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martedì 18 febbraio 2025

Evoking Winds - Your Rivers

#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk
L'album 'Your Rivers' degli Evoking Winds si è rivelato per il sottoscritto una delle sorprese più entusiasmanti del 2024, consolidando il talento di questa band bielorussa che continua a stupire con la sua capacità di fondere black metal e folk in un equilibrio impeccabile. Giunto al loro sesto lavoro, il gruppo dimostra una maturi artistica notevole, spingendosi verso nuove direzioni sonore senza tradire il proprio stile distintivo. Questo disco, composto da dieci tracce per un totale di 51 minuti, si distingue per la sua atmosfera incredibilmente evocativa e malinconica, un viaggio musicale che intreccia riff di chitarra possenti con melodie folk ricche di profondità e intensità emotiva. Brani come l'opener "Verily Said" o le straordinarie "The Lights of Skellige" e "Lilac and Gooseberries" sono perfetti esempi della versatilità della band: momenti di feroce aggressività si alternano a sezioni melodiche e contemplative, intrise di una magia eterea che deve molto anche alla presenza di vocalizzi femminili sognanti. La strumentazione usata dalla formazione a otto elementi, è un vero punto di forza dell’album: flauti, arpe, cornamuse e ben tre chitarristi creano un senso dinamico e stratificato, arricchendo ogni traccia con contrasti affascinanti. Questo connubio tra strumenti acustici e parti elettriche si fa particolarmente evidente in episodi come "Brotherhood of Brenna" o la title track, dove soluzioni orchestrali amplificano l'aspetto epico e cinematografico del disco. La produzione è impeccabile, riuscendo a valorizzare ogni dettaglio senza mai sacrificare l’impatto emotivo o l’intensità dei brani. Blast beat furiosi, tremolo picking raffinati e arrangiamenti curati convivono in un insieme che non stanca mai, offrendo un’esperienza sonora a dir poco immersiva. I testi affrontano con sensibilità e profondi temi universali come i mutamenti del mondo, i conflitti, l’amore, la morte e il ciclo perenne della vita, conferendo ulteriore spessore a un’opera già straordinaria sotto il profilo musicale. Seppure disponibile solo in versione digitale unico piccolo rammarico 'Your Rivers' si guadagna, senza esitazione, un posto tra i migliori album dell’anno, almeno per il qui presente. È un lavoro imprescindibile per chi cerca autenticità, innovazione e una freschezza rara nel panorama musicale contemporaneo. Una scoperta che merita tutta l’attenzione possibile. (Francesco Scarci)

lunedì 3 febbraio 2025

Wintersun - Time II

#PER CHI AMA: Symph Metal/Melo Death
Sono serviti ben dodici anni ai finlandesi Wintersun per dare vita al tanto atteso seguito di 'Time I'. 'Time II' è infatti uscito ad agosto dello scorso anno e si distingue dal precedente album per la sua complessità e la cura nei dettagli. Va detto che il nuovo disco del quartetto di Helsinki, si pone come un'opera maestosa che combina elementi di metal sinfonico e melo-death, con una proposta caratterizzata da arrangiamenti intricati e una produzione di alta qualità, che riflette l'attenzione meticolosa del frontman Jari Mäenpää nel creare un'esperienza sonora a dir poco immersiva. Il tutto è testimoniato da un utilizzo copioso di orchestrazioni pompose e parti vocali evocative. Il disco si apre con "Fields of Snow", un'intro strumentale che evoca paesaggi invernali attraverso eteree melodie orientali. Ma la delicatezza iniziale si trasformerà rapidamente in un'esplosione di quei suoni tipici dei Wintersun, combinando melodie eleganti con riff potenti nella spettacolare "The Way of the Fire", un'epopea di dieci minuti che rappresenta sin da subito, uno dei momenti top dell'album. Questo brano è caratterizzato da una varietà di stili, passando da sezioni in blast beat a momenti più melodici e contemplativi. La voce di Jari alterna, come da copione, clean e growl, creando una sorta di contrasto emotivo che non può non catturare l'ascoltatore. "One with the Shadows" è invece più lenta e riflessiva, con melodie suggestive, ma anche dotate di un pizzico di malinconia e un'atmosfera costantemente grandiosa, qui grazie a un ritornello particolarmente coinvolgente. Un breve interludio strumentale, "Ominous Clouds", e si torna a cavalcare con un'altra lunga song, "Storm", un pezzo intenso (complice anche un dilatato preludio strumentale), caratterizzato da riff frenetici e una struttura dinamica. Qui, i Wintersun riescono a catturare l'essenza del caos attraverso un muro sonoro che ricorda le sonorità del precedente 'The Forest Seasons'. Nonostante la sua lunghezza, il brano mantiene alta l'attenzione grazie a una serie di cambi di ritmo e a un assolo di chitarra straordinario. "Silver Leaves" chiude l'album con una potenza emotiva straordinaria. Utilizzando principalmente un riff ricorrente, il brano evolve in un'esperienza quasi trascendentale, culminando in melodie orientali zen che evocano immagini serene e meditative. In definitiva, 'Time II' non solo soddisfa le altissime aspettative generate dal suo predecessore, ma le supera abilmente grazie alla ricchezza delle composizioni e a una produzione cristallina. Ogni traccia rappresenta un viaggio autonomo, pur contribuendo alla coerenza generale del disco. I Wintersun confermano ancora una volta la loro straordinaria capacità di fondere il metal estremo con elementi sinfonici e folk, realizzando un’opera che lascerà un segno indelebile nella memoria degli ascoltatori. (Francesco Scarci)


(Nuclear Blast - 2024)
Voto: 82

https://wintersun.bandcamp.com/album/time-ii

lunedì 16 dicembre 2024

Daedric Shryne - S/t

#PER CHI AMA: Heavy/Epic
E questi altri da dove saltano fuori? I Daedric Shryne sono un nuovo terzetto proveniente da Amburgo che comunque vantano una pregressa esperienza in altre realtà teutoniche semisconosciute. Questo lavoro omonimo è un brevissimo EP di ben sei pezzi che dura addirittura solo 12 minuti e poco più, sufficienti tuttavia per incasellare (e per quanto mi riguarda, bocciare) la proposta dei tedeschi, nell'heavy epico. Breve intro in apertura, poi il classico riffing heavy metal con tanto di vocals pulite (che sversano anche nel power) che narrano di mitologiche battaglie, affidandosi a buone linee melodiche, gradevoli assoli e poco altro, per poter gridare al miracolo. Mi sembra una rilettura in chiave moderna dei grandi classici, quei Virgin Steele, Warlord, Agent Steel o Cirith Ungol, che hanno costruito fondamentalmente il genere, e che vedono oggi in band quali gli americani Visigoth, altri promotori di un genere che ho smesso di ascoltare quasi 30 anni fa. Ecco perché per me non è ammissibile ascoltare ancora simili sonorità, mi hanno stufato da tempo. Poi magari gli amanti del genere, troveranno anche freschissima - ma ne dubito - la proposta dei Daedric Shryne, per me rimane un no. (Francesco Scarci)

martedì 19 novembre 2024

Trollwar - Tales From The Frozen Wastes

#FOR FANS OF: Folk/Death
It's time to visit again the always interesting metal scene of Quebec with the band Trollwar. Contrary to previous occasions, we leave aside the black metal genre, focusing this time, on much more upbeat sounds. Trollwar was founded in Alma, Quebec, back in 2011 and currently consists of seven different musicians, forming a line-up that has been quite stable since its inception, apart from some minor changes. In any case, the band hasn't been particularly prolific, releasing two albums and some EPs.

After almost six years, Trollwar presents a new EP entitled 'Tales From the Frozen Wastes', which could help them gain a bunch of new fans. The band plays a mixture of folk and metal with a strong epic vibe, a fusion that has been quite popular especially in Europe in recent years. The eye-catching artwork gives the impression of containing something majestic, and thankfully, the four pieces and one intro contained in the new EP confirm this initial impression. First of all, the production is quite good, powerful, and clean, allowing all the different instruments and vocals to have their own room to shine. "The Unseen One" is the first proper track and contains all the elements that this genre usually offers: an aggressive main voice, closer to higher tones rather than purely metal growls, catchy yet powerful guitar lines, and some majestic arrangements in the form of keys and a solemn backing choir. The track also offers nice tempo changes which make the composition very enjoyable and headbanging friendly. Memorable and epic melodies are what you ask of this genre, and Trollwar surely knows how to create them. "Bane of the Underworld" is another fine example. It is a truly entertaining track, full of energy, great tempo changes, and addictive harmonies, both in the guitar lines, the vocals, or in the use of other elements such as keyboards or choirs. Additional clean vocals are also included in the majestic closing track "The Offering", which has plenty of speedy parts that make this composition one of the most energetic ones. I prefer other sorts of vocals, but all the additions are welcome as they help to enrich the band's music.

In conclusion, Trollwar's 'Tales From the Frozen Wastes' is a notable work. The production, composition quality, and the tastefulness of the melodies are unquestionable. Hopefully, this EP should boost the band's career in the difficult journey of standing out from the hard competition, particularly in this sub genre. (Alain González Artola)


lunedì 7 ottobre 2024

Aorlhac - La Cité des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Epic Black
A completamento della 'trilogia dei venti' degli Aorlhac manca a rapporto ancora 'La Cité des Vents', disco che rappresentò il vero esordio sulla lunga distanza per il terzetto francese e che ricordo, far parte della raffinata riedizione (guardate i super curati booklet per coglierne l'eleganza) da parte della Les Acteurs de l'Ombre Productions. Si comincia con la consueta intro strumentale, e un menestrello che mette a servizio della corte la propria chitarra acustica. "Le Bûcher des Cathares" divampa con le sue epiche chitarre a narrare leggende e vicende medievali dell'Occitania, mentre il buon Spellbound alla voce, gracchia come un corvo appollaiato sulla torre di un castello. La proposta, per quanto furibonda sia a tratti, mostra più ampie partiture atmosferiche rispetto al passato. Interessante ma breve, l'intermezzo acustico a metà brano, cosi come il mid-tempo melodico che ne contraddistingue il finale. "Plérion" sembra spiritata, complici le velocità sostenute a cui ci sottopone la band, al pari dell'isterica voce del frontman. Piacevoli comunque le melodie che chiamano in causa i Windir, anche se la band norvegese era di gran lunga migliore dei colleghi francesi. Il disco prosegue su binari similari anche con le successive canzoni, faticando forse a garantire una certa originalità tra un brano e l'altro. Ecco quindi focalizzarmi su "Le Miroir des Péchés", "Sant Flor, la Cité des Vents" e "Les Enfants des Limbes", tutti pezzi che, oltre a mantenere una durata più o meno simile (attorno ai sei minuti), mostrano un'intelaiatura ritmico-strutturale piuttosto omogenea, con grandi cavalcate di chitarra, intermezzi acustici, ripartenze melodiche che evocano la musica classica, e una vocalità che rischia però di divenire il punto di debolezza della band con quel fare troppo gracchiante del suo diabolico frontman. Nemmeno l'uso randomico di un violino coniugato a echi folkish, contribuiscono a 'La Cité des Vents' di fare il proverbiale salto di qualità, rimanendo ancora troppi paradigmi radicati nel passato del black, che fatico a digerire. Sicuramente, l'epicità che ritroviamo in un brano come "Vers les Honneurs" stimola non poco la mia fantasia, ma persistono ancora sbavature e storture che mi fanno storcere la bocca, a partire dai riferimenti vampireschi, a la Cradle of Filth, di "La Comptine du Drac" o alla conclusiva cover dei Taake, "Over Bjoergvin Graater Himmerik IV", che chiude un disco sicuramente meglio strutturato del precedente EP, ma che necessita di un'opera di sgrezzatura ben più importante. Alla fine, la riedizione di 'La Cité des Vents' si conferma un bell'oggetto per inguaribili collezionisti. (Francesco Scarci)

(Those Opposed Records/LADLO Productions - 2010/2024)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/la-cit-des-vents-reissue

Aorlhac - A la Crois​é​e des Vents Reissue

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic
Mi scuserete se il mio recensire il trittico dei francesi Aorlhac, non abbia rispettato un ordine ben preciso. Ho iniziato dall'ultimo lavoro, 'L'Esprit des Vents', per poi passare al primo EP, 'À la Croisée des Vents', di dieci anni più vecchio, che segnava l'inizio di questo epico viaggio. Un EP di sei pezzi che espone l'allora terzetto di Aurillac a un mondo meno underground rispetto a quello in cui vide la luce il loro demo 'La Chronique des Vents'. Il genere proposto però non sposta di una virgola quando abbiamo detto almeno degli ultimi due cd dei nostri. La proposta della band è infatti affidata a un black dalle vaghe tinte epiche, che non vede momenti di calma, fatto salvo per la breve e atmosferica intro d'apertura. Da lì in poi esploderanno infatti le classiche cavalcate ritmiche che contraddistinguono la band francese, tra zanzarose chitarre di scuola norvegese, grim vocals e melodie che attenuano la furia maligna dei nostri. E cosi, è facile passare dalla sprezzante "La Guillotine est Fort Expéditive", con le sue semplici linee di chitarra e col caustico latrato di Spellbound, a "La Mort Prédite", in cui la melodia di fondo sembra fondamentalmente essere una propaggine del brano precedente, con le sue stilettate malefiche e qui addirittura, un break acustico centrale, a spezzare il ritmo infernale imposto dal terzetto. Con "Le Charroi de Nîmes" sembra di aver a che fare con una band hard rock, almeno nei suoi primi 30 secondi, poi la band si ricompone e riparte da un sound più mid-tempo che però stenta a decollare, se non in un finale decisamente più folkish. Una song parecchio confusa che non lascia troppi punti di riferimento e che rappresenta una sorta di pecora nera nell'economia del disco. Parecchio più oscura invece la successiva "1693-1694: Famine et Anthropophagie", un pezzo che lascia intravedere le potenzialità di una band, qui ancora parecchio acerba. "Aorlhac" segna con il suo black melodico, la conclusione di quello che fu il vecchio EP della band, che al tempo uscì per la Eisiger Mond Productions: il nuovo lavoro, nella sua rinnovata veste grafica, include altri tre brani: "Mémoires d'Alleuze", che era invece incluso nella riedizione dell'EP del 2016 a cura della Those Opposed Records: in termini musicali questo non vede però grandi novità nel genere proposto, se non un tentativo, mal riuscito, di mettere delle clean vocals nei cori del brano. Poi siamo di fronte alla solita proposta che non aggiunge nulla di nuovo o entusiasmante agli Aorlhac: c'è il tentativo di donare più atmosfera in un break temporalesco, ma nulla di davvero memorabile, se non quel finale acustico, quasi in grado di mettere i brividi. "L'Oeil du Choucas" è un breve intermezzo acustico dalle tinte folk, mentre la conclusiva "Les Charognars et la Catin", prova a offrire qualcosa un filo più originale (quasi black'n roll) tra le sue laceranti pieghe ritmiche; nulla di epico, ma apprezzabile comunque il tentativo, soprattutto nello spettacolare assolo conclusivo che riesce finalmente a esaltare la riuscita del brano. Alla fine questa riedizione, a parte la rinnovata veste grafica, non offre grandi sconvolgimenti nella release degli Aorlhac, quindi l'invito ad avvicinarsi a questa release, è rivolto a coloro che non conoscono le gesta della band francese e vogliono raccogliere, in un sol boccone, l'epica trilogia degli Aorlhac. (Francesco Scarci)

(Eisiger Mond Productions/Those Opposed Records/LADLO Productions - 2008/2016/2024)
Voto: 62

https://ladlo.bandcamp.com/album/a-la-crois-e-des-vents-reissue

Aorlhac - L’Esprit des Vents Reissue

#PER CHI AMA: Epic Black
La Les Acteur de l'Ombre Production ripropone la trilogia degli Aorlhac, volta a narrare le storie e le leggende medievali dell'Occitania, in una nuova veste grafica (un elegantissimo digipack A5 con una cover rinnovata, che si incastra alla perfezione con quella degli altri due lavori riproposti - un po' come fecero i Carcass nelle loro riedition), un minimo cambio nell'ordine dei pezzi e pochissimo altro. Noi (anzi il sottoscritto), 'L'Esprit des Vents' l'ha già recensito sei anni fa, e non posso far altro che parafrasare le mie stesse parole del 2018, magari con un orecchio leggermente più allenato alle sonorità dell'act transalpino. Per chi non lo conoscesse, l'album si sviluppa attraverso dieci brani, partendo dall'energica "Aldérica" e terminando con la strumentale "L'Esprit des Vents", presentando un viaggio musicale che sposa un black/thrash in modo epico e combattivo. I momenti di quiete sono davvero pochi tant'è che il disco è caratterizzato da un ritmo frenetico e audace, rispecchiando fieramente le sue radici ancestrali. Durante l'ascolto emergono molteplici influenze, con chiari richiami al metal classico in alcuni assoli (spettacolare quello di "La Révolte des Tuchins"), combinati con influssi provenienti dal Nord Europa. Sebbene il risultato finale non sia estremamente originale, il black metal degli Aorlhac risulta onesto e ben strutturato con melodie accattivanti, come il ritornello folkish di "Infâme Saurimonde", e un'ottima preparazione tecnica, che pone un particolare accento sulla prova del batterista. Le linee di chitarra vichinghe in "Ode à la Croix Cléchée" evocano i primi Einherjer e Windir, andando a sostenere il cantato abrasivo ma piuttosto originale, di Spellbound. "Mandrin, l'Enfant Perdu" si muove tra sonorità black/thrash, in grado di richiamare anche i cechi Master's Hammer e i norvegesi Taake, fino ad arrivare a un evidente rimando agli Iron Maiden verso la conclusione. Tra i miei brani preferiti spicca sicuramente "La Procession des Trépassés", ricca di intense ritmiche e potenti melodie malinconiche. Un ultimo cenno poi lo merita "L'Ora es Venguda," che trasuda sonorità simili ai Primordial. In sintesi, 'L’Esprit des Vents' è un album che saprà entusiasmare gli amanti del black pagano, anche se personalmente, dopo sei anni, non lo definirei un masterpiece. Certo, ora il cd tra le mie mani, sembra un oggetto per collezionisti. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2018/2024)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/lesprit-des-vents-reissue

venerdì 21 giugno 2024

Akvan - Savushun

#PER CHI AMA: Black/Folk
Li avevamo già incontrati qualche anno fa in occasione del loro EP 'City of Blood'. Nel frattempo, la one-man band iraniana ha continuato a produrre musica con uno split, un singolo e questo nuovo EP che conferma quanto di buono avevamo avuto modo di sentire tre anni fa, ossia un raw black contaminato da sonorità etniche mediorientali. Niente di nuovo all'orizzonte penserete voi, visti gli innumerevoli interpreti che popolano la scena con una proposta similare da parecchio tempo (e penso in primis ai Melechesh) e in effetti potreste avere tutte le ragioni del mondo. Tuttavia, nella sua ancestrale sinfonia musicale, il buon Dominus Vizaresa, lo trovo sempre più affascinante di tante altre band, forse perché ogni volta si fa portavoce di una storia nuova che deriva questa volta, cosi come il titolo, 'Savushun', da una novella di una scrittrice iraniana, Simin Daneshvar. Il racconto si incentra sulla storia di una famiglia iraniana che ha vissuto a Shiraz, sotto l'occupazione anglo-russa durante la Seconda Guerra Mondiale. A parte la componente lirica sempre peculiare, Vizaresa insiste poi con questi quattro nuovi pezzi (di cui uno strumentale) a tracciare un primitivo black folklorico che, attraverso le iniziali e ispirate "Aryan Fire" e "Execute by Guillotine", regalano un pizzico di speranza a chi come me crede ancora che ci sia da dire qualcosa di nuovo in ambito estremo. Chiaro che ci siano ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto a livello sonoro, però un pezzo come l'evocativa chiusura affidata a "سووشون", cosi carica di mistero, fascino ed esotismo, rende ancor più curioso l'ascolto di una simile release, sebbene mantenga tutti i sacri crismi del black metal, tra chitarre glaciali, vocals gracchianti, ma anche notevoli melodie che evocano immagini di quello che poteva essere l'impero persiamo. Epico. (Francesco Scarci)

martedì 18 giugno 2024

Houle - Ciel Cendre et Misère Noire

#PER CHI AMA: Epic Black
Li avevo particolarmente apprezzati in occasione del loro EP omonimo del 2022, tornano oggi gli Houle con il loro debut album su lunga distanza. 'Ciel Cendre et Misère Noire' è il titolo di questa nuova opera del quintetto parigino, che aveva peraltro ben figurato, con il loro dischetto improntato su di un black melodico dal taglio scandinavo. Questi nuovi otto pezzi confermano quindi quanto di buono avevo scorto nel ribollente sound dei nostri. Le danze si aprono con una breve ma inutile intro; largo poi alle spigolose ma melodiche chitarre de "La Danse du Rocher", un brano che si muove tra scorribande al fulmicotone e parti più atmosferiche, in cui la voce della brava Adèle Adsa (aka Adsagsona), passano contestualmente da uno screaming efferato a un cantato più evocativo e pulito. Il giochino dell'alternanza furia pirotecnica/parti compassate consta di tre giri con il medesimo canovaccio, ove si possono percepire i molteplici stati d'animo che la band vuole trasmettere. "Mère Nocturne" ripropone invece quelle epiche linee di chitarra che già mi avevano colpito ai tempi dell'EP, sia a livello ritmico che solistico. Il brano scorre via veloce anche con la classica alternanza vocale fino alla più crepuscolare "Sur les Braises du Foyer". Questa propone un black mid-tempo, almeno nei suoi primi due minuti, ma poi si lancia in un più ferino attacco iconoclasta che sembra ammiccare tra l'altro, a un che dei primi Cradle of Filth, vuoi per una certa animosità vampiresca che per certe ambientazioni dal taglio gotico. Il risultato è buono, ma devo ammettere che qualitativamente parlando, avevo maggiormente apprezzato l'EP di debutto, forse per una maggior freschezza di idee. Le stesse che ci vengono in aiuto in "Derrière l'Horizon", brano incisivo, solido e dotato di buone melodie che ancora mi richiamano però 'Cruelty and the Beast' di Dani Filth e soci. Non che sia un male anzi, visto che per me quello rimane il top album della band inglese, solo che permane la sensazione che i vecchi brani mostrassero un pizzico di originalità in più. Un breve break strumentale evocante i suoni del mare (e ancora torna in auge ciò che la band definisce "Marine" black metal) e arriva il momento di "Sel, Sang et Gerçures" e quel suo pulsante basso in apertura da cui ripartire con una turbolenta ritmica nera come il carbone in supporto allo screaming efferato della frontwoman. Interessante in questo pezzo la parte corale che anticipa un bridge che chiama in causa l'epicità nordica dei Windir e da cui si dipana per un paio minuti, prima di afflosciarsi nelle note conclusive del pezzo, in un lungo arpeggio di chiusura che ci accompagna delicatamente a "Née des Embruns". Qui ad attenderci il suono delle onde del mare (e il garrito dei gabbiani), su cui si accoderà un lungo e malinconico giro di chitarra acustica (chi ha citato gli Shining?) che sembra presagire un'ultima violenta ondata black che esplode puntuale in una sorta di fuoco d'artificio vero e proprio, arricchito però da melodie folkloriche e parti più veementi, che confermano definitivamente la bontà dell'ensemble transalpino. (Francesco Scarci)
 
(LADLO Productions - 2024)
Voto: 75
 

martedì 11 giugno 2024

Black Edifice - The Miasmic Trance

#PER CHI AMA: Epic Black Old School
Passati quasi in sordina sul finire del 2023, la one-man band norvegese dei Black Edifice, ha visto il suo debutto per la Iron Bonehead Productions. Un EP, questo 'The Miasmic Trance', atto a testimoniare la proposta di questo baldo musicista nordico, tal The Archfiend, membro peraltro di altre quattro sconosciutissime band. Il dischetto si compone di sei tracce, in realtà quattro se escludiamo intro e outro. I contenuti sono parecchio old fashioned, con quello sguardo al passato che punta dritto ai primi lavori dei Bathory, dove coesisteva un'anima putrescente black, ma dove si intravedevano pure le epiche potenzialità di Quorthon e compagni. E cosi, l'ascolto di "Creeping Mists of the Nethertomb" mi ha catapultato indietro nel tempo di oltre 30 anni, facendomi pensare a lavori come 'Under the Sign of the Black Mark' o 'Blood Fire Death' dei godz svedesi. Forti di una registrazione old school, e alfieri di un black mid-tempo dalle tinte cupe e sinistre, The Archfiend ogni tanto si lancia anche in scorribande più ferali (la prima metà della title track), offrendo un ascolto che mostra peculiarità intriganti; e dire che all'inizio non ci avrei scommesso nemmeno un euro. Ma è forte l'aura folklorica che avvolge l'EP, e le note iniziali di "Into Perennial Gloom" lo testimoniano, tra chitarre zanzarose, uno screaming mai fuori posto, delle pompose proto-orchestrazioni che conferiscono un certo valore a questa release che rischiava di cadere nel dimenticatoio più totale. Spazio infine addirittura a una parvenza di assolo nella seconda metà, a rendere il tutto ancora più credibile. Niente male. Certo, non un disco per tutti, viste le sonorità malefiche che permeano un lavoro che in alcuni tratti (le chitarre di "Citadel of the Doomsayer, Swathed in Dusk ") mi hanno evocato un che degli Isengard più epici di 'Vinterskugge', ma qui senza clean vocals. Quindi, amanti della fiamma nera fatevi sotto e date una chance al buon The Archfiend, potreste rimanere piacevolmente sorpresi. (Francesco Scarci)

giovedì 6 giugno 2024

Enid - Seelenspiegel

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine 
#PER CHI AMA: Symph Black
Sono lieto di potervi riproporre il vecchio album di una band germanica dotata di uno stile personale, di un'identità non riconducibile a un modello predefinito. Proprio così: benché, in alcuni momenti (rari per fortuna), faccia capolino una voce sgraziata d'impostazione black, gli Enid non possono essere catalogati come un gruppo black metal. Le loro canzoni dal sapore malinconico sanno essere fortemente evocative. Se credete nel valore dell'epica e della tradizione, 'Seelenspiegel' saprà emozionarvi, facendo vibrare corde profonde del vostro animo. Delle nove canzoni di questo album, l'unica che non convince è la sesta, "The Forbidden Site", che paga, a livello di performance vocale, un tributo eccessivo al logoro canone black. Chi già conosce gli Enid, sa che per 'Seelenspiegel', loro terzo cd, non necessita di ulteriori ragguagli. Chi li sente nominare per la prima volta, sappia che non possono essere accostati a Falkenbach e Thyrfing, né tanto meno a Graveland o Windir (gruppi ai quali, beninteso, va tutta la mia stima): siamo in altri territori musicali, decisamente. Ma la diversificazione è una virtù, una risorsa preziosa, e le atmosfere di canzoni come "Nexus" e "Patience's Ring", sono talmente affascinanti che dubito possano lasciarvi indifferenti.
 
(Code 666/Self - 2002/2016)
Voto: 75
 

domenica 2 giugno 2024

Fellwarden - Legend: Forged in Defiance

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal
Fellwarden is a fascinating project born from the mind of the always creative musician, The Watcher, who is involved in several projects. Fen is, for sure, the most well-known of them and one of my favorite projects out there. While Fen successfully combines atmospheric black metal with some post metal/rock influences, Fellwarden was born with stronger ties to the first subgenre. The project was created back in 2014, and it has released two excellent albums, which are an honest musical proof of The Watcher’s immense talent and passion for this style.

As this year marks the tenth anniversary of Fellwarden, the English solo-project is back with its third installment, which is usually a crucial one because it usually shows if a project is capable of reaching a new point of evolution in its sound. The name of the new opus is 'Legend: Forged in Defiance' and the title itself shows a certain idea of how the album can sound. This is an effort that does not differ dramatically from its predecessors, but it surely has a stronger epic tone in their compositions. A preconceived feeling that is reinforced if you take a look at the majestic artwork, courtesy of the legendary Belgian artist Kris Verwimp. 'Legend: Forged in Defiance' contains six songs (seven if you have the limited edition), in which The Watcher unleashes his creativity with long and rich compositions, where all the traditional elements of this project can abundantly be found. The album opener "Exultance" is for sure a great choice to start listening the album. Ten minutes of pure atmospheric black metal with a majestic tone thanks to the addition of some clean vocals and an excellent powerful riffing. The classic raspy vocals are also there as a great contrast and have a great presence as you could expect. The ups and downs in the pace are excellently placed and make the song flow adequately, never letting it to sound predictable or flat. The combination of fast and slower sections varies in its distribution depending on the composition. In any case, mid-tempo sections, and even slow ones, are more prominent, like you can listen to in compositions like "Despair", which is clearly slower than the album opener. The subsequent track, "Renewed Hope", has a great contrast between the different sections of the composition.

"Desperation" is another excellent song, where the introduction of acoustic guitars, along with some touching clean vocals, creates an undoubtedly solemn and emotional atmosphere, excellently contrasted by the always necessary ferocious moments. The last part of the album follows very similar patterns, although the general pace is here predominantly slow, which is not actually an enormous issue. Nevertheless, at least for me, it leaves me with the feeling that the second half of the album lacks a bit of energy that some faster and heavier parts would give. From my point of view, this contrast between the solemn mid-tempo/slow parts and speedy sections would be beneficial for the album as whole.

All in all, 'Legend: Forged in Defiance' by Fellwarden is an excellent album. The tasteful and enriching compositions, the epic general tone and the great performance by all instruments and vocals, weights more than the occasional feeling in the final part of the album, that this effort lacks some ferocity. (Alain González Artola)