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martedì 6 gennaio 2015

Kelvin - CD01

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Punk/Hardcore
I Kelvin sono un duo padovano (Anna alla batteria e Woolter alla chitarra e voce, in questo lavoro c'era anche Andrea a dar man forte) nato nel 1999 e che ha all'attivo vari lavori, tra cui questo 'CD01' autoprodotto nel 2001/2002 e poi ristampato dieci anni dopo da MacinaDischi, etichetta fondata dalla stessa band. I Kelvin sono una band storica della zona e questo debutto mette in risalto la genialità di un'idea e del progetto che ha scaturito. Il duo ha preso una base noise/post punk & hardcore, nuda e cruda, ha scarnificato la musica e ha reso livida e rabbiosa ogni singola parola pronunciata. Il cd racchiude diciassette tracce brevi e intense, frammenti che si incastrano a formare un quadro di arte contemporanea dove la tela è graffiata, strappata e umida di sudore e sangue. I suoni sono scarti, vittime di una registrazione DIY (do it yourself), ma sono perfettamente in linea con l'idea della band e del genere. Una registrazione super raffinata avrebbe tolto groove e impatto, di questo ne siamo certi. Ci sono brani come "Go Away" che prendono liberamente spunto da band come i Sonic Youth, ma con suoni accattivanti e voce acuta alla Beastie Boys. Non vi dirò che i riff siano estasianti, innovativi e quanto di più creativo si possa ascoltare, ma c'è botta da vendere e groove. Quello che ti fa muovere, sgomitare davanti al palgo o muovere la testa anche se sei in macchina da solo in mezzo al cazzo di traffico. "Mazurka" invece ha un intro con uno dei preset di tastiera più assurdi di sempre, poi entra la batteria che detta il ritmo con una cadenza militare e la marcia ipnotica e tesa a fil di nervi arriva fino alla fine. Il vocalist declama versi come un despota davanti alla folla vittima e sottomessa. Un viaggio allucinante, breve si, ma che vi lascerà sicuramente una retrogusto in fondo alla gola. Amaro, acido oppure metallico, non importa, ora siete pronti a sentire altri brani dei Kelvin. (Michele Montanari)

(Macina Dischi - 2011)
Voto: 80

Absinthe River - Echoes of Societal Dysfunction

#PER CHI AMA: Heavy/Hard Rock 
#FOR FANS OF: Heavy/Hard Rock
La schiera di recensori/musicisti del Pozzo dei Dannati si allarga con la release di Bob Szekely e i suoi Absinthe River, trio di Colorado Spring, che debutta con 'Echoes of Societal Dysfunction'. Si tratta di un disco di sette pezzi, dediti ad un heavy/hard rock old school. Accendere lo stereo e far partire "Followers of Dogma" è stato un vero back in time per me, un tuffo nel passato che mi ha ricondotto agli anni '80, quando per la prima volta mi avvicinavo, da pivellino, al metal e magari mi spaventavo dinanzi al riffing dei Metallica di 'Ride the Lightning' o all'assetto ribassato dei Black Sabbath, ecco due nomi non proprio messi lì a caso, anche se non rappresentano certo le influenze cardine del trio del Colorado. Qualcosa di atavico comunque ristagna nel sound dei nostri, cresciuti sicuramente a birra, cicchetti di whiskey e hamburger. La song ringhia che è un piacere e si muove tra l'heavy e il doom con una voce votata all'hard rock. Vista l'intercambiabilità dei vari musicisti polistrumentisti, il vocalist cambia nella seconda song, "Broken Sky" e un eco dei primi Metallica lo avverto, ma anche un che dei Candlemass. Anche se la produzione appare quasi casalinga, le idee e la voglia di divertirsi non mancano di certo al combo composto dal nostro Bob, Rob Rakoczy e Steve Stanulonis. Con la terza "Seeker of the Light", è Bob che torna alle vocals con un cantato simile a quello di King Diamond, mentre la musica gioca a richiamare oscure visioni ottantiane, con un duplice assolo finale, uno più rock oriented e un secondo più vicino al blues rock, a dimostrare comunque una spiccata versatilità della band statunitense. Con "Spirit Journey in Modernity", il ritmo si fa più spettrale e anche un po' più affascinante, e soprattutto meno etichettabile. "Haunted Emotions" è un pezzo di poco più di tre minuti di tenue hard rock che si affida ancora una volta alla sciabolata del suo assolo conclusivo, cosi come la darkeggiante "Swing Doors", tre minuti di suoni all'insegna di synth, programming e chorus femminili, in una traccia dall'andatura un po' sghemba. Diciamo che arrivati alla conclusiva "Aurora (The James Holmes Shootings)", non vi è rimasta alcuna traccia degli Absinth River dei primi tre pezzi, che si erano rivelati decisamente più pesanti. Quest'ultima è una sorta di ballad dal forte sapore settantiano, che si evolverà in pochi minuti, a un suono stile videogame ed infine rock, a completare quindi un disco che forse non fa dell'omogeneità sonora il proprio punto di forza, ma che comunque merita un vostro ascolto e un eventuale download (gratuito) dal sito bandcamp. Stralunati. (Francesco Scarci)


The team of reviewers / musicians of the Pit of the Damned grows with the release of Bob Szekely in Absinthe River, a trio from Colorado Springs, in their original debut 'Echoes of Societal Dysfunction.' It's a release of seven pieces devoted to a heavy / hard rock old school sound. To turn on the stereo and listen to "Followers of Dogma" truly took me back in time: drawing me into the past back to the 80s when for the first time Heavy Metal drew me in. On my first exposure to the genre, I was excitedly frightened by the riffing of the Metallica’s 'Ride the Lightning' or even those of Black Sabbath, two extraordinary bands. The Absinthe River sound is mired in the influences of this early era of metal, certainly grown in beer, shots of whiskey and burgers. The song growls: a pleasurable sound, as it moves between heavy and doom with a voice devoted to hard rock. Given the interchangeability of these multi-instrumentalists, the vocalist changes to Rob Rakoczy in the second song, "Broken Sky" and his voice echoes that of Metallica as well as Candlemass. Although the production seems a bit basement grown, The ideas and desire to have fun shines through with this combo composed of Bob Szekely, Rob Rakoczy and Steve Stanulonis. By the third song "Seeker of the Light", It’s Bob who returns to vocals sung in a style similar to King Diamond, while the music recalls more obscure visions of the 80's with a dual final solo: one more rock oriented, and the second more blues rock. This shows, however, the remarkable versatility of this US band. With "Spirit Journey in Modernity", the pace becomes more ghostly and even a little more fascinating. "Haunted Emotions" is a piece of a little over three minutes of tenuous hard rock that resolves once again to the saber of the final guitar solo. The dark "Swing Doors", roughly three minutes of dedicated synth programming and female chorus, is a track that’s a little skewed: as it is a departure from the style of the earlier tracks, being more pop than metal. And now we’ve come to the finale "Aurora (The James Holmes Shootings)", there is no trace of the Absinthe River sound found in the first three pieces, which proved much heavier. This last tune is kind of a ballad with a strong 70s flavor, which evolves a few minutes into a sound style of videogame rock. Although this CD may not be something to your liking, it definitely deserves your listening and a possible download (free) from the band's website. Thunderstuck.

(Kludgeworks Garage Productions - 2014)
Score: 65


(Reviewed by Francesco Scarci, Translated by Deborah S Szekely and Edited for clarity and flow by Robert E Szekely)

mercoledì 24 dicembre 2014

Kong – Stern

#PER CHI AMA: Prog Strumentale, Elettronica, Industrial
Di recente mi è capitato di rivedere il primo Matrix, della trilogia di gran lunga il migliore. Un film che quando uscí mi entusiasmó, come credo sia capitato piú o meno a tutti. Visto oggi, pur rimanendo un'ottima pellicola, il suo impatto appare ridimensionato, e per apprezzarlo al meglio è necessario contestualizzarlo nel periodo in cui venne girato. Ebbene, questo disco mi ha fatto piú o meno la stessa impressione. Un mix tra metal ed elettronica del giorno prima che suona energico e piacevole, ma che oggi rischia di risultare un tantino anacronistico. Gli olandesi Kong sono una band longeva, il loro esordio risale addirittura al 1990, e questo è il loro ottavo album, il terzo con la nuova formazione nata nel 2007, dopo uno iato che durava dal 2000. E la loro musica sembra essere perfettamente centrata nel decennio della loro prima incarnazione, figlia di un periodo iniziato con la caduta del muro, e rappresentativa dell’eccitazione libertaria di un cambiamento epocale, ma che, ad un certo punto, si è lasciata superare dagli eventi. 'Stern' mette in fila una serie di composizioni convinte e convincenti, ma che a lungo andare, risultato un po’ piatte e ripetitive nel riproporre uno stesso schema. Ritmiche sintetiche doppiate da batterie vere, elettronica sottile che sporca i riff di chitarroni di stampo prog-metal, senza peró particolari guizzi di originalità. Meglio i pezzi in cui il contrasto tra le due componenti viene spinto al limite, come la danzereccia "Rage8FA", "NOZL" o "Feast of Burden", oppure "Contenu Inconnu", l’unico brano cantato, mentre purtroppo l’approccio totalmente strumentale non giova al resto della scaletta. Probabilmente la dimensione ideale per la musica dei quattro è quella live, dove i Kong sono famosi per i loro show dal forte impatto sonoro. Dal punto di vista tecnico comunque, nulla da eccepire, specie pensando che si tratta di un’autoproduzione, in quanto l’album è prodotto e suonato benissimo, e viene anche scongiurato il pericolo di un’eccessiva freddezza grazie ad un’ottima cura dei suoni. Bella anche la confezione in digipack apribile. Insomma, un lavoro ben fatto che potrebbe regalare diverse ore di divertimento ai cultori del rock contaminato con l’elettronica. (Mauro Catena)

(Self - 2014)
Voto: 70

https://www.facebook.com/KONGband

Isaak & Mos Generator - Stoner Split Of The Year

#PER CHI AMA: Stoner/Hard Rock/Psichedelia
Gli Isaak sono tornati e lo fanno in grande stile: uno split su vinile insieme ai Mos Generator. E' vero, il disco non è ancora disponibile, ma quando è stato lanciato in streaming qualche giorno fa, non ho saputo resistere. I primi (ex Gandhi's Gunn) sono una delle realtà italiane più interessanti degli ultimi anni in campo stoner. Il loro precedente album è stato prodotto dalla Small Stone Records, etichetta americana che sforna ottime band come se non ci fosse un domani, mentre questo split è targato Heavy Psych Sounds, label italiana che sta crescendo in modo vertiginoso. I Mos Generator sono una rock band americana che ha già quattordici anni di onorata attività alle spalle, cinque album prodotti e una valanga di concerti in giro per il mondo. Qualcuno li ha definiti come i naturali eredi dei Black Sabbath al tempo di 'Sabotage', noi non possiamo che essere d'accordo. Le due band si contendono ciascuna un lato del lussuoso vinile in colorazione splatter (rosso e nera) che aumenta a dismisura la necessità fisica e mentale di possederlo e metterlo in un posto di rilievo tra la propria collezione privata di dischi. I Mos Generator ci portano in un viaggio onirico, sospeso nel tempo e in balia di forze oscure che tentano di prendere il sopravvento sulla nostra lucidità mentale. Quasi dodici minuti pieni zeppi di suoni vintage, a partire dai synth e sequencer che provengono direttamente dalle migliori colonne sonore sci-fi anni 70/80. Dopo una breve intro strumentale che ci fa tremare per via di un basso talmente distorto che solo il feedback potrebbe buttare giù un grattacielo, inizia il brano vero e proprio e ci sorprendiamo perchè i suoni non sono così esasperatamente pesanti. Quello che ascoltiamo è un sano hard rock ricco di frequenze calde e avvolgenti, tanto groove e riff vagamente prog. Al sesto minuto arriva il primo vero break dove un Hammond ricrea le tanto care atmosfere psichedeliche in pure stile Pink Floyd. Gli assoli cremosi di chitarra e l'ipnotico vocalist recidono il cordone ombelicale che a stento ci tiene stretti a questa terra e il volo pindarico raggiunge la sua massima espressione. I suoni sono semplicemente perfetti e se lo dico ascoltando uno streaming, non oso immaginare cosa succederà quando la puntina del giradischi inizierà a scorrere sui solchi di cotanta manna dal cielo. Ora tocca agli Isaak che dopo un inizio di così alto livello, me li immagino impavidi sul palco, pronti ad esibirsi dopo essere stati virtualmente introdotti da una band possente come i Mos Generator. Le atmosfere e i suoni cambiano all'improvviso, ora la musica diventa più viscerale, quasi religiosa. Una lunga introduzione prepara la nostra mente e questa volta la botta arriva, ci investe completamente e ci inebria. In lontananza si sente profumo di peyote e incenso che ardono su un braciere, mentre il basso e la batteria intonano una marcia epica che le chitarre acuiscono con riff monolitici. Il vocalist completa l'opera con un grido rivolto al cielo in omaggio a madre natura che tutto vede e tutto decide. Il campionamento vocale che aveva prima guidato l'introduzione ora torna a farsi sentire insieme ad una linea strumentale (probabilmente uno strumento ad arco tipo viola o violino) che richiama i potenti arrangiamenti che si ascoltano in gran parte della discografia degli *Shels. Un quarto d'ora che vorreste non finisse mai, che ti lascia si sfinito, ma appagato. Questo split è un lavoro costruito ed eseguito in modo ineccepibile, da avere assolutamente e custodire gelosamente. Se qualche vostro erede lo vorrà reclamare in un lontano futuro, ditegli che dovrà dimostrare di esserne degno. Ora iniziate il conto alla rovescia, personalmente io sto già contando i giorni.(Michele Montanari)

domenica 21 dicembre 2014

Nami - The Eternal Light of the Unconscious Mind

#FOR FANS OF: Progressive/Avantgarde Death Metal, Opeth, Gojira, Gigan
Another one of those “I-can’t-believe-a-band-came-from-there” countries in Andorra, Progressive Death Metal band Nami has made it to album number two now and it’s still nearly impossible to get a grip as to what the bands’ actually about. There’s some melodic meandering throughout here as well as elements of Groove Metal in the riffing, when it becomes audible that there’s guitars in the mix since far too much of this seems to be based on creating a cacophonous noise of blasting drumming, discordant riffing and the inclusion of keyboards for a truly off-the-wall sound. There’s very little traditional influence of Death Metal throughout this one beyond a few growls and deep heavy riffing spread throughout various arrangements, and in fact the band’s focus on clean crooning is the biggest giveaway that this one’s not intended as a true Death Metal release. It’s all so haphazardly written, though, that it gives off more of an impression of simply placing as many different elements and styles into the music simply because the band is infatuated with those materials rather than finding a coherent way of utilizing them to their advantage as this never so much progresses to another section of the track as much as it does slam head-on into it without warning. This doesn’t become much of a distraction so much as it does a simple observation on the band as there’s certainly something to be said about how intriguing and interesting the numerous amount of work that went into this, but if it can be focused and streamlined better they might be onto something here. Opening track ‘The Beholders’ does offer up a potential clue as to what’s on store as the constantly shifting rhythms, complex arrangements that seem to focus on throwing everything possible into the song and the occasional burst of full-on Death Metal does offer promise but is way too scattershot to be much more. Thankfully ‘Ariadna’ does a better job at being coherent enough to matter with its’ sharp grooves and discordant patterns making for a much enjoyable Death Metal track though the lengthy avant-garde noodling in the middle of this does make itself known. The expansive ‘Silent Mouth’ is the album’s best track here with plenty of atmospheric wandering, a series of tight rhythms and enough energy to really make for an enjoyable time throughout this one. ‘Hunter's Dormancy’ follows up with another enjoyable effort as this one tends to really focus on those enjoyable blasting rhythms and stylized chugging that runs rampant throughout this. The back-to-back shorter efforts are both utter throwaways as ‘The Animal and the Golden Throne’ is as a clanking guitar runs through anguished screaming until a piano-lead outro while ‘Bless of Faintness’ seems like pointless desert-rock meandering with eerie droning guitar notes repeated over whispered vocals and don’t serve much of a purpose here. ‘Hope in Faintness’ at least gets back into more traditional realms but again contains way too atmospheric wandering in its arrangements and wallows in spacey segments that really don’t justify much of a metal tag at all until the final half when it’s all too late to matter much. ‘Crimson Sky’ carries on with the melodic guitar trinkling and light arrangements which don’t sound metal at all and makes for an even harder justification for their inclusion in the genre. ‘The Dream Eater’ finally attempts more traditional manners and executions with the frantic drum-blasts and urgent, intense riffing along with a more charging, destructive atmosphere but again simply contains far too much atmospheric meandering and spacey atmospheres to get much better. Frankly, this one is just too avant-garde and off-kilter to really get a handle on. (Don Anelli)

(Year of the Sun Records - 2013)
Score: 50

Istina - Познание тьмой

#PER CHI AMA: Black Doom Depressive
Non sono in possesso di cosi tante informazioni a proposito di questo duo russo. Formatisi nel 2007 e provenienti da Krasnoyarsk, M. e N. sono le menti che stanno dietro agli Istina (=verità) e al loro debut album 'Познание тьмой'. Dal titolo potrete evincere come tutto, all'interno di questo cupo digipack, sia scritto in cirillico, dal titolo del lavoro a quello dei brani, quindi mi limiterò alla pura descrizione della sola musica. Musica che dopo l'immancabile intro, si presenta sotto forma di un black depressive, che alterna scorribande furiose ad altre più d'atmosfera. Volutamente (?) penalizzati da una registrazione casereccia, il disco prende quota con "Глоток Сознания", la song che vede formalmente debuttare i nostri con la loro misantropica miscela di umor plumbeo e lancinanti vocals, con le tastiere e le ritmiche sghembe, a rappresentare l'unica raggelante forma di mitigazione dell'indigesta proposta dei nostri. "Безграничность Абсолютного Бытия" è una breve traccia strumentale che funge da bridge ai nove minuti di "Пронзая Сомнения Самоопределения", song mid-tempo che mostra le molteplici facce di questo ensemble russo che non va assolutamente sottovalutato. Al di là dei vocalizzi belluini, le chitarre tracciano delle avanguardistiche linee melodiche, mentre il drumming risente non poco della sua artificiosità. Poco male, perché quello che colpisce, oltre alle violente scudisciate inferte, sono le sofferenti ambientazioni lugubri e cariche d'odio, cosi come il buon Conte Grishnackh soleva fare agli esordi nei suoi Burzum. Musica sofferente quella degli Istina o se preferite Истина, che vedono "Познание Тьмой" incanalarsi in un black cadenzato e glaciale, che vanta comunque sempre buone desolanti melodie che rappresenteranno il marchio di fabbrica dei nostri anche nelle successive song. Diciamo che la proposta degli Istina non è affatto male per chi è un fan del genere black doom depressive. Tuttavia si raccomandano una serie di migliorie: una produzione un po' più cristallina, che sgrezzi un suono che risulta a più riprese impastato e difficile da isolare, credo sia la più importante da perseguire soprattutto perché in alcuni punti, i nostri cercano un approccio un po' più orchestrale per la loro proposta ("Безнадёжность"). Inoltre, auspico un miglior uso delle vocals, troppo sgraziate sebbene si tratti di uno screaming vetriolico. La strada intrapresa dall'act di Krasnoyarsk è comunque vincente in un periodo in cui questo genere guida il mercato estremo; non vorremo però dover attendere altri sette anni per sentire parlare di questi duo loschi figuri. Per ora è un voto di incoraggiamento a continuare su questa strada ma con le migliorie di cui sopra. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

Machine Gun Kelly - Lady Prowler

#PER CHI AMA: Hard Rock
Quando la giornata è piovosa e non puoi tirare fuori dal garage la tua amata due ruote, l'alternativa è ascoltare un po' di sano rock. Se non ti affidi ai classici della tua collezione, non resta che buttarsi sui cd nuovi di zecca. Ed è così che mi soffermo sull'album 'Lady Prowler' dei Machine Gun Kelly (MGK). La copertina mostra una gentil donzella che tiene in mano un meno gentile mitragliatore e senza indugio caccio il cd nelle fauci del lettore. Si inizia con "Backstreet Queen" e dopo pochi riff capisco subito che i cinque ragazzotti di Savona amano il rock nella sua coniugazione hard, in puro stile anni '90. La traccia è un classico del genere: ritmica compatta creata, dal binomio basso/batteria e chitarre che guidano la melodia a forza di riff e accordi. La voce ha un tono particolare ed abbastanza acuto, equiparabile a Judas Priest e Alice Cooper. Infatti la band ligure nasce nel 2000 come cover band con una scaletta basata sui classici di questi due gruppi. In seguito prende la propria strada e produce alcuni demo/promo per arrivare nel 2010 con il primo e vero album. "Bad Fun City" inizia con la batteria a preparare l'attacco delle chitarre, che crescono lentamente ed esplodono ma non troppo, nel senso che una bella cavalcata rock avrebbe permesso al brano di decollare, invece rimane in un basso profilo. Assoli e un breve break arricchiscono il brano, ma la struttura si presenta classica e prevedibile, troppo composta negli schemi e non lascia spazio ai musicisti, che vorrebbero picchiare più duro e correre come dei forsennati. Il brano che da il nome all'album è il più riuscito: bei riff che ci inducono fin da subito al headbanging spinto, fino al gran assolo di chitarra che zittisce tutti e spinge i musicisti in erba a tornare in cameretta e ripassare un po' di tecnica. Il vocalist fa il suo dovere, lavora bene trovandosi a proprio agio nella tonalità del brano, ma lo stesso non si può dire per altri pezzi, come "The Hunter", un po' più debole. La band ha tutte le carte in regola per far bene e suonare con gusto un genere che al momento è amato da chi, negli anni 80-90, voleva essere un ribelle e provava ribrezzo per l'elettronica e affini. I MGK sono da ascoltare così, con genuinità e una punta di nostalgia: non ve ne pentirete perché solo le cose fate bene e con il cuore, rimangono nel tempo. (Michele Montanari)

(Beyond Productions - 2014)
Voto: 70

giovedì 18 dicembre 2014

Neige et Noirceur – Gouffre Onirique et Abimes

#PER CHI AMA: Ambient Black Drone
Chiudete gli occhi e immergetevi nel sound ingannatore dei Neige et Noirceur (che abbiamo già avuto modo di ospitare nel Pozzo) e ai loro crudi richiami dei Burzum primordiali. Le chitarre ronzanti del Conte unite alle eteree keys, guidano infatti la musica dei nostri genuini blacksters che da diversi anni ormai si dedicano al culto della nera fiamma. Otto song portatrici di oscurità e di disperazione (confermate anche da una cover cd lunare) che offrono un suicidal black dalle forti tinte depressive. “Future Torture”, la seconda traccia, ci delizia con abrasive e rozze linee di chitarra su cui si stagliano le acuminate screaming vocals del frontman. La song mostra tuttavia anche un'anima epico-pagana che arricchisce i contenuti del platter rendendo il sound meno freddo e meccanico. Le tastiere di “Echo des Abysses” contribuiscono a rendere l'incubo musicale dei N&N dotato di sembianze più simili ad un sogno, mitigando la tagliente verve delle chitarre e le sanguinolenti frustate di un drumming innaturale e plastificato (drum machine?). 'Gouffre Onirique...' è in fin dei conti un black album che poggia virtualmente su mid-tempo non proprio raffinati (soprattutto quando le velocità si fanno più elevate e il sound qui diventa da censura), ma che comunque ha da regalare malinconiche (e talvolta strazianti) melodie (notevole a tal proposito la mia traccia preferita, “La Marche des Astres...”, song dotata di pomposi arrangiamenti), demoniache vocals, tenebrose atmosfere (nell'ambient dell'intera trilogia de “La Caverne de Glace”), per un risultato finale onesto e piacevole. Notturni. (Francesco Scarci)

(Sepulchral Productions - 2014)
Voto: 65

mercoledì 17 dicembre 2014

Goatwhore - Constricting Rage of the Merciless

#FOR FANS OF: Black/Death/Thrash
Okay, so I’m late to the game on this one. Call it laziness, call it not paying attention, call it what you will, but I've never paid attention to Goatwhore until just recently. I had heard some tracks here and there and they didn't do much for me, probably because their previous offerings were more in the realm of black metal. A night of late YouTube browsing led me to “Baring Teeth for Revolt” and my anus just wasn't ready. I can’t quite describe the feeling I had when hearing this, but it was like savage bliss. The guitars, drums, riffs, it sounded so violent I couldn't believe just how awesome this was. Roughly five minutes later I had the album ordered. I had to have this. Sammy Duet is well known for his work in Acid Bath, and for good reason. Acid Bath were an amazing band that pushed the boundaries of what we call rock and metal. Thing is, I had no idea he was in Goatwhore. If I did, I would have paid more attention a long time ago, as I love the fuck out of Acid Bath. Here we kick things off with “Poisonous Existence in Reawakening” and boy, these guys don’t fuck around at all. Straight for the throat, chocking the life out of you, riff after riff. This still has the black metal vibe, which is also very apparent on “Unraveling Paradise”, but it’s done extremely well. The songwriting is top notch, the arrangements are very carefully thought out, and everything just makes sense musically. The production and mix on the album is what I would call perfect for this type of album. Punchy, clear, but not too clear, if you know what I mean. This is still definitely rough around the edges and has a lot of bite to it. It’s not overly polished at all. “Baring Teeth for Revolt” just may be one of the best metal songs ever written. Yeah, I went there. But everything about this song just screams METAL. From the riffs, to the outstanding vocals and perfect drum work, this is just a slice of fucking metal heaven. A big slice at that. Also, that has got to be one of the most brutal, most aggressive guitar tones I've ever heard. Shit is just violent. Sounds like Sammy’s ESP wants to rip your fucking spleen out. The album features some more dynamic work rather than severely punishing death/black metal. The dynamics are laid out nicely and it appears that there’s something here for everyone, though I’m sure Goatwhore couldn't give a fuck about anything or anyone. These guys just play the music they want to hear. I mean you’re not exactly setting yourself up for success with a name like Goatwhore to begin with. This is top notch stuff, definitely check it out if you like your metal fast, aggressive, and no nonsense whatsoever. You will not be disappointed. (Yener Ozturk)

(Metal Blade - 2014)
Score: 90

https://www.facebook.com/thegoat666

Distilling Pain – The Silent Collapse

#PER CHI AMA: Techno Death, Vader, Pestilence, Sadus, Obituary
Riuscite ad immaginare come potrebbe essere un disco death metal quando si uniscono le chitarre degli In Flames migliori, con la forza intellettuale dei Pestilence epoca 'Spheres' e i Sadus psicotici di 'Illusions', il tutto spinto da pulsioni di casa Vader/Obituary? No! E ne avete ben donde, questo album ne riassume il tutto e rappresenterà per voi una sfida esagerata! 'The Silent Collapse' degli spagnoli Distilling Pain, riporta molte influenze e solca linee prog death metal già calcate da altri ma rinvigorite da una luce propria sensazionale. Sarà la qualità del sound e dei musicisti, sarà la fantasia delle composizioni che non demordono mai, né in potenza, né in qualità, tanto meno in velocità, puntando sempre al massimo, sarà che evidentemente siamo di fronte ad un disco che dovrebbe essere in prima fila sulle testate di tutte le riviste specializzate nel genere e supportato da una grande distribuzione. Tecnica e fantasia, equilibrio, classe e violenta orecchiabilità dal retro gusto thrash old school, capitanate da musicisti eccelsi, infangati nel progressive di scuola fusion fino al collo. Ogni strumento ha il suo sacro spazio, anche se le trame di un basso venuto da un altro mondo, riempiono oltremodo le aspettative dell'ascoltatore e così tra inseguimenti sonori e virate tecniche al vetriolo, si rimane esterrefatti da tanta genuina bravura e tanta cognizione verso quel tipo di suono vivo e naturale, mai compresso o artefatto. La band Galiziana, proveniente da Santiago de Compostela, luogo famoso non certo per il metal, porta la sua visione divina di un death metal iper tecnico, corretto e rivisto in modo personale e professionale, nel migliore dei modi, senza saturare il virtuosismo, raccogliendo il succo di un genere molto impegnativo da affrontare. Tutte le soluzioni sonore sono di breve durata in chiave grind d'avanguardia, nove brani per un totale di una quarantina di minuti tutti votati a un funambolico death jazz fusion metallico di rara bellezza. La sobrietà, l'intensità e tutto il lavoro di intelligence che sta dietro a 'The Silent Collapse' è palpabile tra le sue note. Esse penetrano e si lasciano toccare: “Pulling the Strings of Madness” ed il suo finale, ad esempio, ammalieranno ogni tipo di palato e per l'appetito più rigoroso il consiglio cade sull'omonima “The Silent Collapse”, che non a caso dà il nome all'intero lavoro. Il quintetto gallego risulta geniale anche in "Gears of Indoctrination", brano allucinante fin dal suo falso inizio lampo, scherzoso e inaspettato. Un lavoro immenso! Averlo è un dovere assoluto! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 90

Acrosome - Non-pourable Lines

#PER CHI AMA: Black Ambient
Ci sono voluti tre lunghi anni per DA, factotum dei turchi Acrosome, per ritornare sulla scena dopo il non brillantissimo EP di debutto, "Dementia Paecox", fuori per la nostrana Dusktone Records. DA si è rimesso in sella per produrre un qualcosa che rappresentasse un miglioramento di quell'esordio e ne è uscito quindi 'Non-pourable Lines', un cd di sette tracce, tutte identificate esclusivamente da un numero romano, a parte l'ultima "VII - Today is Yesterday". L'album si muove nell'ambito del black dalle tinte depressive, tanto di voga in quest'ultimo periodo. Dopo l'intro, ecco "II", song che esplode in una violenza inattesa, con ruvide chitarre ronzanti frammiste a intermezzi ambient; la cosa strana è che di vocals non vi è traccia. Vado avanti nel mio ascolto con la terza "III", che oltre a inserirsi nel filone post-black, è da menzionare per una sinistra melodia di sottofondo, in quello che sembra il suono di una fisarmonica, che ci accompagnerà per il resto del disco, e per una serie di break quasi blues/lounge. Intrigante, sebbene a qualcuno possa apparire un po' ruffiano. I vocalizzi però risultano ancora non pervenuti. Dovremo infatti attendere "IV" per sentire le prime litaniche vocals dell'enigmatico DA, sopra un tappeto di chitarre serrate, una pioggia di melodici riff esaltanti in una miscela coinvolgente di malinconiche atmosfere. L'aria si fa più scura e pesante in "V", brano che gode di interessanti influenze etniche ma anche di ipnotici giri di tastiera. Io che considero la voce uno degli strumenti più importanti nell'economia di un brano, a questo punto non ne sento più la mancanza; la musica degli Acrosome mi ha letteralmente ammaliato e l'oniricità di "VI" mi fa sprofondare in un sonno rilassato. Giungiamo alla conclusiva "VII - Today is Yesterday" che suona, almeno nella sua prima metà, come una song gothic dark anni '80. Il sound si rivela etereo e pregno di malinconia, ma spinge per esplodere nella sua seconda parte, sancendo comunque l'eleganza di un lavoro decisamente inatteso e consigliato. E allora, scordiamoci il passato e diamo una grande chance all'originalità di 'Non-pourable Lines'. (Francesco Scarci)

(Dusktone Records - 2014)
Voto: 75

domenica 14 dicembre 2014

Thee Maldoror Kollective - Knownothingism

#PER CHI AMA: Avantgarde sperimentale 
Ho conosciuto i Thee Maldoror Kollective (T/M/K) ancora quando si chiamavano Maldoror e esordivano con uno splendido album di black atmosferico, 'Ars Magika'. Era il 1998 e da allora le cose sono mutate notevolmente nella vita dei nostri. Oltre a cambiare monicker più e più volte, la musica dell'act torinese si è evoluta, passando da sonorità electro-black a fughe industrial, per rifugiarsi nel free jazz, nell'ambient e in una serie di sperimentalismi avantgarde, di cui quest'oggi, 'Knownothingism', ne rappresenta verosimilmente la summa. Freschi di contratto con l'Argonauta Records, i nostri sfoderano una prova a dir poco entusiasmante con sette deliranti tracce che potrebbero piacere ai fan di Massive Attack o Portishead, così pure a chi ha amato le intuizioni degli ultimi Ulver o la nuova linea musicale seguita dagli ultimissimi Manes, insomma musica di una certa classe, ma anche dal non facile approccio. Lo capirete di certo partendo dalla circense "Clarity, Oh Open Wound!", song dalle melodie folkloriche che ci conducono in un teatro degli orrori o in una di quelle giostre horror, da cui spuntano teste di clown con le molle o zombie mangia uomini. Se chiudete gli occhi questa è l'immagine che configurerete di certo nella vostra mente, con la voce dell'eccelsa e magnetica Pina Kollars, straordinaria a guidare i vostri incubi, tra riff pinkfloydiani e atmosfere doorsiane e un'altra infinità di influenze che derivano dai generi musicali e filosofici più disparati. Ascoltare questa song è poi come aprire un libro di storia e leggere una parte qualsiasi del suo contenuto, sia esso relativo alla civiltà greca o egizia, indiana o araba. Straordinario. La seconda "An Uncontrollable Moment of High Tide" fa l'occhiolino ancora ai primi Pink Floyd, ma la traccia non tarda ad evolvere verso le sonorità trip hop dei maestri inglesi di Bristol, forti anche di una performance vocale strepitosa del folletto Kollars, con la musica che cresce e nella sua caleidoscopica fluidità, mi fa rizzare il pelo sulle braccia. I 12 minuti di "Cordyceps" sono una dura prova da superare, tra frangenti noisy, ambient e drone, corredati da vocals sinistre, che solo intorno al sesto minuto trovano forma nei tocchi di pianoforte, elettronica e nella ubiquitaria voce di Pina, che vorrei ricordare essere stata scoperta da Peter Gabriel. Con "Mariguanda" si tornano ad esplorare mondi alieni, anfratti dal sapore jazzistico, complice un allucinato sax, spezzoni lounge, frangenti cinematici, blues, rock, soul, etno e chi più ne ha più ne metta. Non c'è più alcun limite invalicabile per i T/M/K e lo dimostrano con i loro deliranti brani, ove tutto oramai è consentito e se "Lhasa & The Naked West" vi sembrerà inizialmente la song più normale del lotto, non temete perché probabilmente alla fine potrà risultarvi la più folle, con quei suoi frastornanti loop, la sua tribalità spiccata e la fragorosa liquidità dei suoi suoni. Non ditemi che siete già ubriachi, perché avrete di che dissetarvi alla scoscesa fonte di "Nirguna" che tra riffoni e ambientazioni psichedeliche, avrà ancora modo di sorprendervi. Mancano ancora i 13 minuti di sonorità Indian rock di "The Ashima Complex" per completare il viaggio spirituale intrapreso con 'Knownothigism': non saranno semplici, ma indispensabili per raggiungere il traguardo purificatore che i Thee Maldoror Kollective hanno tracciato per noi. Innovatori. (Francesco Scarci)

(Argonauta - Records - 2014) 
Voto: 85 

sabato 13 dicembre 2014

Grudom - Fjolkyngi

#PER CHI AMA: Black, Armagedda, Lik
La Scandinavia non smette mai di sorprendere. In questi ultimi anni qualcosa sta rinascendo in quelle gelide terre nordiche, un black metal con sangue nero nelle vene, sempre più aspro e di difficile comprensione ed i Grudom ne sono devoti adepti. Credevo ci fosse un limite al malessere, ma dopo l’ascolto di questo malatissimo 'Fjolkyngi' uscito sotto l'egida della Mysticism Productions, ho capito che questo limite è stato superato. Di questi danesi Grudom si sa ben poco: hanno autoprodotto due demo tapes nel 2012, recentemente rimasterizzati in cd dalla teutonica Darker Than Black e per quanto riguarda il profilo artistico invece, c’è solo il buio. 'Fjolkyngi' è una delle cose più decadenti che le mie orecchie abbiano mai ascoltato ed è di una tristezza sconcertante, una creatura sbilenca, paralitica che si trascina carponi nei più lugubri e cupi boschi che la mente umana possa immaginare. Questo brutto sentiero si snoda tra cacofonie di vario genere, drumming minimale, spazi di vuoto dove nascono melodie nefaste scaturite da organetti spettrali e vocalizzi, gloriosi, distanti, criptici, sfondo di uno screaming putrefatto, disumanamente vaporoso e annichilito. Solo tre tracce di pachidermica durata compongono questa disgrazia sonora. I Grudom ricordano Armagedda, Lik, Lonndom, Hädanfärd, Grifteskymfning e compagnia bella, ma in questo caso gli elementi chiave del genere, sono estremizzati al limite del possibile. Spesso la musica contenuta in 'Fjolkyngi' si autodistrugge per diventare un'aura ambientale, c’è voglia di trascendere qualunque forma di canonicità, questo il pregio primario di tale band. L’assenza di schemi e regole rende questa pietanza appetibile solo per una piccola e elitaria frangia di maniaci, dunque 'Fjolkyngi' è un album non per tutti. Consiglio (anche alle persone di mente più aperta) di ascoltare la traccia che è stata caricata per intero su Youtube prima dell’acquisto e voglio ricordare che l’edizione in vinile è limitata a sole 250 copie dunque, buy or die! Chiudo con una nota di merito nei confronti dell’artwork, con il suo logo infimo e la foto, in bassa risoluzione, di un ceppo radicale divelto dal terreno, radici che ora mai rinsecchite attendono solo la decomposizione. I Grudom (chiunque essi siano) non potevano descrivere meglio l’energia malefica sprigionata da questo meraviglioso e straziante debutto, ottimo artwork dunque! Mi auguro in futuro di poter aver l’onore di ascoltare altri dischi come questo. Supporto totale a questa band e al loro black metal metafisico! (Alessio Skogen Algiz)

(Mysticism Production - 2014)
Voto: 90