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martedì 25 novembre 2025

Nornes - Thou Hast Done Nothing

#PER CHI AMA: Death/Doom
Ecco quel che serviva per questa nevosa fine di novembre: death doom atmosferico affidato alle mani di questi Nornes, quartetto originario di Valenciennes in Francia. 'Thou Hast Done Nothing' rappresenta il loro debutto ufficiale su lunga distanza, dopo un paio di EP usciti tra il 2018 e il 2020. Sono solo cinque i pezzi presenti in questo album, ma per quasi un'ora di musica, che sin dall'iniziale "Never Ending Failure", ci consegna delle ritmiche piuttosto opprimenti, non quelle canoniche abissali del funeral, ma comunque un rifferama pesante, contraddistinto da un mid-tempo meditabondo, le classiche growling vocals, con il tutto a evocare i My Dying Bride e i Paradise Lost degli esordi. Quindi, niente di nuovo sotto il sole, se proprio vogliamo essere schietti. Zero aperture all'originalità, il solo tentativo di inserire delle clean vocals a fare da contraltare alla voce da orco cattivo del frontman, un breve break acustico verso l'ottavo minuto per salvare le apparenze di quella che poteva essere una traccia anonima, e che trova modo di risollevarsi con un assolo elegante in chiusura. "A Rose to the Sword" non sposta fondamentalmente di un capello la proposta dei quattro musicisti transalpini, seppur si scorga qua e là il desiderio di non limitarsi ai meri insegnamenti della "Mia Sposa Morente": interessante a tal proposito, il break atmosferico percussivo al quarto minuto, laddove le due porzioni vocali si uniscono all'unisono. Altrettanto interessante la lunga parte strumentale che per un paio di minuti ci delizierà nella seconda parte del brano, con buone melodie chitarristiche e atmosfere sospese, prima di un finale un po' più ostico da digerire. "Our Love of Absurd" conserva quelle melodie malinconico-evocative di 'Shades of God' dei Paradise Lost, innalzando, in fatto di emotività, la qualità del brano per un uso più massivo (e apprezzabile) delle voci pulite a discapito di un growling qui più in secondo piano. Dopo il break atmosferico, come sempre inserito a metà brano, davvero pregevoli bridge e solo che per un minuto e mezzo ci regalano grandi emozioni. Poi il tutto si fa inevitabilmente più cupo e minaccioso, con sfuriate ritmiche estemporanee che si accompagnano al growl del cantante. E proprio da qui ripartire nella successiva "Perceptions in Grey", con un cantato più strozzato in gola, in un brano che vede il suo primo acuto a ridosso del secondo minuto, complice una chitarra più ispirata e nuovamente le salvifiche clean vocals che alla fine risulteranno quello strumento che meglio toglie dall'imbarazzo una release altrimenti troppo scontata. A chiudere, i quasi 13 minuti di "Oneness", che sono aperti da una lunga parte acustica: la prima apparizione vocale appare al terzo minuto, a sottolineare ancora una volta la voglia dei nostri di dar maggior spazio alla componente strumentale. Poi il brano si rivelerà piuttosto simile per quasi i sette minuti seguenti (e francamente limerei queste lunghe parti per aumentare la dinamica del brano), il canonico break atmosferico e una coda doom rallentante, a chiudere un disco che se fosse durato un quarto d'ora in meno, forse ne avrebbe beneficiato enormemente. Ora invece mi ritrovo a consigliarlo ai soli amanti del genere, per non rischiare di farlo cadere nell'oblio del dimenticatoio. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2025)
Voto: 68

Valgrind - Definition of Prepotence

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Old School
Death metal che lascia spazio a godibili assoli di chitarra, quello contenuto nelle sei tracce di questo demo cd dei calabro-emiliani Valgrind, ormai datato anno 2000. Porgendo l'orecchio alla proposta dei nostri, la voce dovrebbe avere, a mio avviso, maggiore estensione, e risultare più potente, pur restando gutturale. La bio indica nel death made in Florida, il modello cui i Valgrind s'ispiravano (oggi ci sono ben cinque album all'attivo per la band italica). Posso solo dirvi che se amate lo stile dei Rabaelliun, che americani non sono, ma brasiliani, questa band può anche fare al caso vostro. I testi all'epoca inneggiavano alla "bestiale malevolenza" ed esortavano, tanto per cambiare, a "vomitare sulla croce" (la cover è piuttosto emblematica a tal proposito). Se penso invece alle ultime release ('Millennium of Night Bliss'), la vicinanza con Death e Obituary, appare decisamente la cosa più sensata.

(Self - 2000)
Voto: 60

lunedì 24 novembre 2025

Malakhim - And in Our Hearts the Devil Sings

#FOR FANS OF: Black/Death
The Swedish black metal scene has always been synonymous with quality and true loyalty to the pillars of the genre, and Malakhim is, fortunately, not an exception to this rule. Founded almost ten years ago in the northern city of Umeå, Malakhim released a powerful debut album entitled 'Theion,’ which caught the attention of the scene and established the pillars of a hopefully long career. The remarkably solid compositions of that album showed that the band had a clear idea of how they wanted to sound.

Four years later, the Swedes return with the always pivotal second opus entitled ‘And in Our Hearts the Devils,’ again under the umbrella of the well-known label Iron Bonehead Records. The fans who enjoyed ‘Theion’ have no reason to worry about the new album, as Malakhim continues to play its remarkably intense form of black metal with no room for weird experiments that could ruin the final result. The production continues to achieve a great balance in terms of actual good production, where one can enjoy the different instruments, but it is clearly inclined to retain a certain degree of rawness that fits Malakhim’s music perfectly. From the album opener "And in Our Hearts the Devils," the listener will appreciate this tasteful combination of fury that does not lack a melodic touch, particularly in the mid-tempo sections. The composition contains a good amount of tempo changes, combining a good variety of them, from relentlessly fast-paced ones to quite calm sections, and the aforementioned mid-tempo parts where their best melodic riffing shines. Malakhim has put some effort into composing this album, which you can clearly observe in how solid the compositions are regardless of the level of intensity. If you like pure fury and a bit of dissonance in the riffs, a track like "A New Temple" will delight you for sure. If, on the contrary, you prefer a more melodic touch, a song like "Sola Crucifixion" is the perfect choice with its headbanging-inducing pace and the tasteful melodic riffing.

E's vocals are another highlight of this album, as he masterfully performs his trademark shrieks, sometimes combined with different approaches that can be closer to semi-growls or a slightly clearer tone, even though he always remains within the realm of the extreme vocals you expect from a black metal band. The rest of the album continues with a similar sonic pattern, which is not a problem, as it consistently reaches a very high level. Both the guitars and the rhythmic sections are excellently composed and work together seamlessly. The different songs flow naturally in terms of intensity and pace, creating compositions that will satisfy the most demanding listener.

'And In Our Hearts the Devil Sings' is definitely a satisfying milestone in Malakhim’s career, as its excellent result will confirm the Swedish band as a project to be closely followed by fans of the genre. The level of inspiration and passion can be felt throughout the album, making it one of the best albums of this year in the black metal scene. (Alain González Artola)

(Iron Bonehead Productions - 2025)
Score: 87

giovedì 20 novembre 2025

Suffering Hour - Impelling Rebirth

#PER CHI AMA: Death/Black
In rete ho trovato ovunque recensioni notevoli su questo lavoro, ma dopo averlo ascoltato, mi domando se sono io la solita voce fuori dal coro o se gli altri abbiano preso un clamoroso abbaglio. Ora non voglio dire che questo 'Impelling Rebirth', degli statunitensi Suffering Hour, sia una ciofeca, ma nemmeno sto gran discone, che da più parti invece ho letto. Per me si tratta infatti di onesti mestieranti che mettono in piazza un cupo black death caustico e veloce. E su questo non ci piove, visto l'incipit violento dell'iniziale title track, dove accanto alla devastazione della ritmica, compare una voce che sembra uscire dall'oltretomba, pronta peraltro a un rituale satanico. Le chitarre, belle sghembe e ribassate, viaggiano a velocità vertiginose, il tutto con scarsi accenni melodici, fatto salvo una leggera melodia in sottofondo a ridosso di una parte più atmosferica. Poi spazio a una vena fragorosa, che ci investe come un treno uscito dai binari. La seconda "Anamnesis" palesa influenze punk thrash, in un contesto comunque sparato ai 1000 km orari. Ancora un break atmosferico a metà pezzo, giusto per stemperare una furia che, a tratti, sembra ingestibile. Attacco grind invece per "Revelation of Mortality", una song animalesca, sanguigna, dissonante e ferale che, in tre minuti, non fa prigionieri, ma lascia una striscia di sangue dietro di sé, in un finale permeato da un umore nero e abissale, in cui il suono sembra quasi implodere. Nonostante sia un pezzo di una durata appena inferiore ai tre minuti, sembra stranamente ne duri una decina. Sfiancante. Come la successiva e psicotica "Incessant Dissent", un pezzo incessante che sembra chiamare in causa i Morbid Angel più feroci. Ancora fortissime influenze thrash/death/black old school per la lunatica e conclusiva "Inexorable Downfall", che chiude un dischetto di poco meno di 15 lunghissimi ed estranianti minuti di follia. (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 66

mercoledì 12 novembre 2025

Funeral Baptism - In Solitude

#PER CHI AMA: Black/Death
C'è qualcosa di inevitabilmente esotico nel pensare al black metal che arriva dall'Argentina, un paese dove il genere si tinge di un'austerità quasi monacale, lontana dai clamori europei. I Funeral Baptism sono la creatura di Damien Batista, personaggio oscuro della scena underground di Buenos Aires, attivo dal 2012, ma ora trasferitosi in Romania, e qui supportato da Stege. I nostri propongono un suono che mescola black a venature più atmosferiche e death oriented. Il loro nuovo album, 'In Solitude', uscito via Loud Rage Music, che arriva ben otto anni dal debutto 'The Venom of God', riprende là dove aveva lasciato, ma con una maggior consapevolezza, una migliore cura nei dettagli, abbandonando quindi quell'approccio lo-fi degli esordi, e privilegiando una produzione più pulita e potente, in grado di spingere la musica del duo verso livelli qualitativi più maturi, sebbene la proposta non abbia nemmeno un 1% in fatto di originalità. Ma ormai questa è la norma della maggior parte delle uscite discografiche che ogni giorno vedono la luce, pertanto la mia non vuole essere una discriminante di un prodotto scadente, anzi. Credo semmai che ci troviamo di fronte a un album onesto e diretto, che in soli 26 minuti liquida la pratica, tra sonorità sparatissime sul versante black (l'incipit della title track non lascia alcun dubbio a tal proposito), coadiuvate tuttavia da una discreta vena melodica, un uso delle vocals interessante (a metà strada tra screaming e growl), al pari dei rallentamenti doomeggianti, di cui godremo da poco meno di metà brano, fino al termine. E questo pone appunto l'accento sulle qualità e l'estetica di una band, che pur non inventando nulla, riesce comunque a sopperire ai propri gap, con buone doti tecniche e una quasi raffinata ricerca della melodia, che si palesa attraverso parti atmosferiche, come accade per l'opener "Scarring Silence". Poi, spazio a ritmiche stratificate, pezzi mid-tempo (la mia favorita è "The Brink of Ruin", con un piglio alla Cradle of Filth nella sua componente vocale), impennate di furiosa rabbia con blast-beat impazziti, un interessante bridge in "Exsequiae", ottimi assoli un po' ovunque e qualcos'altro che rende comunque l'atto di ascoltare 'In Solitude', semplicemente dovuto. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2025)
Voto: 65

martedì 11 novembre 2025

Dodengod - Heralds of a Dying Age

#PER CHI AMA: Black/Death
Se non avessi saputo la provenienza dei Dodengod (si ringrazia sempre Metal Archives per questi dettagli), avrei pensato che il trio fosse originario della Svezia, per quella loro proposta all'insegna di un death dalle chitarre super ribassate, che mi ha evocato band come Unleashed o Grave. In realtà, i nostri arrivano dal Belgio e questo 'Heralds of a Dying Age' è il loro secondo album. Un lavoro che ci schianta immediatamente in faccia la loro efferata violenza. Fatto salvo per l'intro "In Darkness", le successive "The Grinder Feeds on Hate" e "Breathe Deep the Dark", mi investono con una sezione ritmica debordante, fatta di tonalità oscure e asfissianti. Non c'è un barlume di luce nelle note di questi 10 pezzi. Anzi, l'atmosfera si fa addirittura più cupa in un pezzo come "The Adversary", grazie al suo piglio doomish, che sfocia, per alcune acuminate linee di chitarra, anche nel versante black, ma che sorprende al tempo stesso, per alcuni ghirigori in tremolo picking che ne amplificano la melodia. E non è certo una novità, visto che già le precedenti tracce avevano palesato rallentamenti doom, con una fortissima predilezione per melodie quasi psichedeliche (e ripenso al finale di "The Grinder Feeds on Hate"). Questo per dire che alla fine i Dodengod non sono dei veri e propri picchiatori, o che propongano unicamente un genere monolitico e da lì non si spostano di un millimetro. Direi che seguono un canovaccio, che vede spesso cominciare i brani con una ritmica piuttosto robusta per poi disorientare l'ascoltatore con trovate atmosferiche, lisergiche, sempre inattese. E anche un pezzo come "Devouring Fires" mostra lo stesso comportamento, tra derive psych, accelerazioni deflagranti, un rifferama potente, tagliente e brutale, ma poi ecco che suoni spettrali si palesano in un sottofondo che ha molto spesso da regalare qualche inusuale sorpresa. E sta qui la forza dei nostri, che altrimenti avrei etichettato come l'ennesima band che voleva fare il verso ai mostri del passato. E se ci aggiungiamo anche una buona perizia strumentale, un ottimo gusto nella sezione solistica, le contaminazioni black (spaventosa la ritmica della title track, ma anche quello screaming che talvolta si affianca al growl) e doom (ascoltate la successiva "Born"), potrete intuire anche voi come questo album non debba essere frettolosamente scartato come mera copia dei grandi act del passato. La mia traccia favorita? La diabolicamente sinistra e di scuola Altar of Plagues, "No Distant Flame Ahead". Insomma, per concludere, 'Heralds of a Dying Age' è un lavoro estremo, davvero violento, ma con una sorprendente voglia di stupire con trovate melodiche sempre interessanti. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 70

giovedì 6 novembre 2025

De Profundis - The Gospel of Rot

#PER CHI AMA: Death Old School
Nuovo capitolo per i deathster inglesi De Profundis, una band che, in tutta franchezza, non ho mai particolarmente amato. Si tratta di una band dalla lunga militanza nell'underground che dal 2005, anno della loro formazione a oggi, ha visto il quintetto londinese passare dal death doom degli esordi, a un black death a metà del loro percorso, fino a completare la propria trasformazione in un death nudo e crudo di stampo americano. La band fa il suo ritorno sulle scene con questo EP di quattro pezzi, intitolato 'The Gospel Of Rot', che include tre inediti più la cover di "Subtraction" dei Sepultura. Si parte con la corrosiva "I: Corruption", i cui unici punti di interesse risiedono in una basso iper tecnico, in qualche apertura di chitarre in stile Atheist e una buona vena solistica. Per il resto, suoni ormai vetusti, voci al vetriolo in un mix tra screaming e growl, e zero emozioni. "II: Deception" non è da meno, con quella sua galoppata ormai troppo old school per chi come me è cresciuto con questi suoni trent'anni fa e per cui gli originali, rimangono i migliori interpreti di un genere che trovo abbia ben poco da dire, fatto salvo per alcune rare eccezioni. Ribadisco la validità tecnica della band, esplicata attraverso interessanti trame solistiche e un tentativo di riproporre anche il sound svedese nella terza "III: Indoctrination". Per il resto, trovo il tutto poco allettante, anche la cover dei Sepultura riletta in chiave americana, visto che è sparata a tutta velocità manco fosse un pezzo di brutal death. Per me è un no grazie, ascolto altro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 60

mercoledì 5 novembre 2025

Ancient Death - Ego Dissolution

#PER CHI AMA: Death Progressivo
Dalle nebbiose profondità di Walpole, Massachusetts, ecco emergere gli Ancient Death, un quartetto che irrompe sulla scena del progressive death metal con il debut 'Ego Dissolution', dopo qualche uscita di EP e split album. Formatisi nel 2021, la band si fa portavoce di un sound che fonde il death old school con sfumature psichedeliche e progressive. Potete immaginare il mio scetticismo davanti a un artwork di copertina che già lascia presagire tutt'altro. Eppure, già con l'iniziale title track, ho dovuto ricredermi in fatto di proposta musicale e qualità del quartetto statunitense, proprio per una capacità intrinseca di bilanciare brutalità, atmosfera e introspezione, posizionando i nostri come una forza fresca e ambiziosa, giusto a ridosso di Blood Incantation e pochi altri; sarà forse per questo che un'etichetta come la Profound Lore, ci avrà voluto puntare. Fatto sta che i nostri sciorinano otto tracce che, di primo acchito, potrebbero anche sembrare brutali, ma che se poi vai a fargli i raggi X, trovi che possiedano una tecnica davvero notevole, con arrangiamenti che sono un mosaico di riff grooveggianti, tecnici ("Breaking the Barriers of Hope") o più atmosferici ("Breathe - Transcend (Into the Glowing Streams of Forever)", dove peraltro fa la sua comparsa anche una quanto mai inattesa voce femminile), e che si chiudono puntualmente con assoli funambolici che mi hanno evocato i Death del buon Chuck. Mamma mia, quante emozioni, e dire che quell'artwork di copertina mi aveva già predisposto a disintegrare questa band eppure, le ulteriori influenze che arrivano da Cynic, Atheist o Nile, ci consegnano una band e un prodotto già maturi. Brani come la strumentale "Journey to the Inner Soul" (con il suo eco ai Death di 'Human'), "Unspoken Oath" o la conclusiva "Violet Light Decays", esaltano l'estetica psichedelica del death metal, pur non avendo inventato nulla di nuovo. Certo, quella copertina continuo a trovarla imbarazzante. Bravi comunque! (Francesco Scarci)

(Profound Lore Records - 2025)
Voto: 75

lunedì 13 ottobre 2025

Superion Tyrant - Demo MMXXV

#PER CHI AMA: Death/Grind
Della serie lavori da cui tenersi alla larga, ecco il demo 2025 degli italiani Superion Tyrant, quartetto che vede tra le proprie fila, membri di Node, Derelict, Mind Snare e Heathen/Lifecode, quindi non certo gli ultimi sprovveduti. E forti di queste provenienze dal mondo black/death, il four-piece italico si lancia in sonorità che abbracciano anche il grind e che in tutta franchezza, non mi vedono proprio supportare questo genere. Quattro pezzi più intro per nemmeno undici minuti di musica, che vogliono i nostri stuprare la propria strumentazione in un sound che potrebbe evocare i Napalm Death di 30 anni fa. Ecco, 30 anni fa queste sonorità mi potevano andare anche bene (d'altro canto amavo il suono rilasciato dal martello pneumatico), oggi non più. Desidero qualcosa di fresco, moderno e innovativo, anche e soprattutto in ambito estremo, quello che sa sempre amo. Altrimenti, preferisco andarmi a prendere gli originali, che erano decisamente meglio. Tecnicamente ineccepibili, ma nulla di più, nemmeno l'ombra di un assolo per regalarmi un sussulto, ma la costante sensazione di stare su una carrozza del treno impazzita (il finale di "Allotropic Deathforms" è emblematico). (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 50

giovedì 9 ottobre 2025

Mysthicon - Bieśń

#PER CHI AMA: Black/Death
Dieci anni di vita e due soli album (e un EP) all'attivo per questo quintetto polacco, nato dalla collaborazione di alcuni membri (ed ex) di Lux Occulta, Vader, Hate, Batushka e Karpathian Relict, per una band quindi, con un certo pedigree alle spalle. 'Bieśń' si configura quindi come un lavoro solido e sicuramente votato a sonorità estreme, visti gli interpreti coinvolti. Lo si evince immediatamente dall'esplosività di "Shapes", la traccia che apre il disco in modo piuttosto deciso, evocando però sin dai primi passaggi, echi dei primi Rotting Christ, a livello vocale, e dei Samael a livello atmosferico, anche se in certe rasoiate di chitarra, mi è venuto in mente addirittura 'Skydancer' dei Dark Tranquillity. Insomma, avrete già intuito che all'interno dei sei pezzi di 'Bieśń', tra cui una cover dei Lux Occulta ("Creation"), troviamo tutto quello che l'armamentario estremo ha da offrire: black, death, partiture atmosferiche e anche un pizzico di doom. Sebbene la produzione di 'Bieśń' sia un esempio di equilibrio tra crudezza e modernità, gli arrangiamenti sono stratificati e dinamici, con un uso prominente di chitarre che dominano attraverso riffs distorti ma sempre melodici, ben supportati da una batteria che varia da ritmi mid-tempo a blast beat sporadici, creando un contrasto tra aggressività e atmosfera. Il basso fa il suo, fornendo un fondale solido e pulsante, ma anche aprendo timidamente una song come "Unbearable Silence", in cui si assiste anche a un dicotomico utilizzo delle voci, pulite e strazianti (e in taluni casi anche growl). Lo screaming si palesa comunque con un timbro in grado di emanare un senso di disperazione viscerale, in una traccia che si muove in bilico tra sfuriate black e rallentamenti più ragionati, senza mai per forza rinunciare alla melodia. Tra i brani chiave citerei anche "We Are The Worms", un inno alla putrefazione, che si srotola con un rifferama groovy che marcia oppressivo, creando un contrasto tra il doom e un bridge black che accelera il tempo, e per finire, vocals piuttosto convincenti, soprattutto nella loro conformazione più graffiante. Buona e non esagerata la componente tastieristica che va a bilanciare le scorribande black in cui si lanciano i nostri, evocando, per certi versi, anche un che dei Lux Occulta, laddove emergono blande influenze dalle tinte sinfoniche. Certo, i Lux Occulta erano a mio avviso - ma io sono un loro grande fan - una spanna sopra nel creare possenti sinfonie, ma il tentativo di inseguire certi sperimentalismi, si confermano vincenti. Se da un lato ho trovato "Na Naszej Krwi" più trascurabile per la sua sterile e fine a se stessa veemenza, è invece su "The Storyteller" che mi soffermerei maggiormente. Qui è più evidente la ricerca di conferire maggior melodia e nel creare ambientazioni sinistre e orrorifiche, senza tuttavia strafare in termini di velocità ingaggiate, ma concentrandosi piuttosto su una narrazione oscura, coadiuvata da interessanti giri di basso e aperture atmosferiche. Chiudere con "Creation" dei Lux Occulta, estratta dal debut 'The Forgotten Arts', poteva portare i suoi rischi, invece il brano viene reinterpretato alla grande, con un approccio più pesante rispetto all'originale, godendo peraltro di una produzione mille volte migliore, e un esito finale, davvero positivo. Insomma, se siete amanti degli estremismi sonori black/death spruzzati di una buona dose di melodia, il nuovo disco dei Mysthicon, potrebbe fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)
Voto: 72

lunedì 29 settembre 2025

Wurmian - Immemorial Shrine

#PER CHI AMA: Death/Doom
I Wurmian sono una one-man-band francese guidata da Antoine Scholtès, il classico polistrumentista che un bel giorno (era il 2024) si è svegliato e ha deciso di mettere su una band, anche se l'artista di Clermont Ferrand, ha in realtà altri due progetti, i Lyrside (che suonano melo death) e gli Inherits the Void (dediti a un interessante black atmosferico). Nei Wurmian, Antoine, ha invece pensato di muoversi tra le pieghe di un death melodico vecchio stampo sporcato da derive doom, con 'Immemorial Shrine' a ergersi come debutto assoluto. Un disco di sette pezzi che si apre con le melodie di scuola Amorphis di "Aeon Afterglows". È palese sin dal primo secondo che non ci troviamo però di fronte alla classe dei gods finlandesi, e che il progetto è ancora in fase embrionale e merita qualche aggiustamente per trovare la sua più giusta configurazione. Però la melodia delle chitarre ha sicuramente una certa vena catchy che in un qualche modo cattura l'ascoltatore, soprattutto nella parte più atmosferica di metà brano, senza tuttavia rinunciare a una certa ruvidezza negli arrangiamenti o in alcune frequenti sfuriate ritmiche. Anche l'incipit della title track mostra forti reminiscenze verso i finlandesi e sicuramente questo sembra rappresentare il punto di forza dei Wurmian. Da rivedere invece forse la sezione ritmica, che ha un'intelaiatura dal piglio decisamente furibondo e old school, che forse tende a far perdere il focus sul sound proposto. Decisamente meglio laddove il musicista francese rallenta, rasentando territori doom alla October Tide, prestando più attenzione alla cura dei dettagli, come accade negli ultimi 90 secondi della stessa traccia. In stile Katatonia invece la terza "Haven", in cui è più evidente la ricerca di freschezza nelle linee melodiche e nel break di tastiera attorno al secondo minuto, con un giro di chitarra in sottofondo ancora a evocare i master svedesi, al pari di altre intersezioni di melodia verso il terzo e quarto minuto, quasi a voler dare modo di riprenderci prima della battaglia pronta a incombere. La voce si conferma qui, ma in generale ovunque, assai roca, un growling robusto, e forse troppo ancorato agli anni '90, su cui farei magari qualche aggiustamento. "Spires of Sorrow" si muove sulla falsariga, iniziando più roboante per poi assestarsi su un mid-tempo, per poi assestare qualche scheggia di death nudo e crudo qua e là, evocante gli At the Gates e gli Entombed. Il lavoro dei Wurmian prosegue poi sostanzialmente seguendo un canovaccio piuttosto simile, mettendosi in mostra nelle parti più atmosferiche di "Yearning Unseen", nel break centrale di "Sleeping Giants", che mi ha portato alla mente gli albori death/doom dei The Gathering (quelli senza Annecke), al pari della conclusiva e sempre (fin troppo) coerente "The Everflowing Stream", per quello che definirei il più classico dei tuffi nel passato, per una sorta di riaffermazione di suoni che mancavano tra i miei ascolti da un bel po' di tempo. (Francesco Scarci)

(Pest Records - 2025)
Voto: 68

lunedì 22 settembre 2025

La Città Dolente - In a World Full of Nails I Have Got Nothing

#PER CHI AMA: Mathcore/Hardcore/Death
La nuova uscita della band meneghina sotto le ali della Toten Schwan, lascia un ricordo lontano del precedente 'Salespeople', e con un cambio di formazione radicale, porta modifiche sostanziali al proprio suono, rivedendone i canoni stilistici fin dalle radici. Divenuti un power duo formato dai soli Federico Golob (chitarra/voce/basso) e Guido Natale (batteria), i nostri optano per un suono decisamente più heavy, buio, corposo, dai toni ribassati e dalle composizioni potenti ma ostinatamente complesse. Devo ammettere che non mi è mai piaciuta la scelta di vedere il nome della band in lingua madre e l'uso dell'inglese nelle liriche, ma per La Città dolente (e il nome è molto bello), la cosa passa inosservata, poichè a tutti gli effetti, il disco è veramente ben fatto. Iniziamo col dire che non si sente affatto la carenza e l'assenza di altri strumentisti, e che i due musicisti qui hanno svolto un compito notevole nel dare vita a questo piccolo gioiellino. La struttura del disco è tutta giocata su chiaro scuri, cambi di tempo, rallentamenti e stop and go, furiosi e coinvolgenti, contaminati da una certa cinematica al limite dell'industrial, dove una voce ringhiante (che mi ricorda piacevolmente un po' lo stile di John Tardy degli Obituary) la fa da padrona. Tuttavia, in alcune incursioni, il parlato e il recitato donano il giusto tocco di schizofrenia e drammaticità, uno stile canoro che riesce a farli uscire dagli schemi preimpostati del genere, rendendo i brani credibili, per certi aspetti anche orecchiabili e comunque sempre estremamente carichi di emozionalità. La batteria è una furia timbrica e le chitarre urlanti, sfoderano una valanga di riff, figli di tanti padri del moderno metal pesante e tecnico, che mi ricordano in parte, come ricerca ritmica, anche i primi Gojira. Vi si trova poi pure del potente hardcore nella scrittura e persino, ideologicamente, l'aria oscura e ossessiva di un disco qualsiasi dei Meshuggah. Nati sotto la bandiera del mathcore, etichetta di genere che ora decisamente gli andrebbe un po' stretta, il duo lombardo si appresta con questo bel disco ad intraprendere un nuovo passo verso un sound ancora più pesante, complesso e claustrofobico, con la tensione dei Converge e il peso possente degli Ulcerate. Alla fine i due musicisti milanesi brillano di luce propria e servono ben poco i paragoni per spiegarli, tanto meglio ascoltarli per capire di che pasta è fatta la loro musica. Valutando poi l'impegno sociale e la militanza politica anticapitalista, con la scelta DIY, e testi di denuncia sociale, ci rendiamo conto di quanto sudore e impegno ci sia dietro la furia di quest'album. Il disco in toto viaggia veloce ed è direttissimo, i brani sono prevalentemente corti, tranne che per "Clearance Season" e soprattutto "Neon Death (Forever on the Payroll)", che con un inaspettato intro tra soul e black music, si espande fino a superare i sei minuti, sofisticati ed estremamente pesanti. Magari con 'In a World Full of Nails I Have Got Nothing', non ci troveremo davanti a una vera e propria innovazione musicale, o a un nuovo sound, ma nessuno può dire che questo non sia un disco di carattere e di ottima caratura. Consigliato l'ascolto, ottima uscita. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2025)
Voto: 75

martedì 9 settembre 2025

Mellom - The Empire of Gloom

#PER CHI AMA: Black/Death
In un panorama metal dove l'oscurità è spesso un'arma a doppio taglio, i teutonici Mellom irrompono con 'The Empire of Gloom', debut album uscito a inizio 2025, un disco che trasforma il black/death metal in un monolito di piombo fuso, pesante come un sudario di cenere che si deposita lenta ma inesorabile. Questo duo originario di Francoforte, costituito dai musicisti David Hübsch e Skadi, emerge dalle nebbie dell'underground come un'entità che non urla solo la propria rabbia, ma la sussurra attraverso corrosivi strati di black metal atmosferico. Radicati in una tradizione black metal dal piglio scandinavo, i Mellom non reinventano di certo la ruota, ma la ricoprono sicuramente di una ruggine stridente, con un lavoro che pesa sull'anima senza bisogno di artifici di alcuna sorta. La produzione, affidata a un approccio diretto e senza troppi fronzoli, sembra essere il vero collante di questo impero di tenebre, in cui gli arrangiamenti si mostrano minimalisti ma stratificati, con l'incedere sonoro che si muove tra serrate scorribande black ("Rules of the Universe" e a ruota, la successiva "The Last Dance") e frangenti più mid-tempo oriented (ascoltatevi "Burden", la title track o la più doomish "Feed the Machine", in cui ho sentito qualche eco dei Rotting Christ nella marzialità delle sue chitarre). Alla fine, quello che ne viene fuori è un disco sano e onesto che, come detto, non scopre certo l'acqua calda, ma trasforma il metal estremo in una terapia oscura e senza compromessi, con il caustico screaming di Skadi ad accompagnare un riffing glaciale, a tratti disturbante, con linee melodiche non troppo catchy, ma comunque presenti. Il disco è sicuramente ostico da ascoltare, complici le laceranti vocals della frontwoman, ma anche l'assenza di certi picchi melodici, a cui recentemente il black ha aperto. Ciò non toglie che per chi è un fan di certe sonorità "old fashion", 'The Empire of Gloom' potrebbe rappresentare un'alternativa ai vecchi classici. Prima di chiudere, vorrei citarvi un ultimo brano, "Beyond the Endless Waves", che con il suo melodico tremolo picking, e le sue clean vocals, potrebbe rivelarsi il pezzo più accessibile del lotto, sicuramente il mio preferito, emblema di un disco che presenta al mondo questi nuovi Mellom, che con qualche aggiustamento in futuro, potrebbero essere anche una paicevole sorpresa. (Francesco Scarci)

lunedì 8 settembre 2025

Contemplation - Au Bord du Précipice

#PER CHI AMA: Atmospheric Death/Doom
Nell'underground più profondo, la one-man band francese dei Contemplation sembra volersi distinguere come un progetto visionario, guidato dal polistrumentista francese Matthieu Ducheine. Il secondo full-length (ci sarebbe anche un disco in collaborazione con i Chrono.fixion), 'Au Bord du Précipice', vorrebbe infatti rappresentare un audace esperimento in grado di fondere doom death con elementi atmosferici, pagani e folk, nel tentativo di creare un ibrido unico nel suo genere. Attivo dal 2021 con un debutto omonimo, all'insegna di un death più sinfonico, il factotum Ducheine si lancia in sonorità affini (seppur più cupe e funeral) anche in questo lavoro, sciorinando arrangiamenti complessi, coadiuvati da un violino contemplativo, che lui stesso suona, chitarre super ribassate, e in generale, una linea ritmica solida e profonda, ammorbidita da eterei synth, e imbestialita da uno spaventoso growl cavernoso (per cui auspico a breve di affiancare clean vocals). Se i testi sembrano esplorare temi introspettivi, la musica esprime, attraverso il malinconico suono del violino, immagini di paesaggi desolati e montagne intese come rifugio spirituale, con il titolo dell'album a suggerire una condizione al confine dell'abisso esistenziale, decisamente in linea con l'estetica doom. Musicalmente, ho adorato "Endless Mental Slavery", per la sua atmosfera pesante e meditativa, frutto di un riffing pachidermico che s'intreccia con le splendide dinamiche offerte dal violino. La title track, introduce elementi sperimentali (qualcuno li definisce addirittura dub) più marcati con ritmiche che emergono da un'intro atmosferica, a cui il violino fa costantemente da contraltare, senza scordare comunque una linea melodica notevole, sempre presente nell'intelaiatura musicale dei Contemplation. Fatto sta, che la proposta della band transalpina si lascia piacevolmente e sorprendentemente ascoltare, pur proponendo un genere di per sé, assai ostico. Eppure, con sperimentazioni vocali che mi hanno evocato un che dei Violet Cold ("Le Recours Aux Montagnes"), raffinate linee melodiche e ampie parti atmosferiche ("Dust to Dust"), il disco ha saputo conquistarmi per la sua originalità sin dalle prime note. (Francesco Scarci)

martedì 2 settembre 2025

Tetramorphe Impure - The Sunset Of Being

#PER CHI AMA: Death/Doom
Immaginate un crepuscolo che non svanisce mai, un orizzonte avvolto da una nebbia di piombo che inghiottisce ogni barlume di luce. Ecco, questo potrebbe essere il mondo evocato da 'The Sunset of Being', debutto discografico dei Tetramorphe Impure, via Aesthetic Death, dopo una gavetta durata quasi vent'anni nel sottobosco italico. Quello che vi presento, è il progetto solista di Damien, uno che ha suonato nei Mortuary Drape ai tempi di 'Buried in Time', e che ha pensato bene di tuffarsi nel funeral doom, dopo aver esplorato il black con i Comando Praetorio. E cosi, affondando le radici negli abissi di band quali Thergothon e Skepticism, il buon Damien si è lanciato con questo monolite sonoro in una scena doom sempre più affollata di epigoni, cercando di distinguersi dalla massa, nel trasformare la lentezza in un'arma affilata, un suono che non aggredisce ma erode. Forte di una produzione curata e incisiva, il lavoro si conferma come un'opera di oppressione sonora capace di sfoggiare un suono plumbeo, denso come fango che inghiotte ogni passo, dove il basso rimbomba come un tuono sotterraneo e le chitarre si trascinano in riff corrosivi che sembrano scolpiti nella roccia erosa dal tempo. Non c'è spazio per troppi fronzoli qui, gli arrangiamenti privilegiano una stratificazione essenziale, con il drumming che procede a ritmi funerei e accelerazioni sporadiche che evocano un cuore in affanno, e il basso che funge da spina dorsale, ancorando il tutto in un abisso di gravità. Quattro pezzi per quasi 40 minuti di musica in cui le chitarre, avvolte in un pesante velo di distorsione, si muovono in territori death, mentre sporadici inserti di tastiere aggiungono un velo di nebbia eterea, senza mai alleggerire il fardello che questo disco si porta. Nell'apertura affidata a "Forsaken Light", emerge subito un senso di abbandono, con immagini di discesa verso l'oblio che riecheggiano le angosce esistenziali di un mondo che sta per cadere a pezzi, e in cui Damien infonde il proprio tocco personale, nel proporre un death doom intriso di una malinconia goticheggiante, alternando peraltro growling vocals a un pulito intonato e spettrale. "Night Chants" sembra rallentare ulteriormente, sebbene non manchi una sfuriata death dopo un paio di giri d'orologio, ma è da qui che si aprono passaggi più crepuscolari, quasi esoterici e decisamente più originali per l'economia dell'album. "Spirit of Gravity" mostra il suo cuore oscuro, chiamando in causa, nelle sue linee di chitarra, un che dei primi Paradise Lost, in un pezzo che si palesa con un pesante rifferama doom e un'alternanza vocale ipnotica e sinistra. Infine, la title track chiude il cerchio con una violenta discesa negli abissi, dove i growl si dissolvono in clean malinconici, accompagnati da timide tastiere che evocano un tramonto eterno – un finale che incarna la dissoluzione, rendendolo il culmine significativo di un album che non concede redenzione. (Francesco Scarci)

mercoledì 20 agosto 2025

Inhuman Condition - Mind Trap

#FOR FANS OF: Death/Thrash
This is the third full-length disc I’ve purchased from the band. I picked up 'Rat God' (2021) and 'Fearsick' (2022), their previous two releases, and they were absolute gems! This new release I feel gets a solid “75” as it is consistent throughout musically, but the recording quality is not the greatest. You kind of have to crank the stereo to get it audible; nevertheless, the riffs/vocals/drums are all solid. Some songs have their own unique catch to them. This band doesn’t play with super fast tempos, their music lies within the death/thrash metal mix. I’ve been aware that since their first was released in 2021. Musically, they sort combine the heaviness of bands say like Obituary (hence, Terry’s main band) and the thrash-like essence of say Megadeth, reminiscent of their 'Countdown to Extinction' (1992) release, be it the riffs and tempos ranging from slower to moderate and again not going super fast.

The vocals are an acquired taste and their sound overall tends to be a little “flat” on the recording, just the riffs are quite good in general. I’d say that the music reflects more of a death metal band and not so much a thrash metal one. In any case, I’m forever a fan! They’ve got this sort of “groove” to their music, not necessarily groove metal, but a beat or vibe that’s easy to get into. Their music is HEAVY, but it’s not necessarily “dark” by any means. The lyrics might be, but not so much any of the songs.

Nine songs here total, clocking in at about 31 minutes in length. They all collectively good, but if I would choose at least two to check out first, maybe: "The Betterment Plan" or "Chaos Engine." Check out either of those songs; especially if you have no idea what exactly to look for with this band. No surprise that they’re solely Florida based, so many death metal bands have come out there date back to the later 80s! And I was not aware of this, but their guitar player Taylor Nordberg is also in Deicide, among others. It seems that all the members are in other bands, however.

Enjoy this, especially if these examples of whom their styles reflect yours and are on your radar! (Death8699)

(Listenable Insanity Records - 2025)
Score: 74

https://inhumancondition.bandcamp.com/album/mind-trap

lunedì 18 agosto 2025

The Ravenous - Assembled in Blasphemy

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Horror
Rozzi, brutali, marci. Tutti questi aggettivi dovrebbero rendere l’idea di quello che sono i The Ravenous. Il cast che compone questo gruppo ha una sua rilevanza nel panorama musicale: Chris Reifert (Autopsy), Killjoy (R.I.P., ex Necrophagia) e Dan Lilker (ex Brutal Truth, S.O.D., Anthrax e tante altre band). Bene, questi folli (è il caso di dirlo) hanno composto un album fatto da riff di chitarra semplici e malati dove la registrazione è volutamente grezza, e con queste peculiarità sin qui esposte, trovo anche delle forti somiglianze con i Necrophagia (complice la voce del frontman). Nei brani dei The Ravenous si possono ascoltare parti tipicamente death senza disdegnare sfuriate black. La voce di Killjoy è furibonda e indemoniata, mai doma, sempre in continuo cambiamento per tutta la durata dell’album. I testi sono di chiara ispirazione splatter-gore, chiaramente un tutt’uno con la splendida copertina veramente realistica e vomitevole. Per chi ama le emozioni forti.

(Hammerheart Records - 2000)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/The_Ravenous

lunedì 4 agosto 2025

No More Fear - Vision of Irrationality

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Death metal ricercato, non claustrofobico: ecco cosa ci proponeva questa band italiana nel suo vecchio disco d'esordio. I No More Fear hanno dalla loro, sin dagli esordi, un'apprezzabile creatività, sfornando un prodotto nient'affatto convenzionale, a tratti, addirittura melodico (gran lavoro di chitarre in "Escaping the Indifference"). Ciò potrà forse sconcertare quelli fra voi incondizionatamente ligi alla brutalità più disumana, ma, credetemi, 'Vision of Irrationality' è un bell'album e non annoia. Belle le vocals gutturali, specie in "The Lady with the Sickle", un po' meno la voce straziata. I testi? Taluni introspettivi, altri imperniati su tematiche orrorifiche, senza grossolanità gore. C'è anche un bell'omaggio a Lovecraft (nella conclusiva "Dagon"). In conclusione, un album interessante e davvero originale.

(VideoRadio - 2001)
Voto: 70

http://www.nomorefear.it/

venerdì 1 agosto 2025

Clouds - Desprins

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Per chi ancora non lo sapesse, i Clouds intitolano tutti i loro full-length con una parola che inizia con la lettera D e che ha un significato di distacco o partenza. Ecco a voi quindi il sesto capitolo della band rumena, capitanata da Daniel Neagoe, e intitolato 'Desprins', un'opera che continua a inserirsi in quel contesto funeral doom, con elementi atmosferici ma soprattutto emotivi, per un viaggio diretto nel profondo della nostra anima. E 'Desprins' non tradirà certo i fan della band, proponendo sin dall'iniziale "Disguise", quei ritmi lenti e pesanti, coadiuvati da cavernose voci growl che evocano un senso di disperazione e introspezione, e da una malinconica melodia di fondo affidata al flauto di Andrei Oltean. Potrei anche chiuderla qui, dal momento che non ci sono sostanziali novità rispetto ai vecchi album, che il sottoscritto peraltro colleziona gelosamente in formato vinile. E infatti, man mano che ci si spinge avanti nell'ascolto, non possiamo che trovare tutte quelle peculiarità che Daniel e soci, ci confezionano ormai da oltre un decennio. Preparatevi pertanto a un death doom in cui trovare un'alternanza tra ritmiche robuste e melodie più tenui ("Life Becomes Lifeless"), altri più atmosferici con un Daniel in formato vocale sia growl che pulito e più decadente ("Chain Me", "The Fall of Hearts" e "Will it Never End"). A parte questo, grossi stravolgimenti nello stile della band non sono contemplati. Se siete fan dei Clouds pertanto  andate pure sul sicuro; se siete invece nuovi, inizierei l'esplorazione della band dai lavori più datati, 'Doliu' e 'Departe', giusto per fare due nomi. Ah, vedete, altri titoli con la lettera D. Deprimenti. (Francesco Scarci)

venerdì 27 giugno 2025

Goatroach - Satanic Decay

#PER CHI AMA: Death/Sludge
'Satanic Decay' è stato rilasciato lo scorso 30 novembre dalla Sleeping Church Records nei formati digitale e vinile. A inizio giugno l'etichetta francese ha finalmente pubblicato una versione digipack per chi, come il sottoscritto, ama ancora i cd. La seconda release dei finlandesi Goatroach si presenta come una solida proposta di death/black metal con deviazioni sludge. Come si può immaginare, ci troviamo di fronte a un sound brutale che, in alcuni frangenti, tende a rallentare, scalando repentinamente le marce per farci sprofondare in apocalittici abissi votati all'occultismo che, il quintetto di Kuopio, sembra particolarmente apprezzare. Tutto questo emerge sin dalla seconda traccia, "Of Paperhats & Copied Sigils" (la prima è un'intro strumentale), che si muove in bilico tra black e death metal con alcune aperture verso oscuri meandri sludgy. Il tutto è sostenuto da una voce cavernosa che potrebbe richiamare band come gli Autopsy. La terza, "Cunting in Hell", aumenta i giri del motore con sonorità più affini allo Swedish sound dei primi Dismember e Grave: la batteria miete vittime con i suoi blast beats mentre le chitarre, accordate molto basse, dominano con caustici riffoni. Una linea ritmica completata poi da un basso viscerale che in "Unified in Ash", si fa ancora più catacombale e doomish, implacabile nel suo incedere claustrofobico. "For Legacy" non è da meno, con le sue ritmiche costantemente fangose (la stupenda linea di basso richiama chiaramente la scuola Black Sabbath dei tempi di 'Heaven & Hell'), evocando i primordiali vagiti dei Cathedral. "Horror Unending", quasi a voler parafrasare il proprio titolo, apre con fare orrorifico tra angoscianti vocalizzi (questa volta non in growl) e un'importante parentesi atmosferica che sembra prendere le distanze da un inizio non particolarmente brillante della band. Finalmente il sound, nei suoi anfratti più oscuri, si fa più intrigante anche quando le accelerazioni prendono il sopravvento, concludendosi con una coda quasi dronica. La title track continua a privilegiare quest'estetica angosciante che evoca, nel suo incedere funereo, una sorta di terrore cosmico. Questo è il lato che prediligo della band, come dimostra anche la successiva "Intoxicated by Necromancy" (il pezzo più lungo dell'album), dove le atmosfere decadenti e macabre riescono a generare emozioni vivide di natura "lovecraftiana", grazie soprattutto all'ottimo lavoro dei synth che ribaltano quell'esito negativo che ero pronto ad attribuire inizialmente al disco. Un disco che si chiude con "Chant of the Armageddon Hybrid", un outro che non avrebbe certo sfigurato in uno dei primi album dei Cradle of Filth, con in sottofondo addirittura il verso dello sfortunato caprone da sacrificare, su un breve tappeto orchestrale. Insomma, 'Satanic Decay', pur non aggiungendo chissà che cosa di rivoluzionario, si configura come il degno seguito di quel 'Plagueborn' che avevo recensito tempo addietro. (Francesco Scarci)

(Sleeping Church Records - 2024/2025)
Voto: 70

https://goatroach.bandcamp.com/album/satanic-decay