Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Ambient. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ambient. Mostra tutti i post

martedì 26 settembre 2023

Thierry Arnal - The Occult Sources

#PER CHI AMA: Drone/Ambient
Se anche per voi è tempo di nottate insonni, incubi notturni, angosce che lacerano l'animo, o pensieri che s'instillano e minano pericolosi la vostra già precaria stabilità mentale, beh allora vi suggerirei di posticipare l'ascolto a tempo debito, di questo 'The Occult Sources', opera ambiziosa del musicista francese Thierry Arnal, uno che in passato ha suonato con Fragment., Amantra, Hast & more, rilasciando i suoi lavori peraltro, su etichette tipo Denovali e Avalance, tanto per citarne un paio rilevanti per gli appassionati. Perchè il mio diretto consiglio iniziale di evitare un lavoro di questo tipo? Semplicemente a causa dei contenuti qui presenti, le cui venti scheggie impazzite di questo lavoro, enfatizzerebbero non poco, le emozioni, i sentimenti, le percezioni negative che potreste aver in seno, rischiando di portarvi quasi al delirio mentale. Non era in effetti il momento ideale nemmeno per il sottoscritto di imbarcarsi in una simile avventura o incubo musicale che dir si voglia, attraverso un flusso musicale che abbraccia paralleli mondi fantastici, esoterici, orrorifici, cibernetici e mistici, che non starò certo qui a svelarvi, tanto meno a descrivere traccia per traccia. Vi basti sapere che i segmenti qui inclusi potrebbero evocare i fantasmi di tre lavori di colonne sonore degli Ulver, 'Lyckantropen Themes', 'Svidd Neger' e 'Riverhead', grazie a quella semplicistica ma altrettanto efficace capacità di coniugare ambient, elettronica, drone e immersivi sperimentalismi avanguardistici, totalmente deprivati di una componente vocale, che qui certo avrebbe stonato. Largo allora a campionamenti in loop, strali cinematici, suoni post-atomici, mondi distopici, onde gravitazionali e altri simili suoni del cosmo più profondo, atti per lo più a trasferire un'insana sensazione di desolazione all'ascoltatore inerme. Preparatevi allora con la giusta tuta spaziale, ossigeno a sufficienza per affrontare una camminata di oltre un'ora nello spazio, uno scudo termico che vi scaldi di fronte al gelo emanato da questi suoni glaciali e sintetici e non mi rimane altro che farvi un grosso in bocca al lupo per la missione che vi apprestate ad affrontare durante l'ascolto di 'The Occult Sources', ne avrete certamente bisogno. Speriamo solo non facciate la stessa fine di 'Gravity'.  (Francesco Scarci)

giovedì 31 agosto 2023

Gråande - S/t

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Coming from Sweden, Gråande is a new project recently created by two musicians, Nichil and Nachtzeit. The later one needs no presentation as he is the creator and only member of the well-stablished and respected project Lustre, among many other projects, all of them the quite enjoyable. Backed by the label Nordvis Produktion, the project has released a self-titled debut EP, consisting of only two tracks, but making it clear that Gråande has a quite interesting potential.

The EP 'Gråande' unsurprisingly confirms that the new project is firmly rooted in the black metal genre and, more precisely, in the niche of atmospheric black metal, as it happens with Lustre. However, contrary to his most famous project, Nachtzeit and his colleague Nichil, have forged two tracks with a slightly less trance inducing touch than what we can see in Lustre. The guitars, the rhythmic base and the vocals sound more powerful and powerfully rhythmic, and the music is definitively more intense here. But don’t get me wrong, the similarities are there and both projects don’t differ that much. The hypnotic keys are definitively present, and the general ambience also has its trance inducing touch, but with Gråande, the music definitively sounds a bit heavier. The second and shorter track, "Evighetens Kvarn", is the clearest example with its faster drums, quite unusual in Lustre, its cold-biting riffs and Nichil’s excellent shrieks, that sound quite powerful and desperate. The track is definitively a fine example of a crossover between atmospheric black metal and DSBM. The EP opener "Sjöar Ovan" sounds closer to what we have heard in Lustre or the always present influence of Burzum. This influence is stronger in two thirds of the song, where the evocative keys along with the mid-tempo guitars and the drums represent the trademark of the aforementioned projects. Nevertheless, as it happens in the second song, and as a characteristic aspect of this project, we can enjoy more energetic sections, where the drums have a more vivid pace and the guitars sound quite raspy, creating an excellent song of pure atmospheric black metal. In both tracks, shine the powerful vocals of Nichil, which is definitively a successful inclusion in Gråande.

This self-titled debut EP is without any doubt, a very solid beginning for Gråande, it brings the classic influences of Nachtzeit, but with a refreshing touch and, more important, a quality work in the creation of both tracks. Personally, I can’t wait to listen to a full-length of this project, as I am quite sure that many fans of the genre will rejoice. (Alain González Artola)


(Nordvis Produktion - 2023)
Score: 80

https://lustre.bandcamp.com/album/gr-ande

mercoledì 30 agosto 2023

In the Ponds - Fever Canyon

#PER CHI AMA: Heavy Blues
Rilassiamoci un attimo con il sound dei californiani In the Ponds che, in questo ‘Fever Canyon’, sembrano voler divertirsi con una jam session all’insegna dell’heavy blues, sporcato da partiture ambient e venature western. Questo almeno quanto ci racconta la chitarra che apre “The Lost City” e sembra catapultarci in un mezzogiorno di fuoco di un qualunque film western anni ’70. La chitarra ulula che è un piacere, un po’ come se fosse il lupo di una qualche tribù indiana che guardando la Luna, volge il muso verso il cielo rilasciando il suo inconfondibile verso. Non troverete altri strumenti qui, se non l’intrigante ricamo di David Perez alla sei corde, supportato dai tocchi di basso di Jennifer Gigantino. “Windmill Blades” e “Making Time” si muovono sulla medesima falsariga, offrendo quindi lo stage alla chitarra e ai suoi giochi in chiaroscuro, una sorta di strimpellare al bagliore di un fuoco acceso in mezzo alla foresta, ammirando il pallore della Luna e assaporando l’aria fresca dei boschi del mid-west. (Francesco Scarci)

martedì 29 agosto 2023

Judith Parts - Meadowsweet

#PER CHI AMA: Ambient/Dreamwave
L'elemento base qui è il trip hop, in una forma ulteriormente rarefatta, liquefatta in profondi echi sconfinati, governati da una calda voce e da un radicato concetto di musica sospesa che condiziona tutta l'opera. È il caso del brano d'apertura che regala il titolo a questo nuovo album, 'Meadowsweet', delicata ma cupa, soave ma decisamente destabilizzante, in un contesto di sensibile estraneazione dalla realtà. Ed è in questo mondo surreale che Judith Parts, violinista, cantante, music producer e sound designer estone, con base operativa in Danimarca, libera ed elabora le sue visioni musicali. Tra musica eterea ed elettronica minimale e futurista, drone music e tappeti cosmici, Judith ha imparato bene la lezione di certo morbido acid jazz evanescente e i vari segreti del trip hop, raffreddando e smembrando gli acuti ritmici dei Portishead, utilizzandone la veste canora, adattandola alle sue tele musicali, utilizzandone i metodi e raffinandone un sound personale anche se non nuovo, che si impreziosisce di piccole venature rubate alla musica classica. E ancora, atmosfere al rallentatore, come quasi a tessere una trama che funge da colonna sonora di un film astratto e dai colori tenui, al contempo abbaglianti, ipnotici ed emotivamente pericolosi ("November"). La veste soundtrack rincorre spesso e volentieri tra i brani di questo secondo lavoro dell'artista baltica, ma è con la sua tonalità eterea da musa irraggiungibile, che unita ad una diffusa tensione emotiva, che si toccano le vette più alte, ed il romantico brano "Burn Like Witches" ne è la prova più tangibile, una song elevata quasi a forma mentale zen per le orecchie. "Intro 1" sembra un estratto da un documentario sciamanico e introduce "Nettle Field", uno dei brani più ritmati del disco, con un sound al confine con le geniali sonorità world music del compianto Mick Karn, ma debitamente ridotte all'osso e sezionate a dovere. "Apple Tree" si muove tra sussulti rumoristici, elettronica sperimentale e un cantautorato d'intima bellezza che trova un altro picco di massima espressione nella conclusiva "Spells", un brano dallo spaziale gusto organistico, dove possiamo immaginare un organo con visuale sul cosmo e in uno schermo ipertecnologico, un lento scorrere d'immagini tratte dai migliori film di Wim Wenders. Un brano che non avrebbe sfigurato nella magnifica colonna sonora del film "The Million Dollar Hotel". Questo disco segna il percorso che potrebbe dare una svolta credibile per una rinascita, ancora più intensa, sperimentale e ricercata della musica elettronica in chiave trip hop. Un disco da non sottovalutare per la qualità delle sue atmosfere sospese ed irraggiungibili, ideali per gli amanti della musica sognante e futurista. Ascolto consigliato. (Bob Stoner)

giovedì 3 agosto 2023

Hlidskjalf - Vinteren Kommer

#PER CHI AMA: Dungeon Synth/Black
One-man band russe, ne sentivamo davvero il bisogno? Ai posteri l’ardua sentenza, nel frattempo ci ascoltiamo il progetto di Svarthulr in questi impronunciabili Hlidskjalf da non confondere con gli omonimi francesi e tedeschi. La band di quest’oggi si muove musicalmente nei paraggi di un black synth dungeon cosmico-minimalista, mentre le voci sembrano lontani versi di forme aliene provenienti da un altro mondo. Tre soli pezzi compongono alla fine questo ‘Vinteren Kommer’, un disco che potrebbe evocare nelle sue note, un che del Burzum più sperimentale. “Vinteren Kommer I” è la song più lunga con i suoi oltre otto minuti di sonorità glaciali, ma al contempo sognanti, complici un riffing scarno che più scarno non si può, e dei giochi di synth che rendono il tutto più digeribile, per quanto poi il pezzo possa essere estremamente ridondante nel suo incedere atmosferico. I rimanenti due brani del disco sono puro ambient, quasi quella sorta di rumore bianco che uno si piazza nelle orecchie per dormire la notte. Un lavoro un filo indigesto che suggerirei ai soli appassionati del genere. E per rispondere alla domanda iniziale, forse non ne abbiamo davvero più bisogno di altre one-man band. (Francesco Scarci)

martedì 25 luglio 2023

Furvus - Deflorescens Jam Robur

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Ambient/Folk
Interessantissimo quanto coinvolgente e assolutamente sentito questo primo disco di Furvus, ennesimo progetto del livornese Luigi M. Menella. Si tratta di un concept album sul declino della cultura e del mondo pagano sul territorio italico, oscurato dalla violenta tirannia persecutoria della Chiesa. Questo concept è musicalmente rappresentato da brani di folk apocalittico e marziali, da altri più ambientali ed oscuri, e da brani di musica medievale. Il percorso storico del disco inizia con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, attraversa il Regno Romano Barbarico per giungere agli anni bui del Medio Evo fino ad arrivare al Rinascimento e al ripristino del riconoscimento dell’uomo-artista, focalizzando in particolar modo l’obiettivo sul genio di Leonardo. Il lavoro di composizione musicale/lirico e grafico è stato meticolosamente studiato e ragionato affinchè ogni immagine, ogni nota ed ogni parola (rigorosamente in latino o in italico antico) potesse rientrare correttamente e coerentemente nel periodo storico trattato in ognuno dei quattro “libri” (ognuno dei quali suddiviso in “capitoli” per un totale di venti brani/“capitoli” e 40 minuti di musica) in cui è suddiviso questo disco. Il lussuoso booklet riporta poi per ogni brano una fotografia di un dipinto, un luogo o un oggetto attinente ad esso ed una massima tratta dai classici della letteratura Greco-Romana. È un disco di grande spessore, pieno di particolari da scoprire e riscoprire ad ogni ascolto; un viaggio nella immortale memoria del passato guidato dalle superbe fotografie del booklet in cui si può perdersi per ore o per sempre.

(Beyond Productions/Mvsa Ermeticka - 1999/2012)
Voto: 75

https://mennella.bandcamp.com/album/deflorescens-iam-robur-remastered-reworked

martedì 23 maggio 2023

Tragedy Begins - Where Evil Is

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Ambient
Viene dalla Grecia questa band formatasi addirittura nel 1988 (con il moniker Terror/ndr), che è stata per me motivo di una non semplice recensione. Da una parte un lavoro che è grezzo e vecchio stile in tutto, dalla musica alla produzione, e questo mi piace. Dall'altra un album che potrebbe essere in bilico tra il ridicolo ed una raccolta di cliché del genere. In ogni caso la musica è veramente oscura, un incrocio tra Darkthrone e Burzum del periodo black. Suoni comunque grezzi, qualcosa di simile ai loro conterranei Goatpenis. Alcune cose, come ho detto, sono veramente niente male, ed anche alcune tracce totalmente "synth-based" si ascoltano con piacere, ricordando anche in questo caso il buon caro Burzum dei momenti più ambient. In definitiva 'Where Evil Is' è un lavoro un filo scarso, o come dico spesso, solo per i fanatici.

domenica 14 maggio 2023

Lustre - Reverence

#FOR FANS OF: Ambient Black
The Swedish one-man project Lustre has become, since its inception, a primordial reference when we speak about atmospheric black metal. Henrik Sunding, better known as Nachtzeit, is undoubtedly a fanatic of black metal, particularly of the most atmospheric oriented one. He has been involved in several projects, each one having its own character, although the devotion to this genre is out of any discussion. I strongly recommend you to check out Ered Wethrin and Nachtzeit, which are my favourite ones. 
 
Going back to Lustre, the particular vision of Henrik for this project was quite clear since the debut album 'Night Spirit' that was released in 2009. Lustre’s music is trance inducing ambient black metal, strongly influenced by classic projects like Burzum, which obviously is a pivotal influence in the genre when we speak about introducing ambience into the black metal scene. What Lustre does is to create quite simple and repetitive structures. Don’t loose your time trying to find complex riffs or tempo changes, this is all about hypnotic sonic creations which transport you out of this reality. And this is what makes Lustre so special. Repetitiveness and simplicity can always be problem, and many would consider that this music lacks of interest after listening to a couple of songs. But somehow, Nachtzeit achieves the unquestionable merit of keeping releasing songs that captivate you, and this is something admirable.

So, after these years and a good amount of albums and EPs, Lustre continues to be quite active and its last offering is the EP entitled 'Reverence', which consists of one song with the same name. Those who don´t like this project won’t find any reason to like it now, but many others, and I include myself in this latest group, can enjoy this new release a lot. Although Lustre’s music hasn’t changed a lot since its creation, it is also unquestionable that Nachtzeit has perfected the formula during the project’s existence. 'Reverence', being a long song, gives a greater room to introduce little tweaks and more arrangements which make the track a great musical experience. Vocally, this song shows a more varied approach. The voices are classic black metal shrieks, but their tone and strength vary through the song, with moments where they sound louder and more intense, as it happens in the mid-second half of the song, in contrast to the initial part. About the arrangements, the simple yet beautiful keys play their usual major role leading the song, but we can also find some tiny touches here and there, especially in the background which enrich the composition. The electronic interlude in the middle of the composition is a nice one, and I find it quite interesting. As you can imagine, they are tiny adds or changes as the music needs to be trance inducing and nothing can distract you from this purpose. But this effort is very welcome for me, as a composition always needs to sound a bit fresh, regardless off its innovative nature of lack of it.

All in all, the new 'Reverence' is a quite inspired one. Lustre has managed to compose a long track which has everything we know and like from this project. The hypnotic atmosphere and marvellous melodies are there, recognizable but still being capable of absorbing our attention and getting our love, and because of this, Lustre is a so unique project. (Alain González Artola)

(Nordvis Produktion - 2023)
Score: 82

sabato 29 aprile 2023

Les Dunes - S/t

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Come evolvono a volte le cose. La Norvegia, patria natia del black metal, ora è fucina infinita di talenti che si muovono in un sottobosco brulicante di eleganti sonorità post, prog e symph rock che ci hanno permesso ultimamente di perlustrare in lungo e in largo il territorio scandinavo. Oggi mi fermo a Haugesund, piccolo paesino nella contea di Rogaland, luogo da cui provengono questi Les Dunes. Anche qui, che cambiamento: una volta s’incensava la lingua degli antenati vichinghi, oggi si utilizza addirittura la lingua di altre nazioni. I Les Dunes non sono poi gli ultimi arrivati, visto che tra le proprie fila, inglobano membri di The Low Frequency in Stereo, Lumen Drones, Helldorado, Undergrunnen e Action & Tension & Space, che in questo album autointitolato, sciorinano otto pezzi strumentali condensanti post rock dai tratti dilatati, malinconici e meditabondi, che potrebbero evocare le sonorità intimiste di act quali Explosions in the Sky o addirittura Sigur Rós, laddove il trio si lancia in partiture più ambient (“Keisarholi”). Un approccio cosi tranquillo, che sfiora lo slowcore degli anni ’90, fatto di chitarre in tremolo picking, melodie soffuse (“Spectral Lanes”) e suoni minimalisti, ha però pregi e tanti difetti: nei primi collocherei una sana voglia di abbandonarsi ad un mondo sognante, tra i difetti, il fatto che dopo sole quattro canzoni non ne posso davvero più di andar oltre, inducendomi a slittare la finalizzazione della mia recensione il giorno seguente. L’effetto però si è rivelato il medesimo, con quello stesso desiderio di skippare al brano successivo e poi ancora avanti, perché dopo un po’, l’ascolto diventa dilaniante, noioso (“Zosima”), nonostante la band sia comunque composta da ottimi musicisti. Il fatto che rimane è che dopo un po’ non se ne può più, sebbene qualche buon spunto sia anche riscontrabile nel disco, ma forse qui più che altrove, l’assenza di un vocalist si fa sentire più che mai. In definitiva, ‘Les Dunes’ è un disco che mi sento di consigliare a chi non può proprio fare a meno della dose quotidiana di post rock strumentale, tutti gli altri si astengano se non vogliono ritrovarsi con un cappio al collo dopo pochi minuti. (Francesco Scarci)

(Kapitän Platte – 2023)
Voto: 60

https://lesdunes.bandcamp.com/album/les-dunes

Magnify the Sound - Don’t Give Us that Face

#PER CHI AMA: Suoni Sperimentali
Non certo una passeggiata la recensione del duo norvegese che risponde al nome di Magnify the Sound, una band in giro ormai dal 2010, ma di cui francamente non avevo mai sentito parlare, se non fosse che uno dei membri fondatori è Trond Engum che a suo tempo fondò pure i The 3rd and the Mortal e i The Soundbyte, il che aumenta a dismisura la mia curiosità. Escono con un nuovo album quindi, e ‘Don’t Give Us that Face’ sembra essere di primo acchito un esercizio di improvvisazione musicale che esplode potente nelle nostre orecchie (io l’ho ascoltato con la cuffia ed è stata una figata). Quello che deve essere immediatamente chiaro è che verremo sommersi da 40 minuti di suoni unici, affidati a chitarre, a una batteria pazzesca (a cura del jazzista Carl Haakon Waadeland) e all’elettronica, il tutto ideato come una sorta di jam session catartica proiettata nell’universo, un po’ alla stregua dei suoni della sonda Voyager I che inglobavano quelli naturali (le onde del mare o il vento), quelli prodotti dagli animali, come il canto degli uccelli e le balene, cosi come pure percussioni senegalesi o musiche di Bach, Chuck Berry o Mozart. Ecco, se avete avuto modo di ascoltare quel disco d’oro inserito nella famosissima sonda lanciata nello spazio infinito, e poi vi approccerete a questo 'Don’t Give Us that Face', le sensazioni sovrannaturali che sperimenterete potrebbero essere alquanto similari. Difficile parlarvi quindi di un brano piuttosto che di un altro, il flusso sonoro deve essere gustato tutto d’un fiato dall’inizio alla fine, liberi da ogni pregiudizio di sorta, e poi anche voi sarete pronti a contemplare l’infinito dello spazio profondo, ve lo posso garantire. (Francesco Scarci)

(Crispin Glover Records – 2023)
Voto: 74

https://facebook.com/MagnifyTheSound


giovedì 16 marzo 2023

Evol - Dies Irae

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Folk Black/Ambient/Gothic
I primi demotape della band italiana Evol non erano facilmente reperibili. L'idea di proporli (e riproporli più di recente/ndr) su cd fu pertanto lodevole. 'Dies Irae' contiene i demo 'The Tale of the Horned King' (1993) e 'The Dark Dreamquest - Part I' (1994), più due tracce registrate dal vivo nel 1995. Chi conosce gli Evol e ne ha apprezzato lo stile non si faccia sfuggire l'album in questione. Per coloro che li hanno sentiti solo nominare si rendono necessarie alcune informazioni supplementari. Gli Evol erano fautori di un "black metal" (ammesso che questa definizione sia legittima) molto atipico. Nulla a che vedere con Darkthrone e Mayhem, per intenderci, né con i primi Satyricon ed Emperor. Nelle loro composizioni musicali, caratterizzate fra l'altro dalla presenza di una trasognata voce femminile, le parti aggressive erano assai rare. Le atmosfere, lungi dall'essere lugubri, inclinavano semmai verso l'onirico e il fiabesco. Caratteristiche, queste, che si sono venute accentuando nel corso degli anni, sino ad imporsi con assoluta evidenza nell'ultimo vagito della band, 'Portraits' (1999).

(Black Tears/Iron Goat Commando - 2001/2019)
Voto: 66

https://www.metal-archives.com/bands/Evol/6145

giovedì 9 marzo 2023

Cave Dweller - Invocations

#PER CHI AMA: Noise/Ambient/Dark
Il nuovo album di Cave Dweller, ovvero Adam R. Bryant, ex membro della band post black metal americana Pando, è stato concepito come una lunga colonna sonora, con l'idea stessa di emanare una visione simbolica del rapporto che lega l'uomo alla spiritualità della natura. Un concetto profondamente radicato tra le note della musica di questo uomo delle caverne, che si fa notare fin dal significato del moniker scelto dall'autore stesso. Le danze si aprono con una voce che recita sopra una rarefatta base, acustico ambientale ("An Invitation"), morbida ed eterea per proseguire nella oscura parvenza di "To Accept the Shadow", che ricorda le trame delle musiche più cerebrali dei Virgin Prunes (vedi la splendida raccolta 'Over the Rainbow'), con un piano nostalgico e amaro a condurre le musica, per poi finire a deragliare su di un finale dark/ambient, con la presenza ritmica di una percussione metallica, che sonda i terreni dei lavori, tutti da scoprire, del progetto mistico/ambient russo, Enoia. Da qui, si viene traghettati in modo naturale, verso la splendida "Bird Song". Questo brano era già presente nel precedente ottimo EP, 'Between Worlds', ed è una traccia che vanta un cantato fragile, drammatico ed epico, con una chitarra solitaria dall'animo grigio e un'evoluzione in stile folk black, che fa riscoprire tutta la forza artistica di questo atipico menestrello del Massachusetts. L'arte di Cave Dweller è sotterranea, rurale fino al midollo, criptica, sperimentale e la si apprezza solo se si colgono i dettagli di registrazioni fatte con smartphone, rumori, fruscii e suoni non convenzionali, particolari sparsi un po' ovunque con genialità e la consapevolezza di creare qualcosa di profondamente evocativo. Un'opera di 44 minuti che evolve le sperimentazioni dell'autore in vari ambiti, folk apocalittico, ambient, alternative country, neofolk, senza prendere a prestito niente da nessuno, per un viaggio personale e originale. Suoni d'ambiente, uccelli in sottofondo, gabbiani, noise, oppure una tiepida batteria di matrice jazz, per rendere più accessibile la ballata noir, minimalista, "Entelechy". Un sound tribale e oscuro, con conseguente esplosione black industriale, nello stile della sua precedente band, dona con vigore, una facciata ipnotica e cosmica al lungo brano intitolato "Mirror". Ma la differenza in chiave di bellezza estrema, la troviamo nella canzone conclusiva intitolata "Solastalgia", dove il solo campione di voce simil lirica/sciamanica, che persiste in sottofondo di tutta la traccia, fa onore all'arte di questo musicista unico e impareggiabile nella sua esplicita arte sonora isolazionista, fredda, rumorista e lo-fi, contornata da psichedelia cosmica ed un cristallino folk, con uno spirito etnico proveniente da qualche sistema solare sconosciuto, che rievoca un vero e proprio risveglio interiore. Un album in veste concettuale, che rispecchia un po' la forma del gioiello sonoro quale fu, 'The Inspiration of William Blake' di Jah Wobble, ovviamente da accostare solo come intuizione compositiva, non come stile musicale, visto che i due artisti sono agli antipodi stilistici, ma convergono entrambi per una libertà d'espressione molto proficua. 'Invocations' è stato creato e mixato dallo stesso Bryant in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2018 e il 2021, e si presenta come un resoconto del suo percorso sonoro, quindi da considerarsi come una specie di diario di bordo delle sperimentazioni che hanno dato vita al primo splendido album del 2019 (sotto il titolo 'Walter Goodman – or the Empty Cabin in the Woods') e l'EP sopracitato del 2021. Una musica intimista tutta da scoprire ed apprezzare, per cui consiglio di ascoltare prima questa raccolta introduttiva, per poi passare in ordine temporale, alle altre due ottime opere di questo valido autore. (Bob Stoner)

domenica 15 gennaio 2023

Necropolissebeht - TTCCCLXXX

#PER CHI AMA: Black/Death/Drone
Ho come la sensazione che i Necropolissebeht non vinceranno il premio come moniker più facilmente memorizzabile al mondo. Se a questo poi aggiungiamo un titolo di questo lavoro pressochè impronunciabile, 'TTCCCLXXX', il corto circuito è completato. Il progetto di oggi è teutonico-canadese e vede tre musicisti (membri di altre mille band tra cui Blasphemy, Death Worship, Nuclearhammer e Hadopelagyal) adoperarsi in venti minuti di sonorità inique. Questo almeno quanto emerge dal putrescente marasma sonoro di "Desecratedivine" che ci fa sprofondare in un maelstrom da cui sarà impossibile far ritorno. Una morsa disumana di suoni entropici, tra black, death, noise e doom viscerale riuniti in una poltiglia sonora che vede pochi precedenti. Fumi infernali, vortici ritmici e sofferenza a profusione vi investiranno e risucchieranno nel corso dell'ascolto di quello che è a tutti gli effetti l'EP di debutto del mefitico trio. "Scepter of Pharmakeia" è una scheggia di due minuti di amene sonorità e stridule vocals demoniache, come se l'armata delle tenebre fosse pronta ad invadere il mondo e questa fosse la colonna sonora dell'evento. Gli ultimi due brani, "Colossi of Memnon" e "Θῆβαι", insieme costituiscono oltre tredici minuti dell'EP: suoni infausti e crudeli, nella prima, avranno il pregio di annichilirci le orecchie con i loro saliscendi ritmici che vedranno anche frangenti doomish nella loro evoluzione ritmica. La seconda invece è una noiosissima traccia dronica che potrebbe essere la colonna sonora atta a rappresentare la desolazione di un mondo apocalittico. Semplicemente infernali. (Francesco Scarci)

(Vault of Dried Bones - 2022)
Voto: 64

https://necropolissebeht.bandcamp.com/album/ttccclxxx

giovedì 12 gennaio 2023

Nenia - La Casa Del Dolore

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Dark Ambient
Meravigliosamente agghiacciante il primo disco di Nenia, gravido di desolazione e morte sin dai primi secondi. Musicalmente 'La Casa del Dolore' è composto da lenti e minimali brani oscuri che potrei classificare come dark ambient sperimentale rischiando di non riuscire ad essere sufficientemente esplicativo poiché il gruppo, per tutta la durata di questo capolavoro oscuro, dimostra di essere personale e capace, libero di sperimentare ed esprimersi senza alcun timore. È esaltante la sensazione di immobilità e morte che sprigionano gli otto stupendi brani da incubo per quaranta minuti di morte totale… Hell yez! "Alone" è un notturno per pianoforte che scandisce il movimento delle onde di un mare che trasporta “… una nave senza vita…”, "L’Ultima Stagione" è il sentore della fine ormai prossima (“sento le bestie farsi vicine/ il loro respiro tutt’intorno…”), "Dottrina Psichica" scandisce invece il ritmo delle gocce che riempiono il vaso, in attesa dell’ultima goccia che lo faccia traboccare. Con i Nenia ci si trova ad assistere ad un funerale con le sue noiose ritualità, le futili credenze e i luoghi comuni; poi l’ultimo brano "De Morte Transituri Ad Vitam" ed è la fine.

venerdì 2 settembre 2022

Peurbleue – La Ciguë

#PER CHI AMA: Black/Drone
La perlustrazione del sottosuolo francese prosegue senza sosta da parte della Les Acteurs de L’Ombre Productions, un’opera incessante volta a identificare i migliori talenti in terra transalpina. Quello dei Peurbleue è un progetto che fa capo a tal JC EX, un musicista legato all’underground drone ambient. Questo background diventa estremamente chiaro con l’incipit “Fecondation” che ci propina tre minuti di inquietanti suoni industriali. Auspicando che l’intero lavoro non segua la stessa piega, mi accingo all’ascolto della successiva “A la Gloire!”, ma anche qui accanto ad una voce quasi declamatoria, sono sonorità spettrali, fluttuanti e angoscianti a palesarsi, almeno fino al terzo minuto, quando la proposta destrutturata del duo, sembra finalmente prendere una forma più delineata ai confini di un suicidal black. Questo sound inizia a prender forma con la terza “Rosee Eternelle”, un brano orrorifico per componente vocale, atmosfere totalmente sghembe che richiamano quelle di film in cui l’immagine della realtà sembra distorcersi nella rappresentazione dello spazio, quasi fossimo in pieno hangover e non ci reggessimo nemmeno in piedi. I suoni sembrano frutto di una pura improvvisazione tra pazzi psicotici rinchiusi da decenni entro quattro mura di una stanza dalle pareti bianche imbottite. Questo per dire che quanto incluso in ‘La Ciguë’ non è qualcosa di cosi semplice da assimilare viste le influenze derivanti da band come gli Xasthur e vari epigoni o da ambiti musicali che fanno della distorsione, della follia e della sperimentazione il proprio mantra. Penso alla breve “Survie” e alle sue alterazioni sensoriali all’insegna di drone e ambient, cosi come alle stralunate atmosfere della successiva “Caniveau”. Quello dei Peurbleu, sia ben chiaro, non può essere definito un disco di cui possa apprezzare in toto i suoi contenuti, cosi schivi, tormentati e demoniaci, ma non posso nemmeno schiantarne la voglia esagerata di seguire nuove strade di ricerca, un qualcosa a cui ambisco ogni qualvolta mi metto ad ascoltare e recensire un disco. Insomma, ben vengano dischi di tali contenuti, anche se non apprezzabili tout court. Per ora va bene cosi, ma in futuro mi aspetto un pizzico di accessibilità in più altrimenti il rischio è che album di questo tipo sia riservato solo ad un pubblico di pochi eletti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 68

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cigu

venerdì 29 luglio 2022

Sound of New Soma – Musique Bizarre

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
L'ultima opera di questo duo tedesco, composto da Alex Djelassi e Dirk Raupach, è un parto cospicuo di 12 brani (ovvero un doppio album) messi insieme con parti scritte e donate da altri musicisti della Tonzonen Records. Compagni di scuderia (tra cui membri di The Spacelord, Vespero, etc), che hanno partecipato attivamente con le loro idee, alla realizzazione di questo undicesimo disco targato Sounds of New Soma. L'ambiente sonoro di 'Musique Bizarre' si muove attorno al regno della psichedelia più tenace e multiforme (guardatevi i video nel loro canale youtube per farvi un'idea), ipnotica e orientata verso forme di German rock, con un gusto per un certo immobilismo sonoro che induce verso l'estasi sensoriale, profuso in tutti i brani, anche se per ognuno di loro si può descrivere un universo interiore diverso dall'altro. Il mondo psych, da 'Timewind' di Klaus Shulze ai Tangerine Dream, incontra l'elettronica moderna con l'intento di riorganizzare la forma più robotica del kraut rock degli esordi, ed in sostanza tra queste tracce, si riconfermano i sentori cosmici del disco precedente, anche se qui la sezione ritmica gioca un ruolo fondamentale nel dirigere il viaggio cosmico. "Berlin Marrakesch" è una lunga suite che come preannuncia il titolo, farà la gioia dei psyconauti più vicini alle escursioni esotiche nel ricordo degli Aktuala dell'omonimo album del 1973, tra ambient sintetico, elettronica vintage e rintocchi dal sapore etnico, che riportano ad un Magreb futurista e proiettato in un deserto di qualche altra sconosciuta galassia. "Waidmann" si alterna a sapori post industriali e classicismo, con una tromba inaspettata che squarcia l'atmosfera di scuola Vangelis, che l'avvolge e ne stravolge il verso iniziale, mentre per "Klausz" (il titolo è fuorviante) credo sia indubbia la ricerca di una composizione per rendere omaggio all'infinito musicale del maestro Sakamoto, autore di brani simili, come "Hibari". In questo disco appaiono molte composizioni di lunga durata, tra le tante "Gökotta", che mi ha colpito più di altre per la sua locazione industrial/kosmische musik, mentre "Balkenspirale", è un altro brano di lunga durata ispirato e alimentato dalla mano sapiente (in fatto di rock psichedelico) degli The Spacelord, e sviluppato secondo i canoni ipnotici degli Ozric Tentacles ed anche dei Porcupine Tree di un tempo. In definitiva i Sounds of New Soma riconfermano il loro amore per certa ambient psichedelica ben strutturata e raffinata, ispirata dai grandi maestri del passato e con l'aspirazione massima di ripercorrerne le orme e rinverdirne le idee, con il rischio concreto che l'originalità non sia sempre una prerogativa. Comunque, dopo questa ennesima buona prova, per il duo tedesco l'appellativo migliore è quello di nipotini talentuosi dei Tangerine Dream, provenienti direttamente dalla costellazione di Alpha Centauri. (Bob Stoner)

domenica 17 luglio 2022

IWKC - Before We Disappear

#PER CHI AMA: Post Rock Orchestrale Strumentale
I IWKC (aka per I Will Kill Chita) sono un quartetto moscovita dedito ad un post rock strumentale. 'Before We Disappear' è il loro secondo album uscito nel 2013, che l'etichetta della band mi ha recentemente inviato. Non mi è chiaro se per farne pubblicità a distanza di quasi due lustri dalla sua uscita o se perchè c'è un nuovo lavoro della band pronto ad affacciarsi sul mercato. Fatto sta che faccio il mio dovere di recensore e vi parlo di un disco che vede una mezza orchestra a servizio dei quattro musicisti per offrire una proposta dai forti tratti sinfonici. E in effetti il disco presenta fin dalla sua traccia d'apertura, l'inequivocabile "USSR", uno splendido post rock affrescato da un collettivo strumentale che rende il sound della band davvero affascinante, per quanto non proponga nulla di realmente originale. Tuttavia, la componente orchestrale arricchisce e di molto, una proposta che verosimilmente si sarebbe persa nel marasma infinito di band che popolano la scena post rock. E invece le melodie malinconiche dell'opener, ingigantite dalle porzioni orchestrali fanno della proposta dei IWKC, una bella proposta. Non si può dire altrettanto della successiva "Hard Times" (altro titolo estremamente azzeccato per i giorni nostri): oltre undici minuti di melodie a tratti francamente noiose, che provano a ridestarsi grazie ad improvvise e sporadiche accelerazioni che vanno a contrastare una ritmica molle e con poca verve. Il finale però sarà davvero esplosivo e col suo bel carico sinfonico alle spalle. "Streets Going Under Water (Part I)" parte nuovamente in sordina e inizia a mostrare i propri contenuti dopo 90 secondi, anche se in realtà non farà mai il proprio dovere, ossia quello di ammaliare dovutamente l'ascoltatore. Ci prova allora la lunghissima suite (20 minuti) intitolata "Young Heroes" a cambiare le sorti di un classico disco "vorrei ma non posso": robusto attacco rock di chitarre con sezione di archi a supporto a cui farà seguito un segmento ambient prima di una breve pausa, quasi a segnare il confine tra una serie di parti incluse nel brano stesso. Poi nuovamente chitarre pizzicate e a corollario archi e fiati, e poi ancora frammenti atmosferici, in un saliscendi sonico che si riproporrà per l'intera durata del brano e che è peraltro dotato di una parte centrale davvero tosta. "We Had Only One Day" è un pezzo decisamente più fruibile, grazie ai suoi tre minuti e mezzo di musica robusta ritmicamente, la cui enfasi è però stemperata dalle parti orchestrali. "Memories" si lascia a tenui melodie malinconiche che trovano grande enfasi nel finale in una porzione che mi ha evocato gli *Shels. In chiusura ecco le soffuse chitarre di "Streets Going Under Water (Part II)" a chiudere mestamente un disco che vive di alti e bassi, ma che comunque sottopone alla vostra attenzione una band che potrebbe anche meritare la vostra attenzione. (Francesco Scarci)

lunedì 16 maggio 2022

Vaina - ✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Il buon Stu Gregg, mastermind della Aesthetic Death, prosegue con la ricerca di band "particolari" da inserire nel proprio roster. Dopo Goatpsalm e Horthodox recensiti dal sottoscritto, non del tutto felicemente qualche mese addietro, ecco un'altra stramba (giusto per non cadere in aggettivi più disdicevoli) creatura per l'etichetta inglese. Si tratta dei finlandesi Vaina, una band che fa del "non sense" musicale (giusto per citare anche il titolo di un loro vecchio brano) la propria filosofia musicale. Dopo 'Purity' del 2019, un EP ('Futue Te Ipsus' incluso in questo stesso disco) ecco la nuova proposta della one-man band guidata dallo stralunato Santhir the Archmage, uno che a quanto pare, si è svalvolato il cervello durante il suo primo e unico concerto live, decidendo fondamentalmente di non dare più alcun riferimento stilistico alla propria proposta. Pertanto '✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces' segue queste regole, decidendo di partire con "Oppenheimer Moment", una song tra l'ambient e il drone, su cui possiamo tranquillamente sorvolare. Con "I1" le cose si fanno più strane ma al contempo interessanti: si tratta infatti di un pezzo black acido, originale, ritualistico, con una base melodica affidata ai synth davvero evocativa, sommersa poi da vocals urlate ed altre declamate. La pseudo normalità dura però solo tre minuti degli otto abbondanti complessivi della song, visto che poi l'artista finnico imbocca una strada tra l'esoterico, il dungeon synth, l'ambient e per finire una bella dose da cavallo di sperimentazione sonora (con suoni sghembi di scuola Blut Aus Nord) che sembra nascere da un'improvvisazione estemporanea. "HCN" ha le sembianze dell'intermezzo orrorifico, consegnata quasi esclusivamente a synth e tastiere. La tappa successiva è affidata a "Yksikuisuus", un pezzo che cresce musicalmente su basi tastieristiche oggettivamente suonate male, ma comunque dotate di un'aura cosi mistica che sembra addirittura coinvolgermi. Non vorrei cascarci come l'ultimo dei pivelli, ma l'egocentrico musicista finlandese suona quel diavolo che gli pare, passando da delicati momenti di depressive rock/dark/post punk contrappuntato da una rutilante (quanto imbarazzante) drum machine che, inserita in questo contesto, trova comunque il suo filo logico, soprattutto in un epico e maestoso finale symph black. Questo per dire alla fine che Santhir the Archmage è davvero penoso a suonare, eppure tutto quell'entropico marasma sonoro che prova a coniugare in queste tracce, trova stranamente il mio consenso. Se dovessi trovare un termine di paragone con una band, citerei i nostrani Hanormale, con la sola differenza che quest'ultimi hanno fior fiore di musicisti. Il delirio musicale prosegue attraverso l'EBM di "About:Blank" (ecco la classica buccia di banana su cui scivolare) e il black avanguardistico di "Raping Yer Liliith" (assai meglio). "πυραμίς" ha un incipit stile 'Blade Runner' che perdura per qualche minuto prima di lasciare il posto ad una proposta indefinibile tra derive ambient burzumiane, deliri alla Abruptum e rimandi agli esordi malati dei Velvet Cacoon, ecco non propriamente una passeggiata da affrontare visti anche i quasi undici minuti di durata del brano. Esoterismo rap per "--. .-. . . -.", un'altra song davvero particolare che forse era meglio omettere per non toccare la sensibilità degli adepti dei Vaina. "Todestrieb" è un altro intermezzo noise che ci introduce alla conclusiva "Minä + Se", gli ultimi undici deliranti minuti di questo estenuante lavoro (un'ora secca). La song saprà inglobarvi ancora nel mondo disturbato e visionario di Santhir con suoni tra elettronica, black, drone, ambient, liturgico, sperimentale, horror, dark e tanta tanta follia suonata alla cazzo di cane ma sancita da un bell'urlaccio finale volto a Satana. Non ho ben capito se Santhir ci faccia o ci sia, fatto sta che questo lavoro meriterà altri ascolti attenti da parte del sottoscritto. (Francesco Scarci)

lunedì 25 aprile 2022

Tanidual - Alignement

#PER CHI AMA: Elettronica Sperimentale
William Laudinat è un artista francese, produttore e trombettista nei Walter Sextant, Les Fanflures, Compagnie Merversible, EPS. Oggi ci presenta invece una nuova release del progetto che porta il suo nome d'arte, ovvero, Tanidual. Si tratta di un progetto sperimentale che da sempre intende esplorare vie misteriose che attraversano la world music, l'elettronica, il jazz e l'hip hop, riuscendo a far passare le sue complesse architetture sonore, in maniera molto accessibile a chi le ascolta, mostrando una grande sensibilità compositiva. Partendo da una base costante di matrice jazz grazie ad un uso della tromba etereo ed ipnotico ("Alignement"), il musicista transalpino crea le sue ambientazioni a metà strada tra le composizioni più morbide di Paolo Fresu, (ricordo l'album 'Summerwind'), sporcate da un'elettronica ricca di venature sofisticate e imprevedibili, figlia di ascolti del tipo Mira Calix ('For the Selector') o Banco de Gaia ('Maya'), con cui interagire con aspetti lievi della world music, che aiutano a creare una sorta di musica ambient dal sapore multietnico, indefinita e fluttuante ("Suling"), che s'identifica in orchestrazioni futuriste e di pura fantasia musicale. Il minimalismo dell'elettronica e le ritmiche IDM si fondono poi in una matrice progressiva, inventando dei manifesti sonori che inneggiano alla musica lounge, acid jazz e hip hop ("Auf le Jour" con il featuring di L'erreür alla voce), quanto alla sperimentazione in stile soundscape, per un'immaginaria scena da film a rallentatore. Provate a chiudere gli occhi ed immergervi in brani come "La Bènef – part A" (con al trombone Guillaume Pique) e nella conclusiva ripresa di part B, dove il tempo si ferma allo scandire della presenza vocale prestata dall'ospite Arthur Langlois, sospeso nelle note di quel synth dal retrogusto puramente seventies. "La Limite" è una canzone dove la chitarra suonata da Antoine Paulin, si connette in perfetta sinfonia con la tromba ed una ritmica dai bassi profondi, per creare uno dei brani più belli da ascoltare del lotto, alla pari di "Reno au Pays des Synthètiseurs", con un'altro ospite, Reno Silva Couto al sax, che sembra un'Alice nel Paese delle Meraviglie avvolta in un mantra di sintetizzatori, con una performance solista di gran classe. La bella e cupa "In the Sky" vanta ancora Guillaume Pique al trombone mentre l'ultima segnalazione va alla sperimentale e suggestiva musicalità di "Check". 'Alignement' è alla fine un disco che travisa una calma apparente ma che in realtà attraversa diametralmente, e allinea, come cita il titolo del disco, un sacco di mondi e correnti sonore sparse tra modernismo, sperimentazione e tradizione. Certamente un album impegnativo ma per i ricercatori di novità e melting pot sonori, sarà come avere tra le mani un vero e proprio vaso di pandora dal contenuto contrario, ovvero, un sacco di benefici per le vostre orecchie. (Bob Stoner)

(Atypeek Diffusion - 2022)
Voto: 75

https://tanidual.bandcamp.com/

giovedì 14 aprile 2022

The Sea Shall Not Have Them - Debris

#PER CHI AMA: Post Rock/Ambient
Per chi non ha ancora le orecchie sature di post rock semi-strumentale, ecco che un po' di nuova musica arriva dall'Australia, un luogo che sembra essere la fucina perfetta per questo genere musicale. Loro sono un duo, si chiamano The Sea Shall Not Have Them e 'Debris' è il loro secondo album che arriva a sette anni distanza dal loro debut 'Mouth'. Quando c'è post rock e Australia poi, non si può non citare la Bird's Robe Records che ne produce quasi tutte le uscite. Il lavoro dei nostri include otto tracce che con l'iniziale traccia omonima, mi prende il cuore, lo lacerano con un condensato di musica estremamente malinconica e lo lasciano accartocciato per terra come un feto abbandonato per la strada. Non un'immagine piacevole, me ne rendo conto, ma l'effetto forte e commovente della musica dei The Sea Shall Not Have Them ha generato in me queste immagini tremebonde. Con la successiva "Lower the Sky", dove compare il featuring di Ed Fraser alla voce, ci troviamo di fronte ad un brano enigmatico, introspettivo e irrequieto, dal flavour tipicamente new wave, contraddistinto da una pulsante linea di basso. Figo. Peccato poi che la band torni fin troppo a normalizzarsi con "YXO", un brano che francamente ha ben poco da offrire nella sua minimalistica ritmica ridondante. Già meglio "Splinters" che trae nuovamente linfa vitale da sonorità new wave, anche se questo insistere con i medesimi giri di chitarra (cosa che accadrà anche nelle successive "Everything Melts", dove peraltro ci sarà l'ottimo featuring alla chitarra di Ian Haug dei Powderfinger e nella noiosetta "Ash Cloud") non è che giovi parecchio alla lunga ai nostri. In chiusura ecco "Underneath", l'ultimo psichedelico atto di un disco a tratti intrigante, in altri frangenti forse troppo normale. Spunti interessanti se ne trovano qua e là a dire il vero ma io avrei osato un pizzico in più. (Francesco Scarci)