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sabato 4 luglio 2015

Khaossos - Kuolonkuu

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
I Khaossos li abbiamo già incontrati sul finire del 2014, quando tra le nostre grinfie finì 'Eksistentialismi', EP dedito a un oscuro black old school che positivamente colpì il nostro Bob. Ora, a distanza di qualche mese, mi ritrovo fra le mani (ma solo virtualmente, vista la natura digitale della release) 'Kuolonkuu', il full length di debutto del combo di Uusimaa. Sei i brani a disposizione per provare a sedurre anche il sottoscritto, di manica decisamente più stretta rispetto al collega che precedentemente recensì la one man band finlandese. Dopo la spettrale overture, l'album si affida all'incedere ossessivo, tagliente e minimalista di "Sokeus", una lunga traccia, che nei suoi oltre nove minuti, mai accenna ad una accelerazione o a una sfuriata che ne modifichi la sua desolante dinamica esistenziale. Spoglio, diceva bene Bob; è difatti la parola che meglio si addice per delineare l'essenza tormentata di questo eremita del black metal. La terza "Harhainen" è un altro lungo brano in cui si scorge una vena folklorica che fino ad ora era rimasta nell'ombra della litanica proposta del factotum finnico. Difficile cogliere però il benchè minimo barlume di speranza dall'ascolto di questo disco, che tra le proprie influenze racchiude senza ombra di dubbio i Burzum più tetri ed essenziali, complice quella monotonia intrinseca racchiusa nelle linee di chitarra. Il registro non cambia poi di molto anche in "Polkuni Vailla Suuntaa", asfissiante e deprimente, il brano prova a cambiare registro ed inoltrarsi, con le sue ancestrali tastiere, nelle maglie di un black più atmosferico. Con la title track, il buon Kval prosegue la sua missione di saturazione di anima e mente, spingendo gli ascoltatori sull'orlo del precipizio del suicidal black, prima di dare la letale spallata finale; del lotto è la song che preferisco, forse anche la più varia, visto il break acustico centrale. 'Kuolonkuu' l'avrete intuito, non è tra gli album più semplici da digerire, quindi servirà tutta la vostra attenzione e ispirazione, per trarre giovamento dalle note informi di questo maledetto artista, che con la breve "Toisella Puolen" chiude definitivamente le porte dell'inferno. (Francesco Scarci)

sabato 10 gennaio 2015

Grisâtre – Paroxystique

#PER CHI AMA: Blackgaze, Burzum, Nortt
Terzo full lenght per la one man band francese Grisâtre, attiva sin dal 2006. Uscito per la Dusktone Records sul finire del 2014, l'opera al nero dell'artista transalpino Rokkr non lascia dubbi sulle sue intenzioni. Carico di forza emotiva sulla falsariga degli Alcest, si apre con un mid-tempo, "Meditation", dalle atmosfere decadenti e gotiche, chitarre lievi, epicità e tanta malinconia, song che merita in grande stile questo titolo. Cambiano i toni in "Contemplation", pezzo che mostra i suoi muscoli pur mantenendo una certa originale eleganza, la stessa che marchia a fuoco lo stile della band per tutta la durata del cd. Batteria in accelerazione, ritmo veloce e suono maestoso, screaming violentissimo, chiaro scuri notevoli e cambi di tempo per una performance di oltre diciassette minuti, a confermarsi come un lungo viaggio introspettivo e decadente, pieno di insidie e buie emozioni. Infinito e devastante. Drone music, degna del gran maestro Klaus Shulze sul calare del terzo brano, contornato da synth profondissimi e arpeggio cristallino appena accennato, per un momento di intimità sonora di tutto rispetto prima della drammatica discesa nei meandri più disperati dell'anima di "L'Astre Gris", inno glorioso al black metal d'atmosfera di oltre diciotto minuti con influenze classicheggianti che fanno echo ai primi Dimmu Borgir e alle intuizioni mistiche dei grandissimi Nortt, passando sempre per quell'oscura, vorticosa, gelida e minimale espressività del miglior Varg Vikernes. La chiusura dell'opera è affidata al brano che regala il titolo al disco: un lungo romantico e tenebroso assolo lo apre e si riappropria delle atmosfere più fosche e grigie espresse fin qui dal polistrumentista francese, che ne fa a ragione il suo cavallo di battaglia. Ampliando in questo brano gli orizzonti della sua musica, mescolando le carte, focalizzando il suo modo di vedere e comporre. In 'Paroxistique' il sound si fa rarefatto e più umorale, i chiaro scuri si infittiscono condensando tutti i canoni delle sue capacità compositive in un pezzo di struggente e commovente espressività. Un salto nel buio, il vuoto che riempie, la ricerca di una dimensione onirica inattaccabile, il rifugio perfetto per un'essenza superiore. (Bob Stoner)

(Dusktone Records - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/pages/Grisatre

giovedì 8 gennaio 2015

Cepheide - De Silence et De Suie

#PER CHI AMA: Black Depressive/Cascadian, Panopticon
'De Silence et De Suie' è il demo cd dei parigini Cepheide, che hanno esordito nel 2014 con questo 4-track di black depressive dalle tinte atmosferiche, che sembra rifarsi al sound degli australiani Woods of Desolation. Quattro song dicevamo, che si aprono con la desolante melodia di "A La Croiseue Des Aimes", dove urla lontane e chitarre malinconiche inquadrano immediatamente la proposta dei nostri. Devo essere sincero, il primo titolo che ho accostato ai Cepheide è stato il debut album degli In the Woods, 'Hearth of the Ages', vero capolavoro black. Poi, a poco a poco vengono fuori altre influenze che finiscono per arricchire e non poco, la musica del trio di Parigi. Un pizzico di blackgaze, sfuriate cascadiane a la Panopticon, e la voce, inequivocabilmente suicidal black, delineano in soldoni le caratteristiche principali della band transalpina che è già matura per approdare alla Pest Productions, la scuderia cinese orientata a questo versante sonoro. "Là Où Les Idoles Demeurent" parte piano con un'angosciante melodia di fondo (ideale per il suono di un carillon), prima di lasciar posto a un funesto e caotico attacco black, in cui a (con)fondersi nel marasma sonico ci sono chitarre (in tremolo picking), un drumming impazzito (opera di Orkham) e uno screaming lancinante, con la ritmica forsennata, che corre e deraglia dai suoi binari. La registrazione casalinga aiuta a mantenere un approccio totalmente raw all'intero lavoro: ne è testimone l'infausta "L’Homme Ruin" in cui la voce, totalmente indecifrabile, si infrange negli angusti anfratti chitarristici del duo formato da Destresse e Spasme (quest'ultimo anche vocalist), creando un'ambientazione che lascia il fiato corto, che preme sullo sterno e genera un'ansia spaventosa. La song, sconfortante al massimo, ci prepara ai conclusivi otto minuti di disperazione, offerti da "Deluge", song che strizza l'occhiolino al sound dissonante dei Deathspell Omega; una musica esangue che poco spazio concede alla melodia, ma che si concentra solo alla macerante decadenza di questi ragazzi. Morenti. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

martedì 6 gennaio 2015

Ghost Bath - Funeral

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal/Shoegaze
La Pest Productions continua la sua ricerca di talenti e questa volta lo fa direttamente a casa propria, andando a scovare i Ghost Bath nella semi sconosciuta città di Chongqing, una delle quattro municipalità indipendenti della Cina, considerata peraltro uno degli agglomerati urbani più grandi al mondo che raccoglie milioni di immigrati dal resto del paese. Probabilmente il senso di disagio che si respira in questa metropoli, l'inquinamento e una miriade di altri problemi che popolano le grandi città cinesi, devono essersi riversate nella musica quanto mai straziante del quartetto dagli occhi a mandorla. Undici piccole gemme di un depressive black che verrà ricordato soprattutto per le ottime linee melodiche piuttosto che per le lancinanti grida dei due vocalist, a tratti davvero insopportabili. Un vero peccato perché le premesse sono a dir poco stupefacenti: "Torment", la opening track, ci offre infatti un sound all'insegna del suicidal black miscelato allo shoegaze, con le urla belluine dei cantanti, appunto, a rovinare il tutto. Le ariose chitarre, i fraseggi malinconici, le atmosfere drammatiche suggellano una prova davvero convincente che si tramuta in poesia più cupa nella successiva "Burial", una mesta sepoltura che trova sfogo nello stridore vocale dei malefici vocalist. "Silence" è un semplice arpeggio di un paio di minuti che straripa in una cascata emozionale nella successiva "Procession", song che si arricchisce di ulteriori influenze derivanti dal Cascadian black metal, una splendida cavalcata in mezzo ai boschi, attraversando fiumi e cascate, scalando montagne e raggiungendo la vetta dei nostri sensi. Splendida. Ma è una bellezza incompiuta che avrebbe tratto maggior beneficio se, anziché udire l'ululato assurdo nel microfono, magari si fosse sussurrato, narrato o cantato in modo pulito o con uno screaming decisamente più convenzionale. La cosa drammatica è che 'Funeral' avrebbe in effetti le carte in regola per essere un signor album, per piacere ai fan di Alcest, Deafheaven o Shining indistintamente. Il problema, e mi spiace averlo più volte sottolineato, risiede nella performance, a dir poco mediocre, dei due cantanti. Se siete in grado però di superare lo scoglio delle urla belluine, vi garantisco che vi innamorerete delle song celestiali fin qui descritte, per continuare con "Dead", passando dalla delicatissima "Sorrow", l'elettrizzante "Calling", e la più desolante "Continuity", fino alle un po' più sconclusionate song finali in cui i Ghost Bath si perdono per strada. Per concludere, a parte suggerire un cambio di ugola e una migliore produzione, quello dei Ghost Bath è un disco che va testato, nella speranza di un futuro migliore. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2014)
Voto: 65

domenica 21 dicembre 2014

Istina - Познание тьмой

#PER CHI AMA: Black Doom Depressive
Non sono in possesso di cosi tante informazioni a proposito di questo duo russo. Formatisi nel 2007 e provenienti da Krasnoyarsk, M. e N. sono le menti che stanno dietro agli Istina (=verità) e al loro debut album 'Познание тьмой'. Dal titolo potrete evincere come tutto, all'interno di questo cupo digipack, sia scritto in cirillico, dal titolo del lavoro a quello dei brani, quindi mi limiterò alla pura descrizione della sola musica. Musica che dopo l'immancabile intro, si presenta sotto forma di un black depressive, che alterna scorribande furiose ad altre più d'atmosfera. Volutamente (?) penalizzati da una registrazione casereccia, il disco prende quota con "Глоток Сознания", la song che vede formalmente debuttare i nostri con la loro misantropica miscela di umor plumbeo e lancinanti vocals, con le tastiere e le ritmiche sghembe, a rappresentare l'unica raggelante forma di mitigazione dell'indigesta proposta dei nostri. "Безграничность Абсолютного Бытия" è una breve traccia strumentale che funge da bridge ai nove minuti di "Пронзая Сомнения Самоопределения", song mid-tempo che mostra le molteplici facce di questo ensemble russo che non va assolutamente sottovalutato. Al di là dei vocalizzi belluini, le chitarre tracciano delle avanguardistiche linee melodiche, mentre il drumming risente non poco della sua artificiosità. Poco male, perché quello che colpisce, oltre alle violente scudisciate inferte, sono le sofferenti ambientazioni lugubri e cariche d'odio, cosi come il buon Conte Grishnackh soleva fare agli esordi nei suoi Burzum. Musica sofferente quella degli Istina o se preferite Истина, che vedono "Познание Тьмой" incanalarsi in un black cadenzato e glaciale, che vanta comunque sempre buone desolanti melodie che rappresenteranno il marchio di fabbrica dei nostri anche nelle successive song. Diciamo che la proposta degli Istina non è affatto male per chi è un fan del genere black doom depressive. Tuttavia si raccomandano una serie di migliorie: una produzione un po' più cristallina, che sgrezzi un suono che risulta a più riprese impastato e difficile da isolare, credo sia la più importante da perseguire soprattutto perché in alcuni punti, i nostri cercano un approccio un po' più orchestrale per la loro proposta ("Безнадёжность"). Inoltre, auspico un miglior uso delle vocals, troppo sgraziate sebbene si tratti di uno screaming vetriolico. La strada intrapresa dall'act di Krasnoyarsk è comunque vincente in un periodo in cui questo genere guida il mercato estremo; non vorremo però dover attendere altri sette anni per sentire parlare di questi duo loschi figuri. Per ora è un voto di incoraggiamento a continuare su questa strada ma con le migliorie di cui sopra. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

mercoledì 17 settembre 2014

Eternal Valley - Concealed in Nothingness

#PER CHI AMA: Suicidal Black
Era da un po' di tempo che non mi capitava di recensire una qualche one man band, eccomi quindi accontentato. Da Battle Ground nello stato di Washington, là in mezzo alle foreste, si cela Orszar, factotum del progetto Eternal Valley, che in questo 2014, ha fatto uscire ben 2 album e un EP, appunto questo 'Concealed in Nothingness'. Quattro i pezzi proposti, all'insegna di un black siderale, che si aprono con "As Shadows Look Away", contraddistinto da cupe atmosfere depressive disegnate da un flemmatico avanzare di chitarre, da voci disperate e da tenui luci autunnali, il suono perfetto per questo periodo dell'anno che va a sancire la fine dell'estate. 'Concealed in Nothingness' è un breve lavoro, che nonostante il suo approccio misantropico al limite del suicidal, suona comunque "caldo", come il sangue che esce da vene appena tagliate o come la lava che lentamente sgorga da un cono vulcanico. Immagini forti che rappresentano facce diverse della stessa medaglia, la prima la pericolosità della mente umana, mentre la seconda la furia della natura. Allo stesso tempo è forte e pericolosa anche la disperazione che emerge dai solchi di questo cd (attenzione, limitato a sole 100 copie): "A Hole to Die In" è la seconda traccia dal forte flavour burzumiano, quello più abile nel miscelare black e ambient, anche se di quest'ultimo non vi è traccia nel corso dei 18 minuti di questa release. "Morose" è una song furiosa, un thrash black vetusto, che trae ispirazione da molto lontano, e su cui si può anche sorvolare, per focalizzare meglio la propria attenzione sulla conclusiva "End This Life", titolo quanto mai esplicito. Davanti agli occhi mi ritorna l'immagine delle vene tagliate, il desiderio di farla finita e la malinconia trainante questo pezzo strumentale, risuona come un invito a calare il sipario sulle nostre vite. Dilanianti. (Francesco Scarci)

(Neckbrace Records - 2014)
Voto: 65

venerdì 22 agosto 2014

Labyrinthine - Ancient Obscurity

#PER CHI AMA: Black Doom, Blut Aus Nord
Il black metal statunitense sta vivendo una seconda giovinezza. Nuove leve spuntano ogni giorno nello sterminato territorio oltreoceano, offrendo sonorità, che pur prendendo spesso spunto dalla tradizione europea, vengono poi rivisitate con una più che discreta dose di originalità. Oggi tocca ai Labyrinthine di Philadelphia, da non confondere con la prog band omonima, ma ormai disciolta, dell'Oregon. L'ensemble della Pennsylvania è in realtà la più classica delle one mand band black, dove J.L. si occupa di tutta la strumentazione e delle arcigne vocals. 'Ancient Obscurity' è un album dalle forti tinte depressive, che segue, a distanza di quattro anni, il debut 'Evoking the Multiverse'. Alla luce di un artwork oscuro e disagiato, si muove anche un sound caliginoso, che non trascende mai in velocità ma che talvolta si perde nei vortici della desolazione più assoluta, un incubo ad occhi aperti raccontato dallo screaming agghiacciante del mastermind della East coast. "Enshrined in Death" e la successiva "The Boundless Plane", sono i due pezzi che aprono il disco, lenti e neri quanto la pece, intorbiditi nel loro incedere anche da una produzione non proprio limpidissima ma che rende alla grande l'effetto sfiduciato e sfiduciante che verosimilmente l'artista intende produrre. "Marble and Bone" è una song strumentale dotata di un certo fascino ammaliante ma anche perverso che ci introduce alla feroce e disturbante "The Ichorous Portal" che potrebbe ricordare una forma più rozza dei francesi Blut Aus Nord, che cosi tanti proseliti stanno raccogliendo un po' in tutto il mondo. Arriviamo a "Nexus of the Untold", il mio pezzo preferito, in cui JL ci propone un black dal taglio orientaleggiante, ipnotico e strisciante come la morte. "Accordance" è un altro psichedelico pezzo strumentale che poggia il suo riffing su un vertiginoso loop ritmico che dischiude le porte alla conclusiva "Oath of Divine Doom", ultimo spietato pezzo black doom di un mefitico album che emerge dalle lave profonde dell'inferno. (Francesco Scarci)

(Self - 2014)
Voto: 70

domenica 27 aprile 2014

Khladnovzor - White Labirint

#PER CHI AMA: Depressive Black
Eccomi qui a recensire questi Khladnovzor, depressive black metal band dalla russia, la cui line-up è composta da Morokh che stando alle poche informazioni trovate in rete sembrerebbe essere la mente di tutto, Abgott alla voce e Sfavor bassista e programmatore della batteria, questi ultimi suonano entrambi in un progetto nsbm di cui non farò menzione per evitare inutili propagande nei confronti di una scena musicale altrettanto inutile. Mi ha immediatamente colpito l’artwork di 'White Labirint', davvero caotico, in una parola “brutto”: logo della band incomprensibile e disarmonico, e purtroppo ogni cosa scritta sul cd, titolo dell’album e testi sono in cirillico pertanto difficile, per non dire impossibile, capirci qualcosa. Dicevo che la musica contenuta in questo primo full-lenght è un depressive black metal che a tratti va ad assomigliare al Cascadian Black Metal. Di idee ce ne sono diverse, c’è una buona inventiva da parte del chitarrista che tesse la trama di riff molto malinconici e soffusi e questo è il punto di forza della release, anche se ahimè i punti a sfavore sono troppi per poter dichiarare questo album “buono”. La prima e più grande pecca sta nella registrazione che risulta estremamente piatta e con troppi medi; anche tentando di equalizzare al meglio attraverso lo stereo non si riesce ad ottenere un suono soddisfacente, rimangono registrazioni troppo finte, digitali, senza corpo e tridimensionalità. Superando questo cavillo, troviamo una voce poco decisa, poco energica ed impersonale, che non fa altro che peggiorare le cose; la drum-machine, seppur ben programmata è un ulteriore tasto dolente. Le tracce poi, sono troppo lunghe e monotone e finiscono con l’annoiare, inoltre sarebbe il caso di essere meno conservatori e magari offrire una traduzione dei testi dal russo all’inglese. Capisco la voglia e la passione per il nazionalismo, ma il nazionalismo non è chiusura mentale. Se si desidera farsi conoscere, se si vuol portare un messaggio al di fuori della Russia, sarebbe il caso di cominciare a pensare di scendere al livello dei comuni mortali e scrivere in una lingua che sia minimamente comprensibile, dunque, aggiungendo che non capisco assolutamente le tematiche dei testi e non mi è possibile determinare di cosa parlano, posso dire di essere rimasto deluso da questo album, non lo ritengo un ascolto interessante, credo che si possa usare meglio il proprio tempo ed ascoltarsi qualcos’altro. (Alessio Skogen Algiz)

(Nihil Art Records - 2014)
Voto: 55

venerdì 28 marzo 2014

Enthroning Silence – Throned Upon Ashes of Dusk

#PER CHI AMA: Depressive black metal, Burzum, Yayla, Coldworld
La band piemontese attiva discograficamente sin dal 2002, interrompe un silenzio lunghissimo rimettendosi in pista con questo lunghissimo e drammatico album, datato 2013 e licenziato via Dusktone. Alfieri del genere depressive black metal, i nostri non si smentiscono e sfornano un album catatonico, malato, depressivo e colto al punto giusto. Chitarre dissonanti, zanzarose ed echi lontani di ritmiche aggressive, la voce in presenza sporadica e di cupo effetto, un'alchimia estraniante ed un sostrato di effettivo rifiuto del mondo così come lo conosciamo; sei pezzi che oscillano tra gli otto e i quattordici minuti racchiusi in un artwork dalle sembianze deliziosamente tetre. Un forte aspetto psicologico governa questo tipo di musica, una via di liberazione attraverso le lande del dolore infinito, la ricerca del vuoto che permette di creare qualcosa. Alla base di tutto questo si celano gli insegnamenti del più isolazionista Burzum ma anche di realtà diverse e meno famose ed altrettanto intriganti come Yayla o i Coldworld, anche se qui, a differenza delle composizioni della band tedesca, l'elettronica non c'è e nemmeno l'ambient. Certamente coesiste una matrice atmospheric black che accomuna questi progetti così diversi. Il sound è alla deriva del miglior black sotterraneo e non mostra compromessi presentandosi come un lungo funereo cammino di riflessione, carico di delusione e rammarico che comunque nasconde una grossa vena romantica nel suo essere così drammatico, una sorta di reinterpretazione sonora del 'Dracula' offerto nell'interpretazione di Klaus Kinski, con lo stesso effetto isolazionista che la colonna sonora del film curata dagli Popol Vuh riusciva a dare. Drammatico, sepolcrale e illuminato. (Bob Stoner)

mercoledì 5 marzo 2014

Anomalie - Between the Light

#PER CHI AMA: Black/Depressive Rock, primi Katatonia 
Direi che è una quasi una costante: avere una one man band e fare black (tipico nelle sue forme più di nicchia, post, ambient o depressive/suicidal). Quasi quasi ci provo anch'io, anche se sicuramente non potrò mai raggiungere i risultati eccellenti del factotum di turno, il musicista austriaco Marrok (già negli Harakiri for the Sky), che con il suo ambizioso progetto Anomalie, esce per l'Art of Propaganda con questo ottimo 'Between the Light'. Il lavoro, etichettato qua e là nel web come post black, suona a mio modo di vedere, molto rock nelle sua matrice interstiziale, non facendosi mancare le ovvie ma non cosi frequenti, sfuriate black. "Blinded" apre il lavoro, col suo cupo connubio basso, batteria e chitarra acustica in una ascesa musicale che poco a poco, assume i contorni della cavalcata epica. Largo spazio quindi alle melodie, alle aperture ariose, alle linee di chitarra pulite, interrotte dalla maestosa e selvaggia irruenza del drumming ma anche da uno splendido assolo conclusivo. Notevole anche la voce, che dallo screaming (chiaro e comprensibile) si muove al sussurrato/parlato/pulito, con estrema disinvoltura. "Not Like Others" è un tuffo nel passato ad omaggiare le origini di questo sound nel monumentale 'Dance of December Souls' dei Katatonia. L'abilità del mastermind Marrok è quella di abbinare al black doom, spruzzate di shoegaze o venature depressive rock, senza ovviamente tralasciare la persuasione musicale che il post rock riesce a donare nei suoi intermezzi acustici. Ecco questa song, ma in generale tutto il lavoro, raccoglie influenze più o meno moderne, che derivano da quegli ambiti musicali che più sono in grado di trasmettere emozioni violente, squarci inguaribili nella nostra anima. Non è detto poi che gli Anomalie riescano a centrare perfettamente l'obiettivo, ma il più delle volte ci vanno vicini. "Tales of a Dead City" ci riprova, giocandosi la carta a sorpresa delle eteree vocals femminili che si alternano allo screaming del vocalist e al sound che qui assume connotati neri come la pece suffragato da una violenta tempesta black ma addolcito anche da un ottimo e inusuale strappo di chitarra. "Oxymora" è una song che non ha molto da chiedere, mentre il malinconico pianoforte in apertura a "Recall to Life" e il cantato corale pulito, riescono a catalizzare la mia attenzione sin da subito: la song prendendo questa volta spunto dalle linee di chitarra di 'Brave Murder Day', avanza straziante tra cupe e ronzanti atmosfere e un altro delizioso assolo conclusivo, vero punto di forza e di originalità di 'Between the Light'. A chiudere, una quanto mai inattesa cover dei Nine Inch Nails, "Hurt", band di cui io non sono assolutamente fan e che trovo fuori luogo dal contesto musicale in cui fino ad ora siamo rimasti immersi. Ma che ci fa qui questa song? Mero riempitivo o dimostrazione di sapersi districare anche in territori musicali diversi? Come diceva il buon Dante, "Ai posteri l'ardua sentenza...". Per ora mi limito a dire che l'opera prima degli Anomalie ha quasi colto nel segno. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2014)
Voto: 70

lunedì 3 marzo 2014

Deadly Carnage - Manthe

#PER CHI AMA: Black Depressive Rock, Shining, Primordial
Ritrovo dopo poco più di due anni i romagnoli Deadly Carnage, che avevo recensito in occasione del secondo album 'Sentiero II - Ceneri', descrivendo il loro sound come un concentrato di black metal malato, selvaggio e feroce. Quando "Drowned Hope" fa il suo esordio nel mio stereo, mi aspetto che dietro al suo mansueto avvio si nasconda la classica quiete prima della tempesta. Una delicata chitarra introduce infatti il brano, accompagnata dal tocco leggero del drumming e infine da una voce filtrata in sottofondo. Ma è li dietro l'angolo, lo sento, la minacciosa furia che si andrà ad abbattere sul mio capo. Ma la song singhiozza, sembra essere sempre sul punto di esplodere, ma nulla fino a poco dopo la sua metà, in cui finalmente il male oscura il cielo e mi inghiotte nella gelida notte con un assolo finale da applausi. Forse un po' influenzati dai Primordial, con qualche reminiscenza, almeno nella sofferenza vocale, agli Shining (quelli svedesi), ma l'attacco non è affatto male; poi è il turno della malinconica "Dome of the Warders" (da cui anche un video girato sulle Alpi Venete e sulle Dolomiti) che mi mostra una faccia diversa, decisamente più matura del quintetto di Rimini, che sembra rifuggire da un black metal tempestoso, ma abbraccia sonorità più miti e vicine a primi Katatonia o ai nostrani Forgotten Tomb, il tutto avvolto da un'aura che sa di mistici suoni cascadiani, con tanto di break acustico che mi fa decisamente sobbalzare dalla sedia. SPLENDIDO. Niente da dire, i Deadly Carnage con questo pezzo hanno toccato la mia anima più scura. Un'incorporea danza nella mia meditabonda mente che si lascia trasportare dal flusso di coscienza che permea questo album, percepibile attraverso i suoi suoni e attraverso un eccezionale assolo di flauto traverso. Se il disco finisse qui sarebbe un 10. Ma altre cinque sono le tracce che mi attendono: "Carved in Dust" è una bella e classica cavalcata di metallo nero sporcato da influenze post black d'oltre oceano. "Beneath Forsaken Skies" palesa l'amore del combo italico per un dualismo black doom: incedere lento, costrittore e strisciante prima di un'apertura più melodica, con la sofferente voce di Marcello in primo piano. Registrato, mixato e masterizzato da Mirco Bronzetti al De Opera Studio di Viserba, 'Manthe' si dimostra sicuramente un album intrigante. Il basso di Adres apre "Il Ciclo della Forgia" accompagnato dalle belle chitarre acustiche del duo formato da Dave e Alexios. Il feeling riporta nuovamente al sound pagano di Alan Nemtheanga e soci, il drumming ossessivo di Marco e l'utilizzo della lingua italiana in questo modo, rievocano la mitica "Roma Divina Urbs" degli Aborym. Pollice alto. "Electric Flood" mi sa molto da riempipista, song black punk che in questo contesto ho trovato un po' fuori luogo, sebbene nella sua seconda metà si riprenda non poco. Giungo alla monumentale (14 minuti) e conclusiva title track, in cui i Deadly Carnage ci rigettano nella catartica disperazione, figlia del suicidal depressive black metal del Nord Europa. Ma dopo un paio di minuti, il break di basso che non ti aspetti (che si ritroverà anche sul finire), che rende sicuramente più interessante il brano, che da li a poco, riprenderà a percorrere i binari del black doom, ma con una luce sicuramente più evocativa, espressiva ed epica, complici le chitarre che si inseguono in ipnotici giri fatti di luci e ombre. Ma la song è magmatica, dinamica, un'eruzione di umori e sensazioni che nel loro energico flusso, riusciranno al termine dell'ascolto, a placare il mio animo inquieto, confermando l'eccelsa qualità raggiunta dai nostri, in termini sia compositivi che esecutivi. Deadly Carnage, la sorpresa che non ti aspetti! (Francesco Scarci)

(De Tenebrarum Principio - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/DeadlyCarnage?ref=ts

domenica 2 marzo 2014

Lamúria Abissal - Cânticos de um Além Abismo

#PER CHI AMA: Depressive Black, Shining
Il depressive black metal è un genere particolarmente espressivo, che si affida alla profondità della sue note per passare il suo messaggio. Si può dire che è difficile essere veramente espressivi quando si fa musica, e che molti gruppi falliscono nel loro tentativo di toccarci emotivamente. Posso dire certamente che non è questo che fanno i Lamúria Abissal. Con i loro testi ben scritti e la loro proposta, ci conducono ad una trance tenebrosa, e la loro demo di debutto, mostra come il black depressive deve essere fatto. Io descriverei la loro musica come un black molto pesante, in cui vi è molta interazione tra i riff di chitarra ed i suoni di tastiera, che creano alla fine un coinvolgente feeling profondo. Pur essendo nuovi in un genere già di per sé relativamente nuovo, i Lamúria Abissal suonano come un gruppo “old school” di depressive black, mostrando influenze da gruppi seminali come Shining o Silencer. Ciò che richiama l’attenzione sono poi i testi. Non sono verseggiati come accade normalmente, ma cantati in modo continuo e slegati, come farebbe un vero animo depresso che declama le sue angosce. Pur suonando naturali, le liriche si riveleranno assai poetiche, rammentando il romanticismo del XIX secolo. 'Cânticos de um Além Abismo' è una grandiosa demo che mostra il talento da vendere di questi musicisti, corredati da testi e strumenti meravigliosi. Da seguire. (Raphael de Souza Camisão)

(Depressive Illusions Records - 2012)
Voto: 80

http://www.facebook.com/lamuriadsbm

giovedì 3 ottobre 2013

Svart - Det Personliga Helvetets Spiral

#PER CHI AMA: Depressive Black, Shining
Se state soffrendo per la mancanza del capitolo numero 9 degli svedesi Shining (l'8½ non conta), non dovete fare altro che acquistare a scatola chiusa questo disco. Non solo perchè gli Svart sono il side project del bassista degli Shining stessi, ma perché non posso negare che “Det Personliga Helvetets Spiral” abbia un sound che richiami quello della band madre. Poco importa perchè il risultato è davvero convincente. L'arpeggio iniziale in “Genom Förgängelsens Dimmor“ e comunque la chitarra acustica che domina le ritmiche dei nostri, ha un fascino davvero intrigante per quella sua aura palesemente depressiva. La prima traccia ha da offrire una proposta ruvida nelle parti più aggressive con le harsh vocals di Draug che si alternano a quelle pulite dei momenti più rilassati, in cui ad emergere è un inedito ibrido post rock/suicidal depressive. “De Ogudaktigas Abyss” ha un piglio più thrash oriented con le chitarre che suonano molto southern, stile Glorior Belli. La song è abbastanza incazzata ma non mi convince granchè; skippo a “Hädanfärd”. Si tratta di una marcia funebre strumentale scritta e composta da Seya Ogino (la prima guest del disco proveniente dagli Acacia), in cui la tetra atmosfera che si respira, odora d'incenso. Il deprimente pianoforte suona spettrale lungo tutto il suo desolato cammino. Catturata nuovamente la mia attenzione, si passa alla title track, minacciosa e mortifera song di otto minuti in cui alle vocals appare Ulf Nylin (Acacia, Murmur, Korpblod), il nostro secondo ospite che offrirà la sua eccellente performance vocale anche nella violentissima “Moder Jords Svärtade Sköte”. Qui invece il ritmo è lento e assai cupo, con i vocalizzi demoniaci del duo Ulf/Draug ad incutere un raffinato timore. Il suono delle chitarre suona ovviamente come gli Shining, non mi dispiace, ma forse Draug dovrebbe migliorare quest'aspetto della sua musica, per non cadere nel facile paragone tra la sua creatura e quella di Niklas Kvarforth. Certo che quando il mastermind svedese inizia a premere sull'acceleratore c'è da aver paura, proprio come nel feroce epilogo del quarto brano. “Suicidiums Evinnerliga Bävan” è un nome e un programma: efferata ed epica, si tratta di un black mid-tempo dalle tinte fosche ma pregne di quella eroica fierezza che contraddistingueva i pezzi dei Bathory. Niente male davvero. Ecco quello che volevo, un po' più di distacco dagli Shining e maggiore voglia di spaziare tra più generi ed influenze; riproporre poi lo spirito di Quorthon, non è quel che si dice una cattiva idea. Il finale poi è carico di trasporto, per uno strepitoso risultato. Di “Moder Jords Svärtade Sköte” vi ho già accennato: song brutale, contraddistinta da ferali blast beat, che nel suo cuore centrale, si abbandona fortunatamente, a splendide e malinconiche atmosfere ancestrali. A chiudere il disco ci pensa “Agnosis”, una sinfonica melodia che mette a tacere l'anima tormentata di Draug. Un disco interessante, ma dal sagace mastermind svedese mi aspetto, per una prossima release, una maggiore distanza da quelli che sono i dettami di casa Shining e pertanto una maggiore personalizzazione della propria musica, peraltro già di per sé molto buona. Disperati. (Francesco Scarci)

(Art of Propaganda - 2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/svartofficial

lunedì 23 settembre 2013

Galaktik Cancer Squad - Ghost Light

#PER CHI AMA: Black atmosferico
La Hypnotic Dirge Records è un fiume in piena che prosegue la sua opera di reclutamento di semi-sconosciute band di talento per farle conoscere ad un pubblico più ampio. È il caso dei teutonici Galaktik Cancer Squad, one man band che sinceramente ignoravo fosse già giunta alla loro quarta release e che ho appunto scoperto grazie all'etichetta canadese. L'act germanico è dedito a un black ferale dalle vaghe tinte progressive, che già dalla prima track, mette in mostra un potenziale di fuoco pauroso. “Ethanol Nebula” è una song contraddistinta da lunghe tempestose sfuriate di colante metallo nero su cui gravano le mortifere vocals del factotum Argwohn. I brani sono tutti molto lunghi e i nove minuti di “When the Void Whispers my Name” si articolano in un’intro affidata a una spettrale e ipnotica chitarra, che poi deflagra in una minacciosa cavalcata oscura. La selvaggia irruenza del black rappresenta il vero marchio di fabbrica del combo tedesco, anche se ovviamente il tutto è agghindato da partiture più ragionate, sprazzi melodici e break acustici che riescono a spezzare quello che rischierebbe di essere il vero limite dell'album, l'eccessiva velocità. Splendido a tal proposito il finale della seconda traccia, un notturno intermezzo acustico che ristabilisce quella quiete che era stata spazzata via dalla furia belluina iniziale. Le chitarre ronzanti in stile Burzum, aprono “In Lichterlosen Weiten”, lunga suite di dodici minuti, in cui accanto alla rabbia incessante, a tratti alienante, del mastermind teutonico, si affiancano momenti di rilassatezza che mi consentono di tirare il fiato, rilassarmi sulle note più suadenti della band e poterne apprezzare al meglio suoni e sfumature, altrimenti sbaragliate dall'arroganza strumentale dell'album. E cosi non posso far altro che lasciarmi trasportare dal mid-tempo del terzo brano che offre richiami dei primi Katatonia e di altre realtà dedite a sonorità più doom oriented; decisamente la mia song preferita, forse quella più matura e varia, in cui comunque dopo la quiete, a irrompere è nuovamente la tempesta. La title track sembra più sperimentale nelle sue ritmiche e suoni: maggior spazio viene lasciato alla componente strumentale e ad un approccio meno black e più death; altrettanto lo screaming, che si fa più oscuro. Bell'esperimento. “Hypnose” è un altro quarto d'ora di pura violenza primordiale (peccato per l'uso della drum machine), per di più interamente strumentale, che viene interrotta solo al minuto 8 da un break acustico. Insomma un po' dura da digerire. Messo al muro, non ho modo di parare i colpi inferti dai Galaktik Cancer Squad. Ko tecnico. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/GalaktikCancerSquad

lunedì 4 marzo 2013

Black Autumn - The Advent October

#PER CHI AMA: Black Depressive, Ambient
Un inizio che sembra più da celebrazione di matrimonio, apre questo nuovissimo EP della misteriosa one man band tedesca dei The Black Autumn, che io avevo seguito in occasione del demo “Isolation”, ma di cui poi sinceramente ho un po’ perso le tracce. Li ritrovo ora, con un EP nuovo di zecca, licenziato dall’abilissima Obscure Abhorrence Productions in co-produzione con la nostrana Bylec-Tum, scopro che nel frattempo, Mr. Krall (il detentore della band) ha fatto uscire ben quattro album e io mi domando che cosa ho combinato negli ultimi anni, dormivo forse? A parte queste mie inutili considerazioni, mi accorgo però che il sound del nostro factotum tedesco non si è mosso granché da quegli esordi, che facevano dei suoni glaciali, melodici e depressive, la matrice di fondo dell’act teutonico, se non per un notevole ingentilimento di quella proposta. Si parte con la title track, song tranquillissima che mostra delle ambientazioni al limite del post rock, spruzzato di un velo shoegaze, con un’aura black sempre incombente, che riemergerà qua e là nel corso della composizione (ad esempio nel roboante incedere conclusivo di “Dortke Mor”). Poi è la vena malinconica a avere maggiormente il sopravvento, con l’acustico incipit di “Dead as Martyrs March”, il marziale avanzare delle sue chitarre e le maligne vocals di Michael che, nella loro rara presenza, squarciano la funerea coltre di nebbia che ammanta questa release. “A Silver Line of Light” chiude questo EP, con il suo feeling disperato, denso di emozioni che gravano come un macigno sulla mia anima. Deprimenti! (Francesco Scarci)

(Obscure Abhorrence Productions - Bylec-Tum)
Voto: 65

https://www.facebook.com/blackautumn.band

domenica 3 marzo 2013

Hellige – Demo

#PER CHI AMA: Black Doom, Altar of Plagues, Dark Castle, Blut Aus Nord
Gli Hellige arrivano dall'Argentina e ci mandano un demo promozionale datato 2012 di grandissima qualità sonora e compositiva. Il duo argentino è al terzo album e l' unica nota negativa per questo lavoro è il titolo che in realtà non c'è e dopo due album intitolati rispettivamente "Hellige" e "God" a nostro parere ci stava un titolo importante almeno quanto la musica proposta. Ci arriva in una busta cartonata completamente nera, dall'artwork curato ma che a malapena fa notare una figura macabra sullo sfondo e sovra impresso in caratteri grigio scurissimo i titoli e i contatti, una forma grafica che sottolinea un'avversità alla luce proclamata a gran voce e che a dire il vero non invoglia troppo all'ascolto visto che a fatica si riesce a distinguere il nome della band. Sicuramente una politica voluta e ricercata e che solo dopo aver ascoltato il cd si riesce ad intuire. Parlare di semplice doom/black metal è molto riduttivo per questo lavoro. Qui la musica si tinge di tinte oscure e l'incedere lento e costante rendono l'insieme un mantra pericoloso per la psiche e le lande più tenebrose dell'anima di chi ascolta. Il suono è luciferino, tagliente, nervosissimo e a tratti sfiora sonorità vicine ad Altar of Plagues, Dark Castle o Blut Aus Nord a rallentatore e con meno voglia di sperimentare ma molta omogeneità, fantasia e un'integrità sonora sicuramente da apprezzare. L'umore dei quattro brani è insistentemente buio e prevale una visone doom su tutto l'intero lavoro, lo screaming e il growl usato per la parte vocale, sfoderano potere narrativo sostenuto da musiche tesissime e sinistre, suoni stratificati, rallentamenti devastanti alternati ad esplosioni rabbiose al vitriolo sempre e comunque mantenendo quella vena astratta e d'avanguardia che potrebbe rimandare ai primi Solefald. Possiamo dire inoltre che soprattutto nel quarto brano, "Obnubilum", il più lungo dei quattro, gli Hellige riescono a fondere il black metal con lo stile compositivo mantrico/psichedelico di un certo post rock di classe da cui ne esce una litania infinita e disperatissima, depressiva e con un velo di eterno smarrimento quasi geniale. Quattro brani, tutti con una lunghezza che varia dai 6 ai 14 minuti di una continua destabilizzazione emotiva. Un viaggio, l'ennesimo stupendo viaggio alla ricerca dei risvolti più neri dell'anima. Da provare, solo per anime libere e profonde! (Bob Stoner)

lunedì 7 gennaio 2013

Scaphandre - The Abyssal Crypts

#PER CHI AMA: Suicidal black metal
Gli Scaphandre sono una realtà underground francese, cosi come pure, estremamente underground e direi quasi no-profit, l’etichetta, l’Alchemic Sound Museum, che promuove la one man band transalpina. Francia e one man band, un binomio che rappresenta da sempre, gli ingredienti che definiscono, per sommi capi, il sound degli Scaphandre. Se anche voi siete giunti alla conclusione di essere di fronte ad una realtà black metal, possiamo affermare con certezza di essere sulla stessa lunghezza d’onda. La chitarra di “Celeste” ce ne dà conferma: è come una profondissima ferita inferta sul corpo, di quelle che bruciano per il dolore e la voce del factotum, non fa altro che acuirne la sofferenza. Lo dicevo io che siamo di fronte ad una forma primordiale di black, peraltro di quelle urticanti, non tanto per le velocità che esso tende a perseguire, ma per il suo mood glaciale, freddo e brulicante di un fottuto desiderio di farla finita. Non siamo al cospetto di nessuna bombastica produzione che risalti suoni o emozioni di questo lavoro. “The Abyssal Crypts” è un lavoro ferale di suicidal black metal, riletto nella sua chiave più opprimente e devastante. Abbandonate quindi ogni speranza, voi che vi avvicinate ad una simile release, in cui verrete immediatamente investiti da un sound monocorde, quasi soffocante, in cui trovano posto solamente le taglienti vocals del protagonista. Dopo più di dieci minuti mi ritrovo già annichilito e non ho neppure il tempo di rialzare la testa che “Agate” inizia a picchiare come una forsennata. La peccaminosa e rozza produzione non aiuta di certo ad assimilare un album che di certo potrà interessare solo ad una ristrettissima schiera di amanti del sound estremo, nonostante ci sia il vano tentativo di ammorbidire la proposta con l’inserto di un qualche chorus epico. La montagna da scalare è irta e la sensazione di scivolare sul ghiaccio si fa via via sempre più forte. Fortunatamente l’interludio ambient ferma il trapano che fino ad ora ha stuprato il mio cervello e mi da modo di riprendermi almeno per un paio di minuti, prima del fluire mortifero ed inesorabile del sound dei nostri, che in “Mystiques” trova un altro momento di quiete relativa, prima che la quiescenza svanisca del tutto… (Francesco Scarci)

(Alchemic Sound Museum)
Voto: 60

http://www.scaphandre-official.com/

martedì 6 novembre 2012

Imber Luminis - Winter Falling

#PER CHI AMA: Black Depressive, primi Shining
One man band quest’oggi proveniente dal Belgio, il cui frontman, Déhà, sembra essere titolare di un bel gruzzolo di band, in territori parecchio underground. Tra le sue creature, mi trovo qui a parlare degli Imber Luminis, che hanno all’attivo un demo, un full lenght, una compilation (mi domando di cosa) e questo EP di due pezzi uscito quest’anno. La direzione musicale percorsa dal nostro factotum di turno, è quella del depressive black metal. “I Can Hear the Birds Crying” apre l’Ep con i suoi dieci minuti e più, di musica desolante, straziante e nefasta, che non dà il benché minimo spazio alla speranza in un futuro migliore. Ovviamente i rimandi ai primi Shining si sprecano, cosi come pure ai Woods of Desolation, vuoi per le statiche, ma efficaci linee di chitarra o per le disperate screaming vocals, che trovano anche modo di cantare con voce pulita. Nonostante questo genere pecchi di eccessiva ripetitività, trovo la prima traccia assolutamente godibile e con una melodie portante che si incunea facilmente nelle mie circonvoluzioni cerebrali. Chiaro, al termine dell’ascolto di un lavoro come questo, rimane soltanto un senso di vuoto, disagio e totale inadeguatezza, ma si sa che l’uomo nel suo subconscio è autolesionista. E cosi ecco trovarmi ad ascoltare anche i tredici minuti di “I Am Not” e rimanere totalmente stupito nel constatare che il mastermind belga abbia da offrire un qualcosa di evocativo e drammatico nella sua esecuzione, la cui impronta rimane indelebile nella mia anima affranta e sempre più dannata. Sarà anche musica depressive, suicidal, funeral doom o chiamatela come volete, qui dentro ci trovo anche un che di romantico, ovvio, quel romanticismo il cui finale non è preannuncia nulla di buono. Ma che volete farci, per come girano le cose, ci si accontenta anche di questo. Funesti. (Francesco Scarci)

(Self) 
Voto: 65

martedì 18 settembre 2012

Black Hate - Los Tres Mundos

#PER CHI AMA: Black Ritualistico
Chi pensava che il black metal fosse morto, dovrà ricredersi, perché mai come in questo periodo mi sono capitate fra le mani cosi tante release provenienti dall’oscuro sottobosco, tutte peraltro di grande personalità ed intensità. I Black Hate non fanno eccezione e pur provenendo da un paese, che in termini musicali, non è proprio all’avanguardia, il Messico, sanno stupirmi e spingermi a ravvedermi su questa mia superficiale concezione. “Los Tres Mundos” è un album di notevole spessore, che combina elementi di black dedito alla fiamma più nera, con del ritualistic metal (e il mantra di “Ika-ni un-na” ne è l’emblema), il tutto avvolto da una cappa di suoni funerei, dove non mancano neppure le sfuriate black death (“Subconsciente”). “Los Tres Mundos” non è un lavoro affatto facile da ascoltare, assimilare e farsi piacere; deve essere ascoltato più volte per poterne cogliere la sua concezione musicale e quella lirica, con un concept album che esplora il tema della lotta dell’uomo contro il sentimento implacabile e pervasivo. E la musica cosi nervosa e disperata, cosi distante dagli stilemi classici europei o nord americani, si mostra per l’appunto alquanto personale, a partire dal bestiale cantato in lingua madre (abbastanza tipico per le band centro e sud americane), ad una ritmica che, pur presentandosi con la classica chitarra ronzante, riesce in taluni casi ad aprirsi in parti arpeggiate (ne “La Ultima Solución” mi sembra addirittura di sentire gli Opeth, cosi come pure in qualche intermezzo acustico), in altri casi il black dei nostri assume connotati suicidal black, come nella deprimente “Glorious Moments” (il mio pezzo preferito), che si mette in luce anche per un break centrale e un assolo quasi pink floydiano. Splendida. Si assoli signori, nell’album se ne ritrovano parecchi e non di matrice estrema, ma di scuola heavy metal, proprio come i vecchi Iron Maiden erano in grado di deliziarci nei loro meravigliosi dischi negli anni ’80. Davvero interessante questo lavoro; magari ci sarà ancora da smussare qualche angolo qua e là (tipo la prolissità dell’affascinante title track) per delineare maggiormente una propria personalità, ma i nostri sono sulla strada giusta, cosi come accadde un paio d’anni fa, agli svedesi Shining, probabilmente illuminati sulla “via di Damasco”, ottenendo una certa notorietà e successo. Davvero una bella scoperta questi Black Hate: decisamente continuerò a tenerli sotto stretta osservazione. Suggestivi. (Francesco Scarci)

sabato 1 settembre 2012

Grisâtre - Esthaetique

#PER CHI AMA: Suicidal Black Metal, Burzum
Questa torrida estate vede fare la comparsa tra le mie etichette “amiche” anche la nostrana Dusktone, che mi propone gli ultimi suoi tre lavori. E allora iniziamo con l’analizzare quello che mi ha incuriosito di più, per stile e per nome, ossia il secondo album dei francesi Grisâtre, band capitanata da Rokkr e responsabile in questo “Esthaetique”, di suoni oppressivi, nichilisti, e di quel genere che viene etichettato come depressive suicidal black metal, che va tanto per la maggiore nell’ultimo periodo. Ebbene, dopo la breve intro, ecco gettare la mia residua felicità nel cesso, lanciarmi all’ascolto autodistruttivo di “L’Abstrait”, dove mi lascio fagocitare dalle maledette tristi melodie di Rokkr, che vedono lunghi tratti di epiche cavalcate annebbiarmi dapprima i sensi, stordirmi con visioni oniriche in bianco e nero, immagini che non hanno nulla di positivo da regalare, ma che sembrano essere solo un presagio di morte. Anche l’aria che respiro durante l’ascolto è pesante, quasi putrida, pronta a scandire l’ora del mio decesso. L’intorpidimento delle braccia e delle mie gambe, mi fa temere il peggio, ma è chiaro che ho solo perso il contatto con la realtà, cosi tanto assorbito dall’ascolto di questo lugubre lavoro, che vede tipicamente offrire una produzione scarna e sporca. L’eco del sound nord europeo si ritrova nella proposta del nostro Rokkr, l’ambient di scuola burzumiana aleggia come un’inquietante spettro nella musica dei Grisâtre, cosi come pure le chitarre zanzarose, che si lanciano in rari turpiloqui di ferale brutalità, rompono la monotonia del loro incedere. Il black doom della band transalpina viene poi squarciato dallo screaming selvaggio e sgraziato di Rokkr, ma si sa, queste sono le dinamiche di un genere sempre più in ascesa e di cui sentiremo sempre più spesso parlare. Se non volete rovinare la positività della vostra estate con la disperazione emanata dalle atmosfere dei Grisâtre, posticipate l’ascolto di “Esthaetique” in autunno; ma se anche voi, non avete paura ad affrontare le paure più recondite che si celano dentro alla vostra anima dannata, allora date una chance a questo lavoro. Funereo. (Francesco Scarci)