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sabato 23 agosto 2014

Voice of Ruin - Morning Wood

#PER CHI AMA: Death Metal Melodico/Metalcore
Provenienti dalla Confederazione Elvetica francofona, il quintetto dei Voice of Ruin dà alle stampe questo cd composto da 12 tracce, di cui un paio completamente strumentali. Al primo impatto, la musica qui proposta non ha fatto fatica a rimandarmi, specialmente in alcuni passaggi, al death melodico di scuola scandinava di fine anni '90 e inizio 2000. Amorphis ed In Flames i principali riferimenti, anche se il tutto è pervaso da quell'aurea di modernità che contraddistingue produzioni di questo tipo. Passaggi veloci e riffoni mid-tempo si alternano per gran parte dei 46 minuti di 'Morning Wood', così come le vocals che, a tratti pulite e in altri casi più aggressive, non danno tregua. I testi, di sicuro, non trattano temi filosofici e sembrano non prendersi troppo sul serio (“Party Hard”, “Cock n Bulls”, “Sex for free” e “Big Dick” parlano chiaro), anche se artwork e produzione sono sicuramente da gruppo ben più affermato. Inutile nascondere il vero valore della musica contenuta in questo cd, non siamo di fronte ad un capolavoro e non farò nulla per nascondervelo. Un po' troppo sconclusionati per i miei gusti, il gruppo suona sicuramente bene ed è bello compatto, ma manca la cosa più importante, la composizione. Mancano infatti le canzoni, quelle che ti fanno innamorare di un cd o semplicemente quei due o tre brani in grado di risollevare le sorti di un lavoro altrimenti non troppo brillante. Belli i suoni, notevoli le prestazioni dei musicisti, ma poca sostanza; ed è la sostanza a fare la differenza, quasi sempre fortunatamente. Il gusto amaro dell'occasione persa rimane anche dopo aver ascoltato 'Morning Wood' più volte a distanza nel tempo, anche se ascolti meno attenti fanno guadagnare a questo lavoro qualche punto perchè comunque dagli speaker, la musica esce bella tosta e sicuramente di impatto. E se è questo che cercate, allora avrete trovato un bel prodotto di death metal melodico. Se cercate invece belle canzoni, bisogna guardare altrove. Il richiamo al tasto skip del mio lettore è stato talvolta forte, ma sono sempre riuscito a resistere per cercare di dare una chance al quintetto svizzero. Senza alcuna difficoltà, vi posso indicare come tracce degne di nota la titletrack, la già citata “Cock n Bulls” e la stumentale e assai piacevole “Today Will End”. Se volete dargli una possibilità, fate pure, cosi come l'ho voluta dare io. Risultato? Aspetterò la prossima release per vedere se la fiducia sarà stata, almeno in parte, ripagata. (Claudio Catena)

mercoledì 20 agosto 2014

Schemata Theory - Dry Lung Rhetoric

#PER CHI AMA: Heavy/Progressive, Metallica
Per fortuna quest'estate disgraziata (meteorologicamente parlando), mi ha quantomeno portato sulla scrivania dei bei prodotti da ascoltare e analizzare: uno di questi è senza ombra di dubbio il full lenght degli Schemata Theory, gruppo inglese che gode già di una discreta fama e che da quanto mi risulta, è già alle prese con il successore di questo 'Dry Lung Rhetoric' datato 2012. Informandomi qua e là, ho letto che i componenti del gruppo si sentirebbero influenzati da mostri sacri quali Metallica e Dream Theater; personalmente ritengo che la loro musica sia influenzata molto meno di quanto ne possano essere i vari membri e questo lo trovo assolutamente positivo. Soprattutto perché il progetto sta in piedi da solo e cammina con gambe forti sulla propria strada, godendo di musicisti ben dotati sotto il punto di vista tecnico e compositivo. Mi riesce anche difficile etichettare rigidamente la musica proposta, perché si tratta di un sound in continua evoluzione lungo i minuti del disco, ma sempre ben strutturato e ben calibrato. Si tocca il metal classico, ma anche lo sludge, il post metal ed il progressive. Le canzoni sono piacevoli, non c'è che dire; la varietà di tipologie di vocals proposte è poi davvero ampia, cosi come le chitarre che, sempre belle quadrate, scolpiscono riffoni degni di nota. Non vorrei tralasciare infine l'affiatatissima sezione ritmica che si fa sentire, eccome. Tutto in questo cd sembra filare in modo scorrevole, tanto che la fine arriva troppo in fretta e sono costretto a ripigiare il play per un altro ascolto. Forse, un tocco più “aperto” nella scelta dei suoni avrebbe giovato a tutto l'insieme, perché in alcuni punti trovo il suono della batteria un po' troppo chiuso e “caldo” per il genere proposto, ma stiamo parlando veramente di inezie. Sugli scudi, in assoluto, la tripletta iniziale con l'intro strumentale “A Dark Dawn”, “Perish or Prevail” e “Drones”; ma il vero capolavoro arriva con “Crisis Unveiled”, vera e propria tempesta sonora dalla quale si vorrebbe essere investiti ogni qual volta possibile. Graditissima sorpresa per quel che mi riguarda, gruppo dal notevole potenziale, a mio parere espresso ancora solo in parte; e se questi sono i risultati, ben vengano altri nuovi lavori della band. E speriamo poi, il prima possibile. (Claudio Catena)

(ABAF Records - 2012)
Voto: 75

venerdì 18 luglio 2014

Navalm - Recovery of Sync

#PER CHI AMA: Techno Brutal Death, Cannibal Corpse, Nile
Quintetto ucraino, i Navalm fanno parte di quell'ondata di gruppi provenienti dall'est Europa che si propone come bacino d'utenza primario per quello che riguarda metal ed affini. Il cd in questione, pubblicato per la Metal Scrap Records nel 2013, ci propone un bel gruppo dedito al death estremo con alcune sortite nel technical death metal (in alcuni punti mi hanno ricordato i Nile). 15 tracce che scorrono via senza intoppi, rispettando i canoni dettati dai capolavori del genere (pescare tra le migliori uscite dei Cannibal Corpse, Napalm Death e Pestilence potrebbe esservi d'aiuto per capire in che lidi sonori ci troviamo); le composizioni sono di buon livello, la preparazione del gruppo è invidiabile e i suoni sono più che sufficienti. Non ho idea di quali siano i trend di missaggio in auge dalle parti dell'ex Unione Sovietica, ma sembra che di un bel filtro “effetto grattuggia” sulle vocals proprio non se ne riesca a fare a meno; in questo caso però il cantante riesce a produrre un growl bello tosto e quindi il filtro serve più che altro come aiuto alla povera ugola del singer, martoriata per 40 minuti. Menzione particolare e i miei più sinceri complimenti alla prestazione della sezione ritmica: batteria e soprattutto basso, fanno un figurone sfoderando una performance di livello primario. Bravissimi. Per quello che riguarda la tracklist, mi sento di consigliare le prime due songs “ Let Others Pray” e “Sign” e la mazzata da poco meno di 2 minuti “Frank Decomposition”; molte tracce hanno una durata inferiore ai 2 minuti, esplicando la marcata attitudine del gruppo a spaccare tutto in tempi brevissimi. Poche decelerazioni, i ritmi si mantengono molto alti per tutta la durata, quando si rallenta lo si fa per poco e per dare spazio a svisate di basso (Steve DiGiorgio docet) mai troppo stucchevoli, ma che anzi, aiutano a rendere più edulcorato un contesto che potrebbe risultare fin troppo aspro. Cresce con gli ascolti “Recovery of Sync” e risulta essere una bella sorpresa; niente di fenomenale, ma finisce per farsi volere bene. E per i Navalm può considerarsi un ottimo risultato. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2013) 
Voto: 65 

venerdì 20 giugno 2014

Mechanigod - Realms

#PER CHI AMA: Death/Thrash/Alternative, Meshuggah, Tool
Sbang!! Una sonora botta in pieno viso: ecco le prime parole che mi vengono in mente parlando di questo full lenght, prodotto dagli Israeliani Mechanigod. Forte di una produzione davvero impeccabile, frutto del lavoro di Daniel Strosberg ai KEOSS studios di Tel Aviv e di un mastering in pieno stile scandinavo di Jens Bogren in quel di Orebro, Svezia, 'Realms' si presenta in tutto il suo splendore. Davvero difficile far di meglio, per una band semisconosciuta; sicuramente d'impatto le note qui prodotte vanno, senza dubbio, sparate al maggior volume possibile. Sfido qualsiasi combo, anche ben più blasonato, ad aprire le danze con la magnificenza di “I Shall Remain” indiscussa perla del lotto proposto. Dopo un brevissimo intro, la sopracitata ci scarica addosso una tale quantità di potenza da restarne storditi e piacevolmente sorpresi; cosi come è successo al sottoscritto. Si continua con la maestosità di “The Serpent's Greed”, a tratti quasi progressive, in altri punti degna dei migliori Machine Head, anche se l'ombra dei Meshuggah resta sempre in agguato per tutti i 53 minuti del lavoro. Rimango senza parole. Sbalordito. Stiamo sfiorando vette che potrebbero far parte di un album capolavoro; l'intro di “SilverHaze” mi ha subito rimandato ai Tool di 'Lateralus', quando scopro uno strumentale che mi riporta in pieno ai Metallica di 'Master Of Puppets' del mai troppo lodato Cliff Burton (ascoltare le linee di basso per credere...). Come avrete capito, la varietà compositiva è una qualità che ai Mechanigod non manca di certo, così come l'abilità tecnica; col passare dei pezzi ci si rende infatti conto della qualità “totale” di questa fatica, con chitarre che poche volte hanno reso così bene l'idea di ciò che vuol dire suonare metal “moderno”. Qui dentro c'è quello che io intendo "suonare metal nel 2014", con una certa dose di paraculaggine verso il passato ma con i piedi ben piantati al giorno d'oggi; ma alla fine non si può creare un disco come 'Realms' senza essere molto, ma molto bravi. Un disco che, dopo un paio di ascolti, è già talmente entrato nel cuore di chi lo ascolta da non poterne fare a meno per diverse settimane (l'ho ascoltato ovunque...), non può che meritare la palma di miglior release da mesi a questa parte; non voglio dimenticare di citare altri pezzi assolutamente sugli scudi, quali “Mirror's Aspect” e la finale “Silent State of Mind” che sembra ancor di più omaggiare quei gran bravi ragazzi dei Tool, degno finale per un disco di questo livello. Caldamente consigliato a chi sta cercando dal metal qualcosa che non sia per forza rumore incomprensibile, a chi cerca quei gran bei chitarroni grassi, o a chi cerca riff che non siano un'inutile alternanza di plettrate su due corde, sempre quelle. Anche per chi cerca nel metal, un po' di poesia. Un disco che merita un voto altissimo; un disco che merita rispetto e un occhio di riguardo da chi ama questo “nostro”, stupendo, genere musicale. Da avere. (Claudio Catena)

(Self - 2013)
Voto: 90

giovedì 5 giugno 2014

Halter - Omnipresence of Rat Race

#PER CHI AMA: Death/Doom 
Prodotti dalla ormai nota MFL records, gli Halter danno alle stampe questo cd dalle fortissime tonalità oscure; i ritmi rallentati e le voci gutturali rendono l'album estremamente cupo e tetro, adatto essenzialmente ad un ascolto attento e non “di sottofondo”. Le 5 tracce che compongono il cd fanno subito intendere che le lunghezze delle tracce sia notevole, ed infatti non si scende mai sotto i 6 minuti, con punte massime per la traccia finale di 12 minuti. Doom, doom e poi doom allo stato puro, poche le divagazioni, anche se la tipologia di vocals e il suono delle chitarre rimanda a canoni del death metal; i suoni puliti e non impastati rendono la fruibilità del lavoro più gradevole per quello che ci si può aspettare da un monolite del genere. Riffoni pesantissimi e di scuola Iommi pervadono le intere composizioni, un drumming soffocante e buone linee di basso sono capaci di creare atmosfere sulfuree, ma pienamente godibili. Servono più ascolti per comprendere appieno le qualità del cd che alla fine non delude affatto; le canzoni sono ben strutturate, anche se a mio parere, una durata inferiore di tutto l'insieme avrebbe giovato soprattutto all'ascoltatore, che deve resistere fino alla fine, evitando la tentazione di skippare in qualche occasione. Nota di demerito per non aver indicato nel booklet i componenti del gruppo, anche se non mancano i rimandi alla loro pagina myspace. I testi, stampati in giallo su sfondo marrone e giallo rischiano di farvi vivere un'esperienza lisergica, davvero troppo difficili da leggere. Ma ribadisco, la musica alla fine si rivela di buona qualità: non posso fare a meno di citare le interessanti “Of the Part of Herd” e “Graves are not Full” e la fin troppo "Sabbathiana" (non un difetto intendiamoci...) “Autumn Night”. Senza dubbio avrei preferito delle vocals un po' più pulite su questo letto di note, poiché questo tipo di growling estremo rischia di appesantire ancora di più una situazione sonora che di leggero ha davvero poco... comunque gli Halter avranno tutto il tempo per sperimentare nuove strade o per affinare le loro già presenti abilità musicali e compositive. Siamo già su livelli piuttosto alti e per quello che mi riguarda al momento, basta quello che si può ascoltare in questo 'Omnipresence of Rat Race', senza ombra di dubbio. (Claudio Catena)

(MFL Records - 2013)
Voto: 70 

lunedì 26 maggio 2014

Spatial – Silence

#PER CHI AMA: Death/Doom
Fresco fresco di stampa giunge tra le mie mani questo dischetto, prodotto di una band polacca attiva dal 2010 e dedita a una sorta di bel mix tra death, doom e metal classico. Gli Spatial, lo dico subito, riescono a farsi amare già dal primo ascolto. Ne serviranno diversi però di ascolti, per apprezzare appieno il lavoro del “nostro” quintetto, ma quello in questione è un cd che già al primo dimostra essere di ottimo livello. Questo cd ha il pregio, notevolissimo, di districarsi agevolmente tra le varie sfumature del metal più moderno, con un occhio sempre attento a non lasciarsi sfuggire quello che di buono il passato ha saputo offrirci; e ne ha un altro di pregio, quello di essere di difficile etichettatura. Mi spiego meglio: siamo di fronte ad un gran bel disco metal, ma sarebbe troppo riduttivo parlare di death, oppure di doom, di thrash, di power o di classic addirittura...perché tutti questi “sottogeneri” vengono toccati dalla musica degli Spatial, che si dimostreranno essere assai versatili, sempre misurati e mai eccessivi. In poche parole, siamo di fronte ad una band matura, sotto tutti i punti di vista. C'è una buonissima preparazione tecnica agli strumenti e c'è un'ottima capacità di comporre; quindi, c'è quasi tutto. Spiegherò più avanti il motivo di questo mio “quasi”. Addentrandosi poi nei meandri della musica, scopriamo 11 tracce (di cui l'undicesima in lingua madre) che potrei provare a catalogare come doom metal (come caratteristica principale) miscelato più che sapientemente con voci tipicamente death, sebbene le clean si distinguano per la loro bellezza. Le chitarre sparano riffoni che colpiscono duro, ma sono capaci anche di arpeggi celestiali; la batteria non tocca mai velocità supersoniche ma è in grado di far viaggiare le canzoni su binari ben definiti. Si ondeggia la testa, e pure parecchio; il suono del disco, freddo il giusto e ben definito, aiuta gli Spatial nell'impresa di produrre canzoni in cui si sentono bene e distintamente tutti gli strumenti, tanto da far venire voglia di girare la manopola del volume verso la tacca “max”. Le quattro canzoni con cui si apre il disco, quindi i primi 20 minuti di ascolto, sono quasi perfette: "Arka Chaotis", "Silence", "Nightrage" e "Knights of the Forgotten Realm" sono devastanti, per bellezza e precisione. Eccoci arrivati alla spiegazione di quel mio “quasi” precedente: quelle che vi ho elencato rimangono, ovviamente per chi scrive, le migliori del lotto; poi il disco si assesta su livelli sempre piuttosto alti, ma senza grossi scossoni, si arriva alla fine. Secondo me, una migliore ridistribuzione della playlist, avrebbe giovato ancora di più alla qualità di un prodotto, che ripeto, rimane più che buono. Una bellissima sorpresa, un bel disco che si fa ascoltare e riascoltare volentieri; per questa ragione, aspetterò' con ansia una nuova release degli Spatial. Complimenti ragazzi, ottimo lavoro. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2014)
Voto: 80

sabato 10 maggio 2014

Forbidden Shape - The Sleepwalking Psychopath

#PER CHI AMA: Thrash/Death
Il bello di fare recensioni di gruppi emergenti è soprattutto il fatto di non sapere mai cosa aspettarsi al pigiare del tasto play del nostro amatissimo cd player; ci si può fare un gran film guardando le copertine e lo stile dell'artwork, ma fidatevi, poche volte sarete ricompensati con la consapevolezza di averci azzeccato, anzi... Per quello che mi riguarda è il caso di questi Forbidden Shape, combo russo dedito ad una sorta di death metal a tratti brutal, a tratti quasi power metal, a sprazzi molto thrash riff-oriented. Detto in parole povere, un gran casino. Nel senso dei volumi? No, in questo caso, un gran casino di idee, ben poche messe a fuoco e portate fino alla fine. Una stroncatura prima di iniziare? In un certo senso si, in un altro no; ora mi spiego. Vi confesso che ho ascoltato questo cd per almeno 5 volte (con gran fatica) prima di pronunciarmi; vi confesso anche che, per come sono fatto io, ascoltare 5 volte una cosa che non mi entusiasma è già un grande sacrificio. Non a caso, purtroppo, quelle che seguiranno non saranno giudizi estremamente positivi; quello che mi si pone all'ascolto è un calderone di suoni, rumori, frammenti di canzoni, pessime growling vocals, accordi che faticano a trovare un legante, se non quello di far parte di una stessa traccia sul dischetto ottico. Parole incomprensibili se non leggendo il libretto (non mi era capitato nemmeno con i Cannibal Corpse più marci...), canzoni senza capo né coda, nessun riff portante, pochi solos degni di nota e, a quanto sembrerebbe leggendo i testi, anche poco da dire. Con tutta la buona volontà, trovare un pregio alle composizioni del gruppo, almeno per me, è una "mission impossible". Non bastano una manciata di riff quasi indovinati (ma tutti col retrogusto del già sentito) a salvare quella che, sotto il punto di vista meramente compositivo, è una disfatta a tutti gli effetti. Come in quasi tutte le cose, qualcosa da salvare c'è, giusto per non ammazzare con un voto pessimo questa release; prima di tutto i suoni, non sono sicuramente i peggiori sentiti, anzi risultano essere piuttosto curati. L'aspetto tecnico è notevole, meritano di essere citate le prestazioni della sezione ritmica su tutte: bravo Gungrind al basso (per l'esecuzione, la composizione delle songs è da rivedere). Sappiamo tutti che però un disco non puo' reggersi su buoni suoni e ottime prestazioni stile session man (oddio, per quello che riguarda un certo “rock italiano” sembrerebbero bastare anche solo queste due cose), quindi cio' che propone questa release riesce a malapena a rosicchiare una sufficienza che finisce per non accontentare nessuno: prima di tutto i Forbidden Shape, perchè con questi mezzi esecutivi e un po' di concentrazione in piu' in fase di composizione, questo cd assume fortemente il sapore amaro dell'occasione persa; si può e si deve far di più. Non accontenta di certo me, perchè mi aspettavo ovviamente di più (maledette supposizioni “da copertina”). Senza ombra di dubbio la migliore traccia a mio parere rimane la numero 7, “Crude Soil Therapy”, che oggettivamente contiene delle ottime idee che lasciano intravedere capacità indiscusse. Per poco hanno evitato di essere “rimandati a Settembre”, la sufficienza la strappano sulla fiducia. Dai Forbidden Shape mi aspetto molto di più; sarò qua ad attenderli. (Claudio Catena)

(Fono Ltd - 2013)
Voto: 60

http://www.fono.ru/artist/181/

martedì 15 aprile 2014

Colossus of Destiny - In Lesser Brightness

#PER CHI AMA: Sludgecore, Mastodon
Ed è arrivato il giorno del giudizio anche per loro: i Colossus of Destiny, band parigina, si presenta con questo lavoro intitolato “In Lesser Brightness”, che si snoda in un tortuoso percorso composto da post-metal, sludge, prog rock; dico subito che i “nostri” ragazzi non fanno nulla per evitare di prendere la strada principale e cercare percorsi alternativi, andando piuttosto sul sicuro scegliendo sentieri già battuti in precedenza da molti altri gruppi. Sono 6 le tracce che compongono questo dischetto, nel mio caso imbustato in un semplicissimo packaging promo e quindi esente da fronzoli inutili; sinceramente, appena vista la copertina, ho pensato di trovarmi di fronte ad un disco di prog e anche di quello piuttosto classico. Puntualmente smentito dalla partenza della prima traccia “Dismay in Empty Eyes” che però, per una strana coincidenza, rimane la più prog del lotto. I riferimenti ad altre formazioni sono subito chiari e sembra proprio che i transalpini facciano veramente poco per nasconderli. Mastodon, Isis e Baroness le influenze più chiare, mentre io ho trovato anche qualcosa dei primi Incubus nei suoni e nelle atmosfere; per carità, non voglio certo sminuire il lavoro fatto dal gruppo, che rimane assolutamente di rispettabile valore. Infatti la qualità complessiva rimane alta, i ragazzi sanno quel che fanno e lo fanno piuttosto bene. Con gli strumenti ci sanno fare eccome, ascoltate ad esempio la mia preferita “Heavy Loads”, dove i ritmi accelerano e le melodie si fanno incisive; oppure la successiva title track, dove l'ombra dei Mastodon è davvero ingombrante ma sicuramente piacevole (per me che li amo particolarmente poi...); non voglio di certo dimenticare la conclusiva “Naked & Unbound” che farà scuotere più di una testa. Lavoro di veloce assimilazione, grazie a composizioni non troppo complicate e melodie piuttosto orecchiabili; niente di epocale, ma di certo un buon lavoro. Menzione particolare per l'ottimo lavoro svolto in studio dai tecnici, perché il disco gode di una produzione ben al di sopra della media. Parere personalissimo: non mi convince la voce del cantante, rauca e abbastanza monotona, capace di poche modulazioni. Nel complesso un buon lavoro, che non mi ha colpito particolarmente e che però ha una caratteristica: si lascia ascoltare molto facilmente. A voi scoprire se si tratta di un pregio o di un difetto. (Claudio Catena)

(Self - 2013)
Voto: 70

sabato 12 aprile 2014

Fate Control - Random Survival

#PER CHI AMA: Swedish Death, In Flames, Soilwork, Slipknot
Freschissimo di stampa, arriva sul mio “tavolo anatomico” questo dischetto, pronto ad essere sezionato e analizzato in tutte le sue parti. Subito un elogio alla casa discografica che accompagna il supporto da un bel libretto di presentazione con tanto di lettera personalizzata; anche per quello che riguarda l'artwork, ci si imbatte in un curatissimo digipack di alto blasone. Quante volte, però, la qualità del contenitore non rispecchia quella del contenuto? Molte, forse troppe...ma vi anticipo subito che, fortunatamente, questo non è uno di quei casi. Il sestetto della vicina Confederazione Elvetica è al suo debutto su CD, da segnalare nel 2012 l'uscita online del singolo “Knockout”, pezzo comunque contenuto in questa release; usciti indenni da qualche cambio di line-up, il gruppo entra in studio, sempre nel 2012, per registrare questo disco. La gestazione è stata piuttosto lunga, considerando che le tracce sono 9, non contando il minuto “d'atmosfera” della intro. Ultramoderni, perfettamente calati nei panni dettati dagli ultimi trend in campo metal, i Fate Control sanno il fatto loro e si muovono sinuosi tra riferimenti agli ultimi In Flames, agli inarrivabili Meshuggah e agli ormai famosi Soilwork; dopo qualche recensione, forse avrete imparato a conoscermi, non è certo il genere che preferisco, ma la qualità va riconosciuta sempre e premiata. Il disco scorre impetuoso, solido, praticamente perfetto sotto il punto di vista formale; i suoni sono spettacolari (da grande band, merito di Daniel Bergstrand, produttore delle band sopraccitate), gli strumenti sono padroneggiati con mestiere, l'uso delle vocals miscela parti in scream e growl alle più confortanti clean, che occupano il ruolo di protagoniste considerando la totalità delle linee vocali. Nulla da dire, in negativo, ci mancherebbe. Nulla da dire, purtroppo però, di estremamente positivo. La famosa “Terra di mezzo” sembra aver attirato questa release, nel senso che questo 'Random Survival' non si muove dal guano che lo intrappola; lo spunto per spiccare un grande salto in alcuni momenti c'è eccome, ma questo grande salto non avviene durante lo scorrere dei minuti. Ricordiamoci che stiamo parlando di un debutto e quindi, forse anche troppo prematuramente mi aspettavo quel qualcosa in più; il disco ad un ascolto superficiale, sembra essere migliore di quando, invece, ci si concentra e si vuole andare a fondo. La struttura di tutte le tracce è sempre la stessa: belle intro, strofe incazzate e serratissime, ritornelli di ampio respiro e molto orecchiabili rigorosamente in clean vocals; una formula collaudata ok, ma che tende ad appiattire il tutto. Comunque, nel complesso la qualità si sente, va solo migliorato il songwriting di quel tanto che basta a far venire fuori tutta la personalità del gruppo; sono certo che con qualche “chilometro” in più, anche questo aspetto verrà sistemato. La testa ve la farà muovere comunque parecchio questo CD e preparatevi per le top del lotto: senza dubbio “E.K.I.A”, dove qualcosa mi ha ricordato i Lacuna Coil, la più classica “Fukushima” , la già citata “Knockout” e la migliore di tutte (ovviamente per chi scrive), quella “You Shall Fall” che da sola alza di un punto la valutazione complessiva del disco (complice la presenza di Bjorn "Speed" Strid). Il mosaico Fate Control richiede ancora qualche tessera da smussare e sistemare al meglio, ma nell'insieme i ragazzi svizzeri hanno fatto un buon lavoro; la strada è ancora lunga e tortuosa, ma con questa tabella di marcia i nostri arriveranno senza troppi patemi abbastanza lontano per guardarsi alle spalle, ed accorgersi della tanta e bella strada percorsa. Curiosissimo, li aspetto alla prossima prova che dovrà confermare quanto di buono c'è su 'Random Survival' e, se possibile, migliorarlo. (Claudio Catena)

(Self - 2014)
Voto: 70

mercoledì 9 aprile 2014

Hamferð - Evst

#PER CHI AMA: Dark/Doom, Cathedral, Type O Negative
Chi di noi non ha mai sentito parlare delle Fær Øer Islands? Se non altro per qualche coincidenza di girone tra la nazionale italiana e la corrispettiva nazionale faroese, per quello che riguarda nazionalpopolari cronache pallonare; ma una nazione non infinitamente grande come le Fær Øer ha già sfornato un paio di gruppi metal degni di nota, tra i quali mi piace citare i classicheggianti TYR e perchè no, anche questi Hamferð. Il gruppo protagonista della recensione di oggi, ha vinto un concorso per band metal al celeberrimo festival Wacken nel 2012, vincendo un contratto con la storica etichetta metal Nuclear Blast. Ascoltando 'Evst' ho capito chiaramente il perché: la classe signori, la classe...questa sconosciuta in ambito metal da troppo tempo. Iniziando l'analisi più approfondita di questo lavoro, mi soffermo, come mia abitudine (o mania, come preferite) sulla confezione del cd, un digipack classico con un artwork raffinato e oltremodo “scuro”, caratteristica che rende difficile la lettura dei testi sul libretto (poco male, i nostri scrivono i loro testi in lingua faroese, poco comprensibile) e che aiuta a creare quell'atmosfera malsana che cerca di introdurci al meglio al sound proposto. La formazione è formata da sei elementi (se vi può interessare su Youtube trovate anche un video live girato in una cattedrale e mandato in onda dalla tv faroese!!!) in cui spicca il cantante e mente del gruppo, dotato, oltre che di una bellissima voce, anche di ottime capacità di composizione. Che dire, la musica è un doom metal di ottima fattura, i ritmi sono lenti, le atmosfere cupe; i suoni, meravigliosi, frutto di un ottimo lavoro fatto in studio. Le voci, spettacolari clean vocals si alternano a un growling mai troppo marcato e che evita di rendere il tutto troppo stucchevole. Dopo 2-3 passaggi nel mio stereo, 'Evst' ha rischiato di diventare il mio disco preferito da un bel po' di tempo a questa parte; dopo altri tre ascolti lo è diventato. Mai come in questo caso, un ascolto del genere proposto, può aiutare più di mille parole; potrei affermare che mi ricordano i Cathedral, imbastarditi dai più decadenti Type O Negative, a loro volta influenzati dai Sabbath più oscuri. Quel che è certo è che non si tratta di musica per tutte le occasioni, la definirei piuttosto “musica per giornate grigie” oppure “note per il crepuscolo”, ma poco importa. Notevoli tutte le composizioni (sei in tutto) che si assestano su durate medio/lunghe, che danno il meglio di loro stesse se ascoltate in cuffia (provare per credere). Non voglio dare giudizi sui singoli musicisti, tutti autori di un ottima prestazione, perché in questo caso più che in altri avrebbe poco senso: qui tutti viaggiano nella stessa direzione creando un monolite sonoro che lascia un solco ben definito sulla sua strada. In testa ed in coda alla scaletta le due meravigliose creazioni che fanno gridare al miracolo; l'iniziale title track e la conclusiva “Ytst”, due vere e proprie gemme. Sinceramente non pensavo di potermi trovare di fronte ad un lavoro di tale portata, da un gruppo per me semisconosciuto; solo parole di elogio per questi ragazzi, autori di un lavoro che si piazza tra i primissimi posti della mia playlist personale. Mai come in questo caso, ascolto più che consigliato. Obbligatorio. (Claudio Catena)

(Tutl Records - 2013)
Voto: 90

sabato 15 marzo 2014

Halberd - Ruthless Game

#PER CHI AMA: Thrash Death, Exodus, Kreator
Esistevano, fino a qualche anno fa, le cosiddette “scuole” del metal: quella tedesca, molto classicheggiante, impassibile nel suo immobilismo e poco avvezza ad innovazioni di qualsivoglia tipologia; quella americana, che conosciamo tutti come la più varia; quella scandinava, votata ad un estremismo più accentuato e, per amor di patria, quella italiana che vedeva draghi ed elfi combattere sulle varie copertine dei più disparati gruppi che narravano interminabili saghe Tolkeniane (trend durato una decina d'anni). Per carità, l'Italia del metal è soprattutto altro, ma commercialmente ed internazionalmente quella è stata la corrente più nota. Nel corso degli ultimi tempi un vero e proprio tsunami è arrivato dalla Russia, portando una vagonata di gruppi con sé, dei più disparati generi e devo ammettere, che l'asticella della qualità è piuttosto spostata verso il basso. Vi confesso che mi sono avvicinato a questo lavoro degli Halberd con una certa diffidenza; diffidenza nata da approcci non proprio piacevoli con alcuni lavori giunti dall'ex Unione Sovietica. Risultato: prontamente smentito (dannati pregiudizi...). Ad un primo impatto sembra di trovarsi di fronte ad una band tedesca: strutture quadrate, chitarroni potenti e instancabili in quei riffoni “pieni” di plettrate alternate. Un sound pregevole, l'onda d'urto che scatena rischia di fare del male alle mie casse Wharfedale, che nonostante tutto mi invitano a far salire, di qualche tacca ancora, il volume. Musica da headbanging puro, senza compromessi e di una corposità notevolissima; vi assicuro che gruppi ben più blasonati degli Halberd non sono riusciti nello stesso intento di questi ragazzi, cioè quello di produrre musica per cuori di puro metallo e per thrashettoni della prima ora. Chi ama o ha amato gruppi tipo Kreator, Exodus, Death Angel, Testament o più recentemente Municipal Waste e Toxic Holocaust troverà pane per i propri denti: potenza, velocità, riffing killer, doppia cassa a volontà e tanta qualità. Il mix di elementi qui proposti sfiora la perfezione, sinceramente non ricordo un EP di questa qualità, nel corso dell'ultimo decennio; non mi sento di consigliare una traccia in particolare perchè sarei in difficoltà, sono “solo” 5 pezzi e meritano di essere ascoltati tutti d'un fiato, 20 minuti di pura goduria metallosa. Personalmente, si aggiudica la palma di migliore del lotto “Army of Reproachers” anche se la successiva title track non lascia scampo, con il suo devasto sonoro. Ve lo anticipo: non sarà una proposta che verrà ricordata per le innovazioni musicali proposte; qua di innovazioni, non ce ne sono proprio. C'è una cosa che, a mio avviso è più importante: c'è l'onesta. C'è l'onestà di proporre qualcosa che piaccia, prima di tutto, a chi suona; poi, benvenga, anche all'ascoltatore. Gli Halberd mi danno l'idea di essere il classico gruppo con “poche idee ma tutte estremamente chiare”; gli Halberd non sono nati per fare sperimentazioni, e non hanno neanche l'arroganza di proporle ad ogni costo. Fanno la loro onesta musica e la fanno bene, molto bene; avete presente quel giubbino di jeans smanicato pieno di toppe che avete nell'armadio? Passato di moda, ok, ma per voi sempre bellissimo...ecco, gli Halberd sono un po' come quel giubbino: forse non più di tendenza, ma oggettivamente di ottima fattura. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 90

domenica 2 febbraio 2014

Baradj – Nardughan

#PER CHI AMA: Post Folk Metal
Experimental post progressive hard melodic death bulgar folk rock metal core band. Fa bella vista di se in copertina, la descrizione del genere proposto da questi 4 ragazzi russi (per la precisione provengono dalla città di Kazan); se loro si definiscono così precisamente, noi ci crediamo. Per un “romantico” come me, tenere in mano un bel digipack curato come quello in questione, è già un ottimo punto di partenza; decisamente bello l'artwork, passiamo ad analizzare la scaletta che compone questo cd: titoli impronunciabili poiché cantati in lingua tartara, disegnano un puzzle composto da 16 tessere. Penso subito siano troppe, ma durante l'ascolto vengo puntualmente sconfessato in quanto molti pezzi sono veri e propri intermezzi strumentali perlopiù acustici. Veniamo al dunque: siamo di fronte ad un buon prodotto, lo anticipo subito, anche se qualcosa sembra non funzionare a dovere. Sarò più conciso della “autodefinizione” del genere proposto; essenzialmente si tratta di un buon metalcore abbastanza classicheggiante con fortissime influenze di musica folk tradizionale. Per intenderci una sorta di incrocio tra i migliori “nostri” Lacuna Coil e un duo di musicisti folk, armati di chitarre acustiche e vari strumenti tradizionali. Di metal estremo (sia esso death o thrash) non c'è traccia, al contrario di quanto dichiarato in copertina...ma consideriamolo un vizio di forma. I suoni sono molto curati e la tracklist scorre via senza intoppi e anche piuttosto piacevolmente, la prestazione strumentale è di tutto rispetto e la qualità media delle composizioni si attesta su un livello quantomeno discreto. Le clean vocals della “frontgirl” sono buone e si alternano a degli interventi in growl di un altro componente del quartetto, rendendo le canzoni piacevoli ma piuttosto monotone; mi riesce difficile, infatti, distinguere le canzoni l'una dalle altre (sarà per questo la ragione di un così massiccio uso di intermezzi strumentali?). Mi sento, comunque, di segnalare e apporre il segno “+” su alcune tracce , tra le quali spiccano la titletrack “Nardughan” , la davvero bella “Harkemnen” e la finale “Bars”. Come si suol dire, niente di nuovo sotto il sole...ma in questo caso l'importante è starci sotto il sole; anche se non passerà alla storia, questo cd ha delle qualità che mostrano un gruppo in ottima forma e con grandi capacità che devono essere soltanto messe a fuoco un po' meglio. Li attendo volentieri alla prossima prova, i Baradj ci sono e sanno il fatto loro; i risultati non tarderanno ad arrivare. (Claudio Catena)

(Self - 2012)
Voto: 70

http://www.baradj.com/

giovedì 9 gennaio 2014

Orbit Culture - Odyssey

#PER CHI AMA: Swedish Death, In Flames, Meshuggah, Gojira
Arriva giusto in tempo per essere messo sotto l'albero di Natale del “Pozzo” questa release digitale degli Orbit Culture. Il quartetto svedese non tradisce le proprie origini, proponendoci un gradevolissimo death melodico di scuola prettamente scandinava. La denominazione di origine controllata (e garantita) è confermata non appena faccio partire il player multimediale (per questo non potrò parlare di ciò che concerne artwork e packaging) in cui degli ottimi suoni fanno breccia nei miei timpani, riservando a loro un trattamento per così dire da “bastone e carota”. Precisissimi fraseggi alle 6-corde sfornano melodie molto riuscite che si alternano a batoste sonore create da riffoni in loop da headbanging forsennato; le growling vocals sono ben calibrate e mai fastidiose, il tutto miscelato sapientemente da un lavoro in studio estremamente chirurgico, solido e validissimo. Il lavoro in questione si compone di cinque tracce, più le stesse cinque tracce in versione strumentale (trend del momento a quanto pare, vedere per credere alla voce Evilness) che come ho avuto modo già di dire, consentono di apprezzarne meglio il lavoro “strumentale” ma non danno alcun valore aggiunto; in questo caso nessun problema, perchè bastano le cinque tracce complete di vocals per capire che questo 'Odyssey' è un lavoro ottimo, sotto ogni punto di vista. L'EP, se così lo si può definire, brilla di luce propria, anche se qualche bagliore di luce riflessa arriva da altrove: in alcuni riff si può scorgere la grande influenza degli immensi In Flames di 'The Jester Race', come più in generale i riferimenti a formazioni tipo Gojira e Meshuggah sono evidenti. Essendo ormai diventati veri “standard” del genere, ciò non intacca minimamente il valore di questa release che si mantiene veramente alto. Mi fa un piacere immenso venire a contatto con realtà di formazioni in grado di sfornare lavori di questo calibro, perchè è l'ennesima conferma che in giro c'è un sacco di ottima musica tutta da scoprire. Grande merito a questi quattro ragazzi svedesi per aver prodotto un bel lavoro, per essere in possesso di ottime capacità tecniche e soprattutto di avere delle idee ben focalizzate sul tipo di genere proposto; tra le mie tracce preferite sicuramente compaiono “Wildfire” e “The Planck Distance”, senza scordare la tellurica “The Sparrow”. Signori, qua il voto sarà alto; quando un disco non ha nessuna sbavatura di sorta, tipo questo, è merito esclusivo dei suoi autori. Pollice alto per gli Orbit Culture!!! (Claudio Catena)

martedì 12 novembre 2013

Evilness – Unreachable Clarity

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Metalcore
Apro questa mia recensione facendovi una domanda: vi è mai capitato di acquistare un disco a scatola chiusa? Arrivare a casa, scartare frettolosamente la confezione, estrarre il magico dischetto, inserirlo nel lettore e schiacciare play, sapendo a grandi linee quello che può aspettarvi ma senza alcuna sicurezza? Non avere letto neanche una recensione, ma essersi fidati di quel logo così fottutamente cattivo, essersi fatti ispirare dalla bella copertina. Partono le prime note e sono esattamente le note che avresti voluto sentire in quel momento: un sound dannatamente heavy, chitarroni compressi e potenti come uno schiacciasassi, linee di basso originali e coprotagoniste della “scena”, un drumming che definire perfetto pare poco...e a quel punto ti lasci andare e ti godi la “tua” musica, senti che calza a pennello come il tuo miglior paio di jeans che hai nell'armadio. Vi giuro che è esattamente la sensazione che ho avuto ascoltando questo lavoro, che ho ascoltato esclusivamente come release digitale, senza avere materialmente il cd tra le mani. Questi 4 ragazzi francesi danno vita ad un EP di 7 tracce più 3 bonus tracks strumentali (sono 3 pezzi del cd “regolare” senza la parte vocale), che da letteralmente la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di spessore assoluto. Uno spettacolo di disco. Troppo entusiasmo? No, non sono il tipo. Troppa enfasi? No, non fa per me. Allora? Tanta, tanta, tanta bella musica. Suonata bene, con una maestria che sembra appartenere solo ai gruppi “big” del genere, con un tiro pazzesco e che non smetterete di voler riascoltare; il thrash/death qui proposto rispetta per la maggior parte i canoni “standard”, ma niente pare come già sentito o scontato. Belle aperture melodiche si alternano a momenti di violenza sonora vera e propria, il growling è perfetto e rende i testi comprensibili all'ascolto, i pezzi si sviluppano su un minutaggio medio (4-5 minuti) il che giova all'economia del lavoro nella sua interezza. Compatto, quadrato, preciso, solido e chi più ne ha più ne metta, questo lavoro riesce a guadagnarsi complimenti a tutto spiano; se proprio devo muovere un appunto (ma nulla di più...), lo faccio riguardo alla poco comprensibile scelta, secondo me, di presentare non delle vere e proprie tracce strumentali ma bensì le stesse canzoni già presenti nella tracklist, modificate solo nel mixaggio e prive del cantato; cosa che alla fine fa apprezzare ancora di più la performance strumentale dei vari membri. Mi trovo in difficoltà nel dover segnalare delle tracce meritevoli di nota, in quanto l'asticella del livello qualitativo è spostata decisamente verso l'alto, ma le mie preferite in assoluto sono “Essence of Bitterness”, “Despised Decline” (TOP!!!),”Lies, Cries, Died”. Una prova maiuscola di un gruppo del quale, spero, sentiremo parlare presto; troppo bello questo materiale per rimanere sotterrato nei meandri del metal odierno. Personalmente, fino ad ora, uno dei Top Album del 2013, anche messo a confronto con lavori di nomi che hanno decine di album alle spalle. Chiudo la recensione con un'altra domanda: potranno diventare tra i grandi del Thrash/Death melodico? Secondo me, gli Evilness, lo sono già. Grandi. (Claudio Catena)

domenica 10 novembre 2013

Minority Sound - The Explorer

#PER CHI AMA: Cyber Death, Fear Factory
Da Praga con furore; potrebbe essere questo il “titolo” della mia recensione. I motivi? Primo, perchè siamo alle prese con un quartetto di musicisti della Repubblica Ceca; secondo, questi quattro ragazzi sono piuttosto incazzati. Risultato: un disco spaccatimpani (alzando la manetta del volume non si rimane delusi), esempio di simbiosi tra elettro/industrial/techno e metal bello peso; non a caso loro stessi definiscono il progetto come elettrometal che, devo anticiparvelo per integrità morale e “professionale”, non ha mai riscontrato i miei favori. O per lo meno, in moltissimi casi, con le relative eccezioni. I Minority Sound incidono questo disco nel 2012 per la Metalgate Records, che provvede a confezionare il cd in un elegantissimo digipack; qualcosa dell'artwork mi ha richiamato alcuni lavori dei NIN di Trent Reznor, e qualcosa me li ha richiamati anche sotto un punto di vista musicale col passare delle tracce. Visto che siamo in argomento richiami: ce n'è uno, evidentissimo, che è quello con gli Amorphis versione 2.0 (da 'Tuonela' in poi per intenderci...) e per quanto mi riguarda, questo è un pregio. La musica qua prodotta, si snoda tra continui stop and go, intermezzi elettronici, ritmi a tratti discomusic, a tratti un tappeto di doppia cassa da far invidia ai migliori Fear Factory; chitarre “sintetiche”, voci pulite in alternanza con scream vocals contribuiscono a creare una sorta di “confusione ben organizzata” che però sembra non centrare in pieno il bersaglio. Nel complesso il disco resta sospeso, innocuo; sicuramente d'impatto (alzando il volume, la potenza c'è eccome...) perde qualche punto analizzando il songwriting vero e proprio. Non ci sono particolari momenti di esaltante bellezza, mi sento solo di citare la buona “Load of Destruction” potenziale singolo, per il resto tanto e tanto mestiere...ma inteso nel senso meno nobile del significato del termine; di gruppi che doppiano con riff stoppati i colpi di cassa, ce ne sono stati e ce ne sono ancora molti, forse troppi. Paventavo una ventata di qualità maggiore, non mi aspettavo grosse novità (non è il caso di aspettarsele in ambito metal oggi come oggi); il lavoro comunque ha delle frecce al suo arco: molto buoni i suoni, preparazione tecnica eccellente, “pesantezza” che pervade le composizioni e tira legnate belle forti, molto buone le voci “clean”. Disco che purtroppo rimane per appassionati veri del genere, ostico avvicinarvisi se non si ha dimestichezza col genere proposto. Parlando di 'The Explorer', mi sento di affermare che si tratta più di un'occasione persa che di qualcos'altro; devo però riconoscere che col passare degli ascolti il disco cresce, ma non finisce mai di impressionarmi in maniera positiva, evitando questo è certo, di scivolare nel baratro del fallimento più totale. Per questa volta, peccato. (Claudio Catena)

(Metalgate Records - 2012)
Voto: 65

http://www.minoritysound.com/

mercoledì 23 ottobre 2013

Revolted Masses - Us or Them

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Soulfly, Sepultura
Entusiasmante. Questo il mio primo pensiero, cliccando il tasto repeat sul lettore cd. I Revolted Masses sono 5 ragazzi provenienti dalla Grecia che, dopo aver pubblicato 2 demo, danno alle stampe il loro esordio; al primo ascolto, il deja vu che mi è balenato in mente mi ha riportato a metà anni '90, quando un gruppetto di ragazzotti brasiliani decise di andare a distribuire per il mondo tonnellate di chitarre distorte piuttosto che carnascialeschi motivetti di samba. Erano i Sepultura del mastodontico “Chaos A.D.” e del mai troppo lodato “Roots”; come per i vini di classe e le pietanze prelibate, quello che si percepisce è un retrogusto Sepultura mai troppo invadente, ma persistente per tutte le 11 tracce. La personalità del gruppo è ben presente, il quadro musicale è definito da influenze che pescano a piene mani dalla musica mediorientale, il tappeto sonoro è thrash metal ed anche piuttosto pesante. I ragazzi suonano bene, pestano con criterio e quando decidono di farlo forte, assestano colpi che lasciano il segno. Entrando nello specifico, i primi due pezzi (“Savage Temper” e “ Us or Them”) sono devastanti, per potenza e bellezza. L'incipit del dischetto lascia senza fiato, “se dovesse continuare su questi livelli ci scappa il capolavoro...” penso subito, lasciando che le note colpiscano i timpani; la scaletta continua e ci sono almeno altri tre/quattro pezzi degni di nota, su tutti le mazzate “Deathblock 11” , “Tale of a Tortured Soul” e la conclusiva “Revolted Masses”, che sembra nata apposta per chiudere la scaletta con la giusta dose di violenza. Grande la prestazione agli strumenti, davvero ottime le parti di chitarra, la batteria ha un drumming vario e tecnico quanto basta, il basso fa la sua parte senza mai strafare e la voce è padrona di un bel timbro adattissimo al genere (qua siamo molto vicini a quello di Max Cavalera). Superba la produzione, che è in grado di bilanciare perfettamente tutti gli strumenti e di fornire suoni genuini, caldi ma che evita di far finire tutto in un pastone sonoro a cui molti gruppi ci hanno abituato (purtroppo); per quello che riguarda i testi, i Revolted Masses si riferiscono alla severa situazione economica mondiale, con un occhio di riguardo ovviamente alla situazione della loro nazione; mai banali e profondamente impegnati, gli ellenici hanno sfornato un cd di tutto rispetto, una piacevolissima sorpresa in un genere che ha rischiato più volte, nella sua pur breve storia, di rasentare una monotonia irritante. Insomma, cerco di farla breve: siamo di fronte ad un signor disco, composto e suonato con maestria notevole e che non deluderà chi vorrà accostarvici; chi non vorrà correre questo “rischio”, perderà una buona occasione per capire che la buona musica è ancora in giro. Entusiasmatevi anche voi con “Us or Them”. (Claudio Catena)

venerdì 4 ottobre 2013

Mean Messiah – Hell

#PER CHI AMA: Thrash/Death/Industrial, Nevermore, Fear Factory
Quando si dice “meglio soli che male accompagnati”…ecco, questo sembra proprio essere il caso dei Mean Messiah, progetto del musicista e produttore Dan Friml, dalla Repubblica Ceca. Il disco in questione, “Hell”, uscito lo scorso Luglio, è stato composto e suonato in tutte le sue parti dal talentuoso musicista, che sembra essere abbastanza a proprio agio a vestire i panni della “one man band” della situazione. La musica incisa si addentra in territori che appartengono al thrash-death piu’ tradizionale ma con decise virate verso elementi industrial e, spesso, verso sfumature che ricordano alcune influenze di un certo symphonic black metal (Cradle of filth e Dimmu Borgir su tutti). Limpide sono anche le affinità che si possono riscontrare verso gruppi come Fear Factory e Nevermore, il tutto condito da una buona prestazione a livello strumentale grazie alla buona performance di Dan. Il full lenght è una vera e propria mazzata assestata senza troppi fronzoli o sbrodolamenti (non troverete nemmeno un minimo accenno ad un assolo di chitarra), che rischia di far davvero male quando spinge a fondo l’acceleratore, con chitarre ultracompresse, scream vocals e pattern di doppia cassa che lasciano poco spazio a squarci melodici che, va detto, qua e là provano ad emergere dal quintale di lava incandescente che esce dalle casse dello stereo. Notevole la produzione del disco: suoni algidi, chirurgici, dal taglio netto, vestono alla perfezione il genere proposto e rappresentano il valore aggiunto del disco, che risulta a tratti, essere fin troppo monolitico; una maggiore varietà nel riffing proposto e nella velocità dei pezzi (up-tempo e blast beat si alternano rischiando di diventare troppo prevedibili) avrebbe giovato all’insieme della tracklist che comunque, rimane di buonissimo livello. La traccia d’apertura, “Temple of Hell”, si candida al titolo di highlight del disco, insidiata da vicinissimo da “The Last Ride” (in quest’ultima, si possono apprezzare passaggi di chitarra acustica e voci quasi sussurrate, davvero interessanti); plauso al talento indiscutibile del creatore/esecutore/produttore di “Hell” Dan Friml, già militante in formazioni preesistenti ai Mean Messiah (Sebastian, Apostasy), che è riuscito nell’intento di fornirci un buon prodotto, ben suonato e ben prodotto (a maggior ragione essendo un’autoproduzione) che non sfigurerebbe affatto nel catalogo di qualche label di “settore”. Obbligatorio alzare il volume…il moshpit sonoro che si scatenerà rischierà di trascinarvi all’inferno. (Claudio Catena)

(Self - 2013)
Voto: 70

http://www.meanmessiah.com/