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sabato 16 agosto 2025

Below the Sun - Immanence

#PER CHI AMA: Post Metal
Che fastidio che il nuovo album dei Below the Sun, sia rimasto in forma digitale. Sebbene discogs riveli che esista una release fisica, io di tracce nel web di quel formato, non ne ho trovate. 'Immanence' comunque è il nuovo viaggio musicale profondo e introspettivo del duo di Krasnoyarsk, che esplora tematiche esistenziali attraverso sonorità avvolgenti e atmosferiche. Con questo nuovo lavoro, la band prosegue nel costruire il proprio sound distintivo, mescolando elementi di post-metal, doom e ambient, sfoggiando sei nuovi pezzi che prendono alla gola sin dalle note iniziali dell'intimistica "Instinct", che si muove all'altezza di un bivio tra sonorità sludge e post metal. Quest'ultime che si prendono la scena nella successiva "Restraint", un brano in bilico tra pesantezza e melodia, un equilibrio sofferto tra il post rock iniziale e l'asfissiante doom che si palesa a metà brano, con le vocals che da growl passano a un pulito emozionante in un crescendo emotivo (e musicale), che lascia quasi senza parole. Un clamoroso passo in avanti rispetto al vecchio disco 'Alien World', ormai datato 2017, una maturità acquisita che potrebbe rendere i Below the Sun significativi almeno quanto i Rosetta, per non dire anche qualcosa di più. Il che si conferma anche nella cerebrale e distorsiva potenza di "Being" o nell'essenziale musicalità di "Beholder", un pezzo più sperimentale ed etereo che avvicina i nostri a una band come gli Explosions in the Sky, in un'architettura sonora ben più morbida rispetto agli altri brani (fatto salvo per la strumentale "Illumination"), ma dotata comunque di una raffinatezza e un approccio onirico di un certo livello. "Revelation" è la traccia di chiusura, una specie di epopea progressive shoegaze che combina riff lenti, clean vocals e orpelli vari che avvicinano i Below the Sun a territori probabilmente mai esplorati. Il brano inizia in modo soft, con vocalizzi appunto shoegaze e un crescendo che culmina in un finale maestoso, a sancire quanto realmente sia interessante questo disco e quanto mi continuino a girare le scatole per non averlo ancora trovato in un formato fisico. (Francesco Scarci)

giovedì 14 agosto 2025

Ereb Altor - Hälsingemörker

#PER CHI AMA: Viking/Epic
'Hälsingemörker', l'ultima epica creazione degli Ereb Altor, trascina l'ascoltatore in un viaggio attraverso paesaggi sonori maestosi, dove regnano atmosfere cupe e ancestrali echi della mitologia nordica. La leggendaria band svedese, maestra nell'arte di fondere viking metal e doom in un'unica, possente visione, forgia ancora una volta un universo musicale di rara potenza e complessità. Fin dalle prime, folgoranti note di "Valkyrian Fate", si percepisce l'intensità titanica con cui il gruppo scandaglia i misteri più profondi della natura e delle saghe norrene. Gli intrecci di melodie epiche e riff devastanti creano una cattedrale sonora monumentale, sublimata dalla voce cristallina e potente di Mats, sostenuta da cori che evocano gli spiriti degli antichi guerrieri. La sua performance vocale è un'autentica epifania: attraversa l'intero spettro emotivo umano, regalando momenti di connessione mistica che toccano l'anima. La produzione raggiunge vette di eccellenza assoluta, scolpendo ogni singolo strumento con precisione chirurgica, senza mai sacrificare quell'aura greve e atmosferica che avvolge l'intero capolavoro come una nebbia ancestrale. I brani si dispiegano in un equilibrio perfetto tra passaggi melodici di struggente bellezza e sequenze frenetiche che scatenano tempeste sonore, mantenendo l'ascoltatore in uno stato di costante, elettrizzante tensione. Tra le gemme di questo tesoro musicale, brillano la già citata, gloriosa opener, la misteriosa "Vi är Mörkret" e la travolgente "Träldom": tutte forgiate con ritmiche possenti avvolte da un misticismo epico che fa tremare le fondamenta di Midgard. "Ättestupan" introduce invece una tonalità più malinconica e solenne, offrendo un momento di pausa riflessiva dove l'anima può contemplare l'infinito, mentre "The Waves, the Sky and the Pyre" sembra addirittura pervasa da un'aura di sacralità primordiale. 'Hälsingemörker' si erge come monumento definitivo al talento sovrumano degli Ereb Altor: un'opera che conquisterà non solo i devoti seguaci della band e i cultori del genere, ma anche nuovi esploratori in cerca di sonorità epiche capaci di trasportare l'anima in regni inesplorati. La loro capacità di incarnare e far rivivere l'essenza più pura della cultura viking metal rimane leggendaria e ineguagliabile, consacrandoli definitivamente come i supremi maestri di questo stile immortale. (Francesco Scarci)

(Hammerheart Records - 2025)
Voto: 80

https://erebaltorhhr.bandcamp.com/album/h-lsingem-rker

venerdì 8 agosto 2025

Umbersound - If the Flies Could Sing

#PER CHI AMA: Doom Sperimentale
Mentre calabroni e vespe infestano il mio balcone, l'album 'If the Flies Could Sing' degli americani Umbersound, sposta la mia attenzione su quello che potrebbe essere il canto delle mosche, non solo il loro fastidioso ronzio. E cosi, quasi per sbaglio, mi ritrovo a recensire un lavoro che si spinge nei paraggi del doom metal, con il classico rifferama lento e compassato. Quello della one-man-band di Staten Island è il secondo album, che sembra voler rappresentare la versione più morbida dell'altra band di Joe D'Angelo (il factotum dietro agli Umbersound), i Grey Skies Fallen. Abbandonate le growling vocals (almeno nei primi due pezzi), e un sound più pesante, il mastermind statunitense si protrae in una rilettura più evocativa e decadente del doom. Lo si evince dall'opener "Wolves At The Door", diventa ancor più evidente nella successiva title track, dove le atmosfere si fanno più cupe e opprimenti, ma l'effetto è sicuramente accogliente, offrendo un'esperienza quasi totalizzante per chi ascolta. Chiaro, non è quella che definirei una passeggiata affrontare questo genere di sonorità, ma chi ama suoni di scuola Candlemass, ma con una maggior propensione alla sperimentazione e alla teatralità (ascoltatevi l'ipnotica "Atmos Ritual" che abbina entrambe queste caratteristiche), potrebbe apprezzare enormemente la proposta. Man mano che i minuti passano, l'album diventa più ostico da digerire, pur mantenendo intatti i suoi capisaldi legati a riff lenti e pesanti, tipici del doom tradizionale. Se "Spines On The Shore" potrebbe suonare come una versione doom dei Nevermore, complice un cantato che evoca il buon Warrel Dane (R.I.P.), vi sottolineerei l'emozionalità in grado di emanare "Deaths Old Sweet Song", un pezzo davvero affascinante, tra doom e un mood quasi western. E l'abbinata sperimentalismi vari e doom sorretto da vocalizzi da orco cattivo, proseguono anche in "The Sound Of Umber", prima dei due pezzi strumentali che chiudono con una inaspettata timidezza, il disco. Un lavoro originale e conturbante questo delle mosche che cantano, che necessita tuttavia ancora qualche lavoro di cesellatura (ad esempio l'aggiustamento della voce growl) per suonare vincente su tutti i fronti. (Francesco Scarci)

domenica 3 agosto 2025

Rivers of Nihil - S/t

#PER CHI AMA: Prog/Techno Death
È interessante appurare come i Rivers of Nihil stiano facendo progressi a vista d'occhio, album dopo album. E cosi, questo nuovo lavoro omonimo, che rappresenta il quinto in studio per la band americana, segna un bel passo in avanti rispetto al precedente 'The Work', che era uscito nel 2021 e aveva diviso non poco la critica. Il quartetto di Reading, Pennsylvania, prosegue anche qui quel percorso iniziato ai tempi di 'Where Owls Know My Name', ossia coniugare un progressive techno death con derive jazz ed elettroniche, per cercare di recuperare la strada perduta nei confronti dei Kardashev, che pur essendosi formati tre anni dopo rispetto ai nostri, sembrano essersi consacrati più velocemente, grazie alla performance del loro cantante. Comunque, a parte questi convenevoli, devo ammettere che questo nuovo disco è parecchio impressionante nelle sue parti più sperimentali (e mi riferisco all'opening track "The Sub-Orbital Blues") o laddove i nostri passano dalla brutalità del loro techno death primordiale con tanto di growling vocals, a manifestazioni canore pulite di chiara estrazione Kardashev, che rimangono a mio avviso, il vero punto di riferimento per la band di oggi. Per questo, pur non rinunciando a una bella dose di violenza, i Rivers of Nihil amano ammorbidire le loro tracce con un'altrettanta dose di melodia: fantastica, e la mia preferita, "Despair Church", in cui compare anche il sax di Patrick Corona dei Cyborg Octopus e il violoncello di Grant McFarland dei Galactic Emprire. E poi c'è "Water & Time", lo ammetto, potrebbe sembrare un po' costruita a tavolino per piacere, ma in tutta onestà me ne sono innamorato. Tra vocals pulite, fughe jazzistiche di sassofono, inserti growl e linee di chitarra semplicemente favolose, è difficile non lasciarsi trascinare. Il disco in questo modo si fa apprezzare enormemente anche se non manca qualche sbavatura di cui avrei fatto volentieri a meno, come la debordante "Evidence", che sembra richiamare, nelle parti eccessivamente selvagge, gli esordi un po' troppo chiassosi della band, per quanto la produzione cristallina esalti comunque l'intensità sonora data da un egregio lavoro al basso, da sempre precise linee di chitarra e qui, da ben cinque backing vocalist. Forse però è troppa carne al fuoco, soprattutto in un brano che finisce con un fade-out davvero troppo brusco. Tante belle idee, ma non ancora perfettamente calibrate, serve l'ultimo step. Ultima chicca: la traccia che dà il titolo al disco e che lo chiude, con Stephan Lopez dei Cavum al banjo (già sentito nella terza traccia "Criminals"). Un tocco che suggella un album importante, maturo, coinvolgente. A volte forse un po' sopra le righe, ma che può davvero rappresentare un nuovo punto di partenza per i Rivers of Nihil. E farà sicuramente la gioia di tutti quelli che amano le sonorità alla Kardashev e Gojira.. (Francesco Scarci)

venerdì 1 agosto 2025

Clouds - Desprins

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Per chi ancora non lo sapesse, i Clouds intitolano tutti i loro full-length con una parola che inizia con la lettera D e che ha un significato di distacco o partenza. Ecco a voi quindi il sesto capitolo della band rumena, capitanata da Daniel Neagoe, e intitolato 'Desprins', un'opera che continua a inserirsi in quel contesto funeral doom, con elementi atmosferici ma soprattutto emotivi, per un viaggio diretto nel profondo della nostra anima. E 'Desprins' non tradirà certo i fan della band, proponendo sin dall'iniziale "Disguise", quei ritmi lenti e pesanti, coadiuvati da cavernose voci growl che evocano un senso di disperazione e introspezione, e da una malinconica melodia di fondo affidata al flauto di Andrei Oltean. Potrei anche chiuderla qui, dal momento che non ci sono sostanziali novità rispetto ai vecchi album, che il sottoscritto peraltro colleziona gelosamente in formato vinile. E infatti, man mano che ci si spinge avanti nell'ascolto, non possiamo che trovare tutte quelle peculiarità che Daniel e soci, ci confezionano ormai da oltre un decennio. Preparatevi pertanto a un death doom in cui trovare un'alternanza tra ritmiche robuste e melodie più tenui ("Life Becomes Lifeless"), altri più atmosferici con un Daniel in formato vocale sia growl che pulito e più decadente ("Chain Me", "The Fall of Hearts" e "Will it Never End"). A parte questo, grossi stravolgimenti nello stile della band non sono contemplati. Se siete fan dei Clouds pertanto  andate pure sul sicuro; se siete invece nuovi, inizierei l'esplorazione della band dai lavori più datati, 'Doliu' e 'Departe', giusto per fare due nomi. Ah, vedete, altri titoli con la lettera D. Deprimenti. (Francesco Scarci)

lunedì 28 luglio 2025

Harvst - Mahlstrom

#PER CHI AMA: Melo Black
Bella sorpresa questo 'Mahlstrom', secondo atto dei tedeschi Harvst, terzetto originario di Francoforte che nasce verosimilmente come side project di un membro dei Frostreich e uno degli Schǝin. Il genere proposto s'inserisce nel filone del black atmosferico dalle tinte melodiche. Andiamo allora a dare un ascolto alle sette tracce ivi incluse, giusto per capire di che stiamo parlando. Si parte da "Mahlstrom Teil I - Der Aufschrei des Vergangenen" e da una traccia che si fa notare immediatamente per le sue linee melodiche, le accelerazioni in territori post-black, con le liriche, stando a Metal Archives, che affrontano tematiche esistenziali. L'onda d'urto che ci investe in alcune scorribande è bella potente ma le melodie, per certi versi affini a quelle degli Agrypnie, rendono il tutto decisamente più accessibile, pur rimanendo in ambito estremo. "Laubwacht" spinge altrettanto forte ma qui lo screaming di Dornh si alterna a vocals più sussurrate ed evocative, ma il risultato finale non cambia, con il sound che si fa più oscuro nella seconda metà del brano. "Was Die Erde Nimmt" si muove sempre su melodici giri di acuminate chitarre, e le voci, spesso relegate in secondo piano, contribuiscono a dar maggior spazio all'aspetto prettamente musicale. C'è spazio per un break strumentale che fa da preludio a un buon assolo, peccato si perda in una sezione ritmica forse troppo caotica, ma il brano comunque merita, soprattutto anche per l'alternanza vocale che rende il tutto molto più dinamico. "Wahnmal" parte più soffusa, ma è la classica quiete prima della tempesta visto che esploderà a breve con una ritmica dinamitarda, mantenendosi più o meno similare fino a un finale in fade-out. Sulla falsariga anche "Treibholz", e forse qui si vedono le prime debolezze di un disco che sembra soffrire di una certa ridondanza ritmica, portando le canzoni alla fine ad assomigliarsi un po' tutte. Ma le qualità per far bene ci sono sicuramente tutte, basta tirare fuori un pizzico di personalità in più, come quella che sembra emergere nella lunga "Mahlstrom II – Der Abschied des Dechiffrierten". Una maggior varietà nei suoni e nei cambi di tempo, darebbe sicuramente maggior lustro a questa band, che innegabilmente, sembra avere del grande potenziale. Staremo a sentire futuri sviluppi con grande curiosità. (Francesco Scarci)

(Onism Productions - 2025)
Voto: 70

https://harvst.bandcamp.com/album/mahlstrom

mercoledì 23 luglio 2025

Concrete Age - Awaken the Gods

#PER CHI AMA: Death/Folk
'Awaken the Gods', pubblicato a maggio di quest'anno, celebra il traguardo del decimo album in studio dei Concrete Age, formazione russa che si è affermata come pilastro dell'ethnic metal grazie al suo stile unico che mescola death, thrash e influenze folk provenienti da tradizioni orientali e slave. Attivi dal 2010, il quintetto ora di stanza a Londra, ha conquistato la scena underground con lavori acclamati come "Bardo Thodol" nel 2020 e "Motherland" nel 2022, rinforzando la loro reputazione per l'uso di strumenti etnici e racconti mitologici intrecciati con sonorità estreme. Con il nuovo album, la band continua a superare i limiti del genere, proponendo un'opera ambiziosa che combina potenza sonora e una profonda esplorazione culturale, consolidandosi come una delle realtà più innovative nell'ethnic metal contemporaneo. La produzione raggiunge livelli straordinari, garantendo un sound ricco e ben bilanciato. Gli strumenti etnici come balaban, duduk e kamancheh si amalgamano perfettamente con pesanti riff di death e thrash metal, arricchiti da melodie orientali sin dall'iniziale "Prey for Me". Questo brano evoca atmosfere esotiche ed è impreziosito dalla performance carismatica del frontman, la cui voce spazia tra toni epici quasi narrativi e sfumature più aggressive. Tale versatilità amplifica l'impatto emotivo dell'album, creando un legame potente tra passato ancestrale e presente musicale. Tra i brani che spiccano, "Forbidden Ministry" si distingue per il suo riff thrash metal accompagnato da una ritmica incalzante, capace di evocare vibrazioni che ricordano un immaginario incontro tra Nevermore e Orphaned Land. La title track, invece, si fa notare per la sua riuscitissima fusione di elementi etnici e metal, culminando in un ritornello estremamente coinvolgente. È il fulcro narrativo del progetto, un tributo alla forza primordiale che prepara il terreno alle ritmiche frenetiche di "Cursed Reincarnation", memorabile soprattutto nella seconda parte con un'energia quasi tribale. La strumentale "Mid-East Boogie" è un autentico vortice di energia. Il groove dei riff s'intreccia prepotentemente con scale medio-orientali, mentre il balaban e la kamancheh aggiungono un'atmosfera distintiva. I ritmi rapidi e le percussioni tribali donano, inoltre, un tocco sorprendentemente danzereccio. Non meno impressionante è il resto del disco con "Warrior’s Anthem", che si conferma ricco di assoli spettacolari e intriso di quell'inconfondibile mood folklorico che attraversa tutto l'album. In chiusura, le cover di "Boro Boro" di Arash e "Şımarık" di Tarkan, aggiungono ulteriore profondità all'esplorazione della tradizione musicale orientale, identificando 'Awaken the Gods' come un album che riesce a emozionare, far ballare e trasportare l'ascoltatore in un mondo fatto di energia e sogno. (Francesco Scarci)

sabato 19 luglio 2025

Nasciturus - Fabulae

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Rzeszów non è certo quella che potremmo definire una metropoli, eppure la capitale del voivodato della Precarpazia, deve avere una scena musicale piuttosto fiorente. Abbiamo da poco recensito infatti i Runopatia e prima ancora gli Into Dark. Ora ci arrivano questi Nasciturus, che completano una scena fatta anche dagli Epitome, dai Salceson X e dai Pandrador; peraltro alcune di queste band hanno visto in passato tra le loro fila, membri dei qui presenti Nasciturus. Comunque, bando alle ciance e torniamo a questo 'Fabulae', debutto discografico del terzetto del sud-est della Polonia, dedito a una forma oscura di black metal, che ci introduce a questi nuovi sette pezzi. Le danze si aprono con le criptiche melodie di "Pomirki", che ben presto si abbandonerà a selvagge ritmiche su cui si piazzano le vetrioliche vocals di uno dei tre vocalist. Il suono è parecchio crudo, credo volutamente ostico da digerire per quelle sue dissonanti linee di chitarra, per non parlare poi delle sghembe atmosfere che si palesano nella seconda metà del brano. Devo ammettere che l'ascolto non è dei più semplici, ma le visioni lisergiche che ci attendono in coda, rivelano una spiccata personalità della band. Rimanga però agli atti che l'ascolto rimane complicato, vuoi per un cantato rigorosamente in lingua madre, forse per l'eccessiva distorsione delle chitarre, o ancora per la crudezza di certi passaggi, che sembrano evocare un misto tra punk e hardcore ("Ogniem Uzdrowion"). Eppure i testi dovrebbero esplorare un immaginario radicato nel folklore slavo, ispirandosi a leggende locali, ma il suono non sembra andare nella medesima direzione delle liriche e lo confermano le accelerazioni devastanti della già citata "Ogniem Uzdrowion", o le linee di basso propulsive di "Potrójnie Przez Ziemię Wypluty" che sferragliano in una cornice ritmica pesante, impetuosa a tratti (quasi grind), e inacidita da vocals taglienti. Che fine hanno fatto allora quelle atmosfere surreali del primo brano? In chiusura di brano si paventa poi il rischio di sprofondare in sonorità doomish, ma trattasi soltanto di parvenza. I nostri riprendono a trottare a tutta velocità. "O Czudca Powstaniu" prova a rendere la ritmica più sludgy, ma il risultato sarà solo quello di renderne angosciante l'ascolto, per poi comunque riprendere velocità appena dopo metà brano, prima di lasciarci a un finale per lo più percussivo. "Pieklisko we Wróblowej" riparte dai ritmi spediti e spietati ascoltati sin qui, in cui chitarre e basso giocano a rincorrersi selvaggiamente per tutta la sua durata. "Silva Populo" parte decisamente più compassata, lasciando ampi spazi ai giri di basso e chitarra acustica. Ma è verso il secondo minuto che la band si abbandona a furibonde ritmiche post black, che vanno a sancire lo status di mio brano preferito del lotto, a cui rimane a questo punto solo la conclusiva "Pokuta". Inizio tranquillo, quasi un unicum del disco. Ipnotici e sinistri giri di basso ci preparano verosimilmente alla tempesta pronta ad abbattersi sulle nostre teste, che puntuale arriva dopo 90 secondi, con una voce completamente differente da quella ascoltata sin qui, quasi strozzata in gola, ed enfatizzata peraltro da una componente corale che aggiunge altri elementi, quasi pagani, alla proposta dei nostri. Il finale torna atmosferico e onirico. Alla fine 'Fabulae', propone un black metal sound veemente che va in controtendenza a un titolo che lascerebbe presagire invece qualcosa di etereo o sognante. Più che una favola a occhi aperti, direi a questo punto, un incubo. (Francesco Scarci)

giovedì 17 luglio 2025

Wojtek - Nell'Abisso del Mio Io

#PER CHI AMA: Hardcore/Sludge
Nel vecchio 'Petricore' avevo sottolineato come l'esperimento affidato a "Giorni Persi", song cantata in italiano, fosse verosimilmente un unicum ma anche una soluzione ben riuscita per i padovani Wojtek. Ecco, devono avermi preso in parola, visto che questo nuovo EP, 'Nell'Abisso del Mio Io', è cantato tutto in italiano e peraltro, da un nuovo cantante, Leonardo Amati, il che consolida a questo punto, una loro stabile presenza nella scena hardcore/sludge italiana, con un approccio sempre più maturo e personale. Chiaro, magari non sono la persona più indicata ad affrontare questo genere di suoni, ma non posso che sottolineare come la band stia palesemente evolvendo il proprio sound, scarnificandolo, rendendolo più crudo e al contempo, efficace e immediato. L'ingresso del nuovo cantante ha reso possibile tutto ciò con uno screaming abrasivo ma comunque avvolgente che ben si amalgama con quell'estetica lo-fi tipica dell'hardcore che la band ha deciso di abbracciare. E in un uno-due devastante, il quintetto italico ci investe con il loro primo singolo, "E Quando il Sole si Spegnerà, Saremo Noi a Bruciare il Cielo", che vede chitarre ultra distorte andare a braccetto con la batteria pesante di Francesco Forin con la voce di Leonardo a vomitare tutto il proprio dissapore. Più emblematica la successiva "Ritmi", che scombina un po' le carte, aggiungendo ulteriori elementi che evocano, lontanamente per carità, un che dei System of a Down, dei progetti più violenti di Mike Patton, della causticità degli STORMO, e quel groove che si scorge dietro l'angolo, richiama anche un che degli IN.SI.DIA. I testi che esplorano introspezione e alienazione, spalancano le porte alla resistenza in un mondo in declino, andando per questo a creare un'esperienza più intensa e autentica. Nel frattempo si arriva al terzo pezzo, "Veleno d'Ombra", e dai suoni e voci iniziali, di quello che credo essere un mercato. Il brano si muove poi su binari più mid-tempo, opprimenti, lenti (sludgy direi), affiancati da una performance canora rabbiosa e, a tratti, più meditabonda, e da cori che finiscono per arricchirne gli arrangiamenti. L'approccio corale si enfatizzerà ulteriormente nella più malinconica e doomish, "Specchio", che va a chiudere un album sicuramente ostico, ma convincente, che potrebbe addirittura riuscire a far breccia anche nei cuori di chi, come me, non mastica particolarmente, questo genere di estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(Shove Records/Teschio Dischi/Violence in the Veins - 2025)
Voto: 75

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/nellabisso-del-mio-io-2

venerdì 11 luglio 2025

Aasar - I, the Hell

#PER CHI AMA: Blackened Deathcore
Secondo EP in due anni per i trentini Aasar, che con questo 'I, the Hell', propongono un nuovo colpo di scena nel panorama delle sonorità blackcore, seguendo il percorso tracciato dal precedente 'From Nothing to Nowhere'. Cinque i pezzi a disposizione per il quartetto nordico, con la rumba che prende il via con il rifferama sincopato della title track, un pezzo complesso e potente dotato di un'architettura musicale prettamente djent, arricchita però da blast-beat infernali, breakdown deathcore, vocals super caustiche, e un discreto senso della melodia, nonostante il corrosivo sound messo in piazza dai nostri, il che dimostra una certa versatilità nello stile della band. "Exiled" segue subito a ruota, caratterizzata da un bilanciamento più solido tra melodia e brutalità, complice una chitarra dal groove marcato in sottofondo, qualche orpello cibernetico qua e là, un'introduzione più atmosferica, e spruzzate di melodia che provano a smorzarne comunque la veemenza. Tuttavia la brutalità non tarda a farsi sentire, con accelerazioni implacabili, vocals al vetriolo e quel senso di vertigine apocalittico tipico dei breakdown. Che sia la top hit del disco? La risposta definitiva si avrà con il fade-out che introduce a "Crypt of Agony", che vede la collaborazione di Jake D. Sin (voce dei veneziani Unethical Dogma), la cui ugola s'intreccia con quella del frontman Simone Giacopuzzi, in un brano che fa del djent/deathcore, il proprio dogma, tra chitarrone super ribassate e tonfi ritmici che palesano nuovamente la potenza della band. "LiTh" tenta inizialmente di offrire una pausa con un'apertura più atmosferica ma ben presto, a prendere il sopravvento, sono ritmiche complesse e sinistre, accompagnate da urla graffianti e un predominante elemento deathcore, nonostante alcune spruzzate black metal siano riscontrabili durante l'ascolto. Ottima comunque la linea melodica di chitarra che guida l'ascolto, il basso pulsante di Daniele Nicolussi, senza dimenticare le funamboliche percussioni del mostruoso Denis Giacomuzzi che aggiungono ulteriore profondità al sound, riempiendoci i padiglioni auricolari di un sound mid-tempo ricco di intensità. Infine, "Spineless" chiude l'opera enfatizzando ulteriormente la spettacolare pulizia dei suoni, e la sua straordinaria e abrasiva densità ritmica. Pur non essendo un pezzo veloce, l'arrangiamento si dimostra incredibilmente energico, con una struttura che sarà capace di farvi colare il sangue dalle orecchie. Alla fine, non posso far altro che invitarvi alla cautela nel maneggiare questo pericoloso dischetto, rimanendo in attesa di un debutto su lunga distanza, che sembra già promettere grandi cose. E allora allacciate pure le cinture di sicurezza. (Francesco Scarci)

(Seek & Strike - 2025)
Voto: 74

mercoledì 9 luglio 2025

Shining - Divided You'll Stand & United You'll Fall

#PER CHI AMA: Black'n Roll
Sono sempre stato un fan degli svedesi Shining, eppure da qualche anno a questa parte, ho come l'impressione che Niklas Kvarforth e soci, stiano rilasciando un po' troppi riempitivi (tra live, Ep e demo) che francamente, non ho trovato di grandissima qualità. Questo EP, intitolato 'Divided You'll Stand & United You'll Fall', sembra voler andare nella stessa direzione, dal momento che su sei tracce, tre sono delle cover, una è già stata proposta e infine c'è un riempitivo di 27 secondi. Si parte subito con la roboante "Chief Rebel Angel", cover degli Entombed, il cui legame musicale con gli Shining, davvero mi sfugge. Fatto sta che la band svedese fa il suo compito alla grande con un sound roccioso, la voce di Niklas intrisa di una forte componente emotiva e per questo assai convincente, ma che comunque, con quello che è il sound depressive black dei nostri, c'entra poco nulla. Godibile, ma non capisco. Si passa quindi a "Pick Up the Bones" di Alice Cooper e potrete immaginare come il sottoscritto ci possa capire ancora meno, se non intuire una forma di bizzarro entusiasmo da parte di Niklas nell'esplorare brani completamente avulsi dal suo territorio. Con "Joakims Höghussång" possiamo saggiare finalmente lo stato di forma del sestetto di Halmstad, con un pezzo oscuro, lento e inquietante che sembra quasi presagire significative evoluzioni stilistiche future. "Crawl Across Your Killing Floor" è un altro pezzone rock, del buon caro Glen Danzig, che viene reinterpretato con grande personalità da Niklas e farà la gioia di chi attende con ansia il nuovo disco degli Shining, atteso peraltro a fine ottobre. Gli ultimi due pezzi sono l'inutile "Då Döden Äntligen Vunnit" e la violenta e in totale stile Shining, "Ugly and Cold", song che era già apparsa però su un 12" nel 2022 e che fondamentalmente, poco aggiunge a questo lavoro. Per quanto mi riguarda, preferisco i full length dei nostri a queste mosse un po' troppo commerciali al mio naso. (Francesco Scarci)

martedì 8 luglio 2025

Wardruna - Birna

#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Leggere Columbia Records (alias Sony Music) accanto al nome dei Wardruna, devo ammettere mi faccia un certo effetto. La band norvegese d'altro canto, ha avuto un successo cosi importante negli ultimi anni (complice anche la partecipazione sonora alla serie TV Vikings e al videogioco Assassin’s Creed Valhalla) che gli varrà anche la possibilità di suonare all'Anfiteatro degli scavi di Pompei quest'estate. Fatto sta che 'Birna' è il sesto album del duo scandinavo che tra le sue fila in passato, ha visto anche la presenza di Gaahl. 'Birna', che in norreno significa "orsa", rivela un concept nel suo titolo, ossia il ciclo di vita dell'orsa, la sua morte e rinascita. Il disco, forte di una produzione a dir poco spettacolare che enfatizza ogni singolo strumento, include dieci tracce che vedono intrecciarsi elementi folk, ambient e ritual music, per un'esperienza sciamanica, evocativa, spirituale, capace forse alla fine di riconnetterci alla natura, sin da quel battito di cuore che apre "Hertan", un pezzo solenne, che stabilisce sin da subito che cosa attendersi dall'ascolto dei 66 minuti di musica che costituiscono questo lavoro monumentale. Un disco che vede un massiccio utilizzo di strumenti tradizionali, come la talharpa, il flauto, la lira, il corno di capra e l’arpa a bocca, combinati poi con suoni della natura, atmosfere ipnotiche e meditative ("Birna"), suggestioni ritualistiche che a occhi chiusi, inducono immagini che ci riportano a uno stato di primordialità e al contempo di sacralità ultraterrena. Suoni di ruscelli aprono "Ljos Til Jord", accompagnati poi da eteree voci femminili che accompagnano quella di Einar Selvik, su di un tappeto ritmico tribale. "Dvaledraumar" ha la pretesa di durare oltre 15 minuti, con un tema ambient per la maggior parte del suo tempo, il che, devo ammettere, alla fine stufa un pochino. Trovo infatti che i Wardruna siano più intriganti nei brani più brevi, caldi ("Hibjørnen"), o comunque formati da una struttura canzone più consolidata ("Skuggehesten"). Tuttavia, 'Birna' alla fine è un signor album che segna il ritorno di una delle band in ambito ambient folk, forse più influenti al mondo. (Francesco Scarci)

(Columbia Records - 2025)
Voto: 77

https://www.wardruna.com/