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sabato 15 marzo 2014

Nibiru - Netrayoni

#PER CHI AMA: Sludge/Drone/Space rock
Indossate anche voi la kesa e preparatevi ad entrare nello spirituale mondo degli sciamani Nibiru. La cover cd di 'Netrayoni' rappresenta infatti una fotografia di uno dei luoghi più mistici al mondo, il sito archeologico di Angkor in Cambogia, centro politico-religioso dell'impero Kmer, da cui il trio piemontese deve essere stato profondamente affascinato. Imponente doppio cd per i nostri, un album in cui le tracce sono state improvvisate e registrate all'Aadya's Temple Studios di Torino. Il primo cd, 'First Ritual: The Kaula's Circle' si apre con le perturbazioni sonore di "Kshanika Mukta", monolitica song di oltre 17 minuti, che nel suo incedere stantio, ci nutre di riverberi drone, lamenti ritualisti enochiani e inquietanti frammenti di dialoghi cinematografici che producono un profondo senso di malessere. Dimenticavo una premessa d'obbligo per tutti coloro che si avvicineranno a questa intrigante opera: la sua scarsa accessibilità metterà a dura prova i vostri neuroni. Si parlava di improvvisazione, ma a differenza del jazz che molto spesso scorre dinamico nella sua delirante esposizione, qui il suono si contorce su se stesso, con un riffing lento e malato, epigono per certi versi, della proposta dei ben più famosi colleghi Ufomammut. La seconda "Apsara" ha un piglio differente dall'opening track; si tratta di una song più strutturata, dotata di una maggiore 'dinamicità', sebbene si confermi un rifferama che si dipana tra un liquido drone e le fughe allucinogene della psichedelia, mostrando una spiritualità stoner. Il risultato è sicuramente ossessivo e se anche voi dopo la prima mezz'ora proverete un forte senso d'asfissia, vi confermo si tratti dell'effetto a cui la band stava puntando. Faccio una prima pausa per desaturare la mia mente. Quando riattacco, mi accorgo che la noisy "Sekhet Aahru" dura solo cinque minuti, giusto un intermezzo in cui mi sembra faccia la sua comparsa il suono di un didgeridoo. "Qaa-om Sapah" necessita di oltre tre minuti di litaniche vocals per carburare, ma quando parte, si rivelerà come il pezzo che più si avvicina ad una vera e propria song: un turbinio di chitarre, un basso dirompente e percussioni avvolte da un'aura mefitica, un brano in cui si fa più forte una vibrante componente doom/sludge, oltre che psych rock e ambient. Il primo cd si chiude con l'acustica "Arkashani". Seconda pausa, giusto il tempo per infilare 'Second Ritual: Tears of Kaly' e far partire "Kwaw-loon", altra maratona di 16 minuti abbondanti, in cui il trio malefico, formato da Ardath, Siatris e Ri, assume sembianze più umane, senza tuttavia perdere il distintivo alone mantrico che li contraddistingue. Il cantato è sofferente ma in questo contesto è perfetto; un muro di riff lisergici e loop surreali suonati a rallentatore si insinuano nella mia fragile mente, alterando le mie funzioni sensoriali. Ormai alienato dalla realtà, "Sekhmet" (song che si rifà ad un mito egizio) con le sue atmosfere space rock, mi restituisce un senso di tranquillità e pace ridando finalmente armonia al mio corpo e ai miei sensi, quell'equilibrio che era andato perduto nella prima parte della release e comunque lontano dalla schizofrenia di tutti i giorni. La terza "Celeste: Samsara is Broken" è un pezzo rimasterizzato derivante dalle session del precedente 'Caosgon', da cui è stato estrapolato anche un video. Una massiccia song drone/sludge/space che mi riporta alle cerimonie induiste a cui mi è capitato di partecipare in uno dei templi indù in India. "Viparita Karani" oscilla ancora tra richiami seventies e il doom, con una bella effettistica space rock. A chiudere 'Netrayoni', album di 95 minuti carico di aspettative, ci pensa "Sothis" con le eteree tastiere accompagnate dai vocalizzi da oltretomba. Monumentali (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 80