ed ermetici, pregni di un’energia e un’urgenza espressiva davvero encomiabili. Forti di una solidissima sezione ritmica e di una chitarra capace di tessere trame vibranti e ipnotiche, i Nairobi riescono a convincere pienamente già con questo primo disco d’esordio. Ogni atmosfera a cui la band si approccia è sviscerata ed esposta nella miglior maniera possibile, il pezzo "Tricky Traps" è un buon esempio di questa ecletticità del trio, dapprima con una scrosciante cascata di riff fangosi e ruvidi per poi passare nella seconda parte del pezzo ad una ritmica dimezzata ed una chitarra sognante, di uno di quei sogni strani che sono incubi ma non lo sembrano, quei sogni da cui ti svegli un po’ turbato, disorientato senza nessun apparente motivo. I pezzi si susseguono come onde oceaniche che si abbattono sulle scogliere verticali di pietre affilate, inarrestabili nella loro marziale foga, fino ad arrivare allo spartiacque onirico e sintetico intitolato "Turbo Pascal". Dopo questa breve pausa, i toni si fanno, se fosse possibile, ancora più sperimentali nei due pezzi di chiusura ("Megalopolis" e "Oh Guns Guns Guns!"), dove troviamo atmosfere lisergiche preponderanti, sebbene la fiamma del sacro riff rimanga sempre viva e presente e non smetta di ardere. Un disco ruvido, arrogante ma al contempo raffinato ed atmosferico, una composizione magistrale così come la sua esecuzione, una corsa contro il tempo passando per il vuoto completo, attraverso tempeste, spietati rovesci di grandine, in grado di elargire un’incredibile energia a chi lo ascolta. Consigliatissimo, per cui aspettiamo con ansia altra musica targata Nairobi. (Matteo Baldi)

(Brigadisco Records/Wallace Records - 2020)
Voto: 82

https://brigadiscorecords.bandcamp.com/releases

giovedì 21 novembre 2019

Suzan Köcher - Suprafon

#PER CHI AMA: Psych/Folk/Rock
La musicista tedesca Suzan Köcher e la sua band pubblicano per Unique Records il secondo disco intitolato 'Suprafon', una miscela di dream pop, folk e psichedelia che ricorda i Velvet Underground ma anche i Fleetwood Mac per la pacatezza e morbidezza dei suoni, oltre che al piacevolissimo ascolto. Proprio la facilità d'ascolto secondo me è il punto di forza di questo lavoro, può funzionare da sottofondo infatti in qualsiasi occasione e non richiede una concentrazione particolare, anzi ha il potere di sciogliere la tensione emotiva e ristabilizzare le emozioni anche se per un breve tempo. Il singolo “Peaky Blinders”, peraltro aperto da un bellissimo video dai toni plumbei e piovosi, è una ballata calma e sognante, le chitarre sono chiare e riverberate e accompagnano la splendida voce di Suzie nella sua passeggiata musicale tra synth melliflui e nuvole sonore. Sentire 'Suprafon' è come andare a fare un picnic in campagna, circondato da campi di grano e raggi di sole, la pacatezza e l’atmosfera sono avvolgenti ed esortano a prendere la vita non troppo sul serio, a divertirsi e pensare positivo. Una song da citare è sicuramente "Night by the Sea" che con il suo dolce incedere tra chitarre acustiche e l’accoratissima linea vocale che sembra rievocare un’atmosfera western, perfetta per la colonna sonora di un film di Tarantino, senza dubbio risulta il mio pezzo preferito del cd. Impossibile non nominare l’incantevole chiusura del disco, la title track "Suprafon", forse la summa delle intenzioni che la band ha voluto riversare in questo secondo disco. Le vibrazioni sixties si sentono prepotentemente, una pulsante linea di basso fa da sfondo ad una ballata rock'n'roll dai toni chill out lisergici e colorati, con un ritornello così catchy quasi a far venire nostalgia della summer of love, di woodstock e degli hippie. Suzan Kocher & co. hanno sfornato un disco altamente godibile, consigliatissimo a tutti gli amanti del folk rock che abbiano voglia di sentire una band nuova dal suono originale e che porti il vessillo della musica sessantiana senza alterarne l’idea originale, ma anzi arricchendola di freschezza e nuove idee. (Matteo Baldi)

(Unique Records - 2019)
Voto: 78

https://suzankoecher.bandcamp.com/

domenica 6 ottobre 2019

Rev Rev Rev - Kykeon

#PER CHI AMA: Shoegaze/Alternative
I Rev Rev Rev sono una di quelle band difficilmente etichettabili che passano dallo shoegaze all’industrial e alla dark wave, passando per vocalizzi eterei, spigolose dissonanze e molto molto rumore. Una prova convincente questo 'Kykeon', meditativo, denso e completo, all’ascolto godibile e mai scontato, con un’energia trascinante e delle atmosfere personali e accattivanti. “Waiting for Gödel” apre il disco con bordate di rumore guidate da una ritmica marziale e concisa; il rumore poi continua, non ci sono giri distinguibili ma solamente una coltre di suono droneggiante. Sembra di sentire il rumore di una fabbrica immensa dove si producono robot senzienti e assetati di conoscenza e di conquista, un esercito di latta che avanza lentamente ma inesorabilmente e che si insinua in ogni angolo del pianeta. Segue “Clutching the Blade” con i suoi scenari abrasivi e ruvidi, i suoi riff davvero bizzarri, quasi psicopatici, ancora più rumore ancora più lame che tagliano carne, terra e pietra. Degna di nota la parte dove la canzone lascia spazio al rumore, come se fosse in realtà il rumore la canzone e tutto il resto di contorno. Tuttavia nulla urta l’orecchio anzi, le frequenze penetrano insistentemente nel cervello annullando ogni altro pensiero. Anche in “3 Not 3” il pattern è lo stesso, solamente in questo pezzo la voce prende quasi un significato salvifico dal noise macabro ed inarrestabile, l’unica àncora di salvezza in un mare di ignoto ostile che tutto inghiotte. I Rev Rev Rev sono in grado, attraverso gli arrangiamenti finemente pensati e realizzati a regola d’arte, di far stare in piedi i pezzi in modo efficace ed originale; la commistione di dark wave, rumore e voci decadenti non è di certo cosa nuova, ma il modo in cui il quartetto di Modena lo propone è qualcosa di assolutamente personale e unico. A volte mi sembra addirittura di sentire qualche eco lontano dei Black Sabbath, saranno i riff demoniaci, la ripetitività delle parti, non saprei, ma qualcosa mi riporta alla mente anche lo stoner e generi di musica decisamente più estrema, ma come dicevamo, la band non può essere efficacemente relegata in un solo ambito musicale. Ascoltare tutto 'Kykeon' è un’esperienza mistica e totalmente immersiva, il flusso è continuo e denso e non molla mai, inoltre il potenziale pubblico è davvero ampio, mi sento di consigliare infatti questo disco a chiunque abbia voglia di sentire qualcosa di energetico, intenso, rumoroso ma allo stesso tempo leggero, ciclico e orecchiabile, al di là delle etichette di genere, al di là delle etichette in genere. (Matteo Baldi)

giovedì 25 luglio 2019

Seine - 22

#PER CHI AMA: Experimental Rock, The Mars Volta
Un nome inusuale per un disco, '22' è una cifra che in numerologia pitagorica identifica l’archetipo del creatore, l’attitudine alla creatività e all’innovazione. Di creatività in quest’album ne abbiamo da vendere, una miscela esplosiva di shoegaze, electro pop e trip hop di stampo decisamente atmosferico ma con una base di follia quasi schizofrenica a ricordarmi band come i Deerhoof e i Ponytail. "Novče" con la sua chitarra rock e la sua voce stralunata ai limiti dell’intonazione, descrive un paesaggio squilibrato e assurdo, mi vengono in mente immagini a cartoni animati coloratissimi, come quando si deve rappresentare il trip lisergico di qualche personaggio. Tra nuvole rosa, elefanti verdi e arcobaleni che escono dai cespugli semoventi i Seine tracciano un percorso squisitamente personale, a volte forse troppo esagerato nella bizzarria sonora, ma sempre unico e originale. Interessante "Pitaju", uno dei pochi pezzi con una evidente vena malinconica, dimostrazione di come anche solo con una chitarra e voce si possa essere davvero stravaganti. Fiore all’occhiello di '22' è sicuramente l’attenzione alla ritmica oltre che all’atmosfera altamente inusuale ed eccentrica, il pezzo che lo dimostra meglio secondo me è "Borovnica", il mio pezzo preferito del disco, che si costruisce su una sola nota ostinata seguita da una ritmica ansiotica, claudicante e stordita ma allo stesso tempo molto complessa e dettagliata a ricordare, prendetelo con le pinze, i The Mars Volta e i Flaming Lips. Una prova sicuramente lodevole per il coraggio e per l’originalità, anche se non riesco proprio a capire se sia davvero efficace la scelta dei Seine, in quanto a volte l'eccessiva eccentricità rischia di sfociare nella strampalatezza, con il filo mai del tutto chiaro. Tuttavia in '22' si sente che la volontà è esattamente quella di rendere questa musica, gli arrangiamenti, il songwriting e il concept artistico il risultato di una ricerca e nulla, e che, per quanto strambo e strano sia, sia stato conseguito per caso. (Matteo Baldi)

(Moonlee Records - 2019)
Voto: 69

https://seine.bandcamp.com/album/22

lunedì 17 giugno 2019

Bjørn Riis - A Storm is Coming

#PER CHI AMA: Progressive Rock, Porcupine Tree, Pink Floyd
È davvero incredibile come dalla penisola scandinava escano continuamente proposte musicali originalissime e di una qualità altissima. Bjørn Riis, già frontman degli Airbag, ci delizia con questo 'A Storm is Coming', sei epici brani sul tema delle relazioni umane, della perdita di qualcuno di caro, scritta come un dialogo tra due persone. I pezzi sono struggenti ed emozionalmente intensi, si sente un lontano eco delle grandi band degli anni d’oro del rock, una su tutti i Pink Floyd, come nella splendida suite di apertura "When Rains Fall", cosi come pure band più recenti che portano in alto la bandiera del prog, e penso ai Porcupine Tree, come nel secondo pezzo "Icarus". Il dialogo tra la voce e la chitarra solista è il punto forte del disco, anche se ormai di assoli ne abbiamo tutti avute piene le orecchie, le evoluzioni di Bjorn sulla sei corde sono più che altro slanci di espressività che la voce non può raggiungere, layer di emozione che si posano uno sull’altro. Il risultato finale dei brani è senza dubbio qualcosa di unico e particolarissimo, che affonda le sue radici nella migliore tradizione del prog internazionale e che cerca di rievocare i fasti di uno dei generi musicali più belli mai inventati dall’uomo, a mio parere, con successo. Per tutta la composizione siamo come sospesi su nuvole di fumo bianco, in un cielo terso ed infinito, dove niente è turbato da niente e dove la perfezione è così immacolata da trasmettere tristezza e senso di impotenza come quella che prova un marinaio solo in mezzo al mare e in mezzo al cielo. Se non ci credete provate ad ascoltare "You and Me" e poi ne riparliamo. Si prosegue con "Stormwatch", un pezzo che con il suo quarto d’ora di lunghezza copre svariati paesaggi, oltre che alle usuali sospensioni estatiche anche dei pesanti riff distorti che arrivano come un fulmine a disturbare la calma del tappeto di synth e chitarra acustica, poi ancora assoli di gilmouriana memoria e linee vocali sentite e accorate. Ogni brano è un viaggio che porta ad esplorare le sfaccettature della propria interiorità e che porta a chiederci se siamo in grado di sopportare il dolore che una perdita può lasciare o il vuoto che le relazioni tra noi, per la loro profonda imperfezione, si lasciano dietro. 'A Storm is Coming' è un modo splendido di far fronte a queste emozioni che ci affliggono ma che ci permettono anche di andare oltre noi stessi, di crescere e trovare qualcosa che da soli non riusciremo mai nemmeno a cercare. Tutto questo nella consapevolezza chre non possiamo evitare il dolore e il vuoto, così come non possiamo fermare l’avanzata delle nubi cariche di pioggia e fulmini, così come di fronte alla tempesta che si avvicina minacciosa, non possiamo far altro che aprire le braccia ed accogliere tutta la sua magnifica e spaventosa potenza. (Matteo Baldi)

mercoledì 12 giugno 2019

The Vasto - In Darkness

#PER CHI AMA: Punk/Hardcore
A partire dal nome, i The Vasto non le mandano di certo a dire, la furia distruttiva ed il gusto per la rabbia più pura e feroce sono infatti le caratteristiche principali del loro punk-core viscerale e questo 'In Darkness' segna il punto di definizione della loro identità artistica. Interessante la commistione tra assalti al vetriolo e momenti più calmi come l’inizio di "Fractures", come le onde del mare che prima di infrangersi sugli scogli formano una risacca che porta il fondale alla luce del sole. Non si pensi a qualcosa di post oppure troppo emozionale, la rabbia e l’intensità impregnano pesantemente ogni nota, ogni intro, ogni passaggio. Sì, la risacca funziona come metafora ma solo per mostrare un fondale marcio, pieno di plastica e detriti della civiltà umana, non c’è niente di idilliaco o di poetico, solo un rigurgito di nausea verso tutto e tutti, che non si ferma davanti a nulla. "Fractures" è forse il mio pezzo preferito del disco grazia alla varietà di ritmiche usate e alla sua potenza espressiva, si passa dalla classica ferocia punk ad una coda a ritmo dimezzato propria di generi distanti dalla radice core della band, a riprova del fatto che i The Vasto non sono solo rabbia cieca ma lucida creatività e consapevolezza artistica. "Constellation" con i suoi riff granitici e gli arpeggi dissonanti potrebbe sembrare a tratti una canzone dei Cult Of Luna o dei Deathspell Omega, senza mai perdere di vista il quel tocco personale che i The Vasto sanno conferire ad ogni loro brano. Chiude il disco un’adrenalinica "Crocodile Tears" dove la radice punk si fa ancor più evidente sempre accompagnata da ruggenti stacchi di distorsioni fino al rallentamento e alla conclusione finale di 'In Darkness'. Sicuramente un disco che soddisferà il palato degli appassionati del genere ma che sarà in grado di dare spunti originali ed inaspettati a chiunque lo ascolti. Se cercate qualcosa di arrabbiato e ruvido, ma che al contempo sia in grado di spaziare dal proprio genere di provenienza, qualcosa di personale insomma, di squisitamente unico e compiuto nella sua concezione, allora mi sento di consigliarvi vivamente questo ultimo disco dei The Vasto, sono sicuro non ne resterete delusi.(Matteo Baldi)

(Overdub Recordings - 2018)
Voto: 78

https://thevasto.bandcamp.com/

giovedì 23 maggio 2019

Serpents - Scongiuri

#PER CHI AMA: Ambient/Esoteric/Dark
I Serpents non sono una band usuale, e non è facile collegare la loro proposta con altre band esistenti, il che è davvero un sollievo, ogni tanto un po’ di personalità ci vuole. A ben guardare, potrei citare come somiglianza di intenti alcuni loschi figuri della scena underground come Petrolio, Sigillum S, Alos e Naresh Ran, tutti artisti che nel male ci sguazzano e che dell’ignoto si nutrono. La spinta esoterica del duo formato da Karyn Crisis e Luciano Lamanna è chiara ed è corroborata dalla capacità per niente scontata di trasmettere questa pulsione alla stregoneria in un ambiente tetro e macabro, rarefatto ma allo stesso tempo denso di atmosfera e di oscurità. La maestria nello stendere tappeti elettronici e nel decorarli con bisbigli, sospiri a tratti qualche vocaleggio spiritato, è la parte più interessante del progetto, non avrei mai pensato che con così pochi elementi si potesse costruire un’architettura così intensa e così emozionante. La sensazione è quella di star assistendo ad un rituale tra antichi stregoni neri dove un’innocente vergine viene sacrificata ed il suo sangue condiviso tra gli astanti che godono della visione delle gocce scarlatte che scendono sulla candida pelle della vittima. Se non mi credete provate a spegnere la luce ed ascoltare 'Scongiuri', c’è una buona probabilità che vi troverete a contemplare gli occhi infuocati di Lucifero. (Matteo Baldi)

(Bloodrock Records - 2019)
Voto: 78

https://lucianolamanna.bandcamp.com/album/scongiuri

martedì 21 maggio 2019

Orso – Paninoteca

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale, Pelican
Sono sincero, con una copertina del genere e un titolo così, ho fatto fatica a prendere sul serio la proposta degli Orso. Tuttavia, alla prova del play sono rimasto piacevolmente sorpreso, a riprova del fatto che non va mai giudicato un album dalla sua copertina. La proposta degli Orso è un post metal sludggione strumentale, pregno di ambienti e di dissonanze che penetrano come lame sotto la pelle. Più si prosegue nel disco poi, più i toni oscuri e maligni entrano nel cervello come una colata di petrolio incandescente. L’incipit "Sloppy Joe" riversa lapilli di lava nei timpani dell’ascoltatore, tra bordate di batteria violente, arpeggi in stile Deathspell Omega da far rabbrividire anche il più efferato metallaro. "Choripan" con i suoi otto minuti abbondanti di ambienti, descrive degli scenari da film, senza privarsi di momenti pesanti dove i distorsori prendono il sopravvento sulle scie dei delay. "Horseshoe" dimostra poi come i quattro ragazzi di Losanna siano in grado di scrivere ottimi riff sludge riuscendo ad ottenere quei landscapes alla Pelican, ma anche alla Melvins, fino a sfociare in sfuriate vicine al post hardcore. In generale, ogni pezzo si svolge come una storia a sé e definisce come un racconto, fatto di pieni e vuoti, di rilassamento e di intensità. Un disco non facile 'Paninoteca', dove la sua seconda parte si dimostra assai più ardua da ascoltare, diciamo che avrei apprezzato fosse durato la metà, in ogni caso non è un difetto che disturba più di tanto, quanto la mancanza di significato. Mi spiego meglio, questo disco non manca di tecnica, non di buone canzoni o di arrangiamenti, semmai manca di un messaggio, tutto quello che sta intorno alla musica. Dobbiamo sempre ricordarci che le canzoni sono fatte per essere ascoltate e che l'ascoltatore ha bisogno di un contesto e di un significato per capire in cosa sta investendo, in questo caso quasi un’ora della sua vita. Ecco 'Paninoteca' non mi pare proprio un messaggio adeguato alla proposta musicale degli Orso; se non avessi ricevuto questo disco dal Pozzo dei Dannati, non mi sarei mai e poi mai lanciato nell’ascolto di un lavoro con un titolo del genere. Sarebbe un disco quasi perfetto musicalmente, con personalità, talento e attenzione ai suoni ma ragazzi, siate più seri, la mollica di pane in copertina non si può proprio guardare. Esistono artisti grafici talentuosissimi, per nominarne un paio STRX e Coito Negato che per un investimento esiguo avrebbero potuto rendere graficamente la vostra musica in maniera decisamente migliore; allo stesso modo in cui avete affidato il mix al chitarrista dei Converge e il master a Magnus Lindberg (Cult of Luna), avreste dovuto curare la parte grafica e il messaggio allo stesso modo. Un vero peccato che penalizza pesantemente il mio voto conclusivo. (Matteo Baldi)

(Czar of Crickets - 2019)
Voto: 62

https://orsoband.bandcamp.com/album/paninoteca

lunedì 20 maggio 2019

Orsak:Oslo - S/t

#PER CHI AMA: Instrumental Post Rock, Mogwai
Il post rock è un genere ormai inflazionato e vanta una produzione di band e dischi vicina alla saturazione. Tuttavia fa sempre piacere sentire una band che interpreta il genere in modo personale e originale, come nel caso di questo disco dei Orsak:Oslo, una lavoro che ricorda gli Earth ma anche gli Alcest e i Mogwai con una tendenza all’oscurità e alla meditazione. Sono paesaggi i pezzi di questo disco che si susseguono come in un lento viaggio percorso a piedi, con calma, senza la fretta di arrivare da qualche parte ma solo con la volontà di viaggiare e di scoprire nuovi luoghi. I pezzi scorrono con intensità tracciando scenari fiabeschi a tratti, e a tratti inesorabili e maestosi. Seppur il disco sia strumentale, la soddisfazione delle nostre orecchie così come l’attenzione mentale, è completamente catturata dai sentieri lunghi e impervi che questi ragazzi hanno costruito per noi. Si percepisce distintamente che non si tratta di una prima prova e che tra i musicisti ci sia un’alchimia particolare, un equilibrio unico in cui ognuno riesce a dare esattamente il contributo che serve alla musica, nulla di più, nulla di meno. Tra tutte le tracce spicca la cadenzata "Sleepwalker", decisamente la mia preferita del disco, che con i suoi gravi tonfi di chitarra e la sua ritmica mi fa sentire come se stessi partecipando ad una seduta di meditazione profonda, in mezzo ad incensi e candele, al cospetto dell’immagine del divino così severa nella suo palesarsi a chi l’ha invocata, e così piena allo stesso tempo di risposte e di domande, una contemplazione intensa e purificatrice. La seguente "Crying For Sleep" invece presenta degli spunti più trionfali, quasi celebrativi con i suoi ambienti rarefatti e i suoi arpeggi sbilenchi sembrano delle foglie di una foresta infinita che si muovono all’unisono sui rami di alberi millenari che mai saranno toccati da mano umana. Orsak:Oslo è un bell’intreccio d'improvvisazione e di composizione con degli sprazzi di psichedelia e blues ben amalgamati tra loro con grande maestria e con forte personalità. Davvero un ottimo disco, consigliato a tutti gli amanti del post rock e in generale a tutti quelli a cui piace perdersi nei pensieri, fissare il tramonto o guardare le nuvole che sornione passano e continuamente cambiano forma. (Matteo Baldi)

lunedì 13 maggio 2019

Lucy in Blue – In Flight

#PER CHI AMA: Psichedelia/Prog Rock, Porcupine Tree
Non avevo mai sentito i Lucy in Blue prima d’ora ma di sicuro non li scorderò facilmente. 'In Flight' è un disco che mi ha stregato e mi ha fatto venir voglia di rispolverare i vecchi vinili dei Pink Floyd di mio padre e riascoltarmi la discografia completa dei Porcupine Tree. Siamo davanti ad una personalissima reinterpretazione del prog rock di stampo anni sessanta/settanta con una vena psichedelica e post importante. Gli ambienti dei Lucy In Blue sono immaginifici, sognanti e pieni di suggestione, saranno probabilmente stati i paesaggi ghiacciati e i tramonti islandesi ad aver conferito ai pezzi una tale cinematograficità e una tale intensità emotiva. Perfetto per una colonna sonora di un film, adattissimo all’ascolto in solitudine sulla poltrona a contemplare la notte, 'In Flight' riesce a riassumere la lezione delle grandi band del passato e a tramutarlo in qualcosa di nuovo, fresco e accattivante. Il dittico d’inizio "Alight" pt.1 e pt.2 è come un’infinita sequenza di lenzuola di seta che si stendono una sull’altra, senza peso, senza sostanza, fatte solo di leggerezza. La voce poi a ricordare moltissimo i primi lavori di Syd Barret con i Floyd, aggiunge quella componente malata e allucinogena che allarga la percezione e induce ad una trascendenza lisergica artificiale così piacevole e così profonda da sembrare tangibile. I pezzi sono vari ma lo stile e l’identità della band rimane; "Nùverandi" ricorda "Wish You Were Here" e lo struggente quanto leggendario rammarico per il compianto diamante pazzo. "Tempest" vanta la presenza di un frenetico prog rock che ricorda gli Area e i Jethro Tull, con quei suoni di organetto così evocativi dell’epoca d’oro del prog che quasi mi fanno commuovere. Una menzione merita anche la title track, indiscutibilmente il mio pezzo preferito del disco, che con i suoi quasi dieci minuti di lunghezza offre una selezione dei migliori ambienti dei Lucy in Blue e li conferma come maestri di espressività strumentale ed emozionale. Nonostante alcuni piccoli inciampi nel mood delle canzoni, il disco rasenta la perfezione. In particolare mi riferisco a momenti troppo frenetici seguiti da ambienti rarefatti ed intangibili, ove a volte la transizione appare troppo repentina, ma questo è il mio gusto personale, sono sicuro che altri ascoltatori potrebbero trovare questa caratteristica piacevole e interessante. Consiglio vivamente i Lucy in Blue a tutti i nostalgici della psichedelia e del prog, sono certo che troveranno gran soddisfazione nel volo di 'In Flight' e sono altrettanto certo che vorranno ripetere l’esperienza più e più volte finché la realtà non si squaglia e rimangono solo delle soffici nuvole dai colori pastello e un caleidoscopico cielo notturno adornato da un milione di stelle che lampeggiano ad intermittenza casuale e che non vogliono saperne di stare al loro posto. (Matteo Baldi)

(Karisma Records - 2019)
Voto: 82

https://lucyinblue.bandcamp.com/album/in-flight

martedì 12 marzo 2019

Darsena - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock/Noise
I Darsena sono un duo doom experimental con uno spiccato gusto per le atmosfere e per il disagio sonoro. L’attitudine di questo primo EP self tiltled è oscura, rabbiosa ma anche meditativa e tantrica come dimostra il brano di apertura “SOMA” dove gli arpeggi e le linee di chitarra sono particolarmente struggenti ed evocative. Intrigante anche il brano “ICAM” accompagnato sulla rete da un videoclip che ritrae la band intenta nell’esecuzione del pezzo, in quella che sembra essere la loro sala prove. “ICAM” è forse il brano più rappresentativo del duo ferrarese, chitarre sature, ritmiche larghe e imponenti gli elementi più caratteristici, in più c’è quel lontano eco di Tool che male a mio avviso non fa. I Darsena ben si destreggiano egregiamente tra paesaggi desolati e attacchi sonori granitici e graffianti, una band che ha appena iniziato a grattare la superficie di quello che potrà sicuramente essere un percorso interessante. Noi ci saremo, e ad orecchie tese. (Matteo Baldi)

sabato 9 marzo 2019

Demetra Sine Die - Post Glacial Rebound

#PER CHI AMA: Black/Post/Alternative
I Demetra Sina Die sono un progetto di Marco Paddeu che già ci ha incantato e ipnotizzato con le derive ancestrali e ultraterrene dei suoi Sepvlcrum. 'Post Glacial Rebound' è un disco che trasmette energia, quell’energia pura di qualcosa che vuole passare dal mondo delle idee alla realtà e alla carne. Distorsioni potenti, sature, carichissime di armoniche, ritmiche rituali e insistenti, vicine allo stoner ma anche a musica più raffinata come gli A Perfect Circle, la voce è una tagliola nelle parti urlate e suadente e mistica nelle parti pulite a ricordare quella di Al Cisneros degli Om e degli Sleep. Il disco scorre con facilità e con omogeneità, uno dei miei pezzi preferiti è "Gravity" con la sua voce demoniaca e gli agghiaccianti arpeggi di chitarra su di un groove incedente e deciso, molto indicata per sessioni di meditazione o di medianità spiritica. Nei suoni nove minuti di estensione arriva ad un’intensità vicina al balck metal per rilasciare la tensione con dei lunghi e religiosi accordi propri dello stile Neurosis. "Eternal Transmigration" poi, con il suo spoken words e le sue malefiche risate mi fa rizzare i peli sulla nuca; quando l’ho sentita la prima volta infatti mi sono alzato dalla sedia e mi sono guardato le spalle, avevo la netta sensazione che qualcuno fosse in piedi dietro di me e mi stesse osservando. La finale title track racchiude poi tutte le migliori caratteristiche del disco, dagli ambienti tossici a desolati fino alle dense distorsioni passando per le grida disperate di Marco su un tappeto di disagio cosmico. 'Post Glacial Rebound' è una vista dall’alto di un mondo caduto in disgrazia, dove la vita non è riuscita ad avere la meglio sull’ambiente ostile che tutto pervade e nulla perdona. Dalla sommità di una montagna innevata si vede fumo nero alzarsi in compatte colonne e ricongiungersi con il cielo plumbeo e minaccioso come ad erigere un tempio alla distruzione e alla sovranità indiscussa della natura. Le fiamme hanno eroso qualsiasi cosa, rimangono solo cenere e lacrime, le lacrime di un’umanità così ottusa da aver distrutto se stessa e aver scatenato l’ira della natura, ultima e incontrastata sovrana della terra e dell’universo a cui forse anche noi che viviamo nella “realtà”, dovremo dare più ascolto per sperare che le ambientazioni di questo notevole disco non si tramutino nell’ambientazione della nostra vita. (Matteo Baldi)

martedì 19 febbraio 2019

L'Avversario - Lo Specchio

#PER CHI AMA: Electro-pop
Un disco palindromo, uno specchio che riflette se stesso, un uroboro musicale che si ritorce su se stesso. 'Lo Specchio' è un disco contorsionista, l’idea non è facile da rendere, tantomeno da concepire, tuttavia, seppur molto efficace nella comunicazione, questa sua caratteristica “a specchio” non è quella che salta alle orecchie come la principale particolarità della musica de L'Avversario. I testi e l’intenzione electro-pop, vicina quasi al trip hop, mi coinvolgono più del mirroring; ci sono canzoni struggenti, emozioni intense e scorci di quotidianità pregni di emozioni. Un esempio è il brano "20 Anni", che nel suo robotico incedere, descrive com’è la sensazione di guardarsi indietro, del sentire lo scandire del tempo che avanza inesorabile ma anche del riconoscere la bellezza pura e immortale di una nonna che si prende cura della sua famiglia. Il pezzo è contrapposto alla psichedelia di "Canzone Celiaca", con i suoi immaginari impossibili di meduse impazzite e radiazioni solari. Se si ascoltano una dietro l’altra, le due canzoni hanno un che di familiare, ovviamente se non lo sapessi non riuscirei a notare la natura palindroma delle due, seppur l’ascolto delle due mi lasci una strana sensazione di vertigine non meglio definita. Il pezzo di raccordo de 'Lo Specchio' è "Bucarest": qui la voce di Andrea sembra cercare la sua umanità perduta attraverso un abbraccio o la vicinanza di qualcuno. A metà del brano il disco si rigira su se stesso, non si nota subito ma verso i tre minuti si capisce che si sta ascoltando qualcosa di altamente inusuale, per via di un incantesimo maligno che sembra pervadere il brano, un incantesimo che rimane in testa e non se ne va. L’ascolto de 'Lo Specchio' è un’esperienza mistica, qualcosa che va al di là dei soliti ascolti; nonostante la sua natura palindroma non sia così evidente, al contrario invece della sua spiccata originalità a livello di songwriting e poetica, l’esperimento si può considerare pienamente riuscito. Attendo con curiosità la prossima prova de L’Avversario, chissà cosa s'inventerà la prossima volta il buon Andrea Manenti, mente di questo progetto? Un disco senza consonanti? Un disco con formule matematiche al posto delle parole? Un disco normale ma registrato ed eseguito a testa in giù? Staremo a vedere, nel frattempo godiamoci 'Lo Specchio'. (Matteo Baldi)

martedì 12 febbraio 2019

Winter Dust - Sense by Erosion

#PER CHI AMA: Post-Hardcore/Post Metal, Cult of Luna
Di band post rock ne è pieno il mondo, ma sono poche quelle che sanno davvero trasmettere qualcosa e i Winter Dust figurano esattamente tra queste. La carica emotiva dei pezzi contenuti in 'Sense by Erosion' è infatti davvero potente e riesce a smuovere anche quegli animi impietriti dalla routine e dalle ore passate davanti al pc. Una vera cura per l’anima quindi. Le chitarre stratificate in mille layer psichedelici tessono a volte una trama di seta ed in altri casi strati di ferro, come una cotta di maglia impenetrabile. Complice la proficua vena post-hardcore, caratteristica fondante della band, che s'insinua nelle soavi linee melodiche come acido muriatico, la struttura, gli arrangiamenti, nonché la resa su disco della musica dei nostri, risultano sempre brillantemente bilanciate grazie all'opera dietro alla consolle di un egregio Enrico Baraldi. Una fusione tra Sigur Ros e Russian Circle, tra Cult of Luna e Mogwai con violente esplosioni vocali, laceranti grida disperate che rompono la magia degli eterei affreschi allucinogeni per innalzare lo stato mentale ad un’altra dimensione e per allargare violentemente la percezione. Notevole e mio preferito il brano "Duration of Gloom", che nei suoi nove minuti di durata passa per tutti gli ambienti che i Winter Dust riescono a dipingere, divenendo cosi il brano più rappresentativo del disco. Una menzione d’onore anche alla chiusura affidata a "Stay" con i suoi soffici ambienti di pianoforte che ci cullano fino alla fine del disco. Ascoltare i Winter Dust è come starsene stesi sull'erba, con il viso proiettato a guardare le stelle di notte e avere la netta sensazione di vedere i movimenti degli astri, di capire come si sfiorano nella loro eterna danza e di sapere che in fondo, non siamo altro che degli ammassi di cellule su una roccia lanciata nello spazio a centomila km/h. (Matteo Baldi)

(Dischi Sotterranei - 2018)
Voto: 80

venerdì 8 febbraio 2019

As a New Revolt - TXRX

#PER CHI AMA: Rapcore, Rage Against the Machine, Nine Inch Nails
Non sono il più grande entusiasta quando si parla di rap, non mi ha mai trasmesso più di tanto a parte alcune rare eccezioni. Beh, gli As A New Revolt è una di queste! Si tratta di un disco abrasivo e pieno di disagio, le chitarre sono ruggenti e spigolose, la batteria è presente e martella come un treno in corsa, ci sono dei synth, unica reminiscenza dell’hip hop anni '90. La voce infine, pungente e penetrante completa un quadro sonoro che riesce a sbordare dai confini sia del rap che del rock, scavandosi un piccolo loculo tra le due grandi potenze. A me vengono in mente i Rage Against the Machine, ma anche gli Incubus e i Nine Inch Nails, 'TXRX' non è un disco felice o strafottente come la maggior parte del rap che mi capita di sentire, c’è molta intensità tanto che a volte le cuffie riversano delle urla efferate di gola (Manu stai attento che ti fai del male!), tanto da sembrare quasi che qualcuno stia subendo un'indicibile tortura ma che allo stesso tempo, stia lottando con tutte le sue forze per liberarsi da essa. La potenza espressiva di 'TXRX' coinvolge l’ascoltatore in un vortice di rabbia e di energia selvaggia, parole come lance immerse in un mare di frequenze malate e disturbanti sostenute da rimiche tribali ed imprevedibili. Un bell’esempio di come il rap non sia solo berretti di traverso, pantaloni larghi e frasi senza senso, bravi continuate così! (Matteo Baldi)

(Sand Music - 2018)
Voto: 75

https://www.facebook.com/asanewrevolt/

sabato 2 febbraio 2019

Tarpit Orchestra - Songs About Dragons

#PER CHI AMA: Stoner/Hard Rock, Kyuss
Uno stoner alla Kyuss, primi Queens of the Stone Age, quello dei finlandesi Tarpit Orchestra: chitarre scure, riff pesanti, martellate su martellate. Gli arrangiamenti e le canzoni scorrono senza intoppi in questo 'Damn Dragon', anzi forse un po’ troppo senza intoppi. Mi spiego meglio. Senza dubbio, la band ha una tecnica e una capacità musicale superiori alla norma, tuttavia nel genere iper inflazionato dello stoner, è necessario essere più originali degli altri per spiccare fuori dalla bolgia di band ormai troppo similari tra loro. E in tutta onestà, i Tarpit Orchestra non sono riusciti in questo intento, almeno non completamente. Ora magari io sono abituato a suoni più estremi e a band più pazzoidi, tuttavia non voglio affossare un lavoro obiettivamente ben fatto, molto curato e tecnicamente non scontato. Un plauso va alla voce, sempre sporca al punto giusto e diretta nella sua semplicità, oltre che all’arrangiamento dei pezzi, molto ben architettati, e di cui segnalerei il trittico iniziale formato da "Dues", "Songs About Dragons" (con quel suo stile vocale vicino ai Baroness) e la fortemente grooveggiante "Engines", peraltro le uniche song ascoltabili sul sito bandcamp del quartetto di Oulu. Alla fine, 'Damn Dragon' rappresenta il disco giusto per chi ha voglia di sentire una band stoner cazzuta, qui non troverete sicuramente strane sorprese! (Matteo Baldi)

sabato 17 novembre 2018

Julinko - Ash Ark/Sycamore Tree


#PER CHI AMA: Dark/Drone
È una raccolta di canti rituali e melodie decadenti quella di Julinko, Giulia Parin Zecchin all’anagrafe, il tutto contornato da caleidoscopici arrangiamenti di chitarra in un riverbero perenne e ancestrale. Un progetto coraggioso a livello sonoro, 'Ash Ark' più che un ascolto richiede un totale abbandono ai suoi rituali e ai suoi ambienti sacri dal sapore dimenticato e solenne. Ciò che più si avvicina ad un brano, come siamo abituati a sentirlo è quello, penso ironicamente, nominato "Ghost Track" che vede la partecipazione di Carlo Veneziano alla batteria. Il riff ha delle reminiscenze pink floydiane, più precisamente barrettiane, sia nello stile compositivo che nel suono di chitarra. Saranno stati i lidi veneziani in inverno con la nebbia e l’umidità che entra nelle ossa, ad ispirare questa piacevole volata psichedelica che non perde l’incanto mistico in una delle più belle performance vocali del disco. Mi vengono in mente quegli scenari alla 'Eyes Wide Shut', le stanze inaccessibili e le cerimonie segrete, l’incenso bruciato, le maschere e le tuniche decorate, oggetti dorati ovunque e grandi arazzi alle pareti. Tuttavia c’è anche qualcosa di molto più primitivo della massoneria, basta ascoltare la traccia "Transumanar" per trovare tracce di antichi sacerdoti sciamanici di una qualche tribù amazzonica dimenticata da millenni ma che ognuno di noi, inspiegabilmente, sente familiari. Dopo 'Ash Ark' è uscito il singolo "Sycamore Tree", una ballata acustica in stile Nick Cave, dove la voce di Giulia, di una spettrale bellezza, si fa strada in un ambiente cupo e melanconico. Si parla di morte e di immortalità, di transizione verso l’aldilà; il "Sycamore Tree", l'albero del sicomoro, è presente nei miti egizi ed ebraici utilizzato appunto per facilitare il passaggio dell’anima da questo mondo al prossimo, e la canzone, nel suo funereo evolversi, trasmette una sensazione di sospensione e di profondo struggimento, senza perdere quella caratteristica, sempre presente e pertanto fortemente distintiva, dell’artista. Siamo davanti ad un progetto da non perdere di vista perché credibile, non comune e ben curato in tutti gli aspetti; Julinko è una sacerdotessa oscura dalla voce cristallina, capace di ipnotizzare ed incantare l’ascoltatore nelle sue spire sonore, ove dolcemente vi troverete immersi in un mondo tra il fantastico e l’ignoto e farete molta fatica a trovare la volontà e la forza di tornare indietro. (Matteo Baldi)

mercoledì 7 novembre 2018

Nomura e Nulla+ - Impronte / Lacrime

#PER CHI AMA: Sludge/Post Black
Siamo di fronte allo split 'Impronte / Lacrime' di Nomura / Nulla+, un disco di 5 pezzi che si muove tra lo sludge, il black e il post. Le atmosfere cupe sono la linea tematica, l’italiano usato con rabbia e disperazione è il mezzo. Si tratta di un quarto d’ora di inferno, uno sguardo dentro un oscuro abisso di disagio e disperazione. Il brano dei baresi Nomura, "Salice", diviso in due parti, è una sferzata di post black sanguigno ma anche spirituale legato alla natura e alla convinzione che essa sia al di sopra di tutto e di tutti, che assista impassibile allo svolgersi delle più efferate atrocità che l’uomo sia in grado di concepire. Il Salice è un simbolo, un albero piangente che si duole e soffre con l’umanità per la sua destinata e catastrofica fine. I Nulla+, con il loro black metal al vetriolo, si concentrano invece sulla sofferenza umana, nell’incomunicabilità tra le persone, le lacrime come effige di una lotta mai vinta e mai combattuta, che non può che finire in una cocente disfatta. I rampolli arricchiti che sperperano denaro e tempo negli oggetti e nelle attività più inutili, in un mondo in cui la fame non molla mai e le persone che hanno fame, alla fine muoiono per gentile concessione della società cosìddetta civile. Uno split imbevuto di petrolio viscoso e velenoso, una volta toccato, penetra nella pelle e pervade ogni emozione, solo il nero regna sovrano per ricordarci che il male esiste, vive e non se ne andrà mai. (Matteo Baldi)

(The Triad Rec/Italian Extreme Underground/Nothing Left Records/Boned Factory - 2018)
Voto: 75

https://nomuratheband.bandcamp.com/album/impronte-lacrime

sabato 3 novembre 2018

Madder Mortem - Marrow

#PER CHI AMA: Gothic/Epic, Lacuna Coil
Si tratta di un disco semplice e diretto questo 'Marrow' dei Madder Mortem, le canzoni sono orecchiabili e non richiedono una concentrazione speciale o un background particolarmente strutturato per essere godute. Tecnicamente la band è molto solida, soprattutto la voce, davvero notevole, si sente che la coesione tra i membri è di lungo periodo e che il sodalizio deriva da un genuino gusto comune per la musica epic e gotica. I riferimenti che mi saltano alla mente sono sicuramente i Nightwish ma anche gli Evanescence, a tratti i Sonata Artica e i Lacuna Coil. L’orchestralità e la liricità dei brani è ben mediata dall'immediatezza delle linee vocali e dei testi, mai criptici o troppo contorti; i pezzi sono costruiti in modo lineare, guidati per la maggior parte dalla voce che si trova a tratti in boschi innevati, a tratti sul dorso di un drago alato, a tratti sola tra docili arpeggi, a tratti sostenuta da un oscuro coro di anime perse su di un’onda immensa di acque nere. Le immagini che la musica suggerisce sono di fiaba e di magia, sono foreste incantate a notte fonda, dove regnano i lupi e dove le arpie innalzano i loro lamenti alla luna tetra e malinconica. Da segnalare la title track “Marrow”, un’epica cavalcata su destrieri fantasma con la notevole performance vocale della cantante Agnete Kirkevaag a descrivere un’atmosfera che potrebbe essere tranquillamente una colonna sonora di un colossal fantasy o di una di quelle serie tv sui vampiri. Interessanti anche le ballate, una fra tutte “Until You Return”, dove le sonorità si dilatano e creano un ambiente crepuscolare e struggente, per poi tuffarsi in un finale sinfonico e maestoso. Consiglio 'Marrow' a tutti gli appassionati di epic e goth, sicuramente troveranno soddisfazione in questa prova dei Madder Mortem che, pur non andando a innovare o a sconvolgere le fondamenta del genere, sicuramente si battono allo stesso livello dei grandi nomi, con buona personalità e grande attitudine. (Matteo Baldi)

(Karisma Records - 2018)
Voto: 70

https://maddermortem.bandcamp.com/album/marrow

lunedì 24 settembre 2018

La Fantasima - Notte

#PER CHI AMA: Post Rock/Drone/Psych
La Fantasima sembra l’incrocio tra le parole “fantasma” e “fantasia”, due immagini che ben si sposano con il suono silvano e crepuscolare del trio romano alla seconda prova in studio dal titolo 'Notte'. Si tratta di un post rock strumentale che ricorda a tratti i My Sleeping Karma, con venature drone e squisitamente psych, il tutto sostenuto da una ritmica cadenzata e costante che riporta a generi come lo stoner o il doom. Da notare l’utilizzo del basso che spesso si arrampica in complicati fraseggi, spiccando dal mix sonoro e di fatto, prendendo la posizione di strumento solista. Per gran parte del disco assistiamo al dispiegarsi di ambienti sospesi ed eterei, la chitarra effettata e scintillante, traccia degli scenari da fiaba, quelle fiabe per bambini che hanno una trama stranamente oscura e finiscono con la morte di qualcuno vicino al protagonista. Sono presenti anche dei momenti di rilascio della sospensione saturi di fuzz e carichi di energia come la parte centrale di “Sino al Mattino” che ricorda gli ultimi lavori degli Ufomammut, band che la band dichiara come influenza sulla propria pagina. La musica dei La Fantasima riesce a coinvolgere e a trasmettere, personalmente ho provato quella sensazione che si prova mentre si è in viaggio verso qualcosa di sconosciuto, quel misto di paura e di euforia, di curiosità e di allerta continua per non farsi prendere alla sprovvista. Ogni pezzo è un sentiero in una selva fantastica, uno scenario impossibile perennemente al centro della notte, gli alberi rifulgono di riflessi blu scuro e il verde e l’azzurro dei ruscelli non esiste mai. Il vento muove le fronde che dialogano tra loro e racchiudono gelosamente il suolo coperto di vegetazione fittissima mai toccata dall’uomo. Si tratta quasi di una colonna sonora, un percorso sinestetico nella grandiosità e nel mistero della natura il tutto decorato da uno splendido scenario oscuro e boschivo che trasporta la mente in una favola antica e dimenticata. (Matteo Baldi)