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sabato 15 marzo 2014

Halberd - Ruthless Game

#PER CHI AMA: Thrash Death, Exodus, Kreator
Esistevano, fino a qualche anno fa, le cosiddette “scuole” del metal: quella tedesca, molto classicheggiante, impassibile nel suo immobilismo e poco avvezza ad innovazioni di qualsivoglia tipologia; quella americana, che conosciamo tutti come la più varia; quella scandinava, votata ad un estremismo più accentuato e, per amor di patria, quella italiana che vedeva draghi ed elfi combattere sulle varie copertine dei più disparati gruppi che narravano interminabili saghe Tolkeniane (trend durato una decina d'anni). Per carità, l'Italia del metal è soprattutto altro, ma commercialmente ed internazionalmente quella è stata la corrente più nota. Nel corso degli ultimi tempi un vero e proprio tsunami è arrivato dalla Russia, portando una vagonata di gruppi con sé, dei più disparati generi e devo ammettere, che l'asticella della qualità è piuttosto spostata verso il basso. Vi confesso che mi sono avvicinato a questo lavoro degli Halberd con una certa diffidenza; diffidenza nata da approcci non proprio piacevoli con alcuni lavori giunti dall'ex Unione Sovietica. Risultato: prontamente smentito (dannati pregiudizi...). Ad un primo impatto sembra di trovarsi di fronte ad una band tedesca: strutture quadrate, chitarroni potenti e instancabili in quei riffoni “pieni” di plettrate alternate. Un sound pregevole, l'onda d'urto che scatena rischia di fare del male alle mie casse Wharfedale, che nonostante tutto mi invitano a far salire, di qualche tacca ancora, il volume. Musica da headbanging puro, senza compromessi e di una corposità notevolissima; vi assicuro che gruppi ben più blasonati degli Halberd non sono riusciti nello stesso intento di questi ragazzi, cioè quello di produrre musica per cuori di puro metallo e per thrashettoni della prima ora. Chi ama o ha amato gruppi tipo Kreator, Exodus, Death Angel, Testament o più recentemente Municipal Waste e Toxic Holocaust troverà pane per i propri denti: potenza, velocità, riffing killer, doppia cassa a volontà e tanta qualità. Il mix di elementi qui proposti sfiora la perfezione, sinceramente non ricordo un EP di questa qualità, nel corso dell'ultimo decennio; non mi sento di consigliare una traccia in particolare perchè sarei in difficoltà, sono “solo” 5 pezzi e meritano di essere ascoltati tutti d'un fiato, 20 minuti di pura goduria metallosa. Personalmente, si aggiudica la palma di migliore del lotto “Army of Reproachers” anche se la successiva title track non lascia scampo, con il suo devasto sonoro. Ve lo anticipo: non sarà una proposta che verrà ricordata per le innovazioni musicali proposte; qua di innovazioni, non ce ne sono proprio. C'è una cosa che, a mio avviso è più importante: c'è l'onesta. C'è l'onestà di proporre qualcosa che piaccia, prima di tutto, a chi suona; poi, benvenga, anche all'ascoltatore. Gli Halberd mi danno l'idea di essere il classico gruppo con “poche idee ma tutte estremamente chiare”; gli Halberd non sono nati per fare sperimentazioni, e non hanno neanche l'arroganza di proporle ad ogni costo. Fanno la loro onesta musica e la fanno bene, molto bene; avete presente quel giubbino di jeans smanicato pieno di toppe che avete nell'armadio? Passato di moda, ok, ma per voi sempre bellissimo...ecco, gli Halberd sono un po' come quel giubbino: forse non più di tendenza, ma oggettivamente di ottima fattura. (Claudio Catena)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 90

Nibiru - Netrayoni

#PER CHI AMA: Sludge/Drone/Space rock
Indossate anche voi la kesa e preparatevi ad entrare nello spirituale mondo degli sciamani Nibiru. La cover cd di 'Netrayoni' rappresenta infatti una fotografia di uno dei luoghi più mistici al mondo, il sito archeologico di Angkor in Cambogia, centro politico-religioso dell'impero Kmer, da cui il trio piemontese deve essere stato profondamente affascinato. Imponente doppio cd per i nostri, un album in cui le tracce sono state improvvisate e registrate all'Aadya's Temple Studios di Torino. Il primo cd, 'First Ritual: The Kaula's Circle' si apre con le perturbazioni sonore di "Kshanika Mukta", monolitica song di oltre 17 minuti, che nel suo incedere stantio, ci nutre di riverberi drone, lamenti ritualisti enochiani e inquietanti frammenti di dialoghi cinematografici che producono un profondo senso di malessere. Dimenticavo una premessa d'obbligo per tutti coloro che si avvicineranno a questa intrigante opera: la sua scarsa accessibilità metterà a dura prova i vostri neuroni. Si parlava di improvvisazione, ma a differenza del jazz che molto spesso scorre dinamico nella sua delirante esposizione, qui il suono si contorce su se stesso, con un riffing lento e malato, epigono per certi versi, della proposta dei ben più famosi colleghi Ufomammut. La seconda "Apsara" ha un piglio differente dall'opening track; si tratta di una song più strutturata, dotata di una maggiore 'dinamicità', sebbene si confermi un rifferama che si dipana tra un liquido drone e le fughe allucinogene della psichedelia, mostrando una spiritualità stoner. Il risultato è sicuramente ossessivo e se anche voi dopo la prima mezz'ora proverete un forte senso d'asfissia, vi confermo si tratti dell'effetto a cui la band stava puntando. Faccio una prima pausa per desaturare la mia mente. Quando riattacco, mi accorgo che la noisy "Sekhet Aahru" dura solo cinque minuti, giusto un intermezzo in cui mi sembra faccia la sua comparsa il suono di un didgeridoo. "Qaa-om Sapah" necessita di oltre tre minuti di litaniche vocals per carburare, ma quando parte, si rivelerà come il pezzo che più si avvicina ad una vera e propria song: un turbinio di chitarre, un basso dirompente e percussioni avvolte da un'aura mefitica, un brano in cui si fa più forte una vibrante componente doom/sludge, oltre che psych rock e ambient. Il primo cd si chiude con l'acustica "Arkashani". Seconda pausa, giusto il tempo per infilare 'Second Ritual: Tears of Kaly' e far partire "Kwaw-loon", altra maratona di 16 minuti abbondanti, in cui il trio malefico, formato da Ardath, Siatris e Ri, assume sembianze più umane, senza tuttavia perdere il distintivo alone mantrico che li contraddistingue. Il cantato è sofferente ma in questo contesto è perfetto; un muro di riff lisergici e loop surreali suonati a rallentatore si insinuano nella mia fragile mente, alterando le mie funzioni sensoriali. Ormai alienato dalla realtà, "Sekhmet" (song che si rifà ad un mito egizio) con le sue atmosfere space rock, mi restituisce un senso di tranquillità e pace ridando finalmente armonia al mio corpo e ai miei sensi, quell'equilibrio che era andato perduto nella prima parte della release e comunque lontano dalla schizofrenia di tutti i giorni. La terza "Celeste: Samsara is Broken" è un pezzo rimasterizzato derivante dalle session del precedente 'Caosgon', da cui è stato estrapolato anche un video. Una massiccia song drone/sludge/space che mi riporta alle cerimonie induiste a cui mi è capitato di partecipare in uno dei templi indù in India. "Viparita Karani" oscilla ancora tra richiami seventies e il doom, con una bella effettistica space rock. A chiudere 'Netrayoni', album di 95 minuti carico di aspettative, ci pensa "Sothis" con le eteree tastiere accompagnate dai vocalizzi da oltretomba. Monumentali (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 80

giovedì 13 marzo 2014

Def/Light - Transcendevil

#PER CHI AMA: Black Symph./Death, Cradle of Filth, Behemoth, Dimmu Borgir 
Scrivere recensioni ogni tanto è più difficile del previsto, per una certa fatica nel reperire le informazioni delle band. Il cd di quest'oggi mi arriva direttamente dalla etichetta discografica dei nostri, ma zero informazioni incluse e il web non brulica certo di notizie che agevolino la mia vita. L'intro che apre 'Transcendevil' mi è di aiuto almeno per individuare il genere proposto, richiamandomi i bei tempi andati, quegli anni '90 in cui il black sinfonico capitanato da Cradle of Filth, Emperor e Dimmu Borgir, andava per la maggiore. I ragazzi dei Def/Light, band ucraina alla sua seconda fatica, devono essere stati dei grandi estimatori dell'epoca (come il sottoscritto del resto) tuttavia arrivano con un po' di ritardo con la propria proposta. Un black metal dalle tinte vampiresche che fin da "Neo-dont-s" richiama Dani Filth e soci. Che palle penserete voi. Anch'io devo ammettere l'ho pensato, per quanto sia un fan della prima ora di tutte le band che ho citato sopra. La voce da vampiro non manca al buon Pavel Chinenkov e nemmeno quell'aura mefistofelica che da sempre ammanta la proposta della band di Suffolk. E cosi, per semplificarvi la vita nel comprendere al meglio i Def/Light, potreste pensare ad una versione più death metal oriented dei Cradle/Dimmu, che alterna sfuriatone black tempestate da organi e tastiere con ritmiche serrate in pieno stile death (e Behemoth) condito da qualche buon assolo. Le vocals seguono un po' questo andamento, passando dallo screaming al growling, ma il singer (come Dani del resto) alla fine, canta un po' troppo per i miei gusti, stancandomi dopo qualche manciata di pezzi. Le parti più orchestrate ("Homo Novus" e "Dark Liturgy" ne sono la dimostrazione più lampante) che fungono da bridge tra le parti veloci e quelle più atmosferiche, sono state prese in prestito direttamente da "Progenies of the Great Apocalypse" dei Dimmu Borgir. Tante ombre e poche luci alla fine su questo 'Transcendevil' che giunge con più di 10 anni di ritardo rispetto agli originali. Ecco l'originalità, ciò che realmente manca ai sei guerrieri ucraini, sebbene le keys (ottima a tal proposito la bonus "Septem Millio") e le chitarre non siano affatto deprecabili, mentre pollice verso per il drumming, per quanto veloce sia, alla fine il suono della batteria risulta troppo plastificato. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, ma musica per soli nostalgici del black sinfonico. (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013) 
Voto: 60 

martedì 11 marzo 2014

Murmurists – I Cannot Tell You Where I Am Until I Love You

#PER CHI AMA: Experimental, Avantgarde, Brian Eno, Tim Hecker, Jim O' Rourke
Geniale o folle? Questo lavoro di Anthony Donovan, sperimentatore, compositore, musicista e scrittore con base in Inghilterra, sicuramente desterà sospetto e meraviglia. L'album sotto l'insegna Murmurists esce per l'Alrealon musique ed esplora psicologiche vie concettuali sul tema dell'amore, recitate e parlate, canticchiate e sussurrate da una schiera di interpreti e improvvisatori ignari del risultato finale del disco. Un disco magico, difficile, atipico, amaro, inusuale. Un disco che deve essere considerato come il surreale gioiellino di Brian Eno, Music for Airports, mescolato a umori siderali stile Ulver, quelli della colonna sonora 'Svidd Negger' per intenderci e folate industrial dal tocco soave, intellettuale, con rispetto e ammirazione verso il miglior Tim Hecker. Per intenderci uno shoegaze da salotto colto pieno di narrazioni, storie, voci narranti, particolari di vite vissute, attimi di riflessione. Anthony Donovan, già collaboratore di una lunga scia di musicisti, tra cui anche il mitico John Zorn, mostra tutta la sua potenza in un concept di quarantacinque minuti raggruppato in un unico infinito brano che si snoda in variegati, psichici paesaggi sonori giocati ai confini dell'elettronica più intima, alternativa e ricercata. Qui, l'ambient è di casa, non porta mai una chiave marcatamente ossessiva od oscura ma al contrario mostra con forza la sua anima più profonda e pensante. Un approccio alla musica lontanissimo dai modelli attuali, con uno spirito di ribellione fortissimo ma decisamente controllato, pudico e raffinato, una specie di Throbbing Gristle, invecchiati, maturati, silenziosi e saggi, rilassati e introspettivi che condividono un buon libro su di un tavolo, nel silenzio di una biblioteca con il Jim O' Rourke di 'Pedal and Pedal'. Assurdo, intelligente e intrigante. Esperienza da vivere! (Bob Stoner)

(Alrealon Musique - 2013)
Voto: 70

Sandveiss – Scream Queen

#PER CHI AMA: Hard Rock, Black Label Society, Stoner, Ozzy
Chi si ricorda dei Pride and Glory, il progetto solista di Zakk Wilde prima dei Black Label Society? Ebbene, in più di un punto questo esordio dei canadesi Sandveiss mi ha ricordato proprio quel (bellissimo) disco, con il suo hard ciccione e ultracompresso, magari con qualche strizzatina d’occhio verso il vecchio continente laddove quell’altro era caratterizzato da un’impronta fortemente sudista. Quindi quello che abbiamo tra le mani è un vero e proprio disco hard rock, moderno e potente, appena al confine con lo stoner o un certo grunge (Soundgarden e Alice in Chains), sullo stile, per esempio, dei Sasquatch, suonato con stile e perizia, prodotto benissimo e forte della carismatica presenza di un cantante davvero bravo, a metà strada fra il già citato Zakk Wilde e Chris Cornell. “Blindsided” apre l’album come meglio non si potrebbe: un mid-tempo dal riff assassino con tutto, ma proprio tutto, al posto giusto. Segue il trascinante stomp pestone di “Do You Really Know”, e si procede senza segni di cedimenti per tutta la durata dell’album. Non c’è traccia di ballate o ammorbidimento alcuno, anzi, un pezzo come “Scar” potrebbe aver fatto bella mostra di sé in un album di Ozzy degli anni '90, con quel super riff che a me ha ricordato addirittura gli In Flames. C’è spazio anche per un’incursione nello stoner più influenzato dal doom con “Bottomless Lies”, che potrebbe uscire da un disco dei Red Fang e che risulta uno dei vertici del disco. Tutto sembra perfino troppo perfetto per essere vero: un gran cantante, una ritmica implacabile e dinamica e una chitarra affilata ma mai sopra le righe, sempre puntuale e piuttosto classica nei riferimenti. Otto pezzi perfettamente congegnati, suonati divinamente e registrati benissimo, in modo da suonare classici ma mai nostalgici o passatisti. Ottimo esordio in un ambito nel quale risulta sempre più difficile avere qualcosa da dire. (Mauro Catena)

(Self - 2013)
Voto: 80

OJM - Volcano

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Garage Rock
Gli OJM sono una piacevole realtà italiana che calca la scena dal lontano 1997, nascendo prima come band stoner rock, e poi trovando nel garage mescolato al rock anni settanta la loro vera fonte di ispirazione. Molti concerti in Italia/Europa ed importanti collaborazioni sono sinonimo di musicisti che ci sanno fare e soprattutto che ci credono. Con questo 'Volcano' gli OJM confermano il loro sound e con l'introduzione di un nuovo elemento del gruppo dedito al piano/organo, fanno capire che passano dei pensieri malsani per la mente. Infatti "Ocean Hearts" approfitta della new entry per creare un'atmosfera psichedelica fatta di chitarre e sezione ritmica che scalcia e si dimena. Un pezzo che ti lascia di stucco per la cura nei minimi dettagli e ti porta indietro di 30-40 anni con un viaggio lisergico in pure stile '70s. Verso la fine le tastiere si lanciano in un bellissimo duetto danzante con la chitarra del buon Andrew e l'opera d'arte è fatta e servita, tanto che vi ritroverete madidi di puro rock senza rendervene conto. Poi si passa ad "Escort" e gli OJM acquistano potenza, riff granitici che risentono dei trascorsi stoner e una voce carica di riverbero a ricreare atmosfere psichedeliche a noi molto care. Assoli pregni di wah che urlano e si contorcono come in una danza di accoppiamento primordiale, una batteria forsennata e un basso distorto completano questa gemma musicale da sfoderare quando tutto sembra perduto e nulla può salvarci dalla musica arida e insignificante. "Disorder" riprende i suoni e la frenesia del garage rock con una gran cavalcata tanto veloce quando breve (poco più di due minuti). Forse troppo poco per lasciare qualcosa a chi l'ascolta. Passate a "Rainbow", molto meglio anche in termini di arrangiamenti e mood. A questo punto possiamo dire che i nostri amici veneti sono tutto fuorchè statici e il loro percorso artistico lo dimostra. Se provate a mettere sul giradischi la riedizione in vinile di 'Heavy' del 2002, vi sembrerà quasi impossibile che sia lo stesso gruppo. Questo vuol dire avere le palle e lavorare duro alla ricerca della propria identità, mettendosi in gioco e rischiando tanto. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2010)
Voto: 85

domenica 9 marzo 2014

Varego - Blindness of the Sun

#PER CHI AMA: Stoner/Post Metal 
Ammetto di essere stato ammaliato dalla cover di questo cd, pregna di una certa simbologia esoterica, ancor prima della musica proposta dal five-pieces ligure. Chiaro che quando 'Blindness of the Sun' inizia poi a girare nel lettore, uno strabuzzi gli occhi, tenga le orecchie ben aperte e si concentri su un sound abbastanza inedito. Dopo una pseudo intro, integrata nei primi secondi di "Hesperian", si palesa l'offerta enigmatica del combo italico, egregiamente coadiuvato alla consolle da Billy Anderson (Sleep, Eyehategod, Mr. Bungle, solo per citarne alcuni). La song è spettrale sin dalla sua iniziale componentistica noise, che spiana la strada ad una ritmica articolata che shakera in egual dosi, stoner, sludge e post metal, con i vocalist che propongono un vasto repertorio vocale, passando dal clean allo scream con larga disinvoltura. Quello che più mi spiazza in questo pezzo sono delle sventagliate brutali a livello di riffing, che provocano un forte trasalimento emotivo. Con "Secrets Untold" è il fantasma dei Voivod a materializzarsi nelle melodiche linee bizzarre di chitarra, con il sound che tende ad aumentare la propria devianza cerebrale. L'accordatura è ribassata, il basso è pulsante, veemente, e le vocals schizoidi. Le fughe dalle parti dello stoner, della psichedelia o dello space rock settantiano, raggiungono elevati livelli di misticismo. Mentre leggo i testi, non posso che apprezzare la brillante scelta estetica anche nel dover combinare, come i tasselli di un puzzle, le liriche a costruire un altro disegno, dietro il quale si nasconderanno altri simboli esoterici. Nel frattempo è già partita la strumentale "The Flight of the I", song decisamente fuori dagli schemi, per non dire folle, dominata dalla tromba incandescente di Mr. JJ Sansone (Casinò Royale e La Crus) e da atmosfere che ambiscono decisamente alla catarsi. Il suono magmatico del quintetto sfocia in "Of Drowning Stars" in cui fa la sua comparsa addirittura Jarboe. L'ex vocalist degli Swans regala la sua preziosa performance su un sound già di per sé di elevata qualità, ma che di sicuro non mostra un'altrettanta accessibilità. Si perché, se una pecca la si deve trovare ai Varego (nome che deriva da una pianta terapeutica) è proprio quella relativa ad una certa difficoltà ad avvicinarsi al loro sound. Ma voi non abbiate timore e fate vostro 'Blindness of the Sun', non fosse altro che solo l'edizione limitata di questo cd in una confezione simile ad un 7", meriti l'acquisto. Splendida scoperta per una band destinata a sfondare. (Francesco Scarci)

I must admit the cover of this CD, full of a kind of esoteric symbolism, caught my attention even earlier than the music by the five-piece from Liguria. As soon as 'Blindness of the Sun' starts, I open my eyes wide, and keep my ears open, focusing on a quite unusual sound. After a sort of intro, "Hesperian" discloses the enigmatic proposal of the Italian act, very well supported at the console by Billy Anderson (Sleep, Eyehategod and Mr. Bungle). The song with its initial ghostly noise paves the way to a rhythm that blends, in equal doses, stoner, sludge and post-metal, with the vocalists that offer a wide vocal repertoire, from cleaning to screaming. What mainly struck me in this song are its brutal riffings, which cause a strong emotional startle. With "Untold Secrets" the ghost of Voivod materializes in bizarre and melodic guitar lines, with a sound that aims to increase a certain cerebral deviance. The tuning is lowered, as well as the vehement line of the bass; the vocals are schizoid. Breaks of stoner, psychedelic or 70s space rock achieve high levels of mysticism. Regarding the lyrics, I must appreciate the brilliant aesthetic choice of combining, like pieces of a puzzle, the lyrics papers building a drawing which hides other esoteric symbols. Meanwhile, the instrumental "The Flight of the I" is definitely outside-the-box and avant-garde, bordering on crazy**, dominated by the incandescent trumpt of Mr. JJ Sansone (Casino Royale and La Crus) cathartic atmospheres. The sound of the eruptive quintet flows into "Stars of Drowning" where Jarboe appears. The former vocalist of Swans offers her excellent performance on a sound already of high quality, but that certainly does not show an easy accessibility. If I had to find a flaw for Varego (name derived from a therapeutic plant) is a certain difficulty to get closer to their sound. But don't be afraid and grab 'Blindness of the Sun', also because its amazing limited edition, similar to a 7", is worth your purchase. A wonderful discovery of a band destined to a break through. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2013)
Voto/Score: 75

https://www.facebook.com/varego

sabato 8 marzo 2014

Merging With Machines - The Singularity

#PER CHI AMA: Death/Industrial, Fear Factory
Il nome Merging With Machines la dice tutta su quello che può essere il genere proposto dalla band del Wisconsin. "L'unione con le macchine" mi sa infatti molto di suoni cibernetico/industriali e quando attacco il platter nel mio lettore, vengo immediatamente investito da un suono potente, glaciale nel suo lento incedere, cupo anche nella prestazione del vocalist Chad, che insieme al suo compagno Jayson, formano questo enigmatico combo statunitense, di cui non si trovano molte informazioni nella rete, per non dire nessuna. Non è neppure molto semplice l'approccio a questo 'The Singularity', disco scorbutico che si rifà ai dettami dei primi Fear Factory. Un sound massiccio quindi, corroborato da un'effettistica che spesso rappresenta l'elemento vincente dei vari pezzi, o comunque che rende di poco più accessibile la proposta dei nostri due impavidi musicisti. Dicevo che le song non sono cosi immediate nel loro ascolto: stralunate, distorte e angoscianti, offrono spunti interessanti e altri un po' più duri da digerire. "Where Titans Slept" è una corsa contro il tempo dove accanto al growling nerboruto di Chad si accostano anche delle clean vocals (che in altri pezzi si riveleranno decisamente più interessanti come nell'ultima e vincente "Special Access Project 323", granitica ma un po' più varia, la migliore del lotto). "Oblivious" è invece ipnotica, schizoide a tratti, in cui a fondersi è un ipotetico ibrido tra i già citati FF e i folli australiani Alchemist. "They Live We Sleep" è un'altra song in cui forti sono gli echi industrial soprattutto nel suo incipit all'insegna dell'electro sound. Poi, un po' una costante di tutto il lavoro, i nostri avanzano con tono mortifero, come i cingoli arrugginiti di un carro armato portatore di morte. L'effetto assoluto è quello di creare un profondo senso di turbamento interiore che rende più difficoltoso il respiro. Un po' di EBM nella quinta brevissima traccia che ci introduce alla muscolosa e letale "Keyhole Patrol". Fortunatamente, le tracce sono tutte piuttosto brevi altrimenti sarei rimasto schiacciato dalla pesantezza cerebrale dei nostri. Niente male la strumentale "Neurolink Fragmenter" che rispolvera un che dei Nocturnus di 'Thresholds' e la nevrotica "Nerve Circuit Betrayer". Più vado avanti nell'ascolto però e più i neuroni nel mio cervello si intrecciano e l'effetto percepito è quello di una sonora ubriacatura del sabato sera (vomito incluso). La proposta dei Merging With Machine è di sicuro originale, ma certamente non sarà fruibile da un vasto pubblico, ma forse non è l'effetto voluto da questi due misantropi americani. Non me ne vogliano i nostri, ma mezzo voto in meno al disco è legato solo alla sua scarsa accessibilità. (Francesco Scarci)

Lord First - The Wordless Wisdom of Lord First

#FOR FANS OF: NWOBHM, Iron Maiden, Mercyful Fate
Although the words "Lord" and "Fist" are each powerful standing alone, their juxtaposition as "Lord Fist" can be construed as somewhat homo-erotically suggestive, especially considered in the light of the title of the third track, “Velvet Gods” (more on this track below). I don't know if this was the band's intent, i.e., are they first openly gay metal band? If so, in this day and age, I would think that their music should speak for itself regardless, as when Rob Halford publicly outed himself years ago, he amusedly commented that no one noticed his S&M stage regalia (leather and studs) as being derived from the homosexual subculture of the 1970s. Yet he lost no popularity in his standing as the "Metal God" as a result of that personal revelation. I have noticed that vocalist sticks primarily to his lower register except for one high scream introducing the break on "Velvet Gods". It's clear that whoever is handling the vocal chores has a competent singing voice, although most of the melodies are rather monotone, in that regard, and could use some harmonies on the song choruses and refrains—we do hear some of this on “Velvet Gods”, but it sounds like multitracked unison vocals of the same voice, not the harmonious combining of several different voices. Upon later re-listenings I discovered that there actually are some subtle harmonies buried in here, they are the same voice, and they fail to grab the listener’s ear (I couldn’t detect the harmonies until I played the song back through headphones vs speakers in my car). Based on this, I assume that one of the instrumentalists (probably the rhythm guitarist) is also the vocalist? It is refreshing to hear heavy music without the requisite death or black metal percussive growls, which seem to have become de rigeur in all metal subgenres save for power and progressive metal. Even symphonic metal seems to have adopted the juxtaposition of an operatic female vocalist on some verses contrasted against the guttural, neo-percussive vocal growls and rasps which have become so common on so much metal music today. However, that having been said, the vocal timbre doesn't stand out as its own instrument, particularly as the vocals are practically buried in the mix on the first track. This leading track, entitled “Lord of the Night” starts off with a hammered-on riff--removing the pick attack--along with glissando chord accompaniment. It then breaks into a thrash beat, with numerous high speed repeating atonal riffs over the top of the rhythm: almost a 'Maiden meets Slayer meets Dragonforce' kind of vibe, except the overall recording has a very demo-ish sound to it. The drum kit is pretty dry, but the snare, instead of having a sharp 'snap' to it, instead has a 'boxy', amateurish tone, that is distracting from a band trying to present itself as a metal band. The guitar distortion on the rhythm guitars sounds like a weak, early-mid 1960s kind of rock distortion, neither scooped nor having the heavy bottom expected from heavy metal guitars on modern-day recordings. The lead guitar's tone sounds almost like a mild, jazzy overdrive, sort of out of place in these type of compositions. The second track, “Headless Rider” starts off with a drum beat with a bass riff which sounds like an homage to early Paul Di’Anno/Steve Harris-era Maiden. First one guitar starts playing a modal riff, then a second, blends with a twin guitar harmony lines reminiscent of Thin Lizzy. The closing track, “Fire Within”, starts to show the potential of Lord Fist, with more interesting and soulful vocal melodies, than the first three tracks. Also, the riff-progression toward the second half of the song makes a nod to the minor tonalities of classic Sabbath. I’m not sure if “Wordless Wisdom of Lord Fist” is Lord Fist’s first or second release, as I found what was labeled as a demo of theirs elsewhere, entitled “Spark for the Night” which also consisted of four songs. The songwriting and production of “Spark…” seemed more mature than those “Wordless Wisdom….” In any case, the second half of “Wordless Wisdom” seems to contain the better tracks of this release. With an overall improvement in production (updating the guitar and drum tones from the 1960s-era studio sound/1980s basement demo sound), they could well appeal to fans of Maiden, Sabbath, and peripherally, even Thin Lizzy—if they continue to use modal guitar harmonies as a feature in most of their compositions. I think they should continue to shape their style in the vein of classic rock and power metal as that seems to be the niche that fits them best, and this reviewer believes that it is from there that their best material will be yet to come. (Bob Szekely)

(Ektro Records - 2013)
Score: 70

https://www.facebook.com/lordfistlegions

venerdì 7 marzo 2014

Obsidian Tongue - A Nest of Ravens in the Throat of Time

#PER CHI AMA: Cascadian Black, Agalloch
L'Hypnotic Dirge Records continua la sua ricerca nel più profondo underground, alla ricerca di band che abbiano qualcosa di interessante da dire in ambito black metal. Oggi mi soffermo a disquisire sul secondo capitolo della discografia degli statunitensi Obsidian Tongue, che fin dalla copertina hanno richiamato in un qualche modo la mia attenzione. Un viso stilizzato in bianco e nero con (credo) delle penne sulla testa e una simbologia ritualistica che ha evocato nella mia mente un qualcosa dell'immaginario indiano (d'America), mi ha indotto a credere di avere per le mani un qualcosa di estremo contaminato in un qualche modo dai canti e musiche dei pellerossa. La mia fantasia viaggia troppo velocemente perchè quando i nove minuti abbondanti di "Brothers in the Stars" fanno la loro comparsa nel mio stereo, vengo aggredito da una bella scarica di puro e cupo metallo nero che non lascia tregua, non fosse altro per qualche intermezzo atmosferico, che il duo del Massachussets ogni tanto si concede. Con la successiva "Black Hole in Human Form", la band statunitense cambia leggermente registro sporcando il proprio feroce sound con un incedere inizialmente doom. Chiaro che quando i nostri pestano sull'acceleratore, i toni si fanno più aspri e taglienti. I martellanti blast beat della song e gli improvvisi rallentamenti/divagazioni, finiscono per delineare la componente post-black dell'ex one man band di Brendan Hayter. Un arpeggio sul finire della traccia mi concede il tempo di rifiatare, prima di essere inglobato dalla suadente melodia di "My Hands Were Made to Hold the Wind", che mi permette di inquadrare i nostri da un punto di vista differente da quello sin qui descritto. La song infatti è decisamente più tranquilla e rilassata, con un più ampio spazio affidato ad una componente ambient e a sconfinamenti pagan (stile Primordial). Questo non fa altro che aumentare il mio interesse, inizialmente non proprio entusiastico. "The Birth of Tragedy" conferma questo trend, abbinando alla ferocia del black cascadiano digressioni progressive (di scuola Enslaved), per un risultato sicuramente più apprezzabile, dettato anche dall'alternarsi di corali voci pulite a quelle sgraziate del vocalist americano. Diciamo che l'album è altalenante nella sua vivacità, offrendo un songwriting non sempre omogeneo o all'altezza, cosi come devo ammettere di preferire l'ensemble nelle parti più ragionate e rallentate, come accade proprio nel break centrale di "The Birth of Tragedy" che si candida ad essere la traccia più riuscita (e varia) di questo 'A Nest of Ravens in the Throat of Time'. Con "Individuation" e la conclusiva title track, i nostri sembrano raddrizzare definitivamente il tiro anche se qualche calo di tensione è riscontrabile a più riprese. Diciamo che l'album palesa ancora dei difetti di fondo in termini di songwriting, screaming vocals non proprio all'altezza o le talvolta sterili furiose accelerazioni, per cui auspico che i nostri possano individuare ciò che non funziona lavorandoci al meglio per le prossime release, da cui a questo punto, mi aspetterò parecchio. Staremo a sentire. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2013)
Voto: 65

https://www.facebook.com/obsidiantongueband

giovedì 6 marzo 2014

When Icarus Falls - Circles

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Quando lo scorso anno uscì il debut album degli svizzeri When Icarus Falls gridai al miracolo. Ora, mi sono procurato il nuovo EP, intitolato semplicemente 'Circles', e di fronte mi ritrovo una band ormai navigata, dotata di classe, intelligenza e idee da vendere. Peccato solo che il dischetto consti di quattro tracce, che comunque mi allietano per quasi mezz'ora di musica (che con il repeat in automobile devo ammettere di aver già consumato). La proposta dei nostri non si discosta poi molto da quanto fatto in precedenza, un post metal esaltante, dalle tinte notturne. “Erechtheion” attacca e mi lascio travolgere dall'intrigante flusso emotivo del quartetto di Losanna e da quel muro sonoro innalzato dal riffing inquieto e tribale dei nostri, accompagnato dai consueti e strazianti vocalizzi di Diego Mediano. Tuttavia, è con "The Great North" che i brividi mi avvinghiano pelle e anima, perchè il suo atmosferico chorus si rivela penetrante e dirompente al tempo stesso, creando un instabile clima che si dipana tra tensione e piacere in un palpitante gioco di luci e ombre. Emotivamente provato, mi metto all'ascolto di "Celestial Bodies", che almeno nel suo incipit si propone di essere celestiale cosi come confermato dal titolo. La song parte delicatamente con le urla sofferte di Diego in sottofondo, sorrette da un semplice quanto mai intrigante giro di chitarra/basso. Poi l'irruenza dei When Icarus Falls si palesa timidamente, ma sono piuttosto le atmosfere post rock ad emergere, su cui questa volta Diego si presenta in versione clean, ma ben presto il sound (e i vocalizzi) sfoceranno nuovamente in una feroce fuga rabbiosa. A chiudere l'EP ci pensa una bonus track, "Nyx", song esplosiva, pregna di malinconie che solo nelle più desolate linee di chitarra dei Cult of Luna ho ritrovato e che non fa che sancire la mia assoluta adorazione (e ammirazione) nei confronti di questi ragazzi. Fenomenali. (Francesco Scarci)

mercoledì 5 marzo 2014

Anomalie - Between the Light

#PER CHI AMA: Black/Depressive Rock, primi Katatonia 
Direi che è una quasi una costante: avere una one man band e fare black (tipico nelle sue forme più di nicchia, post, ambient o depressive/suicidal). Quasi quasi ci provo anch'io, anche se sicuramente non potrò mai raggiungere i risultati eccellenti del factotum di turno, il musicista austriaco Marrok (già negli Harakiri for the Sky), che con il suo ambizioso progetto Anomalie, esce per l'Art of Propaganda con questo ottimo 'Between the Light'. Il lavoro, etichettato qua e là nel web come post black, suona a mio modo di vedere, molto rock nelle sua matrice interstiziale, non facendosi mancare le ovvie ma non cosi frequenti, sfuriate black. "Blinded" apre il lavoro, col suo cupo connubio basso, batteria e chitarra acustica in una ascesa musicale che poco a poco, assume i contorni della cavalcata epica. Largo spazio quindi alle melodie, alle aperture ariose, alle linee di chitarra pulite, interrotte dalla maestosa e selvaggia irruenza del drumming ma anche da uno splendido assolo conclusivo. Notevole anche la voce, che dallo screaming (chiaro e comprensibile) si muove al sussurrato/parlato/pulito, con estrema disinvoltura. "Not Like Others" è un tuffo nel passato ad omaggiare le origini di questo sound nel monumentale 'Dance of December Souls' dei Katatonia. L'abilità del mastermind Marrok è quella di abbinare al black doom, spruzzate di shoegaze o venature depressive rock, senza ovviamente tralasciare la persuasione musicale che il post rock riesce a donare nei suoi intermezzi acustici. Ecco questa song, ma in generale tutto il lavoro, raccoglie influenze più o meno moderne, che derivano da quegli ambiti musicali che più sono in grado di trasmettere emozioni violente, squarci inguaribili nella nostra anima. Non è detto poi che gli Anomalie riescano a centrare perfettamente l'obiettivo, ma il più delle volte ci vanno vicini. "Tales of a Dead City" ci riprova, giocandosi la carta a sorpresa delle eteree vocals femminili che si alternano allo screaming del vocalist e al sound che qui assume connotati neri come la pece suffragato da una violenta tempesta black ma addolcito anche da un ottimo e inusuale strappo di chitarra. "Oxymora" è una song che non ha molto da chiedere, mentre il malinconico pianoforte in apertura a "Recall to Life" e il cantato corale pulito, riescono a catalizzare la mia attenzione sin da subito: la song prendendo questa volta spunto dalle linee di chitarra di 'Brave Murder Day', avanza straziante tra cupe e ronzanti atmosfere e un altro delizioso assolo conclusivo, vero punto di forza e di originalità di 'Between the Light'. A chiudere, una quanto mai inattesa cover dei Nine Inch Nails, "Hurt", band di cui io non sono assolutamente fan e che trovo fuori luogo dal contesto musicale in cui fino ad ora siamo rimasti immersi. Ma che ci fa qui questa song? Mero riempitivo o dimostrazione di sapersi districare anche in territori musicali diversi? Come diceva il buon Dante, "Ai posteri l'ardua sentenza...". Per ora mi limito a dire che l'opera prima degli Anomalie ha quasi colto nel segno. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2014)
Voto: 70