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martedì 6 gennaio 2015

Kelvin - CD01

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Post Punk/Hardcore
I Kelvin sono un duo padovano (Anna alla batteria e Woolter alla chitarra e voce, in questo lavoro c'era anche Andrea a dar man forte) nato nel 1999 e che ha all'attivo vari lavori, tra cui questo 'CD01' autoprodotto nel 2001/2002 e poi ristampato dieci anni dopo da MacinaDischi, etichetta fondata dalla stessa band. I Kelvin sono una band storica della zona e questo debutto mette in risalto la genialità di un'idea e del progetto che ha scaturito. Il duo ha preso una base noise/post punk & hardcore, nuda e cruda, ha scarnificato la musica e ha reso livida e rabbiosa ogni singola parola pronunciata. Il cd racchiude diciassette tracce brevi e intense, frammenti che si incastrano a formare un quadro di arte contemporanea dove la tela è graffiata, strappata e umida di sudore e sangue. I suoni sono scarti, vittime di una registrazione DIY (do it yourself), ma sono perfettamente in linea con l'idea della band e del genere. Una registrazione super raffinata avrebbe tolto groove e impatto, di questo ne siamo certi. Ci sono brani come "Go Away" che prendono liberamente spunto da band come i Sonic Youth, ma con suoni accattivanti e voce acuta alla Beastie Boys. Non vi dirò che i riff siano estasianti, innovativi e quanto di più creativo si possa ascoltare, ma c'è botta da vendere e groove. Quello che ti fa muovere, sgomitare davanti al palgo o muovere la testa anche se sei in macchina da solo in mezzo al cazzo di traffico. "Mazurka" invece ha un intro con uno dei preset di tastiera più assurdi di sempre, poi entra la batteria che detta il ritmo con una cadenza militare e la marcia ipnotica e tesa a fil di nervi arriva fino alla fine. Il vocalist declama versi come un despota davanti alla folla vittima e sottomessa. Un viaggio allucinante, breve si, ma che vi lascerà sicuramente una retrogusto in fondo alla gola. Amaro, acido oppure metallico, non importa, ora siete pronti a sentire altri brani dei Kelvin. (Michele Montanari)

(Macina Dischi - 2011)
Voto: 80

domenica 5 ottobre 2014

Putiferio - Lovlovlov

#PER CHI AMA: Noise Rock
I Putiferio sono di Padova, sono in quattro e non si chiamano così a caso. Nascono nel 2004 e dopo quattro anni escono con 'Ate Ate Ate', album che non ho ancora avuto modo di ascoltare, ma che trova grande riscontro dalla critica, soprattutto per il coraggio e la determinazione nel portare avanti un prodotto difficile come la loro musica. Un mix di noise rock e post-qualcosa, suoni anni '90 e ritmica a nervi scoperti. Tutto volutamente difficile da ascoltare per chi non si smuove da Radio Italia o 105 e punta a suscitare emozioni scomode e impreviste. "Void Void void" esplode dopo una serie di feedback di chitarre (sono in due, senza un bassista fisso nella line up) con una sezione ritmica forsennata, arrangiamenti che non ti permettono di canticchiare nemmeno una strofa. Il tutto condito da stralci elettronici lo-fi che aumentano la matassa noise del brano. Il cantato è pura follia, urla come unghie che grattano su una lavagna o che affondano nella gola stretta a soffocare. Poi cambia tutto e le chitarre diventano più prepotenti, si riesce pure a scandire il ritmo con la testa, ma l'illusione finisce presto e si viene catapultati verso le tracce successive. "True Evil Black Medal" inizia scandendo battiti di puro groove elettronico, una versione malata degli attuali Radiohead carichi di tensione e suoni stridenti, gli strumenti si intrecciano tra di loro come matasse di fili elettrici che non hanno un inizio e una fine, ma solo una metamorfosi. La voce è più distesa, lontana e privata della timbrica naturale. Poi l'entrata degli archi riporta una calma apparente, quasi metafisica, segnata da arrangiamenti in tonalità minore rispetto ai precedenti, a destare una sorte di malinconia. Ma questi torneranno irruenti, cancellando il miraggio di un possibile riscatto e chiudendo la traccia a circa sette minuti e mezzo. I Putiferio potrebbero essere una delle varie personalità multiple de Il Teatro degli Orrori, come se un episodio di bipolarismo li avesse creati e lasciati liberi a vagabondare in cerca di una propria esistenza. 'Lovlovlov' è volutamente un prodotto che raccoglie intorno a se un pubblico vittima di una selezione naturale, da ascoltare e valutare personalmente. (Michele Montanari)

(Macina Dischi - 2012)
Voto: 70

mercoledì 1 ottobre 2014

A Flower Kollapse - S/t

#PER CHI AMA: Punk, Math, Hardcore
Macina Dischi e Shove Records si sono accaparrate un'altra interessante band, gli A Flower Kollapse (AFK), un quartetto originario della provincia di Treviso. La band nasce nel 2004 e da allora ha partecipato ad alcune compilation e split, arrivando infine a questo terzo album. Loro stessi dichiarano che suonano un mix di punk, math, hardcore, noise e progressive, a cui io aggiungo una cattiveria e potenza inaudita. Suoni ruvidi, freddi e riff velocissimi, il tutto condito da uno screamo dilaniante, a cui l'ascoltatore può solamente soccombere oppure trarne beneficio. Nove tracce per un totale inferiore alla mezz'ora, ma sufficiente per farvi capire quali pensieri contorti possano insediarsi dentro la mente di un musicista alla ricerca della propria espressione. Il tutto è contenuto in un semplice digipack di carta riciclata senza nessun colore e i testi sono scritti in modo da essere illeggibili a causa di un errore in fase di stampa. Delirante e geniale allo stesso tempo. "All Nature is my Nature" è tutto e niente, pura sensazione. A qualcuno potrebbe dare il voltastomaco oppure causare una crisi epilettica, ma se ci si immerge a capofitto nel brano, si riesce a cogliere cosa si celi dietro tanta rabbia. Un urlo in difesa della natura bistrattata (forse, difficile cogliere le parole o leggere i testi), melodia strumentale sapientemente nascosta dietro riff apparentemente inesistenti e poi velocità, tanta velocità. Chitarre al limite dell' autocombustione e sezione ritmica pulita ed ossessiva, il tutto miscelato a modo con suoni altrettanto azzeccati. "Mud" inizia con degli scricchiolii che accapponano la pelle quanto le unghie su una lavagna e poi li subentra la devastazione. Chitarre che fanno sempre da padrone con riff ipnotici che si alternano tra sequenze meno roboanti e scatti d'ira strumentali. Malessere esistenziale ed ansia vengono trasmessi dalla dita ai strumenti, come una pesante e scomoda eredità da padre in figlio. Le corde e le pelli dei tamburi vengono scarnificati ad ogni nota o battuta, il sudore si mescola alle lacrime ed ogni traccia vi lascerà sfiniti e ansimanti. Grazie al cielo durano poco, altrimenti rischiereste un attacco apoplettico Decisamente un album che non può lasciarvi indifferenti, o lo amerete o vorrete disfarvene al più presto. Il rischio che venga inserito incautamente nello stereo da un vostro familiare e che poi dobbiate dare delle spiegazioni, è abbastanza alto. Desumo che gli AFK diano il meglio di se in live, quindi inizia la mia ricerca del loro prossimo concerto. (Michele Montanari)

(Macina Dischi/Shove Records - 2012)
Voto: 70

sabato 21 giugno 2014

Lucertulas - Anatomyak

#PER CHI AMA: Noise/Rock
Nel lontano 2003 nasce a Venezia un trio (che si arricchirà anche di un secondo chitarrista per live) che ha all'attivo tre album e che dopo vari cambi di line-up finisce per perdere il prefisso "Super" per arrivare all'attuale nome della band. Insomma, come una lucertola che perde la coda per sopravvivere ai predatori. I Lucertulas navigano tra mari noise/punk/rock con sfumature psichedeliche, ammorbando la mente di chi li ascolta e trascinandolo in una mirabolante corsa contro il tempo. I suoni sono curati, la parte ritmica ha un taglio standard e permette di cogliere tutte le sfumature del bravo batterista, gran percussore di fusti e piatti. Le chitarre hanno distorsioni volutamente noise e scariche di basse frequenze che vengono lasciate al buon vecchio basso, ogni tanto vittima dello stesso trattamento stilistico. Azzeccato per il genere, non fraintendetemi. Il cantato è sempre bello tirato e furioso, quel giusto mix che per non perdere la folle corsa dei colleghi musicisti, non manca comunque di momenti più melodici che danno tregua a chi ascolta. "A Good Father" esplode immediatamente e in poco più di tre minuti ci presenta lo stile furibondo e velocissimo della band, un biglietto da visita difficile da dimenticare. A metà della traccia c'è spazio per un breve break che serve a scatenare nuovamente il muro sonoro e un cantato ansioso e ripetuto. Uno spruzzo di elettronica (leggasi synth) avrebbe forse personalizzato ulteriormente il brano, ma se non è nelle corde dei Lucertulas, non c'è problema. Non potrete non amare "Sickness" dove il cantato prende libero spunto dai Beastie Boys di 'Sabotage' e i primi RATM, un brano che dal vivo deve sicuramente causare distruzione ed esaltazione. Un riff introduttivo costituito da un basso distorto e da chitarre smembrate a livello molecolare e ricostruite ad hoc, rendono il sound caratteristico. Nota di merito al Dirtysound Studio e al fonico per aver creato il giusto mix musicale senza snaturare troppo gli strumenti. Un pezzo carico di groove e che ha tiro da vendere, "7" è un brano strumentale ben articolato, che inizia con un crescendo pieno di angoscia e smarrimento, spazzati via violentemente da un'esplosione sonica, che diventerà il tema della restante traccia. Ogni singola battuta e nota trasmettono la forza e il vigore insito nel trio veneziano. Le nostre lucertole si rivelano un'ottima band che non ha mollato la presa nei momenti difficili, sopravvivendo ai tempi con una continua crescita personale e artistica. Quindi massimo rispetto da supportare acquistando il vinile o il cd. Quest'ultimo è peraltro disponibile in versione limitata con case in alluminio; anche questo fa intuire la voglia di distinguersi dei Lucertulas. Bravi! (Michele Montanari)

(Macina Dischi / Robotradio - 2014)
Voto: 85