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giovedì 29 ottobre 2020

Integrity - Sliver in the Hands of Time

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Hardcore
Gli Integrity sono una delle band più longeve della scena hardcore/metalcore americana. Il loro primo vagito risale al 1988. Da allora si sono succeduti una serie di Lp e 7” che hanno dato largo credito alla band di Cleveland. Sinceramente, ora che mi trovo a dover recensire questa compilation, mi trovo un po’ in imbarazzo a dover massacrare una band dal passato così illustre, tuttavia 'Sliver in the Hands of Time' è un lavoro che va preso per quello che è, ossia una retrospettiva contenente materiale di difficile reperibilità, ventuno pezzi di un death/thrashcore grezzissimo. Partiamo innanzitutto da una produzione indecente, che talvolta rasenta livelli di imbarazzo enormi: basti infatti ascoltare la seconda parte del cd per capire di cosa stia parlando, con i livelli del suono che oscillano pericolosamente anche all’interno di uno stesso brano. Sembra di trovarsi di fronte a versioni demo, session o quant'altro, talvolta da non prendere proprio in considerazione (tipo le cover dei Septic Death). La voce del frontman è catarrosa, e quando cerca di alzarsi di tono è come se non ce la facesse ad arrivare con il conseguente effetto sinceramente penoso; i cori poi sono primordiali, rozzi e banali. L’unica song che riesco a salvare è “March of the Damned”, perlomeno dotata dall’inizio alla fine di un filo logico e di una componente melodica che rimane anche impressa almeno per cinque minuti nella mente. Per il resto questa compilation è una disperazione, che potrà magari piacere ai fan più oltranzisti della band o a chi ha voglia di fare un salto nel passato per quelle forti contaminazioni punk presenti lungo le 21 schegge impazzite di questo 'Sliver in the Hands of Time', o solo tanto per capire l’evoluzione stilistica, attraverso sedici anni di storia degli Integrity. E dire che si diceva che questo potesse essere l'epitaffio della band statunitense... (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/INTEGRITY.HT

mercoledì 28 ottobre 2020

Katharos XIII - Palindrome

#PER CHI AMA: Black/Doom/Avantgarde/Jazz
Uscito oramai un anno fa ma arrivato solo oggi sulla mia scrivania, mi appresto a parlarvi di 'Palindrome', atto terzo dei rumeni Katharos XIII. La band originaria di Timișoara, aveva già fatto parlare positivamente di sè nel 2017 quando uscì 'Negativity'. Ora le cose sembrano migliorate ulteriormente con un 5-track ricco di contenuti. Se la base da cui partiva il quintetto era quella del depressive black, qui assistiamo ad una interessante evoluzione. Lo si capisce già in apertura, in cui facciamo conoscenza della candida voce di Manuela Marchis ma soprattutto del sax assatanato di Alex Iovan, altra splendida sorpresa di questo lavoro. "Vidma" è un pezzo che si muove tra black, doom, jazz e atmosfere orrorifiche che mi hanno rievocato 'The Call of the Wood' dei nostrani Opera IX, ma nelle parti più malinconiche, mi hanno evocato anche un che dei The Third and the Mortal di 'Tears Laid in Earth'. Potrete pertanto immaginare il mio sommo piacere nel godere di simili sonorità, che durante le fughe del sax, chiamano inequivocabilmente in causa anche i White Ward. Insomma un trittico di nomi che francamente mi fanno sobbalzare dalla sedia e pensare che stavolta i Katharos XIII l'abbiano combinata davvero grossa. E non posso che rimanere piacevolmente colpito anche dai successivi pezzi: "To a Secret Voyage" è un drammatico viaggio ambient imperniato su atmosfere notturne, quasi da piano bar, dove sedersi al bancone e affogare ogni singolo pensiero nell'oblio di un qualsivoglia distillato. La song prova a dare qualche accelerazione black (non proprio riuscitissima a dire il vero), ritornando poi a quelle sonorità lounge, in cui i nostri sembrano trovarsi maggiormente a proprio agio. E si va a nozze a tal proposito anche con la lunghissima "Caloian Voices", un altro esempio di avanguardistico sound dark jazz doom prog con la voce di Manuela davvero ispirata e quel sax che è puro godimento ascoltare. Non mancano i cambi di tempo, che spezzano le atmosfere rilassate sin qui create e ne generano altre decisamente più angoscianti fatte di suoni spettrali e voci malvagie in sottofondo. Il finale poi è da applausi con lo sperimentalismo dei nostri che prende il sopravvento tra parti disarmoniche e fughe jazz. "No Sun Swims Thundered" ci conduce in misantropici oscuri meandri dai quali non far ritorno per abbandonarsi ai vocalizzi della bravissima e sofferente Manuela, sempre più convincente. La song vive ancora di spettrali break atmosferici e quegli ormai consueti frangenti jazz che li avvicinano ai norvegesi Shining. Uno spettacolo, anche alla luce di un finale affidato allle delicate e soffuse melodie di "Xavernah Glory" che sanciscono le enormi potenzialità di questa compagine. Insomma, per me 'Palindrome' è una sorta di buy or die. Intesi? (Francesco Scarci)

lunedì 26 ottobre 2020

Nagaarum - Covid Diaries

#PER CHI AMA: Experimental Black, Fleurety
Il coronavirus non è stato solo fonte di dolore per la gente, ma anche di ispirazione. L'avevamo apprezzato qualche settimana fa con la triplice release dei Queen Elephantine, lo rivediamo oggi con questa uscita chiamata inequivocabilmente 'Covid Diaries', che arriva sei anni dopo quel 'Rabies Lyssa' che profetizzava l'arrivo di una pandemia nel 2019. A proporlo è un amico del Pozzo dei Dannati, ossia il musicista ungherese Nagaarum, uno che da queste parti ha bazzicato parecchio. Il nuovo disco, uscito per la Aesthetic Death, altra etichetta amica, consta di sei tracce. Si parte con l'inquietante epilogo di "Prelude for 2020", quasi a prepararci psicologicamente a questo funesto anno di morte. L'aria è pesantissima e rappresenta fedelmente, attraverso le sue nebulose atmosfere, questi folli mesi che stiamo vivendo. "The First Ingredients" sembra addirittura peggio, con un ambient noise davvero paranoico, quasi a descrivere quella sensazione di vuoto sperimentata durante il famigerato lockdown. Ecco, ho rivissuto quei terribili momenti di isolamento sociale patiti in primavera, quando la tempesta del malefico Covid si abbatteva sull'Europa. Fortunatamente, "Superstitious Remedy" somiglia maggiormente alla forma di una canzone, certo, di non facile digestione, ma pur sempre dotato di una musicalità ostica che trova comunque spiragli di melodia grazie anche all'apporto vocale di una gentil donzella, Betty V. "Competitors" è un dialogo surreale (ma interessante da seguire attraverso le liriche contenute nel cd) tra robotici vocalizzi di donna (e la voce narrante di un uomo) che in realtà rappresentano le voci dei personaggi Vera, Yersinia e Rosie, ossia la personificazione delle manifestazioni dell'epidemia. Più vicino alle passate produzioni di Nagaarum è invece un pezzo come "I Am Special", sospinto da un mix tra avantgarde, doom e depressive, in quanto di più orecchiabile si possa pretendere di ascoltare su questa release. L'ultimo pezzo è affidato alla lunghissima "Liquid Tomorrow", dove la voce narrante di Roland Szabó (amico del frontman magiaro) sembra chiudere in bellezza con un'ultima dose di positività e quelle nubi ancor più cupe che incombono sulla società. Musicalmente, la proposta del factotum ungherese ricalca qualcosa che apprezzai enormemente venticinque anni orsono, ossia il debut 'Min Tid Skal Komme' dei Fleurety, attraverso un black psichedelico davvero ispirato, ove ancora una volta, la voce di Betty V. dà il suo enorme contributo. Alla fine, 'Covid Diaries' è un album introverso, cupo, non certo un lavoro per tutti, ma lo consiglio di sicuro a chi ama la sperimentazione votata a esplorare i meandri più oscuri della psiche umana. (Francesco Scarci)

The Pit Tips

Francesco Scarci

Enslaved - Utgard
Great Cold Emptiness - Death Gifted a Bouquet
Déhà - A Fleur de Peau - III - A Fire that does not burn

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MetalJ

Iron Maiden - Killers
Pantera - The Great Southern Trendkill
Slipknot - Slipknot

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Death8699

Benediction - Scriptures
Danzig II - Lucifuge
Suture - Skeletal Vortex

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Shadowsofthesun

Serpent Column - Kathodos
Lapalux - Ruinism
Rise Above Dead - Ulro

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Bob Stoner

Marillion - The Music That Can't be Made
Enslaved - Utgard

Mayhem - Grand Declaration of War

domenica 25 ottobre 2020

Watertank - Silent Running

#PER CHI AMA: Stoner/Shoegaze/Grunge, Torche, Quicksand
Se il nome della band a molti dirà poco, l’artwork (una specie di larva lovecraftiana che galleggia in mezzo all’etere) rivela ancora meno del contenuto di questo 'Silent Running'. Mi sembra chiaro che i Watertank da Nantes si trovino maggiormente a proprio agio imbracciando le chitarre e mostrando tutto il loro potenziale dal vivo, piuttosto che nell’attività di promozione. Sì, perché chi avrà il coraggio di andare oltre la copertina poco accattivante e addentrarsi nell’ascolto di questi dieci pezzi tiratissimi si renderà ben presto conto che la proposta di questo gruppo, ennesima freccia scoccata dall’arco dell’etichetta transalpina Atypeek Music, è di assoluto valore.

I primi brani "Envision" e "Suffogaze" ci presentano riffoni pesanti e ritmiche frastagliate, solide fondamenta sulle quali i Watertank costruiscono impalcature sonore fortemente melodiche, nelle quali trovano spazio elementi noise-rock, shoegaze e persino incursioni nel pop più intelligente. In queste trame, dove versi onirici e rilassati si alternano a ritornelli abrasivi, non è difficile cogliere l’influenza - talvolta fin troppo marcata - dei ben più noti Torche, oltre che ad un’infarinatura di Helmet, Quicksand e Foo Fighters. È soprattutto il cantato di Thomas Boutet a fare da collante nelle transizioni tra cavalcate impetuose e momenti più rilassati, la cui convincente interpretazione, mai sopra le righe, ma puntuale nel seguire ogni evoluzione dinamica della componente strumentale, offre all’ascoltatore un punto di riferimento costante.

Le canzoni godono di un approccio estremamente diretto e di una durata contenuta che limita divagazioni superlfue a quello che sembra essere l’obiettivo della band, ossia confezionare un lavoro di facile fruizione e allo stesso tempo mai banale. È quindi difficile non venire contagiati dai rimbalzi ritmici di "Burning World" e dai ritornelli energici della title-track, benché inevitabilmente il disco paghi dazio a livello di personalità. È anche vero che convincere il pubblico ad ascoltare un disco di sano rock underground stia diventando sempre più difficile e, in quest’ottica, la formula dei Watertank potrebbe rivelarsi vincente. (Shadowsofthesun)


CNJR - I Can See the Church Burning Through the Binoculars

#PER CHI AMA: Electro/Dark Wave
CNJR si legge Conjure, una congiura come di quelle che si sente parlare in giro oggigiorno, atte a rovesciare l’ordinamento di uno stato, e sui è meglio sorvolare, dando voce alla musica. E quello di oggi è un progetto solista votato a pura sperimentazione cibernetico-futuristica che porta nelle vostre case otto song semi-strumentali che si muovono tra elettronica, darkwave, sci-fi e industrial, arrivando quasi a sfiorare il trip-hop. Lo dimostrano subito i synth da colonna sonora, dell'opener "The Destroyers" che ci conducono flemmaticamente nel contesto di un film noir, tra oscure sonorità downtempo. Niente male, peccato come al solito per l'assenza di una voce a guidarci meglio nell'ascolto. La successiva "Burning", muovendosi sugli stessi binari, sfoggia un cantato robotico in una song dalle atmosfere angoscianti, un brano che poteva essere la perfetta colonna sonora di un film distopico quale 'Divergent'. Prima citavo il trip-hop, eccolo servito nell'incipit di "Putrid Things", con quella voce femminile che fa da contraltare ad un vocalist rabbioso maschile, che insieme supportano le immagini di un video alienante in cui compaiono anche delle pesanti chitarre ritmiche. "Paint My Face With Ashes" potrebbe essere un intermezzo IDM che ci conduce alla pulsante "Drunk On The Venom", una song che miscela alla grande sonorità in stile Portishead, Archive e Massive Attack (ai tempi di 'Mezzanine') contaminata da un pizzico di rock alternative che si traduce in un'ispirata linea chitarristica su cui poggiano le vocals lamentose del frontman. La mente del progetto spiega che le sonorità catartiche di questo album nascono dalle esperienze dell'infanzia e comunque da una necessità di elaborare vecchie relazioni, riflettendosi in queste emozioni di paura e dolore. Paura come quella che si prova nella nebulosa, melodica e sofisticata "MSS" che, pur ricordando ancora qualcosa degli Archive, lascia spazio a grande immaginazione mentale mentre la si ascolta in assoluto silenzio, con i pensieri che s'intrecciano pericolosi nella mente. Per attitudine questo disco potrebbe rappresentare una versione decisamente più soft dei francesi C R O W N, visto un più pesante utilizzo dell'electro music, come si sente nel beat sfrenato di "Tunnels", una song che si lancia comunque in vorticose ritmiche techno. Peccato ancora una volta per l'assenza del cantato come nella conclusiva "Drones", un pezzo che evoca inequivocabilmente nel suo malinconico incedere, i fantasmi di "Angel" dei Massive Attack, provare per credere. (Francesco Scarci)

sabato 24 ottobre 2020

Forbidden - Twisted Into Form

#FOR FANS OF: Thrash Metal, Testament
This band was a monument during their earlier years, and later a tragedy losing guitarist Tim Calvert. The acoustic introduction gets you ready to hear some amazing thrash metal. These riffs are fresh and original. I've had to say that a lot of modern thrashers took influence to early Forbidden. Russ is amazing on vocals too. And the leads/rhythms phenomenal. There is nothing lacking from the album which you would think an early album would be lacking in production quality but not on here! This smokes! The guitars and vocals hit home with me the whole way through the album!

If you take a liking to thrash metal and haven't heard this band, check this one out! It's got so much energy and originality to it. This is one album I'd take with me to a desert island. That is, if one of my choices out of 10 albums, 'Twisted Into Form' would be it! The leads are top notch as well. The vocals are easy to figure out what Russ is saying. He actually sings but with aggression. But that's the whole concept to this album. They wanted it to be underground at the time where metal was getting heavier and heavier. Especially with the growth of Bay Area bands like Metallica, Testament, Exodus, Death Angel, et al are from.

Every song on here has it's own unique sound to it. They really do well about the riffs and leads. There are a lot of lead trade offs as well! And the vocals mix well with the guitars. And with Bostaph behind the set he did them justice in the metal community. This is the only Forbidden album I own so I'm not certain as to what direction the band went over the years. But I want just this one because it's so amazing. It's the songwriting approach that they take is sheer annihilation! It's real good musicianship. I'd go so far to say it's one of the better albums released in 1990. If not one of the best.

If you don't know this band, know them. Or at least get this one. Then you'll see how your hair is blown back! Everything on here just rips. And all members did well on this release. They hit home on here and if you're looking for a great thrash record but not sure where to look, get this. I'm sure that you can digitally download this. I bought the CD to show support for the band even though their status is on hold. It really is amazing from every aspect. And I wouldn't think a thrash album during this era would be so well produced. But they did it and made their fans happy this turned out to be a true gem! (Death8699)


(Combat Records - 1990)
Score: 90

https://www.facebook.com/forbiddenofficial

Falconer - From A Dying Ember

#FOR FANS OF: Power/Folk
I didn't think too much of this album until I heard it enough to make a formal opinion about it. It's quality! So sad to hear of their departure from the music community upon release of their album. They really had a great career that spanned about 30 years. I worked with Stefan on the guitar tab "Upon The Grave of Guilt" which made it official. The fact that he took the time to correct it was very kind on his part. And it goes to show you what a pleasant band to write about. This one is another one that goes into the about an above average release. As I say, it took a while to listen to until I felt the vibe on this.

The vocals are all clean by Mathias which isn't any different than any Falconer release. The riffs are invigorating and mindful. I like the melodies and leads. All 11 songs are killer. I liked every one of them and I thought that they were well worked out by the band. The vocals go well with the music. The guitars are way melodic. And there were some clean points mixed with piano (brief). I don't think there's a Falconer release that I dislike. They all are monuments. And Stefan kills it every time on lead. His performance is nothing but incredible. It's a shame that they wrapped it up for good with this release.

The production quality is sublime. It does the music justice. And the mixing, too. I'd say the highlights of the album are the tracks that show the utmost diversity in musicianship. The guitars are pure Stefan-related. He really does a powerful job with the writing here. Nothing but perfection! I think that these guys are and always will be at the top of their game. This one I like as much as 'Black Moon Rising' and 'Among Beggars and Thieves'. The music (I think) is the most noteworthy on this one rather than previous releases. It just simply shreds all of it. I think that they really left the scene on a positive note.

Check this out on YouTube because it might not be on Spotify. There's nothing but perfection on here. The whole album just simply rips. When you hear track 1 you'll probably say "oh yeah, I hear what he's talking about". I think that the legacy that Falconer left is for the next generation of folk metal to become of another. There will never be another Falconer, they are in the archives now with the rest of retired bands that left the scene on a good note and with another monument. It's sad that this is a reality, but they've chosen other pursuits in life to challenge them, thank you Falconer, thank you. (Death8699)


(Metal Blade - 2020)
Score: 76

https://www.facebook.com/falconermetal/

giovedì 22 ottobre 2020

Mad Dogs - We Are Ready To Testify

#PER CHI AMA: Hard Rock
Non è facile evitare di cadere in certi pregiudizi o clichè da trito e ri-trito, se nell’Anno Domini 2020 ci troviamo per le mani un disco hard rock. Ma bisogna pur ammettere che si avverte, eccome, quando le corde sono fatte vibrare con il cuore e con passione. O quando a prevalere über-alles è la trascinante carica di certe schitarrate, che ti obbligano a scuotere la testa, senza un preciso motivo. Lo fai e basta. Questa nuova uscita per la Go Down Records, nonché terzo album in studio per i Mad Dogs, racchiude appieno il rock’n’roll sanguigno e genuino della band, senza mezze misure. Di derivazione spiccatamente seventies, ma con un’energia affilata e straripante. L’opener del disco, “Leave Your Mark On What You Do”, si presenta già con un richiamo Zeppeliniano negli stacchi di batteria iniziali. Semplice riscaldamento muscolare prima delle folli cavalcate che ci attendono, scandite da una raffica di groove: reminiscenze australiane in questa direzione, ma senza scomodare Bon Scott e compagni una volta tanto. Citiamo piuttosto le influenze dei Radio Birdman per affinità (con i cui componenti tra l’altro, i Mad Dogs hanno condiviso il palco). Siamo a bordo ormai, su questa locomotiva che corre all’impazzata: i rockers marchigiani non cedono di un beat e si prosegue a tutta birra. Le sei corde sono letteralmente “on fire” e senza tregua danno vita a riff diretti e travolgenti ed assoli irrefrenabili. Bad Religion e MC5, saltellando freneticamente tra garage rock e street punk, poi una rapida apparizione delle tastiere nella title-track, ma sempre e comunque guidati dallo stesso filo conduttore, unico vero e proprio credo: il Rock. Anticipato dall’uscita di tre singoli ("Not Waiting", "Hard Fight" e "Postcard From Nowhere"), 'We Are Ready To Testify' è la consacrazione del rock’n’roll secondo la visione della band italica e allo stesso tempo ne incarna appieno il messaggio. Si respira a pieni polmoni la devozione che i nostri hanno da sempre dedicato alla loro vera fede. E non si può che apprezzare la semplice caparbietà con cui scelgono di imboccare questa strada: testa bassa, pochi giri di parole e qui si suona sul serio. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/maddogsrnr/

Testament - Titans of Creation

#PER CHI AMA: Thrash Metal
A quattro anni di distanza dal loro ultimo lavoro, 'Brotherhood of the Snake', i mostri sacri provenienti dalla Bay Area colpiscono nuovamente con questo 'Titans of Creation', con il quale dimostrano che, nonostante la bellezza di 11 album già alle spalle, i nostri hanno ancora diverse cartucce da sparare. Durante la loro carriera i Testament hanno dimostrato che, oltre all’originario thrash metal, potessero dire la loro anche in ambito power, groove e death metal, miscelando tutti questi generi fra loro. Stavolta sembra che i nostri soffrissero di nostalgia, in quanto il genere prevalente qui è proprio il thrash, ovviamente aggiornato ai giorni d’oggi. Il disco parte a bomba con "Children of the Next Level", un pezzo che nonostante i suoi sei minuti di durata è tutt’altro che noioso ma anzi, ti costringe ad alzarti dalla sedia quando parte quell’assolo spaventoso di Alex Skolnick. L’ascoltatore non viene deluso nemmeno dalle successive "WWIII", "Dream Deceiver" (con un sound che ricorda molto "Dark Roots of Earth") e "Night of the Witch" (con la doppia cassa di Gene Hoglan che nel ritornello fa letteralmente impazzire). Si giunge poi a "City of Angels", traccia che nonostante risulti leggermente estranea al resto del disco, potrebbe per il sottoscritto rappresentare la migliore hit di 'Titans of Creation', proprio per quel sound leggermente influenzato dal grunge e che ricorda anche il vecchio 'The Gathering'. Tutta la canzone suona interessante: dall’intro di basso di Steve di Giorgio al possente riff di Peterson, passando per la meravigliosa voce di Chuck Billy e all’emozionante assolo di Alex, per poi finire all’improvviso con un ultimo “Nocturnal hunt for the taste of blood”. A questo punto dopo cinque magnifici pezzi, ognuno dei quali capace di trasmettere emozioni differenti, non ci si può non aspettare un ulteriore aumento in termini di qualità per questo titanico lavoro. Purtroppo, sembra che i Testament esauriscano la maggior parte, se non tutte, le risorse a disposizione, in quanto la successiva "Ishtar’s Gate" chiude una prima parte a dir poco incredibile, la migliore dell’album. In realtà il pezzo in sé ci starebbe anche, tolto qualche break ripetitivo, finisce per crollare definitivamente per colpa di un ritornello poco ispirato e che sa di già sentito. Per fortuna ci salva la successiva "Symptoms", ideata da Skolnick, dove i primi 34 secondi sono dominati dal basso di Steve con le chitarre che fanno da seguito. Dopodiché arriva un riff bello incalzante che fa da apripista alla possente voce di Billy e poi come al solito un altro fantastico assolo di Skolnick. Ma si tratta solo di una parentesi, in quanto "False Prophet" si rivela pezzo assai noioso, durante il quale personalmente mi sono lasciato dare ad un paio di sbadigli. Stessa cosa la si potrebbe dire anche di "The Healers", un brano che perlomeno contiene un ritornello abbastanza carino. "Code of Hammurabi" e "Curse of Osiris" tornano a catturare l’attenzione dell’ascoltatore, in particolare la seconda che contiene uno spettacolare chorus dai forti rimandi death metal. Si chiude con "Catacombs", un outro quasi orchestrale che conclude il disco degnamente. Il sound dei Testament si conferma anche in 'Titans of Creation' assai granitico con quei forti richiami al passato. Per questo lo colloco al secondo posto nella mia classifica degli ultimi album dei gods statunitensi, da 'The Formation' in poi, e mi sento di consigliarlo a chi sa apprezzare i Testament moderni. Non ci possiamo certo aspettare un altro 'The New Order', dopotutto stiamo parlando del dodicesimo album (non del quinto o sesto) di una band che ormai ha ben 37 anni di storia alle spalle. Non mi rimane altro che augurarvi un buon ascolto! (MetalJ)

(Nuclear Blast - 2020)
Voto: 75

https://www.facebook.com/testamentlegions/

domenica 18 ottobre 2020

Vitam Et Mortem - El Río De La Muerte

#PER CHI AMA: Black/Death, Dissection, Morbid Angel
Il "fiume della morte", questo il titolo ovviamente tradotto in italiano del duo colombiano dei Vitam et Mortem che si pone come parallelo tra il fiume colombiano Magdalena, teatro di violenza e l'Acheronte, il fiume degli Inferi nella mitologia greca. La band, formatasi nel 2002, ha all'attivo sei album all'insegna di un death black melodico che farà la gioia di tutti coloro che seguono Dissection, Marduk e Morbid Angel, che mi sembrano le prime influenze che si palesano in "Los Cuerpos en el Río" che segue a stretto giro l'intro del disco. Il sound dei due di El Carmen de Viboral è un gorgo musicale in cui fluiscono le melodie e graffianti linee di chitarra dei nostri che mi evocano immediatamente gli svedesi Dissection, con quelle grandi aperture melodiche che si affiancano ad arrembanti cavalcate death. "La Danza de Los Gallinazos", meravigliosi a proposito i titoli dei pezzi, evoca invece a livello ritmico i Morbid Angel con quei riffoni belli pesanti e quelle voci abbastanza catacombali, sebbene poi i chorus, sembrino smorzare la violenza dei due sudamericani. Addirittura in "Aqueronte", le growling vocals cedono il passo ad un cantato più teatrale (ricordate gli Angizia?) con il sound che cambia, partendo da un ritmo marziale esplode in vertiginose schegge metalliche impazzite, tra saliscendi frenetici e oscure melodie, in un sound che potrebbe addirittura ricordare i Melechesh. Niente male affatto. Di contro la successiva "El Animero" non ha nulla di particolarmente interessante da offrire, è il classico brano che rimane nel mazzo e fa da riempimento. Molto meglio allora il brano che ne segue, "Barquero de los Muertos", più che altro per quella sua chitarra di sottofondo che evoca ancora una volta lo spettro dei Dissection in un contesto estremo dai tratti vagamente orchestrali. Una chitarra acustica spagnoleggiante apre invece "Plegaria a los Muertos", un pezzo death metal bello tirato e oscuro, sebbene poi riesca a regalare delle melodiche linee di chitarra, sfoggiando peraltro un'ottima tecnica individuale, ma non è certo la prima volta che lo si apprezza nel corso del disco. "Nomen Nescio" sarebbe una sorta di outro del cd, in realtà funge da bridge per i rimanenti due brani, "Yo Soy el Siguiente Muerto" e "Ritos de Muerte". Il primo è un vecchio pezzo della band risalente all'uscita del 2008 del disco 'Commanding the Obscure Imperius', qui riletto in chiave più moderna, strizzando sempre l'occhiolino ai Morbid Angel. La seconda è una cover dei Masacre (di cui avrei fatto sinceramente a meno), estratta dall'album 'Sacro' del 1996 della band originaria di Medellin che va comunque a completare un disco intrigante per una band da tenere assolutamente sotto stretta osservazione. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Exhumed Records - 2020)
Voto: 72 
 

As I Lay Dying - Shadows are Security

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Swedish Death
I californiani As I Lay Dying devono la loro fortuna a Dark Tranquillity e In Flames, in quanto proprio alle due band svedesi fa riferimento principalmente il sound degli statunitensi. Questo 'Shadows are Security' ormai datato 2005, non aggiunge più di tanto alle produzioni precedenti della band, sebbene il prodotto si riveli assai valido: le melodie tipiche della scuola svedese si fondono con il thrash-metal core della scuola americana e quello che ne viene fuori è, come sempre, un lavoro di notevole fattura. L'assalto del quintetto proveniente da San Diego è quanto mai potente e dinamico; la produzione è ottimamente curata dal sempre valido Andy Sneap (Machine Head, Nevermore e Testament), così com’è molto buono il songwriting. Una devastante sezione ritmica (ottima la batteria) ci accompagna dall’inizio alla fine dell’ascolto del cd, con rabbiose vocals che si alternano ad un cantato assai melodico e come non citare poi i pregevoli passaggi melodici che caratterizzano un po’ tutto il disco. Che dire di più, sicuramente gli As I Lay Dying da sempre centrano il segno, regalando lavori di emozionante e granitico metalcore, spruzzato dal flavour caratteristico dello swedish death metal. 'Shadows are Security' include anche un bonus DVD contenente la registrazione del concerto al Substage di Karlsruhe, in Germania, del 28 novembre 2004. Da notare, che questo album segna anche l’ingresso di tre nuovi elementi nella band, che sicuramente apporteranno linfa vitale al combo americano. Ottima prova. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 74

https://www.asilaydying.com/

Váthos - Underwater

#PER CHI AMA: Black/Death
Direttamente dalla capitale rumena, ecco arrivare i Váthos, giovane e promettente band in giro da solo tre anni, che con questo 'Underwater' raggiunge la prima tappa della carriera, ossia il debutto. Il genere proposto dai cinque di Bucharest è un black melodico che vede saltuarie accelerazioni nel post-black ma altrettante divagazioni sul versante death e post-rock. Quindi possiamo far conoscenza col quintetto di quest'oggi partendo dall'opener "Ruins of Corrosion", una song che lascia intravere le buone potenzialità della compagine rumena, ma ancora qualche lacuna sia in fase compositiva che sotto l'aspetto di personalità/originalità. La band parte subito bene con una buona linea melodica che però tende a perdersi laddove i nostri provano ad accelerare un pochino di più, mentre sembrano rendere al meglio in territori più ragionati, dove peraltro emergono le idee migliori. La prima traccia quindi scivola via in un riffing alla lunga stancante che solo nel finale vede qualche significativa variazione al tema. "The Suicide" la trovo decisamente più ispirata, con le chitarre delle tre (dico tre) asce a disegnare malinconiche melodie sulle quali si staglia la voce in screaming di Radu. L'intensità emotiva tuttavia non lascia scampo e presto s'incunea nell'anima generando un certo feedback depressive che mi colpisce davvero tanto, complice anche la voce del frontman che abbandona il suo stile urlato per dedicarsi ad un pulito più convincente. E le clean vocals tornano immediatamente anche in "Curse of Apathy", un altro buon pezzo che palesa le buone qualità del quintetto, ma non ancora cosi eccelse. Mi spiego meglio, se da un lato il tremolo picking, cosi come le parti arpeggiate di scuola post rock, generamo sempre quel feeling emotivo in grado di chiudere la bocca dello stomaco, dall'altro la potenza emozionale sembra perdersi nei momenti in cui i nostri provano a premere sull'acceleratore per mostrare il loro lato più rude, non è necessario. Ed infatti è un peccato, perchè in questo modo rendono l'ascolto di 'Underwater' molto più altalenante anche a livello di interesse. Lo stesso accade per dire con un brano come "Corrupted Mind", una sgaloppata death/thrash che non c'entra davvero granchè con quanto ascoltato sino ad ora e che francamente mi ha fatto un po' storcere la bocca. Un po' meglio con "Shape of…": classica introduzione riverberata, un po' di bordello per un paio di minuti almeno fino a quando la band ci regala ancora pregevoli attimi di atmosfera cosi come pure successivi riferimenti a post-punk e shoegaze che rendono interessante l'ascolto. Arpeggi ancora in apertura con "Hold My Breath" con tanto di ausilio di voce pulita che presto lascerà il posto alle harsh vocals del cantante, mentre le chitarre tornano implacabili a tracciare riff affilati come lame di rasoi, fondamentalmente senza aver nulla da dire. È però ancora una volta sulla componente melodica che torno a fermarmi e a sottolineare come la band dia il meglio di sè quando rallenta e offre frangenti più emotivamente interessanti. Nell'ennesima sgroppata finale invece, meglio lasciar perdere. Con "Sanctimonious Belief" ci avviamo verso il finale del cd, dove manca ancora all'appello "Flower of Death". Il primo è un discreto pezzo di black melodico dotato del classico break acustico centrale e di tremolante coda finale. La seconda traccia sembra prendere in prestito dal post rock le tipiche atmosfere oniriche, per poi proseguire con sonorità che paiono strizzare l'occhiolino agli Agalloch più primordiali. Interessante tentativo di imitazione degli originali che rimangono inevitabilmente in vetta all'Olimpo del genere, mentre i Váthos hanno ancora un bel po' di strada da percorrere per poter emergere e trovare la propria identità. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2020)
Voto: 68

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/vathos-underwater

venerdì 16 ottobre 2020

Slomosa - S/t

#PER CHI AMA: Stoner/Punk, Offspring
Quello dei norvegesi Slomosa è senza dubbio un buon disco di debutto, suonato bene, con giuste sonorità, tanto tipiche se non un po' scontate dello stoner rock. Un genere che annovera tra i più famosi e storici rappresentanti, i Queens of the Stone Age, creatori e divulgatori di un suono che ha fatto storia e che ha influenzato migliaia di band, rischiando di generare una vera e propria dinastia di cloni che però ha impedito allo stoner di evolversi in maniera libera come fu per il primo periodo negli anni '90/2000. Da perfetti estimatori della band di Joshua Homme, il quartetto di Bergen si è impegnato a ricreare conosciute atmosfere e scorribande rock che spingono molto sull'acceleratore, mostrando muscoli e sudore assieme ad una lieve propensione space rock, lodevole caratteristica che nei primi tre brani funziona assai bene, poi va un po' perdendosi. "Horses", "Kevin" e "There is Nothing New Under the Sun", accompagnati da un cantato che stranamente ricorda molto l'effetto epico del positive punk (tra Theatre of Hate e The Offspring), suonano splendidamente carichi di energia, creando quel coinvolgimento nell'ascoltatore, cosa che non si può dire della seguente "In My Mind's Desert", con l'inizio che anima un drammatico presagio, ovvero il ricordo di band mollicce come Lit o Sugar Ray degli anni '90, sfatato solo in parte da un suono ruvido e pesante. Fortunatamente a seguire, parte il giro in puro stile Kyuss di "Scavengers", giusto in tempo per rianimare le mie aspirazioni desertiche e ristabilire i canoni sonori per una band che quando esce dal seminato stoner non riesce ad essere convincente ed interessante fino in fondo. Quello che esce poi da questo disco, per i tre brani conclusivi, risulta essere un susseguirsi di richiami statici verso un rock mascherato di stoner, con suoni e riff, triti e ritriti, volti verso una assidua ricerca dell'orecchiabilità perfetta, della simbiosi musicale verso i maestri, come la conclusiva "One and Beyond" dove i chiaroscuri del brano riescono solo in parte, visti i soliti richiami al genere. A mio modesto avviso gli Slomosa avrebbero doti e capacità per aprirsi verso sonorità più grunge e underground della prima ora, oppure spostarsi verso un sound molto più europeo, liquido, acido e pesante alla 7Zuma7. Lavoro con otto brani altalenanti nel carattere, band con una personalità ancora acerba e un sound troppo derivativo. (Bob Stoner)

(Apollon Records AS - 2020)
Voto: 63

https://slomosa1.bandcamp.com/album/slomosa

giovedì 15 ottobre 2020

Crépuscule d'Hiver - Par​-​Delà Noireglaces et Brumes​-​Sinistres

#PER CHI AMA: Medieval Black, Summoning
Questo è il classico lavoro che avrebbe voluto recensire il mio compagno d'avventura Alain, visto il genere proposto in quest'album di debutto della one-man band transalpina dei Crépuscule d'Hiver, intitolato 'Par​-​Delà Noireglaces et Brumes​-​Sinistres'. Stiamo parlando infatti di suoni medievaleggianti, almeno per ciò che concerne la classica intro tastieristica che chiama in causa il dungeon synth. Poi quando irrompe la brutalità della seconda "Le Sang Sur Ma Lame", ritorniamo al buon aspro black metal di casa Les Acteurs de L'Ombre Productions, da sempre divulgatrice di suoni estremi ma assai ricercati. Il buon Stuurm, mente di questo progetto (qui aiutato da N.K.L.S degli In Cauda Venenum), mette in scena il suo desiderio di abbinare un feroce black con sonorità di stampo medievale con l'inserzione, seppur sporadica, di voci femminili. Il tutto evoca ovviamente i maestri Summoning, in una song peraltro dalla durata importante, con i suoi oltre 12 minuti. Interessante si, ma non eccezionale, molto meglio la successiva "Héraut de l'Infamie", che risalta le idee del mastermind originario de la Bourgogne, grazie a sonorità più mid-tempo oriented e a una maggior ricercatezza a livello musicale, anche se ci sono ancora parecchie cose da limare qua e là. Se da un lato ho apprezzato l'inserimento di una effettistica che conferisce una certa pomposità al sound di Stuurm, francamente ho fatto veramente fatica ad accettare l'asprezza delle sue vocals davvero maligne, cosi come certe linee di chitarra troppo dritte e scarne che alla fine non mi dicono granchè e abbassano il mio gradimento nei confronti della release. Fortunatamente, ci pensa poi un brano come "Tyran de la Tour Immaculée", la traccia più complessa, appettibile e melodica (seppur certi riffoni nudi e crudi) dell'intero lavoro, a risollevarne le sorti, anche qui con l'ausilio della gentil donzella a fare da sirenetta e addirittura un abbozzo di un chorus maschile. Chiaro, siamo ancora parecchio lontani dalla perfezione, l'abrasività delle chitarre non aiuta, però è quanto di meglio si possa ascoltare in questo lavoro e dovrebbe rappresentare un buon punto di partenza per il futuro del polistrumentista. Il disco però ha ancora altre tre brani (uno è un intermezzo in realtà) da sfoggiare. La lunga "Le Souffle de la Guerre" ci spara in faccia urticanti ritmiche spezzate da qualche fraseggio tastieristico e da un drumming che sembra volutamente zoppicare, immerso in un landscape tastieristico che ha modo di evocare anche un che dei Bal-Sagoth e nei synth più minimalistici, il buon vecchio Burzum. Interessante qui il comparto, per cosi dire, solistico, con quello che sembra assomigliare ad un vero assolo rock prima dell'ennesima sfuriata al limite del post black. Dicevamo dell'intermezzo medieval con "Les Larmes d'un Spectre Vagabond" che anticipa i 20 minuti (venti si, avete letto bene - l'intero album ne dura 69) della title track che riassumono, se cosi si può dire, la proposta della band in una song dal piglio sinistro immerso costantemente in quel magico ed epico contesto sonoro medievale, con una serie di trovate stimolanti. Ecco, se poi potessi dare un paio di suggerimenti, migliorerei la pulizia del suono, in alcuni frangenti un po' troppo impastato e li si corre il rischio di perdere di vista (meglio, l'orecchio) il suono dei singoli strumenti. Aggiusterei la voce principale, concedendo anche l'intervento di una porzione pulita maschile e non solo l'evocativo apporto della soave fanciulla che compare seducente anche qui. Poi quest'ultimo brano, nella sua infinita durata, è un compendio dicevo, di tutto quello che l'artista francese vuole o vorrebbe trasmettere con questo lavoro enorme e il risultato alla fine suona notevole e degno di un vostro ascolto molto molto attento. (Francesco Scarci)

Fooks Nihil - S/t

#PER CHI AMA: Vintage Rock/Psych/Blues
Per chi fosse interessato ad un tuffo nel passato del rock, quello colorato che parte da metà anni '60 e arriva circa a metà anni '70, psichedelico e floreale, dai suoni caldi e avvolgenti, eccovi una band tedesca pronta a soddisfare ogni vostra esigenza. I Fooks Nihil vengono da Wiesbaden, in Germania, ma a sentire il loro primo disco potremmo collocarli nella West Coast degli States in compagnia di Crosby Stills & Nash e i The Byrds, per percorrere strade polverose e acide o lunghe spiagge assolate in compagnia dei Ten Years After (quelli di 'Stonedhenge'), Jerry Garcia e Neil Young, tutti in corsa sulla scia del lisergico, magico e splendido 'Live Dead' dei Greatful Dead. Brano dopo brano si riscoprono usi e costumi, modi di suonare, fare e intendere la musica di un tempo che fu rivoluzionario per il mondo del rock, un collage di folklore e illuminante allucinazione. I Fooks Nihil hanno imparato bene la lezione e gli insegnamenti dei mostri sacri dell'epoca e molti delle loro influenze emergono tra le note di quest'album di debutto, fatto di dieci canzoni provenienti dal passato, suonate, registrate e volutamente rilette in chiave vintage, senza mai snaturare la fiamma della fonte d'ispirazione originale, americana o inglese che sia. La band teutonica lo fa in modo egregio, con un'ottima produzione, suoni ricercati, che portano sempre a buoni risultati. Ascoltate "Lady From a Small Town", che sembra uscita da un dimenticato cassetto della scrivania di Bob Dylan, il suono splendidamente dilatato di "Homeless" e l'incredibile vicinanza strutturale di "Misery" con la ben più famosa "Knocking on Heaven's Door" a creare una nostalgia paralizzante. Ma dentro al disco ci si trovano spunti presi da variegate band, dai Beatles di 'Sgt Peppers', passando ai Grateful Dead di 'Workingman's Dead', accenni di blues in salsa Derek and the Dominos, riff presi in eredità dai The Kinks, addirittura i primi Eagles e un sacco di chitarre cristalline e solari, accostate ad agili coretti e riverberi d'epoca, suonati oggi come se il tempo non fosse mai passato. Facile dire che il disco è ad esclusivo piacere degli appassionati di rock di quegli anni, che il sitar usato in "What's Left" sia folgorante e che l'intero album sia piacevolissimo anche se inevitabilmente derivativo. 'Fooks Nihil contiene alla fine una buona carica compositiva ed anche una certa dose di personalità, seppur privo di effettiva originalità. Un disco comunque da ascoltare e sognare immersi nei ricordi di allora. (Bob Stoner)

lunedì 12 ottobre 2020

Automatism - Immersion

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Kraut Rock
Da Stoccolma ecco giungere dritto nel mio stereo gli Automatism a stemperare quella colata lavica di black che ha saturato le mie orecchie cosi tanto ultimamente. Si perchè il quartetto scandinavo in questo nuovo 'Immersion' è autore di uno psych rock strumentale, uno di quelli che ti permettono di stravaccarti in poltrona, mettere delle luci soft e assaggiare un bicchiere di whiskey con giusto un cubetto di ghiaccio, mentre in sottofondo vanno le ispiratissime linee di chitarra della band svedese in un ipnotico viaggio musicale. Si parte con le melliflue melodie di "Heatstroke #2", un pezzo che si muove tra prog e kraut rock con una vena psichedelica fortemente preponderante. È il turno poi della eterea "Falcon Machine", una song sinuosa dal piglio post rock, che parte con somma delicatezza e va salendo gradualmente in intensità, affidando il driving della traccia al fraseggio di una splendida chitarra solista che sembra muoversi all'interno di una fitta coltre di nebbia. Le melodie sono davvero fantastiche e sembrano sopperire alla solita cronica mancanza di un vocalist in questo genere. Tralasciando mestamente questa mia sterile polemica senza fine, non mi rimane che focalizzare la mia attenzione sulle ritmiche lisergiche trasmesse dai quattro ottimi musicisti nordici. In "Monochrome Torpedo" i ritmi sono assai cadenzati, quasi da lounge bar, tra luci soffuse e qualche donnina che si muove eroticamente attorno ad un palo da lap dance, in un'atmosfera fumosa ma intrigante, di scuola pink floydiana, che tuttavia sulla lunga distanza, tende un pochino a stancare. Allora meglio skippare sulla successiva "New Box", traccia che nel suo saliscendi chitarristico, sembra nascondere melodie mediorientali, comunque inserite in un contesto costantemente a cavallo tra psichedelia e rock progressivo. Citavo poc'anzi delle atmosfere fumose, sarebbe stato ancor meglio affibbiarle a questa "Smoke Room", song dal ritmo ovviamente assai lento, in cui le chitarre sembrano lanciarsi in improvvisazioni e rincorrersi tra loro mentre eleganti percussioni creano un substrato dal forte sapore blues. A chiudere 'Immersion', ecco "First Train" altri sette minuti abbondanti di suoni tenui ma al contempo palpitanti, complice l'utilizzo di una effettistica che sembra evocare l'utilizzo del mellotronin una traccia da vaghi richiami jazz che completa un disco ambizioso, non di facilissima presa ma sicuramente affascinante per mille motivi. (Francesco Scarci)