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lunedì 27 novembre 2023

Latex Baby - Stab

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
I Latex Baby sono nati dall’unione di Dr. Morbus (proveniente dalla death/black metal band Antrum) e Fetish X (proveniente dall’harsh noise band Involucro). Quello che vi presento oggi è il primo interessante lavoro della band (prima che se ne perdessero completamente le tracce, tant'è che non abbiamo trovato nemmeno uno straccio di sito internet/ndr). Dimostrazione di ciò è il fatto che il gruppo comparve anche nella compilation 'Death Odours' dell'importante etichetta italiana Slaughter Productions. Il primo brano ("Weak Flesh Persecution") è composto da una dinamica parte elettronica a cui si sovrappongono voci filtrate e una parte noise. I due brani successivi ("Cut-Off Throat" e "Lacerated Wombs") sono sostenuti da un riffing metal che si muove tra industial, death e black e che spesso serve solo come componente ritmico (come ossatura direi) in quanto la parte principale è affidata allo strato noise assai ben sviluppato, coinvolgente e scorrevole. È molto ben riuscita l’amalgama tra le singole partiture e sono forti le sensazioni che riesce a dare lo spesso sound di "Stab". L’ultimo brano ("Pierced Clits & Razorblades") è un morbido ed avvolgente pezzo industrial, morboso e pericolosamente attraente; potrebbe tranquillamente fare da colonna sonora a qualche bella scena del film 'Naked Blood'. È un peccato che questo lavoro duri solo un quarto d’ora; avrei proprio voluto ascoltare cosa i Latex Baby sarebbero stati capaci di fare su un full-length! Disco consigliatissimo.
 
(Necro.files Music - 2000)
Voto: 70


giovedì 5 ottobre 2023

Mysticum - In the Streams of Inferno

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
I Mysticum sono un gruppo norvegese di black-industriale molto particolare, con atmosfere glaciali ed inquietanti (ma auspico che la maggior parte di voi già lo sappia/ndr). La drum-machine in questo 'In the Strems of Inferno' è simile ad un martello pneumatico volutamente ripetitiva e prorompente. La voce black è malvagia però, quasi in sottofondo rispetto alla musica. Nei Mysticum l’uso dei synth e di campionatori è d’importanza rilevante perché è proprio in queste parti dove viene concentrato il suono freddo e industriale. Le otto tracce qui presenti sono un inno al male, ed è inutile addentrarsi nella spiegazione di ogni singola canzone visto che il lavoro è oscuro in ogni suo elemento e privo di cali di tensione. Ascoltatelo quindi in completo silenzio, fatevi rapire dalla follia compositiva. Imperdibile.

(Full Moon Productions/Peaceville Records - 1996/2023)
Voto: 85

https://www.facebook.com/mysticums

martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

lunedì 4 settembre 2023

Baphomet’s Cunt - 2023 - 616 Pleasures

#PER CHI AMA: Gothic Black
Con una bella e sobria copertina (a cui aggiungerei anche dei titoli del cazzo), andiamo ad ascoltare il nuovo parto degli inglesi Baphomet’s Cunt, presagendo che quello che sentirò probabilmente non mi piacerà. Invece attenzione, perchè il detto “l’abito non fa il Monaco” potrebbe valere per la release di quest’oggi. Infatti la proposta del folle The Baphomet General (che abbiamo già incontrato in Ebonillumini e The Meads of Asphodel) è un black metal fresco e genuin che potrebbe conquistare gli amanti di sonorità vampiresche alla Cradle of Filth. Certo un pezzo intitolato “Lord of Flatulence” perde di credibilità già in partenza, eppure le sue melodie, coniugate con una certa ricerca nei cambi di tempo, di atmosfere, e combinando il tutto con l’heavy o addirittura la musica classica, beh trova, in tutta sincerità, il mio più grande appoggio. Mai avrei pensato che le cose potessero andare in questa direzione dopo aver guardato la cover dell’album eppure il primo pezzo (con peto finale annesso) mi ha conquistato. E le atmosfere iniziale di “You Have to Be Cruel to Be Crueller” (titolo alquanto spassoso) proseguono nell'opera di addescamento da parte della one-man band britannica nei confronti del sottoscritto. Con sonorità che ammiccano all’EBM, all’industrial, al black e al gothic, e voci che si muovono tra il growl e il pulito (scuola Fields of the Nephilim), mi ritrovo completamente affascinato dalla proposta del polistrumentista inglese. In “Carry on up the Baphomet” è più evidente l’influenza di Dany Filth e soci almeno a livello ritmico, in realtà poi ci sono molti altri elementi che allontanano la proposta tra le due band, in primis l’ironia dei Baphomet’s Cunt, visto che i riferimenti sessuali nelle liriche potrebbero essere anzi un elemento di comunione. Comunque la band inglese mi piace, anche nella cover dei Soft Cell (synth pop band britannica degli anni ’80) “Sex Dwarf” che regala l’ultima emozione di questo inatteso ‘2023 - 616 Pleasures’ che la band vende peraltro in cd sulla propria pagina bandcamp a 2.99 sterle. E allora, che fate ancora qui, affrettatevi. (Francesco Scarci)

venerdì 16 giugno 2023

Count Nosferatu Kommando - Ultraviolence Über Alles

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Electro-Industrial
C.N.K. è il side project di Rheidmarr, cantante degli Anorexia Nervosa. Si tratta di un buon album di electro-industrial metal in cui le parti di chitarra (dalle ritmiche spezzate e molte accentate) rivisitano, in chiave modernistica, riff di retaggio thrash/death; in sottofondo poi, sono presenti delle melodie di tastiera che completano molto bene i brani e li rendono più particolari. La classica batteria è stata sostituita da una ritmica elettro-industriale completamente campionata e ben programmata che sostiene sempre poderosamente i brani. La voce, sempre un po’ effettata, è urlata, sporca e violenta. Per quanto riguarda il concept lirico, penso che il titolo del disco sia abbastanza chiaro e riveli le intenzioni belliche dei nostri. La produzione è buona ma se fosse stata un po’ più spessa e un po’ più “chirurgica”, i brani avrebbero reso ancor di più. Buon esordio con possiblità di ulteriori miglioramenti.

(Kodiak Records/Season of Mist - 2002/2009)
Voto: 70

https://thecnk.bandcamp.com/album/ultraviolence-ber-alles

domenica 26 febbraio 2023

Nocratai - Chaotic Prayer

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
Se il primo demo di questa one man band, 'Eternal Chill' del 1999, fu un vero e proprio bombardamento di black industriale all’ennesima potenza, questo secondo demo presenta varie differenze sin dall’iniziale “Satanicaholocaustica” che inizia con un sottofondo noise (che con campionamenti, effetti e modi diversi è presente per tutta la durata del demo) sovrastato da versi e sussurri diabolici seguiti poi da una semplice struttura ritmica dall’andamento marziale. È soltanto l’inizio del viaggio che vi offre sua maestà 4 (l’autore di tutte le liriche e delle musiche) per portarvi sempre più vicino alla fine. I vari versi, le urla e le growls di 4 vengono sempre effettate e filtrate e danno la voce appropriata a questa colonna sonora dell’apocalisse. “Our Hell Will Open” si apre con il suono di un allarme dal quale emerge un riff doomish black che esplode poi nel classico black industriale in stile Nocratai. La successiva “I Hear Only Calls From Hell” inizia con del dark ambient a cui subentra un ritmo techno intorno al quale orbitano suoni elettronici e voci campionate ed effettate per poi ripiombare nel brutale black industriale. “Purenoise666 No Life International” è uno dei brani che preferisco e inizia con dei samples (tratti da chissà quale film) sovrapposti ad una base musicale che si potrebbe adattare ad un film horror seguita da una bizzarra linea di violino campionata e ripetuta molte volte durante il pezzo; poi su sottofondo ambient/industrial si sentono dei versi diabolici (“…Satan take me!…”) e il pezzo prosegue nella follia sonora. Stupenda è “Klepoth” dove, su un inizio pseudo ambientale, compare in primo piano il miagolio di un gatto! Come vi sarà ormai chiaro, 'Chaotic Prayer' è tutt’altro che prevedibile. Il demo è una continua caotica commistione di suoni di matrice elettronica, black metal Industriale, noise e… deflagrante pazzia.

venerdì 2 settembre 2022

Peurbleue – La Ciguë

#PER CHI AMA: Black/Drone
La perlustrazione del sottosuolo francese prosegue senza sosta da parte della Les Acteurs de L’Ombre Productions, un’opera incessante volta a identificare i migliori talenti in terra transalpina. Quello dei Peurbleue è un progetto che fa capo a tal JC EX, un musicista legato all’underground drone ambient. Questo background diventa estremamente chiaro con l’incipit “Fecondation” che ci propina tre minuti di inquietanti suoni industriali. Auspicando che l’intero lavoro non segua la stessa piega, mi accingo all’ascolto della successiva “A la Gloire!”, ma anche qui accanto ad una voce quasi declamatoria, sono sonorità spettrali, fluttuanti e angoscianti a palesarsi, almeno fino al terzo minuto, quando la proposta destrutturata del duo, sembra finalmente prendere una forma più delineata ai confini di un suicidal black. Questo sound inizia a prender forma con la terza “Rosee Eternelle”, un brano orrorifico per componente vocale, atmosfere totalmente sghembe che richiamano quelle di film in cui l’immagine della realtà sembra distorcersi nella rappresentazione dello spazio, quasi fossimo in pieno hangover e non ci reggessimo nemmeno in piedi. I suoni sembrano frutto di una pura improvvisazione tra pazzi psicotici rinchiusi da decenni entro quattro mura di una stanza dalle pareti bianche imbottite. Questo per dire che quanto incluso in ‘La Ciguë’ non è qualcosa di cosi semplice da assimilare viste le influenze derivanti da band come gli Xasthur e vari epigoni o da ambiti musicali che fanno della distorsione, della follia e della sperimentazione il proprio mantra. Penso alla breve “Survie” e alle sue alterazioni sensoriali all’insegna di drone e ambient, cosi come alle stralunate atmosfere della successiva “Caniveau”. Quello dei Peurbleu, sia ben chiaro, non può essere definito un disco di cui possa apprezzare in toto i suoi contenuti, cosi schivi, tormentati e demoniaci, ma non posso nemmeno schiantarne la voglia esagerata di seguire nuove strade di ricerca, un qualcosa a cui ambisco ogni qualvolta mi metto ad ascoltare e recensire un disco. Insomma, ben vengano dischi di tali contenuti, anche se non apprezzabili tout court. Per ora va bene cosi, ma in futuro mi aspetto un pizzico di accessibilità in più altrimenti il rischio è che album di questo tipo sia riservato solo ad un pubblico di pochi eletti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cigu

lunedì 29 agosto 2022

Nocratai - Drammaunico

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Industrial Black
'Drammaunico' è il terzo demo per questa band da cui non si sa mai che genere di stramberie sonore aspettarsi, come si era già potuto ascoltare sul primo grandissimo demo di industrial black metal apocalittico e sul secondo di bizzarra musica elettronica. Dunque, come descrivere questa ennesima bizzarria? Vi ricordate il pesantissimo ultra doom improvvisato degli Abruptum? Immaginatevi gli Abrubtum che, invece di suonare super doom, suonino super black; è così che dovete immaginare questo 'Drammaunico'. La chitarra fornisce un incessante ronzio di sottofondo ma, contrariamente a quanto ci si possa aspettare, è la batteria lo strumento che crea veramente la forma e la struttura dei brani cambiando vari ritmi (da mid-tempo a speed black) e a volte scomparendo per un po’. La voce di 4 poi è delirante e farfugliosa, declamatoria e sempre malignamente effettata. Strambi!

sabato 25 giugno 2022

Klymt - Murder on the Beach

#PER CHI AMA: Coldwave/Post Punk
Ho provato quasi un brivido di freddo quando ho fatto partire questo lavoro dei francesi Klymt. Quello incluso in 'Murder on the Beach' è infatti un asettico concentrato di coldwave che vi raggelerà il sangue nelle vene già con le sintetiche sonorità d'apertura di "Analogue Bastard", dove confluiscono turbinii industrial che ammiccano ai Nine Inch Nails. Ecco, in linea di massima su quali coordinate si muovono i nostri, che con la successiva "Blind Fish" si affidano a sonorità ancor più artificiali, ove elettronica ed EBM si prendono per mano e saturano tutta la scena. Ben più diversa invece "Mood", tra post punk e darkwave, in un compendio musicale ben più semplice da fissarsi nella testa, grazie a sonorità qui più dirette e melodiche. "Blue Song" è decisamente più cupa e marziale nel suo incedere. La voce del cantante è ben calibrata nella sua sofferenza con il contesto musicale, sebbene ogni tanto sembri fare il verso a Matthew Bellamy dei Muse e qui mi piace un po' meno. Ma la musica è sempre piuttosto convincente anche nella più delirante ed incalzante "Stay at the Bottom", furiosa nel suo martellante beat. In chiusura, l'inquietante ed enigmatica title track, dove le vocals dei due cantanti finiscono per essere sorrette da una matrice sonora fredda come quel brivido provato all'inizio del mio viaggio. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music/KdB Records/Anesthetize Prod./Araki Records/Postghost Recordings - 2022)
Voto: 74

https://klymt.bandcamp.com/

giovedì 12 maggio 2022

Déhà - Decadanse

#PER CHI AMA: Black Avantgarde
"Se non ci fosse bisognerebbe inventarla" citava uno spot di una famosa automobile parecchi anni fa. Ecco, applicherei la medesima formula anche ai Déhà, prolificissima one-man-band belga, il cui frontman, credo possa contare tra collaborazioni ed ex band, quasi 50 nomi, e se non è record questo, poco ci manca. E a proposito di record, 'Decadanse' è già il terzo album del 2022 (il secondo in ordine cronologico però), il 35esimo dal 2018 a oggi, se contiamo anche le collaborazioni e gli EP. Insomma, una fucina di idee (non tutte geniali per carità), il cui duro lavoro si concretizza quest'anno in questa nuova uscita targata Les Acteurs de l'Ombre Productions. Due nuovi pezzi, per tre quarti d'ora di musica pronti a condurci direttamente all'Inferno con un biglietto di andata/ritorno. La via per scendere negli inferi è quella offerta dalla criptica "The Devil's Science", e quel suo sound all'insegna di un black doom claustrofobico, compassato, oscuro e su cui si stagliano le urla dannate del frontman. In sottofondo, è un giochicchiare di effetti di synth, lugubri atmosfere, prima che lo stesso sound sfoci in cavalcate furenti di black privo di tanti fronzoli. Ma il sound estremo di Déhà fa dell'imprevedibilità il suo motto, ed eccoci risprofondare nelle viscere della Terra per altri frangenti di funeral doom apocalittico, pronto ancora una volta ad esplodere in derive industrial/EBM (addirittura rap) che rendono la proposta del mastermind di Bruxelles estremamente solida ed accattivante. Il viaggio di ritorno ce lo offre invece "I Am the Dead", un nome un programma: il pezzo si apre con nebulose melodie e ritualistiche voci in background. Poi anche qui si prosegue con atmosfere dal forte sapore funeral, da cui iniziare ad evolvere in primis, i vocalizzi (dallo screaming ad urlacci più nitidi, fino a clean vocals) e poi anche un sound che progredisce dapprima in un break acustico, poi tremebonde sfuriate grind (stile Anaal Nathrakh meets Dødheismgard) e ancora suoni epici, avanguardistici, il tutto in un divenire totalmente improvvisato e per questo meritante di tutta la vostra attenzione. Oramai il brano è un fiume in piena, che ha ancora da farci strabuzzare gli occhi con un assolo di synth, rutilanti ritmiche black/death, sprazzi elettronici o il banalissimo ma evocativo chorus indirizzato alla dea Kali. Un pot-pourri di generi che vi convincerà della bontà di quest'artista che se non esistesse, bisognerebbe semplicemente inventarlo. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/decadanse

giovedì 5 maggio 2022

ITDJ - De Mon Demon

#PER CHI AMA: Industrial/Rap
Fissiamo subito un punto di partenza qualora vogliate dare una opportunità a questo disco dell'act italico dei ITDJ (acronimo per Il Tipo Di Jesi, il progetto precedente di Tommaso Sampaolesi, una delle menti della band), ossia vi deve piacere l'hip hop e il rap alla Beastie Boys. Se siete dentro a queste sonorità, sarete in grado di apprezzare anche le successive mutevoli vesti dei nostri che vi porteranno nei pressi di EDM, industrial ed alternative. Se invece quelle sonorità indicate in precedenza non dovessero rientrare tra i vostri ascolti, beh lasciate perdere anche questa recensione. Si perchè 'De Mon Demon', e con l'opener "Spara a Zero" sancisce immediatamente l'utilizzo di un sound che all'interno del Pozzo dei Dannati stona parecchio, questo perchè le vocals (in italiano) del frontman sono puro rap, mentre il sound è costituito da sperimentazioni elettro trip hop. Per carità, il tutto è estremamente accattivante, i chorus ruffiani ("Lasciate parlare la musica, lasciate parlare me...") ti si stampano nel cervello e non ti mollano più. "Demone" continua su questa scia con un pezzo veloce, arricchito da una certa tribalità che si amalgama con l'electro sound che domina la ritmica in sottofondo. "Giù!" è più cupa quasi a meritarsi l'etichetta di dark rap, ma ancora fatica a convincermi, quasi quanto la successiva "Karma" che mi colpisce sicuramente per i testi, per i cambi di vocalizzi (auto-tune?), aspetti tuttavia più interessanti per palchi quali X-Factor o San Remo, non per il Pozzo e questo è più un monito per chi invia lavori inadatti ad essere recensiti (anche per scarsa conoscenza del genere) su queste pagine. Andiamo avanti e mi lascio sedurre dall'avanguardistica "Nella Stretta", finalmente un pezzo folle che mi colpisce per l'originalità dei suoi campionamenti, le voci stralunate del vocalist, e quei tappeti elettronici a creare atmosfere angoscianti, per un brano davvero figo. "Tutti Contro Tutti" miscela ancora rap, suoni tribali e sperimentazione elettronica, con il featuring alla voce di Matteo "Boso" Bosi. "Perdono Perdono Perdono" potrebbe evocare una Caterina Caselli d'annata, in realtà il pezzo ha un forte accento industriale che mostra un altro peculiare aspetto della band. A chiudere "Come ti Ricordi" prosegue con questo intrigante mix tra elettronica, rap ed industrial. La cosa buffa è che se avessero cantato in inglese o addirittura in tedesco, forse avrebbero spaccato di brutto, in italiano mi evocano una di quelle proposte che vuole mettersi in mostra a X-Factor. (Francesco Scarci)

(Peyote Vibes - 2022)
Voto: 65

https://soundcloud.com/itdjsonoio

mercoledì 2 febbraio 2022

Haiku Funeral - Drown Their Moons in Blood

#PER CHI AMA: Black/Industrial
Sul nostro sito è sempre piacevole poter contare su vecchie conferme, ascoltarne le nuove idee e poterne apprezzare le loro progressioni. Tornano a farci visita i marsigliesi (ma solo di stanza) Haiku Funeral con il loro terzo disco (su sette) recensito su queste stesse pagine e peraltro da tre persone differenti. Interessante quindi notare come il buon Bob Stoner ne apprezzasse la miscela tra black d'avanguardia ed elettronica, mentre Shadowsofthesun sottolineasse la loro proposta come un'orgia ritualistica marziale e meccanica. Ora, trovarmeli di fronte con questo nuovo 'Drown Their Moons in Blood' e queste premesse, non mi mette proprio a mio agio, facendomi capire quanto di oscuro e imperscrutabile possa realmente aver tra le mani. E cosi mi metto ad ascoltare l'iniziale "The Universe Murders Itself" e capisco di aver a che fare con un sound all'insegna di un industrial dai forti connotati sciamanici. Ritmica si marziale, scevra di ogni forma empatica musicale, pura percussione dronico-cibernetica, perfetta per un contesto metaversico verso il quale la nostra società si sta pericolosamente proiettando. Vedo solo tanta oscurità in queste note e senso di impotenza verso un futuro dai tratti apocalittici. Le campane simil tibetane della successiva "The Head of the Innocent One", con il corredo ritualistico simil indiano che si porta dietro, provano però a smorzare quei toni da fine del mondo che avevo maggiormente percepito nell'opener e anzi mi danno maggior speranza, grazie ad un'andatura psichedelica che mi lascia piacevolmente colpito al termine del brano, in cui vorrei sottolineare anche la prova vocale del frontman, cosi efficace in quel suo cantato tra il demoniaco e il celestiale in un sancta sanctorum riservato esclusivamente a pochi eletti. E la porzione sciamanica dei nostri prosegue nella ricerca spirituale affidata alla seducente "Cherny Shamani/Черни Шамани", una sorta di trip lisergico dove semplicemente abbandonare i propri sensi. Le derive droniche continuano nelle trame distopiche e visionarie di "The Earth Burns and Burns", mentre "Split the Swollen Dark" è puro ambient sorretto da atmosfere glaciali e dilatate ed una voce lugubre quanto basta in primo piano. In chiusura ancora due pezzi: "To Illuminate a World" prosegue con quegli ambientalismi sottovuoto che fatico a digerire, in coda la title track, un'ultima danza al bagliore di una specie di sitar che suggella egregiamente le atmosfere create da una splendida componente percussiva. Il brano è in realtà assai lungo e sembra rappresentare la summa di quanto ascoltato nel corso di questo impegnativo ed ipnotico viaggio spirituale (quasi un'ora) percorso sin qui insieme. Alla fine posso finalmente dire che gli Haiku Funeral sono decisamente affascinanti (Francesco Scarci)

mercoledì 10 novembre 2021

Regen Graves - Climax

#PER CHI AMA: Electro Noise/Kraut Rock
Regen Graves è un personaggio istrionico dalle mille potenzialità. Noto produttore, bassista, batterista, songwriter, chitarrista e tastierista di tanti progetti, produzioni e collaborazioni, tra cui gli Abysmal Grief, Tony Tears, Apolion, Malombra e Damnation Gallery. Nel suo curriculum non poteva mancare un side project personale, dove poter dare libera espressione alla sua forma sonica più buia, surreale e futuristica. Una one-man-band che ha rilasciato negli ultimi anni una manciata di release molto attraenti, per i cultori del genere ambient, noise, elettronico-sperimentale. La sua ultima opera è intitolata 'Climax' ed evolve il suono dei precedenti lavori, sfruttando gli insegnamenti dei maestri del krautrock, dell'elettronica futurista e vintage di band come i Kraftwerk, il tutto quasi sempre rigorosamente strumentale, fatto salvo per piccole intromissioni di voci campionate. Dalle forme stilistiche ambientali in odor di space/horror dei precedenti 'Cruelty of Hope' e le atmosfere più intime e psicotiche di 'Herbstlicht', il musicista genovese, si evolve e amplifica il raggio d'azione utilizzando i synth in maniera egregia. Il sound è curatissimo e mantiene un particolare suono cosmico e caldo, pur presentando strutture compositive agghiaccianti e nerissime. Si aprono le danze con una lunga (ben 10 min), drammatica e robotica sequenza di organo, rumori metallici e campionamenti di voci in lontananza, stesi su di un vellutato ronzio di fondo che progressivamente prende il sopravvento sul resto di "Immutable Reality", che mostra anche nella distanza un tiepido battito ritmico. Una suite che introduce perfettamente l'ascoltatore nella meravigliosa "The Last Stage of Decline", una chicca costruita con l'intreccio di loop rimbalzanti dei synth, che penetrano nel cervello come il rumore delle biglie di vetro fatte cadere sul pavimento, coadiuvati da una voce narrante ed una tensione devastante in continua crescita che non lascia scampo. Da questo momento in poi, i brani si accorciano leggermente nella loro durata, senza mai perdere la prospettiva ipnotica e spaziale che caratterizza l'intero disco. La sensazione di ascoltare una vera e propria colonna sonora di qualche film di fantascienza di qualche decennio fa, si concretizza con "The Window", per poi passare alla violenza di "Diegetic Distortion", fatta di calda, rumoristica ed industriale sperimentazione sonora. "Nothing Will Be Better" è un drone di synth che trova il suo contraltare nella geniale inventiva di accostarlo ad un suono funebre di campane solenni, voci e rumori di varia natura. La conclusiva "Heat", che nella versione digitale è una bonus track, è un ulteriore passo verso l'universo kraftwerkiano, stravolto da un pianto di bambino che gela il sangue in un crescendo ritmico degno della migliore synthwave degli anni ottanta. Regen Graves, con questo nuovo lavoro, conferma la sua illuminata ispirazione, 'Climax' è un ottimo album, che merita ripetuti ascolti. Un disco spettrale con un'enigmatica copertina, curato nei dettagli, ricercato ed ispirato, per un pubblico sofisticato ed esigente, a cui consigliamo di ascoltare quest'opera anche in cuffia, oltre che in un buon impianto stereo, per apprezzarne a dismisura, l'intenso magma cosmico di cui sono costituiti questi brani. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

(Pariah Child/Yoshiwara Collective - 2021)
Voto: 80

https://regengraves.bandcamp.com/album/climax

martedì 31 agosto 2021

Manes - How the World Came to and End

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Avantgarde Music/Jazz
Dopo l’ascolto di quest’album, giunsi alla conclusione che in Norvegia ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria, perché i gruppi norvegesi si sono rivelati, giorno dopo giorno, sempre più ispirati e in grado di reinventarsi musicalmente disco dopo disco. I Manes non sono mai stati esenti da tutto ciò: iniziata la loro carriera nel 1993 come blacksters super incalliti, hanno saputo evolvere il proprio sound in modo magistrale ed estremamente eclettico dapprima con 'Vilosophe' nel 2003. È seguito poi lo sperimentale 'View', presagio di cosa ci avrebbe riservato il futuro, arrivando con 'How the World Came to and End' a stravolgere totalmente la loro musica, con questo straordinario disco, che ho fra le mani. Questo lavoro sfugge infatti totalmente alla definizione di musica metal, perciò chi non dovesse avere una mentalità notevolmente aperta, si mantenga a distanza di sicurezza. Chi invece come il sottoscritto, ha saputo apprezzare l’evoluzione stilistica del sestetto scandinavo, potrà tranquillamente avvicinarsi a questa delirante produzione. Non saprei proprio da dove iniziare, tanto si presenta spiazzante all’orecchio dell’ascoltatore questo full length. Si parte con “Deeproted” che ci mostra subito la direzione cibernetica abbracciata qui dalla band: la voce di Asgeir è sempre ben riconoscibile su delle basi techno-jungle, che contraddistinguono il sound dei nostri. Con la successiva “Come to Pass” (e l’ottavo pezzo “The Cure-All”), assistiamo all’incredibile: l’uso di vocals rappate e suoni hip hop, stile Pleymo, inserito in un contesto oscuro e ipnotico, che termina in una fuga elettronica alla Prodigy. Con la terza traccia si celebrano atmosfere degne dei migliori Archive, mentre con “A Cancer in our Midst” vi è una ripresa dei suoni tanto cari ai Depeche Mode, con la sola differenza che le vocals sono filtrate, simil industriali. L’album di questi pazzi scatenati, viaggia lungo i binari del paradossale, attraversando lande desolate dal sapore vagamente jazzato, città futuristiche dai suoni spaziali e paesaggi notturni fatti di ritmi elettro-trip hop. I Manes hanno sempre avuto una marcia in più, versatili e dall’enorme inventiva: tutti i dieci brani riescono a catapultarci all’interno di un vortice di forme e colori, dal quale ne usciamo profondamente turbati e intontiti. Seguendo le orme dei compatrioti Arcturus e Solefald, ma ancor di più dei pionieri Ulver, i Manes hanno plasmato la loro mutante fisionomia, destabilizzando, con il loro sound, l'ormai “vecchia” concezione di musica metal. (Francesco Scarci)

(Candlelight Records - 2007)
Voto: 80

https://manes.no/

mercoledì 30 giugno 2021

Mesarthim - Vacuum Solution

#PER CHI AMA: Electro/Cosmic Black
Il misterioso duo australiano dei Mesarthim torna con una nuova release che va a renderne più cospicua la discografia. Sempre sotto la guida esperta della nostrana Avantgarde Records e con un concept perennemente ispirato alla cosmologia, la band ci propone un sound ancora una volta intrigante, in grado di miscelare cosmic black con elettronica e space rock, in un favoloso mix di melodie che si esplicano alla grande lungo le cinque tracce qui incluse. Quello che più ho apprezzato di 'Vacuum Solution' è sicuramente l'utilizzo dei synth nella memorabile title track posta in apertura, che è impossibile non memorizzare e arrivare quasi a fischiettare. Non me ne vogliano i due musicisti australiani, ma questa rischia di essere una delle canzoni più melodiche della loro discografia, sebbene le screaming vocals provino a mantenere un ancoraggio con le produzioni precedenti. Certo che quel finale quasi EBM rischia di stravolgere (positivamente sia chiaro) il pensiero che mi lega da sempre ai Mesarthim. Con "Matter and Energy" le cose sembrano complicarsi ulteriormente, lasciandosi penetrare sempre più dal beat techno elettronico, con il solo cantato black a mantenere un ponte di connessione con la musica estrema. Con "Heliocentric Orbit" ci manteniamo in territori affini, con i due che provano a unire quel sound techno dei Samael di metà carriera con la musica trance e le ultime invenzioni vocali (quasi anime giapponesi) degli azeri Violet Cold. Audaci. Impavidi soprattutto in "A Manipuliation Of Numbers", un pezzo che prende in prestito le tastierine del dungeon synth e le mette a servizio di un sound più etereo che comunque riflette il trademark dei nostri. A chiudere, ecco "Absence" con il suo ambient nudo e crudo, una sorta di colonna sonora di film stile "Interstellar" o "Gravity", che chiude l'ennesimo viaggio nello spazio di questi due sognatori australiani. Ah, una piccola curiosità: l'artwork di copertina è realmente una foto della Nasa. (Francesco Scarci)

sabato 26 giugno 2021

Zeal and Ardor - Wake of a Nation

#PER CHI AMA: Black/Gospel
Una delle band più interessanti uscite negli ultimi anni è rappresentata dalla creatura elvetico-americana dei Zeal & Ardor, capaci di mixare il black metal con gospel e soul tipici della cultura afro-americana. L'ultima uscita della band è 'Wake of a Nation' (a parte il singolo "Run" uscito un mese fa), nata come risposta alle proteste del Black Lives Matter legate alla morte di George Floyd. E la band basata a New York lo fa regalandoci sei splendidi pezzi, dal gospel iniziale della mansueta "Vigil" al black mid-tempo della seguente "Tuskegee", dove allo screaming feroce di Manuel Gagneux, i nostri rispondono con i vocalizzi puliti dello stesso ben più caldi e dove le linee di chitarra oscure come la morte vengono ammorbidite da sensuali break acustici. "At the Seams" apre con la voce suadente del frontman in primo piano in un pezzo che sembra scaldarci il cuore, ma è solo apparenza perchè i toni si fanno più accessi (ma solo a tratti) nella seconda parte del brano. "I Can't Breath" può solo rievocare quelle scene atroci viste alla tv durante l'uccisione di George Floyd e lo fanno inevitabilmente con un testo duro da digerire. "Trust No One" segna ancora una forte mix tra black e gospel, in un connubio sonoro che ha reso grande e originale questa band nella scena metallica mondiale. E il battito di mani finale, le voci afro-americane, fa pensare allo schiavismo, ai campi di cotone, alle proteste dei neri contro i bianchi, il tutto in un contesto sonoro tribal-percussivo di gospel e industrial che rendono questo 'Wake of a Nation' un lavoro a dir poco unico. (Francesco Scarci)

domenica 13 giugno 2021

Borgne - Temps Morts

#PER CHI AMA: Industrial/Black
Li avevo già amati in occasione del precedente 'Y', tornare ad amarli oggi, quando ad uscire è questo nuovo 'Temps Morts', è cosa ancor più semplice. La guida è sempre quella magistrale della Les Acteurs de l’Ombre Productions che confeziona gli oltre settanta minuti e passa di musica visionaria degli svizzeri del Canton Vaud, fatta di un connubio tra black e industrial. Loro sono i Borgne, un duo che da 23 anni ci regala ottimi lavori in ambito estremo. 'Temps Morts' ricomincia là dove lo scorso anno 'Y' aveva chiuso, con un sound prepotente, evocativo, coinvolgente. Si parte con il mid-tempo di "To Cut the Flesh and Feel Nothing But Stillness" e quell'impasto affidato a elettronica, melodia industriale e vocalizzi black che rendono la proposta del duo di Losanna sempre fresca e attuale. Ottima l'effettistica sci-fi, spettacolari le melodie avvolgenti, che confermano l'imprevedibilità dei due Bornyhake e Lady Kaos, qui supportati da Basstard al basso, in una deflagrante miscela sonora che prosegue in dinamiche veloci, dissonanti e insane nella successiva "The Swords of the Headless Angels". Qui, quasi dieci minuti di un sound sovraccarico di suggestioni di qualsiasi tipo, provenienti sia dal mondo della musica estrema che da quello dell'elettronica e del dark, senza dimenticare il noise/drone del finale. Il marasma sonoro puntellato da beat industriali, governa anche la terza "L’Écho de Mon Mal", una traccia furibonda a livello musicale e vocale, tra velocità sospinte a tutta forza, una martellante sezione ritmica e le vocals di Bornyhake sempre spettacolari nella loro accezione grim. Ancora un finale ambient, ma questa volta non fatevi ingannare perchè il fuoco sarà pronto a divampare in un finale incendiario. Si prosegue con il tremolo picking di "Near the Bottomless Precipice I Stand", una song maligna, interessante a livello di arrangiamenti, con un piglio forse più sinfonico delle precedenti, ma che comunque presenta chitarre acuminate come lame di rasoi e che allo stesso tempo, ci offre un break più meditabondo a metà brano ed un finale sospinto da una tribalità ancestrale. Tempo di una lunga e stralunata song acustica, "I Drown My Eyes into the Broken Mirror" e si ricomincia alla grande con i nostri che confermano di non avere decisamente il braccino, investendoci con "Vers des Horizons aux Teintes Ardentes", un altro pezzo convincente e avvolgente grazie a delle linee di chitarra glaciali e bollenti al tempo stesso e ancora un finale all'insegna del rumorismo sonoro, quasi una regola di questo disco. Un'altra bomba e arriva "Where the Crown is Hidden" più black doom oriented, una splendida variazione al tema che mi ha condotto negli abissi sonori creati dai Borgne, un brano che francamente ho amato, e che forse eleggerei come mio preferito di 'Temps Morts'. Ma c'è ancora tempo per decidere, visto che manca a rapporto il beat quasi EBM dell'incipit di "Even If the Devil Sings into My Ears Again", un brano che evolve sulla scia dei migliori Samael e che vanta il migliore finale tra le song contenute nel disco, epico a dir poco. In chiusura invece, "Everything is Blurry Now", la traccia più lunga del lotto, oltre quattordici minuti (di cui quasi sei rumoristici) che riassumono fondamentalmente tutto quanto contenuto in questo ennesimo sorprendente capitolo della saga Borgne. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/temps-morts

martedì 18 maggio 2021

Hallowed Butchery - Deathsongs From The Hymnal Of The Church Of The Final Pilgrimage

#PER CHI AMA: Death/Doom Sperimentale
Gli Hallowed Butchery sono la temibile creatura sonora di Ryan Scott Fairfield, factotum originario del Maine, che torna a distanza di 11 anni dal debut album (che conservo gelosamente nella mia collezione) con questo secondo lavoro dallo stravagante titolo 'Deathsongs from the Hymnal of the Church of the Final Pilgrimage'. La proposta del mastermind statunitense è all'insegna di un death doom sperimentale che si srotola attraverso sei psichedeliche tracce. Psych death quindi: basti ascoltare l'opener "Ever Gloom" per capire che l'artista di oggi, a quanto pare votato al culto della morte, sia un personaggio davvero originale. Come la musica da lui proposta d'altro canto, catacombale a tratti, ammiccante a gothic dei Fields of the Nephilim in altri frangenti, con il death metal a fungere da collante. E la proposta inevitabilmente finisce per essere intrigante per quanto cupa o apocalittica. Si perchè l'immagine che mi si para davanti alla fine dell'ascolto della traccia d'apertura, è proprio quella della fine del mondo. Per poi proseguire in territori claustrofobici con la successiva "The Altruist", un altro pezzo all'insegna di un death doom asfissiante che tuttavia vede l'inserto di stralunati inserti sintetici, dove accanto al growling da orco cattivo di Ryan si affianca anche l'eterea voce di una presunta gentil donzella, in un piano sonoro comunque sintetico e paranoico. Con "Flesh Borer" si riparte dalle elucubrazioni doom dell'artista nord americano, avvolte questa volta in un contesto dronico, grazie ad atmosfere minimaliste e a voci filtrate che sembrano provenire da un mondo parallelo, ultraterreno. Ma la song ha ancora modo da regalarci tra rarefatte ambientazioni neofolk nella seconda parte, voci pulite, parti acustiche e visioni distorte. E "Death to All" continua sulla falsariga della precedente traccia, rimbalzando tra drone, noise, un death deflagrante in fatto di pesantezza, atmosfere sinistre e mortifere, vocals ruggenti ed altre litaniche, in un contesto comunque costantemente da brividi. "Internment" è un altro pezzo malato, folle, psicotico, disperato, che può spingere solo verso niente di buono. Provare per credere ma non dite che non vi avevo avvisato. "On the Altar" infine, si slega da tutto quanto ascoltato sino ad ora e con fare folklorico, chiude malinconicamente questo graditissimo comeback discografico degli Hallowed Butchery. (Francesco Scarci)

mercoledì 5 maggio 2021

Postcoïtum - News from Nowhere

#PER CHI AMA: IDM/Electro/Industrial
La Francia cresce su tutti i versanti, non solo nel black stralunato e sperimentale ma quello stesso sperimentalismo viene messo a servizio delle sonorità elettro acustiche dei Postcoïtum, quasi da sembrare improvvisate. Il progetto di oggi include due musicisti, Damien Ravnich e Bertrand Wolff, che già si sono messi in luce in passato per una proposta electro/noise, grazie ad un paio di album di sicuro affascinanti, ma non certo semplici da approcciare. Tornano oggi con un terzo lavoro, il quarto se includiamo anche l'EP di debutto 'Animal Triste', che colpisce per la cupezza delle atmosfere sintetiche che si aprono con "Desire and Need", che veicola il messaggio della band attraverso una tribalità musicale che miscela IDM, ritmiche trip hop, indie e suoni cinematici, il tutto proposto in chiave interamente strumentale, lanciato con un loop infernale nella nostra mente. I suoni ingannevoli del duo marsigliese entrano come un bug informatico nelle nostre orecchie, sradicando ad uno ad uno i neuroni che costituiscono il nervo acustico. Una dopo l'altra, le song incluse in 'News From Nowhere', si srotolano in fughe danzerecce ("Calipolis") in cui si farà fatica a rimanere inermi. Ma la band è abile anche nel plasmare e maneggiare sonorità ambient rock ("Araschnia Levana"), dove sembrano palesarsi influenze stile colonna sonora, provenienti dalla sfera dei Vangelis. Il manierismo elettronico dei Postcoïtum si palesa più forte e disturbato che mai in "Rojava", definitivamente la mia traccia preferita del disco, con la cupezza e le distorsioni dei suoi synth, spezzati da quell'approccio psych rock, che si ritrova nel finale e che gioca nuovamente su una ridondanza sonica al limite del lisergico. Ma questo sembra essere il verbo dei due francesi anche nella successiva ed evocativa "La Bestia", che imballa i sensi con altri quattro minuti abbondanti di sonorità elettroniche deviate e contaminate che ci accompagneranno fino alla conclusiva "In Paradisum" che per note degli stessi - io vi professo la mia ignoranza - riprende la Messa da Requiem 48 di Gabriel Faur, per un ultimo atto all'insegna di sonorità new age, ideali per un rilassamento yoga. Insomma, quello dei Postcoïtumnon non è certo un album per tutti, di sicuro per chi ha voglia di sperimentare qualcosa di differente dal solito, anche solo per allontanare la mente dal caos di tutti i giorni. (Francesco Scarci)

(Daath Records/Atypeek Music - 2021)
Voto: 70

https://daath.bandcamp.com/album/news-from-nowhere

domenica 25 aprile 2021

Grosso Gadgetto & Pink Room - Woke

#PER CHI AMA: Experimental/Electro/Drone/Rap
Trovo francamente che il moniker di una band ne sancisca già in un qualche modo il successo; chiamarsi Grosso Gadgetto mi strappa sicuramente un sorriso, però non mi fa pensare a qualcosa di vincente, magari sbaglio io. Improvvisare poi con i Pink Room nel periodo tra il primo e il secondo lockdown francese poi, non deve aver fatto molto bene alle due band. Il risultato di questa jam session è 'Woke', un EP di cinque tracce che miscela sonorità elettroniche, drone, ambient, industriali con il rap. Ecco, tremo. E dire che la strumentale incipit, affidata alle inquietantissime atmosfere di "Birth", mi aveva fatto ben sperare per lo svolgimento del disco. Quello che mi ha intimorito infatti è stata la successiva "13", che apre con un rap core (ad opera dello special featuring di Oddateee, rapper americano) su sonorità droniche, un esperimento che non avevo mai sentito prima e che se non sufficientemente aperti mentalmente, rischia di comprometterne l'ascolto. Di fronte al mio scetticismo iniziale, ho provato a farmi forza, ascoltando e riascoltando il brano, provando a vincere le mie paure e cercando di avvicinarmi ad un qualcosa (il rap in particolare) per cui ho provato sempre una certa repulsione. E il risultato di questo ascolto mi ha portato a combattere i miei demoni e alla fine ad apprezzare le sonorità da incubo, cosi cerebrali e insane, di questo stravagante ed irrequieto progetto. Certo, è chiaro che queste sonorità non rientrano tra i miei gusti preferiti, eppure trovo nella musica dei nostri un che di affascinante che potrebbe avvicinarli ai conterranei C R O W N nelle loro ultime apparizioni, coniugati con un che del trip hop bristoliano (penso soprattutto alla terza "Once Upon a Hood") e con gli incubi degli statunitensi Dälek, il tutto suonato con una buona dose di improvvisazione di scuola jazzisitica, che si ritrova in tutte le cinque tracce dell'EP. Insomma, con mia grande sorpresa, devo confessare che pur temendo il peggio, sono invece riuscito ad apprezzare 'Woke', che alla fine chiude con le note atmosferiche di "Final Tape". Io a questo punto ritengo di avere la mente abbastanza aperta per accogliere nei miei sensi questo lavoro e voi, sarete in grado? (Francesco Scarci)