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mercoledì 28 febbraio 2024

BS Bone – Cerberus Bone

#PER CHI AMA: Hard Rock
Album difficile da inquadrare questo nuovo lavoro dei molisani BS Bone, un disco carico di energia elettrizzante ma incredibilmente fuori tempo massimo sotto l'aspetto sonoro e compositivo. L'album si snoda bene e non rallenta mai, è dinamico e ben suonato, ha dei brani di sicuro effetto, che potrebbero mostrarsi dei singoli perfetti ma espone anche alcuni dettagli negativi. Una buona produzione rimette in pista quattro canzoni già presenti nel primo EP, ma mi destano dei dubbi alcuni dei suoni usati, che risultano come un incrocio tra il sound dei Mother Love Bone, vedi "Always a Cheater", che per il sottoscritto è una splendida canzone, e certo metal di fine '80, anche se qui le strutture si rifanno più alle sonorità di band degli anni '90 come i Mindfunk, o ancora al primo grunge, quello di gruppi ancora in erba che poi diventeranno famosi. Infine, sottolinerei l'uso del riverbero sulle voci che risulta datato e scontato, avrei osato qualcosa in più nell'effettistica. "Bad Influencer" nasconde qualcosa di hard rock vicino ai primi lavori degli Audioslave ed è trascinante, come "IDG (a Fuck)" del resto, anche se tutto è simile allo stile dei mitici e dimenticati troppo in fretta, The Almighty. Possiamo dire che il concetto compositivo è molto classico e segue sempre la logica giusta, senza mai porre deviazioni pericolose, e questo rende l'opera molto omogenea e compatta, e tolto il velo che li riconduce a certo rock duro dei '90s, bisogna ammettere che il disco funziona comunque, pur suonando in una maniera molto vintage, se accostato ai canoni standard di produzione metal odierna. La ballad "Panic and Silence" diventa un classico, "Dysfunctional Souls" ha un coro in stile Anthrax che è puro amarcord, e via fino alla fine, tra assoli pirotecnici perfettamente incastrati e giri di basso a dovere, anche se l'inizio della conclusiva "Suicide Journey" sembra affidato a un riff di Simon Gallup dei The Cure. 'Cerebous Bone' è un lavoro che può essere criticato sotto tanti aspetti, ma credo che riceverà anche tanta stima, visto che per certi versi, ignora quello che il metal offre in genere in epoca moderna, e il suo fascino retrò e la sua grande energia, unite a una ruvida genuinità, lo fanno elevare sopra tutta una serie di lavori appiattiti contemporanei. Ascoltate il riverbero nella voce di "99 Lions", che farà correre i vostri ricordi ai Motley Crue oppure ai White Lion, una cosa impensabile al giorno d'oggi, e sono sicuro che comunque questo disco conquisterà molti fans, sicuramente quelli che conoscono, hanno seguito e seguono l'evoluzione del genere in questione. Un disco interessante, che pecca solo nel suo essere debitore del suono e nelle idee di un'epoca passata ma che viene riportata in vita nel presente da una band viva, che ha voglia di esprimersi con tanto orgoglio e sano carattere. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 70

https://bsbone.bandcamp.com/album/cerberus-bone

mercoledì 14 febbraio 2024

Katatonia - Sky Devoid of Stars

#FOR FANS OF: Alternative Metal
Well, this metal is more on the alternative side of that genre, very eclectic! I liked this whole album, there were really no peaks and valleys in it, it was solid the whole way through. I didn't play favorites with any of the songs, either. They were all good, the 11 tracks featured a bonus song. I kind of didn't want this to end, it was so mesmerizing. It's anything but aggressive though the roots are still in that genre, I wouldn't call this alternative rock really like see more modern Anathema. This band is Swedish based and a lot of excellent albums are from that country, especially melodic bands. That would be At The Gates, Dismember, et al though those are really heavier bands. Dark Tranquillity and Arch Enemy are other metal bands that are melodic too!
 
The recording quality was quite good. The instruments were well mixed too, and I'd have to say that it's a more romantic sort of recording, featuring more clean vocals throughout. That's what made this album so appealing if you're not expecting anything heavy. It's just not there on here!

I kind of didn't want this album to end! But it met the mark in my top albums for 2023. It would be the one that I've held most in high esteem for that genre, and others that are a bit heavier would be Fires In The Distance. They're melodic too but a little bit heavier. And good news that yet another Dark Tranquillity album is coming out soon they've just finished with that recording so my sources say! It's a year that has done well with metal in 2023. This year, in terms of melodic bands, Everdying is another melodic band that's heavier though and much more aggressive than Katatonia. Anyway, all the songs on this Katatonia release are favorites. I can't site one that's better than another. They all have a special place in their discography.
 
Not to digress like I did previously, this is something that's so esoteric and surreal! They're not balls out intensity, it's wholly melodic with so many intriguing instruments in the mix that are essentially clean. Basically, they have light-to-metal guitars and keys that play well with the vocals.

I think this is my favorite release from the band. It's so consistent, just don't expect it to be balls out heavy the element here is "feel" opposed to aggression. These guys take melodicism to the next level with genius syndrome effects and essence, as I'll revisit my previous state. Check it out! (Death8699)
 

venerdì 2 febbraio 2024

Sarneghera? - Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Tornano i bresciani Sarneghera? per raccontarci altre epiche storie proveniente dal lago d'Iseo, utilizzando quel loro stralunato sound che già avevamo avuto modo di apprezzare in 'Dr​.​Vanderlei: Tales From the Lake Vol​.​1', atto primo del quartetto nostrano. 'Il Varco nel Vuoto: Tales From the Lake Vol​.​2' prosegue su coordinate similari, arricchendosi tuttavia di ulteriori richiami che, nella distruttiva traccia d'apertura, "Human Killa Machina", sembrano accostare a quella disarmonica linea ritmica già descritta nel debut, richiami di "beatlesiana" memoria nel bridge centrale o addirittura echi dei The Buggles, quelli che cantavano "Video Killed the Radio Stars", per intenderci. Sarò un visionario, però questo è quello che ci sento, nonostante la band lombarda ci prenda a badilate sul muso. E continuano a farlo anche nella più punkeggiante "Vono Box", una cavalcata abrasiva interrotta da momenti più ragionati, che rendono l'ascolto dei nostri più interessante, soprattutto a fronte di un'alternanza vocale - pulito/distorto - alquanto azzeccata e a delle liriche che ancora una volta miscelano più lingue. "Sos" è un pezzo più ipnotico, grazie a un'arpeggiata parte introduttiva che lascerà ben presto il posto a una roboante ritmica in grado di evolversi ulteriormente verso più direzioni, tra il math, l'alternative e il post metal cinematico. Non si tirano certo indietro i Sarneghera?, il braccino corto lo lasciano ad altri e provano in mille modi a sperimentare, riuscendoci poi più o meno bene e non importa, ciò che è rilevante è quello che ne venga fuori sia sicuramente ancora assai apprezzabile. Ultimo brano e sento anche qui odore di provocazione, cosi com'era successo nel primo EP: "L'Universo è una Parte di Me", cantata anche qui in italiano (un'altra analogia col precedente lavoro), mescola garage rock, indie, alternative, post-hardcore e tanto altro, per un pezzo breve, ma ficcante al punto giusto. Mentre mi rimetto ad ascoltare l'EP, ribadisco la necessità di un lavoro più lungo per meglio tastare il polso dei bravi Sarneghera?. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings/I Dischi del Minollo - 2023)
Voto: 74

https://sarneghera.bandcamp.com/album/il-varco-nel-vuoto-tales-from-the-lake-vol-2

sabato 18 novembre 2023

S.C.I.O. – Discorsi Distorti

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
Quasi un'ora di deliri sonori in compagnia del basso elettrico di Stefano Scioni (alias S.C.I.O.), uno che ai tempi della sua militanza negli UDE, ha aperto per i mitici Scisma. Questo è il suo debut ufficiale per la Overdub Recordings, intitolato 'Discorsi Distorti'. Una sorta di presentazione del disco viene fatta dal polistrumentista emiliano con l'introduttiva "Primo Cielo", che spiega l'esperienza dell'ascesa al monte Cusna, la visione delle stelle, l'insegnamento del cielo e dello spazio sulla necessità di svanire in un buco nero (una metafora che credo debba valere come insegnamento all'umanità), un eccessivo uso delle parole che porta solo a discorsi distorti. Ecco un sunto, alquanto destrutturato, del razionale/idee/pensieri che si celano dietro a questo monolitico disco di ben 15 tracce che si muovono tra l'alternative rock e lo stoner, tutto (o quasi) rigorosamente in modalità strumentale. Si inizia dalle cupe atmosfere di "Blame the Colours", tra suggestioni in chiaroscuro e quelle che sembrano chitarre stratificate (è in realtà un basso) al limite dello stoner. È poi il turno della brevissima interferenza elettronica "Elettronoia", che ci introduce alle spagnole spoken words di "Respiri Verso l'Aria", un pezzo più intimista che per questo ammicca al post rock, quello più notturno, freddo, quasi distaccato ma che con quelle sue tormentate linee di basso, ha invece un effetto opposto, in grado quindi di scaldarci quell'anima impassibile che giace in mezzo al nostro petto. Inquietanti voci in sottofondo aprono e ci accompagnano per oltre un minuto in "Tra le tue Parole", per poi lasciare spazio a un brillante, melodico ma stralunato pezzo che dovete assolutamente ascoltare. In "Pseudoumani", fa finalmente la sua comparsa la voce del frontman, sorretta da pulsanti linee di basso e da un'atmosfera darkeggiante che per due minuti e mezzo incutono una sorta di timore reverenziale; poi spazio ad una splendida cavalcata con batteria, basso e synth a guidarci in questo valzer sonoro. Un altro simbolico bridge ambientale ("Nostalgia e DNA") per cui vale la pena quasi esclusivamente soffermarci a riflettere sul titolo ed eccoci arrivati alle super distorsioni di basso di "About Brunale", song dal piglio noise (nella prima parte), più alternative nella sua progressione verso la coda del brano, e dove ancora a mettersi in mostra sono senza ombra di dubbio le melodie architettate dal polistrumentista italico. "Il Sole è Solo Mio" potrebbe quasi essere una dichiarazione egocentrica messa in note da Luigi XIV, mentre "Sasha Corri" lascerà un sapore jazzy ai vostri palati. Il disco si sposta verso le sperimentazioni orientaleggianti della brumosa e claustrofobica "Riferimenti in Circolo", mentre il basso introduttivo di "Le Prigioni di Jaco" ricordano un che dei Tool più psichedelici e la sua progressione include altre influenze della band californiana, in quello che forse è il brano più movimentato (insieme alla splendida e caleidoscopica conclusione affidata a "Dorotea") e anche i miei preferiti del disco. Gli sperimentalismi proseguono nella più angosciante "Conquiste" o nelle parole sconnesse di "La Luce di Rol" che fanno da introduzione ad un pezzo parecchio introspettivo. Un lungo viaggio in grado di estrapolare attraverso la musica, i pensieri angoscianti di Stefano su una società esclusivamente destinata all'estinzione. (Francesco Scarci)

martedì 14 novembre 2023

Closure in Moscow – Soft Hell

#PER CHI AMA: Alternative Pop Rock
Devo ammetterlo, questo nuovo album degli australiani Closure in Moscow, mi ha creato molti conflitti, fin dall'uscita dei primi singoli. Premetto che ho adorato le uscite precedenti reputandole geniali e molto sottovalutate, però questo album non me lo aspettavo fatto in questo modo. I nostri hanno fatto una scelta stilistica simile all'ultima fatica dei Coheed and Cambria, oppure l'ultima uscita dei The Mars volta, o al tempo, 'Pitfalls' dei Leprous, dove delle ottime band in odor di hard rock progressivo moderno e ad alto tasso tecnico, si spostano verso ambienti più pop, alla ricerca di notorietà e un più vasto pubblico. In fatto di tecnica, questa band ha già dimostrato di non essere seconda a nessuno e, anche in quanto a produzione, ha sempre avuto standard altissimi. Ricerca dei suoni ed eleganza sono una prassi per la band di Melbourne, però in questo disco i nostri calcano tanto la mano su innesti funk, pop, dance, il tutto a discapito delle fughe nel rock prog che rendevano gli album precedenti pazzeschi. Immaginate gli Incubus ancora più tecnici, ma più goliardici, che giocano con il funky dei migliori FFF (French Funk Federation), si esaltano in assoli ma non entrano mai in un'atmosfera diversa dallo scanzonato rock che ricorda certi gruppi funk metal degli anni '90. Il disco è pieno di idee sullo stile dei progetti di Omar Rodriguez Lopez, ma come nell'ultima opera dei Coheed and Cambria, passo dopo passo, ci si avvicina sempre più ad una deriva elettro/indie/pop rock, con buone intuizioni ed ottime sonorità, al passo con certe cose di Saint Vincent, ma che guasta con il passato dei Closure in Moscow, per come si sono proposti in precedenza e i dischi che hanno fatto fino a questo punto. Certo, cambiare rotta fa parte di un artista e la ricerca, seppur avanzata in generi nuovi ed inusuali, non si è fermata anzi si è espansa, però qui la band ha cambiato registro e cercato una soluzione più appetibile per un pubblico più ampio. Resto tuttavia dell'idea che per la caratura di questi musicisti, inseguire le orme di band come i Red Hot Chili Peppers, che in cambio di un grande successo hanno perso grinta, carisma e freschezza nelle composizioni, non sia la strada giusta, almeno dal punto di vista artistico. Tornando all'album, non posso far altro che dire che è un buon disco, suonato troppo bene per restare nel calderone del pop, carico di buone idee, belle sonorità e tecnica sopraffina ma troppo pop, soul e funk, per emergere tra i seguaci del progressive rock e dell' alternative rock, che potrebbero rimanere delusi da quel velo di leggerezza che pervade l'intera opera. Cosa, comunque, che non intacca minimamente le qualità di composizione e di esecuzione di questi musicisti, che rimangono spettacolari, con un vocalist eccezionale che risponde al nome di Christopher de Cinque. 'Soft Hell' è il titolo di questo loro quarto album, quasi un presagio che avverte i fans di un'imminente sconvolgimento dei piani, con una forma musicale sempre ricercata ma più melodica e meno selvaggia, un disco tutto da interpretare che creerà pareri contrastanti tra i fans dei Closure in Moscow. "Don Juan Triumphant" è la mia preferita perchè porta nella sua composizione molti richiami al loro passato, "Jaeger Bomb" ha un tiro pazzesco, mentre in "Lovelush" vi trovo persino qualcosa degli '80s al suo interno e con la sua vena sognante e romantica, per quanto ricca di curiosità soniche, mi sconcerta più di tutti gli altri brani. Un album che deve essere ascoltato e studiato da mille angolature per capirlo e dargli il giusto apprezzamento, una nuova veste per questa band, che ha sempre e comunque, saputo mettersi in risalto ad ogni uscita. (Bob Stoner)

(Bird's Robe Records - 2023)
Voto: 70

https://closureinmoscow.bandcamp.com/album/soft-hell

mercoledì 27 settembre 2023

Three Fish - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Grunge/Alternative
La balattonza-da-cucchiaino-in-mano "Solitude" in apertura (ma anche la riverbero-crepuscolare "Strangers in My Head" più avanti), senz'altro reminescente di certi intimismi psicotropi collocabili dalle parti dello Staley (stra)rarefatto dei Mad Season (ma là c'era Micino McCready au lieu di GeiGei Ament) prelude a una divagante e jammosa session di grunge funky (il cosiddetto grunk) composta da ben diciotto fottutissime canzoni (più o meno) agilmente reinterpretanti certi stilemi consolidati, perlomeno in quegli anni, perlomeno da quelle parti. Efficaci "vedderate" ("Laced" o la into-the-riverberante "Zagreb"), efferati muretti garden-sonori ("All Messed Up" e "Silence at the Bottom"), qualche strappetto fuzzy-indie d'ordinanza ("Song for a Dead Girl", la dainosour-grattugiosa "Secret Place") sono numerosi esempi di quel suono tanto ampio quanto inquieto che individuate a badilate nel coevo 'No Code' ("Here in the Darkness" o "Build"). Se potete sopportare la fesseria sufi dei tre pesci, orgogliosamente recitata da GeiGei in tre, dico tre, distinti momenti, il (ri)ascolto dell'album a quasi trent'anni dalla sua pubblicazione, vi risulterà strusciante e confortevole più o meno quanto un paio di mutande di flanella. (Alberto Calorosi)

martedì 29 agosto 2023

Judith Parts - Meadowsweet

#PER CHI AMA: Ambient/Dreamwave
L'elemento base qui è il trip hop, in una forma ulteriormente rarefatta, liquefatta in profondi echi sconfinati, governati da una calda voce e da un radicato concetto di musica sospesa che condiziona tutta l'opera. È il caso del brano d'apertura che regala il titolo a questo nuovo album, 'Meadowsweet', delicata ma cupa, soave ma decisamente destabilizzante, in un contesto di sensibile estraneazione dalla realtà. Ed è in questo mondo surreale che Judith Parts, violinista, cantante, music producer e sound designer estone, con base operativa in Danimarca, libera ed elabora le sue visioni musicali. Tra musica eterea ed elettronica minimale e futurista, drone music e tappeti cosmici, Judith ha imparato bene la lezione di certo morbido acid jazz evanescente e i vari segreti del trip hop, raffreddando e smembrando gli acuti ritmici dei Portishead, utilizzandone la veste canora, adattandola alle sue tele musicali, utilizzandone i metodi e raffinandone un sound personale anche se non nuovo, che si impreziosisce di piccole venature rubate alla musica classica. E ancora, atmosfere al rallentatore, come quasi a tessere una trama che funge da colonna sonora di un film astratto e dai colori tenui, al contempo abbaglianti, ipnotici ed emotivamente pericolosi ("November"). La veste soundtrack rincorre spesso e volentieri tra i brani di questo secondo lavoro dell'artista baltica, ma è con la sua tonalità eterea da musa irraggiungibile, che unita ad una diffusa tensione emotiva, che si toccano le vette più alte, ed il romantico brano "Burn Like Witches" ne è la prova più tangibile, una song elevata quasi a forma mentale zen per le orecchie. "Intro 1" sembra un estratto da un documentario sciamanico e introduce "Nettle Field", uno dei brani più ritmati del disco, con un sound al confine con le geniali sonorità world music del compianto Mick Karn, ma debitamente ridotte all'osso e sezionate a dovere. "Apple Tree" si muove tra sussulti rumoristici, elettronica sperimentale e un cantautorato d'intima bellezza che trova un altro picco di massima espressione nella conclusiva "Spells", un brano dallo spaziale gusto organistico, dove possiamo immaginare un organo con visuale sul cosmo e in uno schermo ipertecnologico, un lento scorrere d'immagini tratte dai migliori film di Wim Wenders. Un brano che non avrebbe sfigurato nella magnifica colonna sonora del film "The Million Dollar Hotel". Questo disco segna il percorso che potrebbe dare una svolta credibile per una rinascita, ancora più intensa, sperimentale e ricercata della musica elettronica in chiave trip hop. Un disco da non sottovalutare per la qualità delle sue atmosfere sospese ed irraggiungibili, ideali per gli amanti della musica sognante e futurista. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

giovedì 25 maggio 2023

The Pink Mountaintops - Axis of Evol

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative/Psichedelia
Strafattanza sydbarrettiana in apertura ("Comas"). "Plastic Man, You're the Devil": blues urbano di quelli tanto cari a Jack White, ma aromaticamente zeppeliniano (per la precisione, aromaticamente Zep-3, e per la maggior precisione, aromaticamente "Hats Off to Roy Harper", la traccia che conclude Zep-3). Il nervosismo velvet-sotterraneo di "Cold Criminals". Lo psych-space della cupa "Slaves", a metà tra certa neo-psichedelia anni '90 (cfr. "Spiritualized") e i Pink Floyd di "Obscured by Clouds", amplissimamente esplorato in seguito con i Black Mountain. Il fuzzy-gospel sincretico "Lord, Let Us Shine". "New Drug Queen": inappuntabile darkwave, forse prossima a certi riusciti, consapevolissimi coxonismi. Saltate pure l'interminabile post-noia di "How We Can Get Free". Sette tracce, meno di trentacinque minuti. Psichedelico negli intenti e non certo nelle sonorità, il side project di Stephen McBeam sembra conferire forma alle emanazioni più inconsce della sua tumultuosa creatività di "una specie" di Mr. Hyde dei Black Mountain, insomma. Non vi pare? (Alberto Calorosi)

mercoledì 24 maggio 2023

Humus - Non è Giusto

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Ritornano in pista dopo qualche anno dalle due precedenti release, i rockers trentini Humus, con un album esplosivo e in forma più che mai. Il loro rock italiano è di facile impatto e sempre sparato a mille, capitanato da una bella voce maschile, sguaiata e piena di voglia di trasgressione. Musicalmente il sound prende il volo e si può dire che il grande salto sia stato fatto, e se i Maneskin, a detta del mainstream, sono la bibbia dei giovani d'oggi, i nostri Humus, hanno decisamente le carte più in regola per surclassare la più famosa band della penisola del gossip. Detto questo, l'album è ben prodotto, il suono è corposo ed anche se la musica del combo trentino non è il massimo in termini di originalità, bisogna ammettere che siano piuttosto bravi ed efficaci, in fatto di orecchiabilità e dinamica, la band perfetta per i moderni teenagers italiani, che se ascoltassero più musica di questa fattura, avrebbero probabilmente le idee più chiare nei confronti di questo mondo. I testi sono rigorosamente rivolti ad un pubblico giovanile e questo dona freschezza all'intero lavoro. La sua carica esplosiva, il modo urlato di gestire le voci, i riff mirati e la ritmica costantemente pulsante di fondo, riempiono composizioni che colpiscono fin dal primo impatto, e al netto del fatto che siano volutamente e ricercatamente orecchiabili, e non è una dote comune, posso dire che 'Non è Giusto', sembra essere l'album perfetto per chi cerca musica cantata in lingua madre, per ricaricarsi d'energia e mandare tutto e tutti a quel paese. La band suona bene, tutti i brani sono potenti e l'impatto è assicurato, e non voglio arenarmi su banali paragoni con altri gruppi conterranei, perchè gli Humus hanno una loro anima e meritano la vostra attenzione. Le vostre orecchie saranno assaltate da echi hard rock, nu metal, residui pop punk e alternative italiano, suonato e costruito in maniera tosta, niente di complicato o progressivo, tutto diretto e sparato in faccia. Nota di lode finale per la timbrica vocale del frontman, veramente imponente. Impossibile restare fermi di fronte a canzoni come "Disastro", "Se ne Riparla Domenica" o "Qui si Decide". Se avete voglia di graffiante, rumoroso e muscoloso rock tricolore questo album è il toccasana giusto per voi, non fatevelo mancare. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2023)
Voto: 75

https://www.facebook.com/HumusTn/

lunedì 22 maggio 2023

Ashinoa - L'Or​é​e

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock strumentale
Non ho ben capito la reale data di uscita di questa release dei francesi Ashinoa. Il sito bandcamp riporta infatti marzo 2022 come release date, mentre il flyer informativo in mio possesso, recita Maggio 2023. Mah, fatto sta che il quartetto di Lione ha rilasciato questo vinile per la Fuzz Club Records, cercando di coniugare le molteplici anime della band nei 12 brani inclusi in questo 'L'Orée', un disco fatto di suoni cinematico-elettronici, che mi ha fatto immediatamente balzare nella testa gli inglesi Archive (ascoltatevi l'iniziale "Vermillion" con quella sua chitarra southern per dirmi se anche voi non avete avuto la medesima sensazione). A differenza dei più blasonati colleghi di oltremanica però, i quattro galletti ci sorprendono con un approccio strumentale, ma quella valanga di campionamenti che si possono ascoltare lungo questo minimalistico percorso post industriale, suppliscono alla grande la malefica assenza di un vocalist. E cosi, si rivela meraviglioso farsi inglobare dalle sperimentazioni psych/kraut rock/trip hop dei nostri, manco ci trovassimo di fronte ad una versione strumentale dei Portishead fatti di acidi che decidono di lanciarsi in ritualistiche porzioni di "massive attackiana" memoria ("Koalibi"). Ci sono anche sonorità più fredde o tribali ("Space Cow", "Fuel of Sweet" e l'etnica "Disguised in Orbit"), spoken words interlocutorie ("Falling Forever"). Ma nelle note di questo lavoro, troverete ben altro: dall'elettronica orchestral-jazzistica della roboante (splendide le distorsioni chitarristiche a tal proposito) e psicotica "Feu de Joie", alla più cibernetico-pachidermica (per quei suoi suoni vicini al barrito di un elefante) "Yzmenet", che vi permetterano di apprezzare ulteriormente le alterazioni visionarie di questi pazzi Ashinoa, di cui non posso far altro che incentivarne l'ascolto. Esploratori coraggiosi. (Francesco Scarci)

(Fuzz Club Records - 2022)
Voto: 75

https://ashinoa.bandcamp.com/album/lor-e

domenica 14 maggio 2023

KHA! - Ghoulish Sex Tape

#PER CHI AMA: Noise/Post Punk
La cosa che più mi ossessiona, in senso negativo di questo primo full length della band meneghina, è il trattamento riservato, leggermente irrispettoso a mio avviso, verso la splendida voce del frontman. Fui infatti ammaliato dalla forza espressiva della voce di Davide Bosetti nell'EP di debutto di tre anni fa, che si accaparrava le grazie spettrali di band come Indisciplined Lucy e Pavlov's Dog, raggiungendone le tonalità e le particolarità acustiche, inserendole in un contesto lontano anni luce dalle suddette band prog rock, per non parlare poi del lavoro di produzione al Mob Sound Studio di Milano, veramente da applausi. Il nuovo lavoro, intitolato 'Ghoulish Sex Tape', pur essendo un gran bel disco, vede la produzione dei Cabot Cove Studio di Bologna spostare il tiro più verso il suono, abbassando (e penalizzando) l'importante performance vocale. Il trio milanese è ancora orientato verso un noise rock, carismatico ed esplosivo, nipote di quello che fu un capolavoro della scena sotterranea italiana, ovvero, '10000 Doses of Love', di un gruppo ancora poco osannato per i loro meriti, quali erano gli One Dimensional Man. Il risultato qui è buono, di qualità, ma diverso dal debutto. Il suono è meno indie noise e in molte sue parti si sposta verso ambienti post punk anni ottanta, che associati ai particolari riverberi della voce, a volte ricordano vecchie cose dei Public Image Ltd.: "My Only Love" ricorda a tal proposito il sound di "Religion II" dei P.I.L o "Sex Gang Children", in chiave meno dark e più alternative. Musicalmente, i nostri hanno evoluto il loro stile che di per sé era già originale, rendendolo più coerente e fantasioso, come l'inserto jazz di "Travelers", ma rimanendo sempre sul filo del rasoio, in fatto di orecchiabilità e rumorosità, cosa che li rende sempre assai apprezzabili. Una ritmica pulsante sostiene a dovere un chitarrismo schizofrenico, tagliente ma molto bello da sentire, urticante, sonico, spesso dissonante ma mai esagerato o fuori contesto. Stravagante pensare che il trio lombardo è una band di noise rock piacevolissima all'ascolto dove difficilmente la noia si sposa con la loro nuova opera. Ritorno a dire solo ahimè che la produzione ha optato per il primo piano della chitarra di Bosetti e degli altri strumenti, tralasciando il posto di prima ballerina della sua voce, ma questo è solo il mio gusto personale, e magari, chi ascolterà questo loro nuovo lavoro, rimarrà sicuramente affascinato dalle loro teorie rumorose e stralunate, e questa nuova verve post punk (rimodernata e attualizzata), un po' alla Teenage Jesus and the Jerks delle radici, rispolverata nella quasi totalità dei brani. Siamo al cospetto di una voce intrigante e originale, di fronte ad un trio che riesce a comporre e suonare ottima musica (quanto è bella "Breadcrumbs"!!!), inquieta e rumorosa, uno spiraglio di luce nelle tenebre profonde del panorama nazionale, per cui l'ascolto è assolutamente consigliato. (Bob Stoner)

mercoledì 10 maggio 2023

Major Parkinson - Valesa – Chapter I: Velvet Prison

#PER CHI AMA: Pop Rock
Non è stato per nulla semplice recensire questo monolitico lavoro dei norvegesi Major Parkinson, non tanto per la lunghezza dell'opera a dire il vero, ma per i suoi contenuti. La band era portavoce di un certo progressive rock, almeno nelle vecchie release; in questo 'Valesa – Chapter I: Velvet Prison ' mi sembra che le sonorità si siano ulteriormente ammorbidite, mettendo in scena una proposta che puzza piuttosto di pop (in taluni frangenti rock) assai commerciale. Ecco, un qualcosa che avrei voluto recensire, a dirvi in tutta franchezza, viste anche le 17 song che i nostri hanno buttato in questo lavoro, dico 17!! Che palle. E se le prime tracce sono un buon modo per avvicinarsi alla band e scoprirne le peculiarità, ad esempio un uso importante dei synth e di ambientazioni stile colonna sonora da commedia romantica ("Behind the Next Door", che peraltro mi sembra in una versione live, come tanti altri brani in questo disco, vedi la "springsteeniana" "Sadlands"), piuttosto che di un uso spropositato del pianoforte (la strumentale "Ride in the Whirlwind") che arriva a farmi sbadigliare, potrei citarvi un altro bel po' di pezzi per cui non posso dirmi un grande sostenitore della band scandinava. "Live Forever" sembra trascinarmi agli anni '80 con quel suo sound che chiama in causa ancora il Boss, che rimane tuttavia altra cosa. Come cigliegina sulla torta, i nostri ci piazzano poi una bella vocina di una dolce fanciulla e il gioco è fatto. O forse no, almeno non per il sottoscritto, che preferisce passare avanti e magari lasciarsi persuadere dal criptico gospel di "Jonah", forse la song che ha toccato maggiormente le mie corde. Altri pezzi da segnalare? La noiosissima (almeno nella prima metà) "Irina Margareta", che fortunatamente si ripiglierà nella seconda parte. La sintetica e stralunata, almeno per i canoni di questo disco, "The House". Forse la punkeggiante "MOMA", ma anche questa alla fine non mi convince granchè. Non so poi se "The Room" volutamente faccia il verso a "Time After Time" di Cindy Lauper, cosi come pure a Madonna, ai Queen (nel synth iniziale di "Fantasia Me Now!") o altri mille artisti degli anni '80, ma per me è ormai già troppo da digerire. I Major Parkinson rimangono sicuramente ottimi musicisti con una vera e propria orchestra di violini, violoncelli, arpe, tenori, soprani, trombe al seguito, che tuttavia poco, anzi per niente, si sposano con i miei gusti musicali. Mi spiace, ma per me è un no grande quanto una casa, almeno sulle pagine del Pozzo dei Dannati. (Francesco Scarci)

lunedì 1 maggio 2023

Atsuko Chiba - Water, It Feels Like It's Growing

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Con un moniker fantastico, mi avvicino con una certa curiosità agli Atsuko Chiba, band originaria del Canada il cui nome sembra derivare dal protagonista di un anime giapponese. ‘Water, It Feels Like It's Growing’ è il loro terzo lavoro che ci delizia con un post rock ritualistico, sperimentale e riflessivo. Almeno questo è quanto testimoniato nella splendida traccia d’apertura, “Sunbath”, che si muove tra atmosfere ipnotiche guidate da un eccellente lavoro di basso e chitarre e dalla gentile ugola del frontman. Echi di Tool, Lingua e A Perfect Circle si coniugano in questo primo splendido pezzo che ci accompagna a “So Much For”, song alquanto imprevedibile per quel che concerne una musicalità in bilico tra prog rock, alternative, math e suoni sperimentali che sembrano scomodare addirittura i The Mars Volta, mentre la voce sembra aver perso qui quella morbidezza che avevo apprezzato nell’opener, per una versione più in linea con la band australiana e anche con Mike Patton. La traccia, per quanto dotata di una certa dose di originalità, devo ammettere non mi faccia del tutto impazzire. Molto meglio la successiva “Shook (I’m Often)”, più dotati di ritmi compassati e di una buona base melodica su cui poggia la meritevole voce del cantante canadese che si conferma ad altissimi livelli anche nella successiva “Seeds”, meravigliosa, con quei suoi ritmi pulsanti e synth che donano al pezzo un certo spessore, complice peraltro l’utilizzo di violino e violoncello nel break centrale del brano. Quando gli Atsuko Chiba provano a uscire dagli schemi per voler strafare, perdono un po’ della loro magia, leggasi la prova di “Link”, un pezzo che risente di una certa vena post punk sperimentale che tuttavia non riesce a sfondare, complice ancora una volta un utilizzo più alternativo e meno suadente del cantato che sembra snaturare il sound dei nostri. In chiusura, ecco la title track, un connubio tra psych blues post rock dalla verve pink floydiana che ci lascia con uno splendido assolo che sottolinea, ancora una volta, la classe e l’eleganza che permea questi straordinari musicisti. (Francesco Scarci)

(Mothland – 2023)
Voto: 75
 

giovedì 27 aprile 2023

Svntax Error - The Vanishing Existence

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Era da un po’ che non avevo dischi della Bird’s Robe Records da recensire, ci pensavo qualche giorno fa, eccomi accontentato. A giungermi in soccorso in questa mia richiesta, ecco arrivare i Svntax Error, band australiana che rilascia questo ‘The Vanishing Existence’ a distanza di quattro anni dal precedente ‘Message’. La proposta, come potrete intuire dall’etichetta discografica, è un fluido post rock (semi)strumentale come solo la Label di Sydney sa offrire. Dico fluido perché è la prima sensazione che ho fatto mia durante l’ascolto della traccia d’apertura “Radio Silence”, timida, psichedelica, quasi ipnotica, a cui si aggiunge poi quell’ipnotismo claustrofobico intimista della seconda “Broken Nightmares”, che vede peraltro comparire la voce di Ben Aylward in un pezzo dai forti brividi lungo la schiena, un vellutato manto di dolce malinconia che fa allineare i miei chakra a quelli dei musicisti originari di Sydney. “215 Days” è ancora imbevuta di note di velluto, flebili e morbide come la famosa copertina di Linus, un porto sicuro, un abbraccio della persona amata, un posto dove piangere, riflettere o rilassarsi. “Circular Argument” è invece un pezzo più da lounge bar, di quelli dove un riff o un giro di chitarra si fissa nel cervello e da li non si muove; nel medesimo brano ritorna anche la voce del frontman a confortarci con la sua ugola gentile. Esperimento che si ripeterà anche nella percussiva, arrembante e ben riuscita “Relentless”, un brano che mi ha in questo caso richiamato gli Archive più sperimentali, e nella conclusiva “Backwards Through the Storm”, in una sorta di tributo ai Tool. La title track si affida ad un post rock strumentale cupo e dal flavour notturno, che nella sua crescente dinamicità, potrebbe addirittura evocare un che dei Pink Floyd. Ultima menzione per “Kelvin Waves Goodbye”, con i sentori pink floydiani che si coniugano alla perfezione con gli estetismi shoegaze dei Mogwai, ma dove a prendersi tutta la scena, è in realtà lo spettacolare suono del theremin di Matthew Syres. Provare per credere il crescendo di un brano di una portata spettacolare, unico ed epico, che vi invito decisamente a supportare. (Francesco Scarci)

mercoledì 26 aprile 2023

Fiesta Alba - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Se cercate qualcosa che possa alterare i vostri sensi con sonorità stravaganti, oggi potreste essere nel posto giusto. Si perché questi Fiesta Alba provano a ridare un po’ di vitalità ad una miscela di suoni stralunati che sembrano pescare qua e là indistintamente da funk (alla Primus), post punk, math rock, alternative e sperimentazioni varie. Tutto chiaro no? Per me francamente non è stato proprio così semplice, visto che ho dovuto ascoltare e riascoltare l'ipnotico trip iniziale affidato a “Laundry” diverse volte. Eppure, ho vinto le mie paure e mi sono lasciato sedurre da quel sound sperimentale, contaminato da un certo percussionismo etnico, dall’elettronica, dal funk e appunto dal post punk (prettamente a livello vocale, ove segnalerei la comparsata del primo ospite dell’album, Nicholas Welle Angeletti). Più si avanza nell’ascolto e più diventa complicato per uno come me abituato a pane e black/death metal. In “Juicy Lips” vengo addirittura inglobato in una spirale dub, in cui i suoni si ripetono in un inquietante moto circolare con un cantato, ad opera della guest The Brooklyn Guy, che sbanda pericolosamente nel rap, mentre quel che rimane delle chitarre (qui sommerse da un massivo lavoro elettronico), vaga per cazzi propri in caleidoscopici universi paralleli, di cui ignoravo l’esistenza. Un turbinio sonoro che evolve in un chitarrismo dissonante nella successiva “Dem Say”, che sembra consengnarci un'altra band, in grado qui di condurci nel cuore dell’Africa nera, grazie ad un’effettistica mai ingombrante, ma che comunque ci distrae da tutto quello di folle che va comunque palesandosi nel corso di questo brano, con una voce (il featuring è qui del nigeriano Kylo Osprey) che narra di favole sulla madre di tutte le terre mentre un virtuosismo chitarristico da paura (in tremolo picking) gioca con le note in sottofondo. “Burkina Phase” combina splendide e ariose chitarre all’elettronica, in un incastro di suoni ricercati, mentre una flebile voce (Thomas Sankara) estratta dal “Summit Panafricano, 1987”, sembra gridare il suo desiderio di libertà verso il neocolonialismo. Il movimento funky richiama anche in questo caso l’estetica freak e zappiana dei Primus, l’elettronica evoca il kraut rock germanico, ma quel sax in bella mostra emana vorticose emozioni jazz. La chiusura del disco è affidata a “Octagon”, un pezzo elettronico, un battito del cuore, un ossessivo agglomerato di suoni che sancisce la genialità di questo misterioso ensemble formato da quattro lottatori mascherati, Octagon, Pyerroth, Fishman e Dos Caras, che sapranno assoldarvi nella loro lotta contro il conformismo della società contemporanea. Io sono pronto ad unirmi alla sommossa popolare dei Fiesta Alba e voi? (Francesco Scarci)

(Neontoaster Multimedia Dept – 2023)
Voto: 75

https://fiestaalba.bandcamp.com/album/fiesta-alba

martedì 25 aprile 2023

Zagara - Duat

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ascolto di questo album mi lascia più di un punto di domanda. La band torinese, alla sua seconda uscita discografica, parte molto bene, e fino al quarto brano, "Apophis", strumentale e sperimentale in senso electro ambient rumorista, si comporta in modo degno di lode, curando testi e artwork in maniera ottimale. Le idee su cui imbastiscono il loro scopo sonoro sono attraenti, tra cantato e sfumature melodiche che raccolgono frammenti di prog rock italico dei mitici anni '70 miscelato a un alternative sound capitanato da una distorsione zanzarosa, esplosiva e accattivante, che espande l'idea di trovarsi di fronte ad una band assai originale, con richiami alla new wave degli '80 di Faust'o e Denovo, cosi come pure trapela una dose di passione per l'electro rock e l'elettronica nazionale moderna. Il tutto lascia sperare in un piccolo miracolo dei giorni nostri, visto come ce la passiamo per via di musica cantata in lingua madre in Italia. "Maat", "Quello che ha un Peso", "Se ha Fame" e appunto "Apophis", hanno questo sentore, se poi ci si aggiunge quel giusto pizzico di alternative rock emotivo, di vecchia scuola Afterhours o Verdena, senza difficoltà, ci si rende subito conto che i primi quattro brani diventano molto piacevoli. Questa sensazione purtroppo, viene a decadere nei successivi brani, dove l'ispirazione sembra attenuarsi per aprirsi a strade, per così dire più consone allo standard commerciale italico. Intendiamoci, l'album è ben fatto e ben prodotto, la band suona bene e quello che fa, lo fa bene, ma quando cade la tensione e si opta per aperture pop rock, dalla dubbia intuizione compositiva, sulla falsariga dei Coldplay di recente ascolto ("Pezzi di Ossa"), oppure, si crolla crudelmente in uno stile sanremese ("lluminami"), che crea una voragine tra i primi quattro brani e i successivi tre, bisogna prendere atto di un certo sconforto musicale. E se "Illuminami" dicevo potrebbe partecipare e vincere tranquillamente la kermesse ligure, "Amnesia", finalmente, risolleva la verve dei Zagara e si riappropria un po' di quel coraggio sperimentale presente all'inizio del disco. "Sole e Limo" parte un po' in sordina, ma ha un bellissimo finale, estremamente distorto, che compensa un'evoluzione abbastanza piatta. La chiusura è affidata a quello che probabilmente è il brano più intenso del disco, "Lago", che con coraggio, unisce ritmica post rock ad un cantato/recitato ad effetto, in un'atmosfera surreale e drammatica, con delle sospensioni temporali di scuola floydiana, miste ad aperture ed evoluzioni teatrali veramente intriganti. Un brano, a mio avviso, che può, e deve dare, la direzione artistica futura di questa band, che sembra non aver ancora trovato la sua vera identità, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un qualcosa di veramente originale nel panorama italiano. Rimaniamo in paziente attesa. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 69

https://zagara.bandcamp.com/album/duat

sabato 1 aprile 2023

Dobbeltgjenger – The Twins

#PER CHI AMA: Indie Rock/Alternative
Bisogna ammettere che la terza prova sulla lunga distanza del quintetto di Bergen, è da considerarsi la migliore realizzazione nella recente discografia dei Dobbeltgjenger. Musicalmente parlando, si nota fin da subito come una registrazione ed una produzione molto in linea con le mode dell'indie pop attuale, abbiano permesso il salto di qualità a lungo ricercato dalla band, negli album precedenti. Il quintetto ha saputo quindi focalizzare le proprie idee fino a renderle assai credibili, e in ambito pop, possono tranquillamente aspirare ad una visibilità su vasta scala. Il fatto che il pop sia predominante non crea nessun disagio alla proposta sonora offerta nel nuovo album. I suoni di 'The Twins' sono filtrati in una maniera molto moderna, e ricalcano certe vie intraprese da St. Vincent nell'omonimo album del 2014, e si mescolano ad una sana dose di funk e spunti rock, che ricordano certe cose degli Incubus più orecchiabili. Una sezione ritmica con un bassista virtuoso è nascosta nella ossessiva rincorsa al pezzo più cool, e a volte, ci si chiede persino perchè non abbiano optato per una soluzione più hard rock per questo album, ma la loro attitudine è più vicina ad album come 'The Chair in the Doorway' dei Living Colour, piuttosto che per qualcosa di più duro. La differenza è anche da ricercare in una raffinata sensualità, perfettamente in linea con alcune intuizioni pop degli INXS d'epoca e immagino che, se la band del compianto Michael Hutchinson fosse ancora tra noi, suonerebbe più o meno come questo nuovo lavoro della band norvegese. Basta sentire il finale di "Purplegreenish", oppure la stessa "Pink" per intuire che ingenuamente o volutamente, il riff di chitarra è pericolosamente ispirato dalla famosa "Suicide Blonde" o "I Need You Tonight", hit della band australiana, e questo mi piace parecchio, visto che nonostante tutto, le tracce riescono a mantenere un loro stile originale. Sono degli ottimi musicisti questi norvegesi, con un cantante bravo e padrone della scena e, al netto del taglio pop, i virtuosismi chitarristici e ritmici si sentono eccome. Certo, li avrei preferiti più rock ma forse questo è il loro contesto migliore e lo hanno voluto rimarcare con suoni ricercati, distorti ma di tendenza e ultra moderni, anche perchè, ditemi voi come si può stare fermi di fronte al giro funk di basso di "Genghis Khan", e alla sua esplosiva evoluzione. Un brano come "Shoot" potrebbe essere un out take dei Muse più dance oriented, mentre "Like Crocodile" e "Toughen Up" mostrano un lato più elettronico dai richiami dance e synth wave, dimenticando per un po' le chitarre. "When You Said That You Were Fine", vive di un basso frizzante per un free rock molto fresco e intelligente, e dimostra come l'esplorazione sia una prerogativa in tutte le tracce di questo buon disco che chiude degnamente con "Done", un esperimento di tre minuti tra space music ipnotica e un'apertura inaspettata ai confini cosmici del progressive rock in stile seventies che conferma la fantasia e l'abilità di questa interessantissima band. 'The Twins' è un album tutto da scoprire, per cui sono peraltro consigliati ripetuti ascolti anche in cuffia. Disco da non perdere. (Bob Stoner)

giovedì 23 marzo 2023

Dez Dare – Perseus War

#PER CHI AMA: Alternative/Garage Rock
In un rituale cosmico di circa 35 minuti, Dez Dare ci delizia con un altro album di psichedelia acuta, stralunata, astratta, figlia di una serie di teorie musicali molto personali, che ruotano attorno a questo musicista australiano con sede a Brighton (UK). La peculiarità nell'accostare strade diverse dalla psichedelia è innegabile nello stile di Dez Dare (al secolo Darren Smallman), passando dalle immagini dell'artwork, colorate e allucinate, al bel video di "Bozo", questa volta il nostro menestrello sonico, crea muri sonori con un ammasso di suoni provenienti da variegate direzioni. Che siano le chitarre fuzz dei Dinosaur Jr, il garage dei Gorilla, il krautrock, il noise rock, il fattore hippie caro a Brant Bjork, il proto punk degli Stooges, la prima synth wave elettronica o il mondo immaginario messo in musica da Daevid Allen, poco importa al nostro incredibile figlio, non dei fiori, ma dei funghi allucinogeni. Ogni cosa nel suo mondo è psichedelia, quindi, nelle sue composizioni, ci si può trovare di fronte ad un cantato che ricordi i primi riverberi dei Monster Magnet ("OUCH!"), o che un effetto vocale, diciamo alla The Pop Group (!?!), sia inserito in un contesto ipnotico di un rock scheletrico proveniente dallo spazio ("My Heels + My Toes, My Lies + My Nose"), ricordando l'effetto follia di "The Return of Sathington Willoughby", brano d'apertura di 'Brown Book' dei Primus. Tutto questo è praticamente concepito con una logica di libera espressione, di fatto tra le mura domestiche, un "Do It Yourself" anticonvenzionale, che rende tutti gli album di Dez Dare un'esperienza cosmica unica. Il suo è uno stile altamente originale, da puro e simpatico anti divo e artigiano del suono, dove il canto/parlato alla Beastie Boys, si confonde con quello dei Fu Manchu e con il tipico approccio punk, in un'atmosfera costantemente dilatata, sormontata da montagne di fuzz e xilofoni dal retrogusto dark. In effetti, come tutte le sue realizzazioni, non è facile descrivere le sue opere, si possono fare degli accostamenti a priori, ma il mood compositivo con cui genera e degenera la sua musica, scardinando il modus operandi della maggior parte delle bands che suonano questo genere, gli permette di essere veramente unico, nel bene e nel male dell'opera, e nel percorrere la strada che porta alle infinite lande della psichedelia sotterranea. L'orecchiabilità dei suoi brani è un'altra delle sue caratteristiche, poiché anche 'Perseus War', si contraddistingue per la sua facilità di approccio, anche se tutto è allucinato ed ipnotico a dismisura e nulla è lasciato al caso, e questo lo si percepisce benissimo ascoltando la ricercata musica di Dez Dare. I 2:54 minuti del singolo "Bozo", sono un apripista splendido. Garage rock degno dei 500ft of Pipe, guidato da una ritmica spinta alla Hawkind, rumori di fondo, feedback, un tremolante xilofono giocattolo e umore lo–fi. Un video divertente accompagna il brano, surreale e spettrale, decisamente geniale, come del resto anche il video inquietante di "Bloodbath-on-HI". Penso che in ambito sotterraneo Dez Dare non abbia tanti rivali, lui è diversamente psichedelico, in senso talmente ampio, che l'impossibilità di paragonarlo a qualche altro artista è reale. La sua arte riesce a parlare delle lotte dell'universo per la sua sopravvivenza come della pressione quotidiana che l'uomo subisce nella sua esistenza contemporaneamente, attraverso suoni ed immagini, che sdoganano con una certa naturalezza, incubi, sogni, allucinazioni e figure da cartone animato, atmosfere horror e commedie satiriche del sabato sera. La proposta di quest'artista è forse quanto di meglio il mondo psych rock oggi possa offrire, un rock disagiato, che non guarda necessariamente al virtuosismo, che abbandona la veste patinata e torna allo splendore del sottosuolo, fa rumore intelligente, oltrepassa il confine nuovamente, e illumina come le band di un tempo. Una musica adatta per i più folli ma sani di mente, una musica da evitare per i puristi e poco liberi all'ascolto. (Bob Stoner)

domenica 19 marzo 2023

Laika nello Spazio - Macerie

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Post Hardcore
È giusto che sempre più persone sottolineino come il mondo stia andando a farsi fottere, siamo destinati all'estinzione lo sappiamo, e questo processo ha accelerato pericolosamente negli ultimi anni: prima il covid, poi la guerra e le catastrofi climatiche in ogni angolo del mondo. E i Laika nello Spazio, in questo nuovo capitolo della loro discografia, ne fanno cosi il loro manifesto, 'Macerie', ecco cosa rimarrà del nostro pianeta e la band originaria dell'hinterland milanese, non fa altro che ricordarcelo dalla traccia d'apertura in avanti, con un sound che prosegue coerentemente quel processo iniziato in 'Dalla Provincia', che già avevamo recensito su queste stesse pagine nel 2019. Il terzetto lombardo ci offre quindi uno spaccato della società odierna, quella frastornata e sfiancata "dalle polveri sottili, dalle isterie di massa, dalla falsa informazionme, dai virus e dal popolo sovrano coglione" ("Coprifuoco Definitivo" che mostra richiami ad un ipotetico ibrido tra Teatro degli Orrori e IN.SI.DIA), quella dei profughi e del femminicidio ("Reazione"), quella conformista narrata in "Schrödinger". Il tutto accompagnato poi da una proposta musicale che oscilla tra post-punk ed un oscuro post-hardcore, con la conferma di un trio a due bassi, voce e batteria (si, non ci sono chitarre, avete letto bene), mentre il cantato di Vittorio Capella continua ad evocare più di una certa similitudine con il frontman dei Massimo Volume, come già aveva evidenziato il buon Bob Stoner ai tempi di 'Dalla Provincia'. La musica dei nostri non è affatto male, presentando più di un qualche richiamo ai Marlene Kunz nella title track, cosi come pure echi stoner rock nella più intimista "Evento Sentinella", con quei bassi magnetici (scuola New Model Army) che s'intrecciano tra loro con una certa benevola efficacia. Ciò che fatico però a digerire è proprio il cantato di Vittorio, che nelle parti non narrate, mi pare stoni pericolosamente. Le liriche in italiano rischiano poi di relegare questa release entro i soli confini nazionali (il (para)culo dei Måneskin qui non è di casa), ma va bene cosi, gustiamoci a tutto volume e con i bassi del nostro stereo a manetta, mi raccomando, la nuova fatica dei Laika nello Spazio. (Francesco Scarci)

venerdì 17 febbraio 2023

Il Wedding Kollektiv & Andrea Frittella - 2084

#PER CHI AMA: No-wave/Alternative/Electro/Avantgarde
La collaborazione tra Il Wedding Kollektiv e Andrea Frittella, giovane fumettista romano, porta alla realizzazione di questo nuovo lavoro della band di Alessandro Denni, di cui abbiamo già recensito i precedenti due ottimi lavori. Questa volta l'opera si adorna, sia nella versione cd che in quella in vinile, di un booklet illustrato da Mr. Frittella, con otto tavole originali a tema, per ogni brano del disco, cosa che contribuirà certamente a rendere l'album, una preda ambita dagli amanti di materiale sonoro, unico e originale da puro collezionismo. A livello di sound poi, la band italiana traslocata da tempo a Berlino, si destreggia con le sue solite carte vincenti. Scarna new wave teutonica, new jazz, elettronica e avanguardia, sono delle armi affilate che Il Wedding Kollektiv sa usare perfettamente. Inoltre, troviamo un'attenzione particolare verso i testi e la bella voce di Tiziana Lo Conte, la quale, rende tutto così attraente, con un fascino retrò sempre proiettato in un futuro surreale. Si parte con "Quando i Residents si Tolsero le Maschere", e già il titolo si fregia di una fitta rete di avanguardia, poiché i Residents, vengono citati a parole ma anche nell'atmosfera del brano, con degli splendidi fiati sintetici e una vena di moderna musica neoclassica, che richiama davvero l'astrattismo di certe opere della mitica band statunitense. "Noi che abbiamo visto il volto dei Residents, crediamo solo negli anfibi ai nostri piedi..." recita il testo alla fine del brano, sottolineando quanto questo progetto sia concettualmente proiettato in avanti, anche nella forma compositiva dei testi. "Tentacoli" è un brano più no-wave che mette insieme molte anime come fosse una rivisitazione delle intuizioni del Forward Music Quintet nei lontani anni '80, e anche qui, compare verso la conclusione del brano, in un contesto quasi alla 'The Catherine Wheel' di David Byrne, ovviamente reinventati in chiave attuale, una frase che recita: "L'architettura sociale disegnava i nostri comportamenti, i sorveglianti sono sempre impuniti..." e credetemi, è una frase che fa molto effetto. Parlare di musica intelligente e non nominare il brano intitolato "Il Modello di Sviluppo", che con il suo incedere da ballata elettro/space/ambient, dal testo veramente riflessivo ed impegnato, con uno sguardo a ciò che la civiltà sta diventando, sarebbe una carenza imperdonabile. La chiusura di questo disco è affidata a "Tra il Futuro e l'Incendio", che all'inizio si avvale di un vago richiamo a "L'Astronomo", brano presente nel precedente lavoro 'Brodo', con un cantato soffocato in uno stralunato e velocissimo intro jazz, per poi lasciare la scena ad un'elettronica più sofisticata, vicina ai Portishead ma con un'ottica rivolta al minimalismo elettronico d'avanguardia, colto e mirato nei particolari. Ottimo l' artwork di copertina e il parallelo del titolo, '2084', con il libro di Orwell, '1984'. Come dissi per il loro debutto, se questa fosse la musica che primeggia nelle classifiche pop italiane, l'Italia sarebbe un paese assai diverso. Gran bel disco. (Bob Stoner)