Cerca nel blog

lunedì 22 aprile 2024

Mallephyr - Ruins of Inner Composure

#PER CHI AMA: Black/Death
Devo dire che la Epictural Production inizia ad abituarci bene con le proprie uscite. Dopo Karne e Theosophy, positivamente recensiti nel 2023, ecco arriva i cechi Mallephyr e il loro concentrato malevolo di black metal dissonante. Pronti quindi a farvi risucchiare dal gorgo ubriacante di 'Ruins of Inner Composure'? Si, perché dopo il cerimoniale in apertura di "Contaminated Tongues Embracing the Lifeless Sculpture", a prevalere sarà infatti un vortice di ritmiche super tirate che guardano al nero più nero, peraltro con le vocals di Opat a evocare, a tratti, il buon Attila Csihar di 'De Mysteriis Dom Sathanas'. Poi, i nostri ci sparano in faccia tonnellate di riff cervellotici, alternati a rari intramezzi atmosferici e ancora diluviate di riffoni iper serrati. Come quelli che incontriamo anche in apertura di "I Am the Two-Headed Serpent", dove il quartetto originario di Rokycany (patria della birra Pilsen) arriva a tagliarci le mani come quel loro rifferama acuminato e costantemente in evoluzione, tra accelerazioni furibonde, rallentamenti asfissianti e continui cambi di tempo che non fanno altro che disturbare quei pochi neuroni rimasti in vita dopo i primi due assalti. E sarà anche peggio proseguendo nell'ascolto di questo funambolico lavoro, di cui premierei la tecnica strumentale di Tom, il distruttore che siede dietro alla batteria. "Hail Death", dopo il classico incendiario incipit, trova modo di offrire un break che chiama in causa i Mayhem, in un centrifugato sonoro che lascia ben poco scampo, nei suoi tre minuti e mezzo di suoni a dir poco inviperiti. Apparentemente più ragionato il prologo della title track, ma non fatevi ingannare da questi audaci manipolatori di menti: le ritmiche marziali iniziali lasceranno il posto infatti a taglienti linee di chitarra, che diventeranno da li a poco, belle caustiche, come se nel sound dei nostri ci fosse anche qualche retaggio che guarda a un passato hardcore. Il malato e sinistro break centrale ci consentirà di prendere fiato in vista del rutilante finale della song, ma soprattutto della super maratona affidata ai tredici minuti di "When Death is Light at the End of the Tunnel". Forse (ma dico forse) il pezzo più tranquillo del lotto, grazie a un black mid-tempo non cosi eccessivamente esplosivo come i nostri ci hanno abituato sin qui. In realtà, dopo i risvolti melodico strumentali che coprono i primi due minuti del brano, ecco arrivare l'ennesima sassaiola di un album tanto lacerante, quanto pregno di ottime trovate melodiche, che per cosi dire, stemperano una furia altrimenti assai complicata da digerire. Interessanti le pseudo linee solistiche del brano, cosi come le suggestive partiture atmosferiche, ma quello che continuano a convincere, sono i costanti cambi di tempo e qui anche un utilizzo pulito della voce, che va ad affiancarsi al cantato in screaming del frontman. Dopo aver preso schiaffi a destra e a manca, ecco che il disco va a chiudersi con la più ritmata "Chaos Chants Across the Path to Universe", song che ammicca ai Blut Aus Nord e che vanta una serie di cascate di melodie laviche che sapranno avvolgervi nel caldo gelido abbraccio infernale dei Mallephyr. Paurosi. (Francesco Scarci)