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lunedì 5 aprile 2021

Halter - The Principles of Human Being

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Paradise Lost
Li abbiamo incontrati poche settimane fa per la riesumazione del loro primo album da parte della Wroth Emitter Records. Li ritroviamo oggi per raccontarvi del terzo lavoro, uscito a ottobre 2020 per la MFL Records, dopo la self release dell'estate scorsa. Il quintetto di Yaroslavl torna con 'The Principles of Human Being' che include sette nuove tracce, che proseguono all'insegna di un death doom canonico, almeno a livello ritmico e vocale. Quello che mi sorprende è invece l'approccio più morbido a livello solistico, cosi come la presenza di una produzione cristallina che esalta le doti del combo russo. Questo quanto si evince dall'apertura affidata a "Sisyphean Toil". "Seasons" continua sulla falsariga della precedente, con un sound cupo e minaccioso, ma quando si svela attraverso la sua parte solistica, beh è tutt'altra musica, mostrando le eccelse qualità strumentali della band, nonchè una certa raffinatezza nella ricerca di un gusto estetico. Stride un po' quindi l'accostamento tra un death doom di scuola primi Paradise Lost, ascoltate la ritmica di "Cobweb of Troubles" e ditemi anche voi se non avete pensato a 'Gothic', con la parte di prim'ordine affidata alle asce. Piuttosto lineare invece la robusta "Hiroshima's Scapegoats" che, fatto salvo ancora una volta per la porzione solistica, risulta meno brillante che da altre parti. Un bel basso apre "Spring Morning" alla stregua di "A Kiss to Remember" dei My Dying Bride, mancando però della medesima brillantezza in fase melo-dinamica della band inglese, proponendo qui un sound marcescente troppo ancorato ai vecchi stilemi del genere, fatto di una ritmica lenta e un growl possente. Buona la linea melodica dell'assolo ma manca una maggior freschezza compositiva a livello di songwriting. Ci si riprova con "Human Path" mala sensazione rimane quella del già ascoltato mille volte, sebbene in questa traccia ci sia un tentativo di migliorare le cose con un discreto break centrale. "As Nobody Returns" è l'ultimo atto di 'The Principles of Human Being': una breve ed elementare intro acustica prima di un sound nuovamente monolitico, qui ai limiti del funeral. Insomma, a mio avviso, c'è ancora da lavorare per togliersi di dosso la ruggine di un genere che sta scivolando nello stantio e nel prevedibile. Gli ottimi assoli giocano a favore dei nostri ma serve qualcosina in più per pensare di far uscire gli Halter dal sottobosco death doom. (Francesco Scarci)

mercoledì 17 marzo 2021

Halter - Omnipresence of Rat Race [2020 Reissue]

#PER CHI AMA: Death/Doom
Quella di oggi è una release che abbiamo già recensito qui sulle pagine del Pozzo. Era il 2013 e 'Omnipresence of Rat Race' dei russi Halter usciva per la MFL Records, proponendo un sound all'insegna di un sound cupo tra un doom claustrofobico e qualche sfuriata di canonico death metal. Nel 2020 la Wroth Emitter Productions ha pensato di riesumare quel lavoro e aggiungervi ben quattro tracce anche se l'ultima, "Zone of Alienation 2020", è una rivisitazione della vecchia song contenuta nell'album originale. Per ciò che concerne invece i nuovi brani, per i vecchi vi invito invece di andarvi a rileggere la vecchia recensione, diciamo che proseguono sulla falsariga di quanto ascoltato in precedenza, sciorinando un doom persistente e dai tratti vintage soprattutto nella linea delle chitarra e in un growl decisamente soffocato. Questo quanto ascoltato in "Water Through My Fingers", visto che "Wintry Day" si pone come un incedere ipnotico, una lunga marcetta ansiogena che trova dei punti di interesse in uno splendido assolo centrale, che strizza l'occhiolino al rock settantiano, per poi tornare a quel delirante avanzare che se ascoltato a più riprese rischia di invogliare il suicidio. "Blank" in realtà sono 20 secondi di vuoto, mentre la già citata "Zone of Alienation 2020" è stata rimasterizzata in una tonalità più ribassata con il sound più pulito e attualizzato che rendono giustizia ad una song che nella sua versione primigenia forse mancava di una maggiore verve. Insomma questa Reissue è un bel modo per apprezzare il debut album del quintetto di Yaroslavl, qui con contenuti extra che portano la durata dell'album a sfiorare i 70 minuti. Ostici comunque. (Francesco Scarci)

giovedì 19 novembre 2015

Halter - For the Abandoned

#PER CHI AMA: Funeral Doom/Sludge
Dire che il doom e i suoi derivati sono musiche tra le più costruttive e vitali tra i sottogeneri del metal mi sembra superfluo, ancor più quando mi ritrovo una band che milita tra le fila della MFL (Moscow Funeral League) di cui, visto la natura indipendente ed estremista, nutro una particolare venerazione e ammirazione. Gli Halter sono attivi dal 2009, arrivano da Yaroslavl e suonano funeral doom metal con una verve innata e una particolarità specifica, la dote di saperlo suonare con uno stile a metà strada tra innovazione e tradizione, slegandosi dai soliti canoni del genere in questione. La band russa, che peraltro abbiamo già avuto modo di recensire in occasione del precedente 'Omnipresence of Rat Race', si conferma carica di una certa suggestione magica, cupa, tetra, romantica e ancestrale, cosi come lo erano un tempo i Candlemass, presentando testi fortemente malinconici e drammatici, cantati da una voce gutturale evocativa, magnetica come quella dei Cathedral di 'In Memorium'. Il quintetto poi sfodera un carisma gotico di scuola Paradise lost epoca 'Gothic', applicando cadenze rallentate e sofisticate a la My Dying Bride (evidenziabili in "First Snow"), e introducendo con naturalezza elementi di classic metal (immaginate il sound degli In Solitude oppure il metal nordico dei Grand Magus, ma a rallentatore) che rendono l'ascolto più fruibile. Una cosa che ho apprezzato parecchio di questo gruppo, è il fatto che non rinunci mai ad un'attitudine rock sanguigna, a quel tocco in più che li eleva allo status di fuoriclasse del genere. Un'altra arma importante è la capacità di esplorare terreni diversi come nel caso della splendida, lunghissima e conclusiva "Ode to the Abandoned", che ci porge un intro carico di melodia guidato dal piano e un assolo che sembra invece rubato ad un classico brano hard rock degli anni settanta per calore ed armonia, soluzioni sonore originali e calibrate, interessanti ed intelligenti, inaspettate di scuola Ahab. Gli Halter con due full length e un EP all'attivo, sanno veramente come comporre e produrre un album degno di nota con suoni moderni, ricercati, avvolgenti e il passo lento, disarmante, che marchia a fuoco le sei tracce di questo 'For the Abandoned'. Un artwork di copertina poi bello ed originale, inaspettato come il suono della band, completa saggiamente la release dei nostri. Un album che sta al di sopra della media, carico di pathos e che stranamente non fa della lentezza la sua unica arma vincente, un lavoro che mostra mille altre sfaccettature per sottolineare un'appartenenza radicata alla musica del destino. Un disco da riascoltare più volte e farsi stupire sempre di più da una manciata di brani che lasceranno il segno, diversi, difficili da rinchiudere nel solo genere funeral, pieni di carisma e urticanti al punto giusto, insomma gli Halter sono una band da portarsi anche nell'oltretomba! (Bob Stoner)

giovedì 5 giugno 2014

Halter - Omnipresence of Rat Race

#PER CHI AMA: Death/Doom 
Prodotti dalla ormai nota MFL records, gli Halter danno alle stampe questo cd dalle fortissime tonalità oscure; i ritmi rallentati e le voci gutturali rendono l'album estremamente cupo e tetro, adatto essenzialmente ad un ascolto attento e non “di sottofondo”. Le 5 tracce che compongono il cd fanno subito intendere che le lunghezze delle tracce sia notevole, ed infatti non si scende mai sotto i 6 minuti, con punte massime per la traccia finale di 12 minuti. Doom, doom e poi doom allo stato puro, poche le divagazioni, anche se la tipologia di vocals e il suono delle chitarre rimanda a canoni del death metal; i suoni puliti e non impastati rendono la fruibilità del lavoro più gradevole per quello che ci si può aspettare da un monolite del genere. Riffoni pesantissimi e di scuola Iommi pervadono le intere composizioni, un drumming soffocante e buone linee di basso sono capaci di creare atmosfere sulfuree, ma pienamente godibili. Servono più ascolti per comprendere appieno le qualità del cd che alla fine non delude affatto; le canzoni sono ben strutturate, anche se a mio parere, una durata inferiore di tutto l'insieme avrebbe giovato soprattutto all'ascoltatore, che deve resistere fino alla fine, evitando la tentazione di skippare in qualche occasione. Nota di demerito per non aver indicato nel booklet i componenti del gruppo, anche se non mancano i rimandi alla loro pagina myspace. I testi, stampati in giallo su sfondo marrone e giallo rischiano di farvi vivere un'esperienza lisergica, davvero troppo difficili da leggere. Ma ribadisco, la musica alla fine si rivela di buona qualità: non posso fare a meno di citare le interessanti “Of the Part of Herd” e “Graves are not Full” e la fin troppo "Sabbathiana" (non un difetto intendiamoci...) “Autumn Night”. Senza dubbio avrei preferito delle vocals un po' più pulite su questo letto di note, poiché questo tipo di growling estremo rischia di appesantire ancora di più una situazione sonora che di leggero ha davvero poco... comunque gli Halter avranno tutto il tempo per sperimentare nuove strade o per affinare le loro già presenti abilità musicali e compositive. Siamo già su livelli piuttosto alti e per quello che mi riguarda al momento, basta quello che si può ascoltare in questo 'Omnipresence of Rat Race', senza ombra di dubbio. (Claudio Catena)

(MFL Records - 2013)
Voto: 70