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lunedì 30 settembre 2019

Dream Death - Back from the Dead

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Doom/Speed
Quando ascolto un cd, la prima cosa che sicuramente mi balza all’orecchio è la qualità del suono: una registrazione perfetta e cristallina darà certamente valore alla musica che vado ad ascoltare; di contro, un’incisione pessima non mi dà modo di apprezzare del tutto il prodotto musicale. Questo preambolo, per dirvi che il cd in questione, 'Back from the Dead', degli statunitensi Dream Death (all'epoca dell'uscita sciolti e poi riformatisi nel 2011), è stato probabilmente registrato con un aratro nel retro bottega di uno dei membri della band, quindi lascio a voi immaginare la qualità del suono. L’album in questione è la release ufficiale (ristampata in vinile nel 2012 grazie alla Svart Records) che riunisce i tre demotapes del combo di Pittsburgh, demotapes risalenti alla seconda metà degli anni ’80, la cui qualità scadente dell’audio non agevola di certo il mio ascolto. Siamo ad ogni modo di fronte ad un lavoro che combina elementi metal, doom e speed, a voci hardcore. Sta di fatto che non ho parole per definire questa fatica; non trovo, infatti, il senso della sua pubblicazione, se non altro perché, alcuni membri della band, hanno poi contribuito a formare i più conosciuti Penance. 80 minuti di martirio per le mie orecchie non giustificano l’ascolto, tanto meno l'acquisto di questo prodotto, a meno che non siate fans sfegatati della band sopraccitata o vi interessi conoscere il doom in una delle sue forme primordiali e più brutali. Su una cosa devo però essere sincero: le tracce di quest’album hanno sicuramente influenzato le generazioni a venire, in ambito death e doom metal, e questo lavoro è probabilmente un riconoscimento al ruolo assunto dai Dream Death nell’aver influito al diffondersi del suono del destino. Qualcuno indica addirittura il presente album, quale sorta di collegamento mancante nell’evoluzione del doom, da quello tradizionale dei Black Sabbath e soci al doom/death metal dei giorni nostri. Il lavoro per quanto mi riguarda è scadente, al di là della sua valenza storica. Anacronistico. (Francesco Scarci)

(PsycheDOOMelic Records - 2005)
Voto: 45

https://www.facebook.com/DreamDeathSludge

lunedì 6 novembre 2017

Terrifier - Weapons of Thrash Destruction

#FOR FANS OF: Thrash metal, Exodus, Nuclear Assault
When people talk about Canadian thrash metal what comes immediately into my mind are the works of Razor, Exciter (yes, I consider their work during 1983 thrash though they are labeled as speed metal), Slaughter, Annihilator, and Voivod. Who wouldn't remember such killer records as 'Evil Invaders', 'Heavy Metal Maniac', 'Strappado', 'Alice in Hell' and 'War and Pain'? Those who are fond of collecting old relics from the glory days of thrash can back up the next words that I am going to utter. Those Canadian metal acts mentioned above can throw down as hard as those bands coming from the Bay Area and Germany. The record that I am going to review is the work of Terrifier, and I can most certainly say that this offering must be added to that list of highly recommended Canadian thrash releases.

Terrifier is a British Columbia-based thrash metal quintet that was formed in 2003 as Skull Hammer. The band changed its name in June of 2012 after releasing a full-length album way back in 2011. 'Weapons of Thrash Destruction' is the band's sophomore studio record after the debut of 'Destroyers of the Faith' in 2012 while carrying the name Terrifier. What 'Weapons of Thrash Destruction' brings to the table is 42 minutes of fierce and unrestrained thrash music. With electrifying and bellicose tracks such as "Reanimator", "Nuclear Demolisher", "Violent Reprisal", "Drunk as Fuck", "Bestial Tyranny" and "Sect of the Serpent", the band doesn't fall short in supplying blatantly aggressive guitar riffs, kick-ass solos, supersonic drumming, and superb vocals.

The band has prospered in handing its listeners very good metal tunes which are pleasantly reminiscent of an earlier time when groups like Exodus, Overkill, Nuclear Assault and Testament were furnishing a tasty extreme metal blowout for headbangers around the globe. The ingenious and hasty guitar riffs present in this album will make the listeners go insane while headbanging to the material. Both Brent Gallant and Rene Wilkinson show splendid skills behind the axes that they are handling and the solos are well executed. They totally supplied their audiences with a bombardment of top-grade guitar shredding in here. In fact, even some of the tracks that do not stand out appear more fun to listen to because of those awesome solos.

I would also like to mention how well the bassist did in this release. Listeners to this offering can totally feel Alexander Giles' presence and there are moments where his bass playing really stands out. The drum work, though not that one of a kind, contributed as a solid mantle to the overall music that the band was able to engineer. Kyle Sheppard had dispensed a sufficient amount of diversity behind the kit that amplified the profundity and punch of Terrifier's already exuberant resonance.

Chase Thibodeau's vocals are also adequate, and his technique suits the songs in the record very well. Chase's higher pitched shrieks are the clear zenith of his performance in this opus. Of course, the production has also met the highest standard of accuracy in this release. I usually prefer a more raw production when it comes to thrash albums as it gives a more hostile feel to the whole product, but I certainly can make an exemption for substantial records like this one.

This offering may not be an inventive or advanced thrash metal piece, but it's still a terrific release for a group that takes its listeners for a ride down memory lane with this supersonic and turbocharged thrash metal music. Fans of old-school, state-of-the-art, speed metal and 80's thrash will definitely dig this masterpiece. (Felix Sale)

Drakkar - Diabolical Empathy

#PER CHI AMA: Power/Speed/Thrash, Nevermore
Signori, quest'oggi facciamo un tuffo nella storia sconosciuta del metal: i Drakkar sono infatti una band belga formatasi nel lontano 1983 (avete letto bene), da non confondere peraltro con gli omonimi nostrani, che tra defezioni, ahimè decessi e scioglimenti vari, ha fatto uscire solo quattro album, di cui 'Diabolical Empathy' è la loro ultima release. Il sound che ritroviamo nelle 13 track qui contenute, oscilla tra power, speed ed un thrash alla Nevermore. Interessante l'intro "The Arrival" che ci proietta in un qualche mercato di una città qualunque dell'Africa equatoriale. Poi s'inizia a fare sul serio, con una batteria di brani, in cui l'elemento comune è un rifferama compatto e acuminato, una voce che ricorda in alcuni frangenti il buon Warrel Dane e degli assoli che mostrano tutta la caratura tecnica del quintetto belga. Fantastico a tal senso il lavoro della speed track, "Rose Hall's Great House" e di quella fuga della sei corde nel suo fantastico epilogo. Più rilassata e meno convincente "Stigmata", anche se poi quando la band si lancia negli assoli, le due asce formate da Pat Thayse e Richard Tiborcz, fanno gridare al miracolo. "The Witches Dance" ha un che di fortemente folklorico nelle sua linea melodica, mentre il riffing è marcatamente power, accompagnato poi da quei chorus in stile teutonico, per soli amanti del genere, sia chiaro. "Plague or Cholera" è un bel pezzone thrash metal che mi ha ricordato i nostrani Aneurysm, in un altro mio personale tuffo nel passato. Un arpeggio apre la ballad "Stay With Me", in cui compare la voce di una guest femminile, Julie Colin degli Ethernity, altra compagine power belga. Il disco prosegue lungo i medesimi binari anche nelle rimanenti tracce, avvicinandosi qua e là ad altre band che han fatto la storia del metal, su tutte mi viene da pensare ai Metallica degli esordi e ai Virgin Steele. Ultima curiosità sull'album: si tratta di un concept cd che collega ogni traccia ad un figura storica rilevante: la vita di Padre Pio a "Stigmata", 'La Divina Commedia' e Dante a "The Nine Circles of Hell", dove peraltro i nostri sfoggiano un altro assolo grandioso, Giovanni Tiepolo e il suo 'Il Sacrificio di Isacco' a "Plague or Cholera" e molti altri; il tutto non fa altro che aumentare la curiosità per i contenuti di un album, che certamente farà la gioia però per i soli appassionati del genere. (Francesco Scarci)

martedì 31 ottobre 2017

Sepultura - Machine Messiah

#PER CHI AMA: Thrash Death
Udite udite, ma soprattutto cominciate a preoccuparvi. Il ritorno del messia è imminente. Altro che Gesù Cristo. Questo qua è uno spietato dio meccanico visibilmente incazzato (cfr. le speculari "Machine Messiah" e "Cyber God" che incorniciano l'album). Sentite la carne mutare in metallo (il singolo "Phantom Self")? Percepite quel senso di impotenza mentale che vi impedisce di fronteggiare la svilente massificazione dell'umanità ("Alethea")? Voi siete voi, giudafinocchio ("I Am the Enemy") e la vostra sofferenza ("Resistant Parasites") sfocerà presto in rabbia e ribellione ("Sworn Oath"). Se non vi sorprende questo sorprendente cyber-concept disto(pi)cazzo, allora affidatevi ai suoni. La inaspettatamente rarefatta "Machine Messiah" in apertura introduce e mistifica: nei suoni operosi orditi dal volonteroso Andreas Kisser distinguerete poi chiari elementi speed-thrash old-school (alla Slayer, ecco), almeno in "I Am the Enemy" e "Vandals Nest", alternati a quel brutale death-bloody-death ("Silent Violence", "Resistant Parasites", "Alathea") che i Sepultura insegnarono al mondo intero nei primi anni '90. In almeno un paio di occasioni si eccede per zelo: il mélange samba + death-metal + violino-maghrebino di "Phantom Self" è davvero troppo, dal momento che né voi né io né men che meno i Sepultura siamo Claude Challe; più interessante il death-flamenco espresso dallo strumentale "Iceberg Dances", in cui rileverete un lavoro di chitarra di assoluto pregio. Ascoltate questo album in digitale domandandovi per quale diavolo di ragione un disco di quarantasei minuti debba essere spalmato forzosamente su ben due vinili. Nelle bonus track una punk-ruffiana versione della sigla del cartoon giapponese "Ultraseven" che suona un po' come suonerebbe "Azzurro" cantata dai Toten Hosen. È per questo che ci estingueremo. Altro che messia meccanico dei miei stivali imbrattati. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2017)
Voto: 80

https://sepultura.com/

martedì 24 ottobre 2017

Evil - Rites of Evil


#FOR FANS OF: Black/Speed/Thrash, Sarcofago
Evil hail from Japan, but don't think of friendly tourists who smile permanently while taking nonstop pictures. These guys are in a bad mood. Their kind of blackened speed/thrash metal rumbles down the road without being interested in any extraordinary features. Evil have the guts to concentrate on pure metal, although this is not the most vehement record of the genre. The fourth track, "Yatsuzaki" for example, offers an almost melodic solo. Generally speaking, the guitars are cutting rather than harmonious. This is not the soundtrack for the birthday party of a seven year old girl. Okay, if Godzilla has a daughter of this age, she might be an exception, but I don't want to digress.

The simple compositions shape a very homogeneous work. Nobody needs to fear any kind of bad surprises. The Japanese horde has found its niche without taking care that many bands have already exploited this niche beforehand. The roots of this 'Rites of Evil' can be traced back to Bathory's famous debut. But for those who are less interested in historical milestones, one can say that Evil's work can be compared with outputs of groups that prefer a simplistic, rather minimalist approach that tries to pick the best of different worlds. While the guitar work builds a bridge to the old days of speed metal, for example during "Sword of Stupa", the raw barking of the lead vocalist has nothing in common with the high-pitched screaming of the early vocal artists. His pretty monotonous, sometimes nearly punk-like voice does not push the music on a higher level, but it also does no harm.

Evil do not lack energy and power, but it is also true that they have not been able to pen one or two earworms that keep sticking in the listener's mind immediately. Some riffs shake up the audience while evoking associations to (early) Venom or lesser known bands such as Quintessenz from Germany. The opening riff of "Eternal Hell", the ninth track, points into this direction, but at the end of the day, this mid-tempo stomper does not exceed standard requirements. It seems as if these dudes are not excessively talented in terms of song-writing. On the other hand, they avoid asinine, inappropriate sections and I am sure that they have the heart at the right place. As much as I hate to say it, this alone is not enough for the creation of a genre classic. I miss songs that develop their own personality.

The production scores with a certain sharpness. The guitars dominate a slightly sinister sound that finds the right mix between transparency and a certain amount of filth. Thus, the guys have no serious technical problems. They just need to put more effort into their compositions. Easier said than done (my first song is still not finished, since 1985 I am working on it...) Therefore, I am happy that at least my first review for The Pit of the Damned is complete now. (Felix 1666)
(Nuclear War Now! Productions - 2017)
Score: 65

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/rites-of-evil

domenica 4 giugno 2017

Rumpelstiltskin Grinder - Buried in the Front Yard

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Speed/Thrash, primi Metallica, Kreator
Mi sono sempre chiesto come ci si potesse chiamare in questo modo così assurdo? Chi si ricorderebbe mai un nome del genere? Poi inevitabilmente, mi viene di associare la presenza, nel nome nella sua interezza, di “Grinder” ad un genere splatter gore; invece mi devo ricredere dai primi quattro accordi che quello che ho fra le mani, non è altro che un album di thrash metal anni ’80 con i suoi suoni retrò, le sue “grezzate” ma anche con tutti i positivi aspetti che aveva il genere, così schietto e vero. E così i Rumpels...vattela a pesca, quintetto proveniente dalla Pennsylvania ci stupiscono con la loro ventata di energia e un pizzico di follia, che solo la Relapse Records poteva avere il fegato di produrre nel 2005. 'Buried in the Front Yard' è un disco onesto di speed-thrash metal influenzato dai primissimi Metallica, ma anche dal sound dei Kreator dei primi lavori, che conserva lo spirito eighties anche nella produzione, non propriamente al passo con quelle degli tempi. La proposta degli statunitensi non si limita però a ripetere pedissequamente gli insegnamenti dei maestri, ma arricchisce il proprio sound di altre componenti: di una vena hardcore tipicamente americana, di passaggi doomish e altri richiami punk. La band consta di ex membri di band quali Divine Rapture e Evil Divine; il batterista, Patrick Battaglia, dalle chiare origini italiane, mostra uno stile semplice ma fantasioso. La band era qui al suo esordio e diavolo se si sente, altri due album hanno seguito prima di un lungo silenzio che perdura ormai da un lustro. (Francesco Scarci)

(Relapse Records - 2005)
Voto: 65

https://www.facebook.com/RumpelstiltskinGrinder

mercoledì 3 maggio 2017

Moldun - S/t

#PER CHI AMA: Death/Metalcore, At the Gates, Machine Head
Sebbene quest'album sia uscito nel maggio 2014, ci tenevo a sottoporre all'attenzione dei lettori del Pozzo dei Dannati il nome Moldun. Ai più non dirà assolutamente nulla, a qualche amante delle serie TV invece, non sarà sfuggito che la band islandese abbia fatto una brevissima comparsa nella prima fortunata serie di 'Fortitude', dove l'ensemble suonava in un pub una song, "This Time You Dig the Hole", strabordante di groove e rabbia, caratteristiche che hanno avuto l'effetto di catalizzare, nel concitato evolversi del film, la mia attenzione e spingermi a prendere contatti con la band islandese e saperne di più dei Moldun e di un side project di cui parleremo certamente in futuro. Nel frattempo godiamoci queste nove tracce dinamitarde che vi faranno amare il quintetto di Reykjavík e la loro verve artistica all'insegna di un death melodico sporcato di venature thrash/metalcore. Si apre con l'irruenza di "12.9.05", una data a quanto sembra tragica o comunque fonte di discordia per i nostri, che non so se si rifaccia all'arrivo dell'uragano Maria o quant'altro, fatto sta che la song dapprima feroce, lascia poi il posto ad un passo più ritmato e decisamente melodico, con i vocalizzi del frontman Haukur, graffianti più che mai e tributanti gli At the Gates. "A Doomed Night" continua la sua opera di devastazione (per lo meno) iniziale, per poi assestarsi su un death-mid tempo, mutare ancora pelle e lanciarsi in pericolose scorribande in territori estremi, e ancora offrire ubriacanti cambi di tempo e sul finale, addirittura acidi rallentamenti al limite del doom. Della terza traccia vi ho già parlato in apertura: vi basti ricordare la splendida melodia che traina il pezzo e il pattern ritmico davvero catchy, che strizza l'occhiolino al periodo più violento (ed ispirato) degli In Flames. Ottimi i cambi di tempo a metà brano cosi come le caustiche vocals del cantante in una song carica di energia che mi spinge a volerne sempre di più. E i Moldun mi accontentano con un pezzo un po' più classico nel suo approccio, "Vermin", traccia che sottolinea l'apparato ritmico dei nostri, qui a richiamare anche i Machine Head per robustezza e poi nei suoi continui repentini cambi di tempo, ad evocarmi altri mostri sacri del thrash metal, gli Over Kill. I Moldun sanno muoversi con disinvoltura anche su pezzi più rallentati: è il caso di "Of Pigs", song che inizia piano e che ovviamente trova modo di sfogarsi attraverso accelerazioni, rallentamenti, stop & go funambolici ed appesantimenti del sound. Eccolo il segreto dei Moldun, cambiare costantemente approccio, essere mutevoli e di conseguenza vari, pur non impressionando poi per l'utilizzo di inutili orpelli tecnici o di melodie più ruffiane. Il quintetto della capitale nordica picchia duro, inutile girarci attorno, ma lo fa con sapienza e con l'intelligenza di un mestierante di lunga esperienza. E dire che quest'album è solamente il loro album d'esordio, sebbene alcuni suoi membri vantino pregresse esperienze musicali. Ci si continua a divertire anche con l'esuberanza claustrofobica di ''Goodbye & Godspeed'' che vede il cantante sperimentare nuove forme vocali o con la feralità di "Dead Hope", una song che palesa una sezione ritmica affilata come rasoi, in quella che è la vera cavalcata dell'album, con chitarre sparate alla velocità della luce. Un drumming militaresco apre "Homesick", brano che mostra delle belle e melodiche (a tratti) linee di chitarra, con un finale decisamente ipnotico e sperimentale rispetto alle precedenti tracce. Sebbene giunti al finale, posso constatare che i nostri, ancora belli freschi, persistono a picchiare come degli assatanati, scagliandosi su chi ascolta con la veemenza dell'ultima "Morbid Love". Che altro dire, se non auspicare l'uscita di un nuovo lavoro a breve ed invogliarvi intanto nell'ascolto di questo mastodontico album di debutto dei Moldun. Ottima prova di violenza, non c'è alcun dubbio. (Francesco Scarci)

(Copro Records - 2014)
Voto: 80

https://moldunband.bandcamp.com/releases

lunedì 6 marzo 2017

Zorndyke - Witchfun

#PER CHI AMA: Thrash/Death Old School, Nunslaughter
A distanza di quattro anni da 'On Mayor Altar's Edge' tornano gli Zorndyke con quest'ultimo 'Witchfun'. Ultimo non tanto perché sia la loro ultima release discografica, ma perché effettivamente si son sciolti dopo la sua pubblicazione. Leggendo il booklet c'è un certo sentore di un disco d'addio, con i lunghi tempi di (de)composizione e produzione dell'opera, i saluti ai dimissionari della band i quali hanno contribuito alla creazione del disco, e le foto delle loro numerose avventure. Ma c'è stranamente anche la presentazione di due nuovi membri e questo lascia uno spiraglio di incertezza (nonostante in Encyplopaedia Metallum sia cambiato lo status in "split-up"). Parlando di cose più concrete, la sensazione e gli umori, che emana la band padovana non sono cambiati nel corso del tempo, anzi probabilmente si sono resi leggermente più cupi con quest'uscita. L'artwork a matita rappresenta al meglio la musica fetida che i nostri propongono, e i titoli delle tracce sono tutti riconducibili al fare occulto e alla stregoneria di diversi immaginari. "The Brown Jenkin" è la bestiola della strega Keziah nel racconto 'I Sogni della Casa Stregata' di Lovecraft, "Osculum Infame" è il saluto rituale al demonio, mentre la traccia di apertura non poteva che essere "Haxan", come l'omonimo film-documentario svedese sulla stregoneria che negli ultimi anni è stato saccheggiato da un notevole numero di band, soprattutto in ambito doom. Essa è un'introduzione lenta, pesante con accelerazione thrash, tutto il contrario della potenza che fuoriesce dalle successive "Ten Thousand Needles" e "Reavers Of Their Eternal Sleep", che accennano ritmiche veloci e selvagge con sonorità classiche stile speed/thrash anni '80. Queste sonorità hanno prevaricato la componente crust punk del precedente lavoro, componente che non manca nemmeno in questo lavoro ma che risulta decisamente meno marcata. Il disco si alterna così tra suoni oscuri e produzione pessima, sfuriate death, cavalcate crust e puntatine chitarristiche thrash. "Be Bewitched" è la prova principe della violenza di questa band, in cui la voce mostra spasmodici cambi tra growl e scream ed insieme alle ritmiche furiose, dispensa inattesi sberloni sonori. L'ultima "Unctorial March" è forse il punto più alto di questa stregoneria con il suo sviluppo e il suo trasudare sulfureo. Come dico spesso, il ritorno a sonorità vecchia scuola ha creato tante band valide e altre un po' meno, il che contribuisce a distinguere i musicisti dai perditempo. Io sono il primo che non sopporta la semplicità, ma in certi casi la si può trascendere, e qui la conclusione è univoca: attitudine. Musica veicolo di bestialità, musica non curante del resto, musica per suonare e godere del suonare. E se non ci sono questi prerequisiti non c'è metal estremo vecchia scuola. Cari saluti ai Zorndyke. (Kent)

(Baphomet in Steel - 2016)
Voto: 65

https://www.facebook.com/ZORNDYKE-53181357269/

mercoledì 25 gennaio 2017

Olÿphant - Expedition to the Barrier Peaks

#FOR FANS OF: Heavy/Speed Metal, Judas Priest, The Sword
Formed in 2009, Massachusetts metallers Olÿphant were originally conceived as a classic metal cover band before quickly moving on to writing original music that brings a classic metal with doom and stoner influences to prog and thrash elements alongside. Basically dripping with sprawling, mid-tempo dirges, the album’s main focus becomes quite clear early on with the ability to effortlessly shift from these wide-ranging elements as there’s a strong showing of spindly, galloping heavy metal, swirling stoner riff-work and plodding, oppressive doom rhythms that all come together here. This wide-ranging set of influences creates a wide-ranging sense of free-flowing and unpredictable work, never really journeying through the expected realms of the genres in order to continually warp themselves into a finely-tuned effort that’s quite enjoyable when it drops these vastly-varying elements into the journey without warning. At times, though, that does the album a slight disservice as this rarely manages to feel like it shifts all that cohesively, being essentially a wide-ranging hodgepodge of influential elements coming together to create a seemingly jarring and discordant array of tracks without a singular connecting vibe between any of it, and is an issue to contend with as the band carries on. Efforts like ‘Brown Jenkin,’ ‘Incidents in the Butterfly Garden’ and ‘The Expedition’ offer up the most nominal and enjoyable variations of the style, featuring these elements coming together into a stylistic whole to be the highlight tracks on the album. The multi-faceted ‘The Grey Havens (To the Sea)’ offers a fine look at these elements shifting continuously throughout it’s epic passages that makes for quite a winding journey, while ‘Before the Fall’ abandons the vast majority of what came before in order to turn into a raging speed-metal mosher. Still, this isn’t that problematic of an effort and still has a lot to like. (Don Anelli)

giovedì 30 giugno 2016

Wendigo – Anthropophagist

#PER CHI AMA: Black'n Roll/Thrash, Venom
L'antropofagia è la pratica di consumare carne umana, spesso sinonimo principalmente di cannibalismo umano, ma è anche il titolo dell'album d'esordio di questo pazzesco duo norvegese, formatosi solo nel 2014 in quel di Oslo. Ingegnosi nel cavalcare una somma di generi molto popolari e spettacolari, nel rivisitarli con un'estrosità ed una maestria tale da renderli unici. Horror thrash metal con punte rivolte verso i Venom ed i Motorhead, quanto al black metal di Carpathian Forest, God Dethroned e Cobolt 60 ed ai quanto mai perversi Cryfemal, il tutto volto ad un universo malato e sacrilego infinito, correlato di istinto punk lacero ma geniale. Kvalvaag suona tutti gli strumenti, mentre il verbo insano è opera della violentissima e teatrale voce insalubre di Jon Henning, uno stupendo Iggy Pop degli albori, indemoniato e in salsa metal, in preda a convulsioni e tetri spasmi. La loro prima opera è a dir poco esaltante, un mix di vero rock sanguinario e sottogeneri del metal, dal thrash allo speed, passando per il black'n roll, un mix perfetto, originale e squisito per tutti i palati, una gemma imperdibile. Generato come fosse un nuovo nato in casa Venom di tanti anni fa, suonato alla velocità della luce come gli ultimi Children of Bodom (ma poco ha a che fare con la proposta dei finnici), omaggiando il Motorhead sound più violento, quindi senza far superstiti, il tutto condito con un glamour nerissimo da far invidia ai 69 Eyes più gotici ed all'horror punk più underground dei seminali e dimenticati T.S.O.L. Lo ammetto, i Wendigo mi hanno letteralmente folgorato: "The Anthropophagist", che dona il titolo all'album, è incredibile nel suo tiro vetriolico, mentre "Wendigo Psychosis" risulta devastante con il suo progredire in stile punk'n roll dal sapore noir. Una carrellata di brani strappabudella, carica di coscienza e conoscenza rock, stradaiola, putrida e malata, infetta e letale. Impossibile resistere ad un album così completo, curato nel sound e creato con l'intento di dare al metal il suo antico significato, generare trambusto e scompiglio e quando si aggiunge il maligno al rock, si sa, nasce una formula violenta, magica, incontrollabile, anarchica e indomabile, degenerata e dal fascino incredibile. Usciti nel 2015 e distribuiti dalla coreana Fallen Angels Productions, i Wendigo non possono passare inosservati. L'artwork di copertina è poi scarno e sotterraneo, ma soprattutto sbandiera apertamente la pericolosità di un disco del genere. Black'n roll e thrash all'ennesima potenza, un disco di carattere e personalità, tanto umore nero, niente di nuovo sia chiaro, ma sicuramente un disco dall'impatto paragonabile ad una pistola puntata dritta alla tempia della moralità. Album da ascoltare a tutti i costi. (Bob Stoner)

(Fallen-Angels Productions - 2015)
Voto: 85

https://wendigonorway.bandcamp.com/releases

mercoledì 17 febbraio 2016

Dean Wallace - Metal Family

#PER CHI AMA: Heavy, Metallica
Vede la luce verso la fine del 2015 questo CD, frutto del lavoro di un polistrumentista francese, Dean Wallace. Dean è un chitarrista estremamente dotato tecnicamente, più che onesto invece quando si trova alle prese con gli altri strumenti. Se da un punto di vista essenzialmente formale il lavoro si difende discretamente bene, non posso dire lo stesso per quel che riguarda le altre sfaccettature di questo 'Metal Family', a partire da una copertina, che ricalca piuttosto banalmente i cliché del genere con borchie e placche metalliche. Approfondendo poi l'ascolto, emerge subito che il genere proposto è un metal molto classico, con tempi “dritti” e riff più classici del classico. Quello che salta però subito all'orecchio è l'impressionante (e vi assicuro che non esagero) somiglianza del timbro vocale del buon Dean, con quello del “vecchio” James Hetfield, compresi i cari “Yeahhh” di James o lo storpiare le finali delle parole aggiungendo una “A” un po' così a cazzo. Insomma, il ruggito tipico del californiano del periodo post 1991, ecco qui troverete tutti gli elementi che ho citato, e anche di più. E purtroppo, questo è il maggiore difetto di questo cd, e forse dell'artista in toto. Dico questo perché onestamente, ascoltare un CD che puzzi di plagio dall'inizio alla fine, non è ciò che cerco in un album o in un gruppo. Devo essere sincero, non sono riuscito ad ascoltare il CD più di una volta e mezza; anche quando a livello compositivo sembra esserci qualcosa, il tutto scade nel già sentito anche per quel che riguarda i suoni scelti (in alcuni punti sembra di ascoltare dei passaggi riscontrabili sul 'Black' album, ma senza raggiungerne neppure un quarto in termini di qualità). Mi sento solo di consigliare un ascolto ai più curiosi, ma per gli altri, questo 'Metal Family' non è altro che un lavoro superfluo. Per fortuna nostra, questo lavoro non rappresenta assolutamente la famiglia metal che, invece, Dean Wallace intende farci conoscere. (Claudio Catena)

(Tinphlo Records - 2015)
Voto: 45

domenica 18 maggio 2014

A Sense of Gravity - Travail

#PER CHI AMA: Death Progressive, Cynic, Meshuggah, Opeth
L'underground pullula sempre più di band fenomenali che riescono a malapena a farsi notare anche in circuiti underground come bandcamp o reverbnation. Non pare essere il caso dei A Sense of Gravity, cervellotica band statunitense, che dopo aver studiato a memoria la lezione di act quali Meshuggah, Cynic e ultimi Opeth, ha riadattato il tutto con personalità, proponendo un sound raffinato dall'inebriante gusto melodico. Ecco nascere 'Travail', meraviglioso debut (già sold out) di questo ensemble di Seattle, di cui sentiremo parlare in futuro, ne sono certo. Dieci tracce che decollano immediatamente con il corale inizio di "Wraith" e i suoi suggestivi arpeggi da cui irromperà il bombastico sound delle tre acrobatiche chitarre di David McDaniel, Brendon Williams e Brandon Morris (anche favoloso tastierista), che tracciano matematici riffs (se pensate anche ai Between the Buried and Me siete sulla strada giusta), irrobustiti dalla performance impeccabile alle pelli di Peter Breene. A completare il quadro, vorrei citare Chance Unterseher al basso e l'eclettico vocalist, C.J. Jenkins. Tracciato l'identikit del combo americano, potrei dilungarmi nel celebrare le qualità tecnico compositive dei nostri, ma mi limiterò solo a darvi qualche dritta e a farvi venire un po' di acquolina in bocca per spingervi a rimediare una copia di questa release, che sia in formato fisico o digitale, come preferite. La prima traccia sintetizza in maniera perfetta il sound delle tre band sopra citate, anche se sarebbe riduttivo limitare le influenze dei A Sense of Gravity a quelle sole. La seconda "Stormborn" si mette in luce per le ottime vocals (scream, growl, power e clean) ma anche per una tempesta ritmica, caratterizzata da gustose melodie su cui si impiantano deliranti riffs e blast beat da urlo; come non citare anche l'intermezzo pianistico e quel fantastico assolo prog conclusivo? Difficile trovare qualcosa che non funzioni in questo lavoro, grazie all'intensità delle sue tracce che potranno piacere agli amanti della musica metal a 360°: linee polifoniche prog suonano seguendo i dettami di scuola Meshuggah, andando addirittura oltre i gods svedesi. Divagazioni progressive, fraseggi jazz, i suoni djent, la perizia del techno death, l'aggressività dello speed, e la storia dell'heavy classico si amalgamano in modo assolutamente perfetto nel flusso dirompente di 'Travail', sfoderando una dopo l'altra, delle piccole perle musicali. Vibrante la malinconica e strumentale "Trichotillomania", vero esercizio di tecnica sopraffina, in cui Dream Theater e Gordian Knot si incontrano per una jam session da panico. "Harbringer" è una bella cavalcata death metal di cui vorrei citare la sezione solistica; mostruosa poi la psichedelica "Ration Reality" (il mio pezzo preferito) che si muove tra sonorità meshugghiane e di matrice Cynic, con le vocals ottime tra il dimenarsi tra forme estreme e altre più heavy oriented. Ultima citazione per "Weaving Memories", dark song di grande spessore ed eleganza, che palesa un'eccellente componente vocale e le sue chitarre sciorinano riffs che potrebbero ritrovarsi in grandi album di un passato glorioso. Che altro dire per convincervi della proposta dei A Sense of Gravity, non indugiate ulteriormente e procuratevi 'Travail'. (Francesco Scarci)

domenica 16 giugno 2013

Deathember Flower - Architect

#PER CHI AMA: Fusion Death, Arch Enemy, Chimaira, Death, Dark Tranquillity
Della serie piccoli Dark Tranquillity crescono, ecco arrivare dall'Ucraina i Deathember Flower, quartetto capitanato dalla vocalist Christina, che ci regala quaranta minuti di sonorità apparentemente di chiara matrice swedish. Niente di male fino a qui: l'amore spassionato per i suoni di Michael Stanne e soci si manifesta nell'opener, "My True Face", con linee di chitarra (anche a livello dei solos) che richiamano palesemente i gods svedesi, growling vocals (complimenti Christina) belle incazzate che si alternano ad altre sussurrate. Si, insomma, niente di nuovo e tutto alquanto derivativo anche da altri mostri sacri della scena svedese. Rimango basito invece quando parte la seconda traccia, la title track, in cui i nostri spostano il baricentro della propria proposta, migrando negli States e andando a ripercorrere le gesta dei Death, udibile prettamente nei giri di chitarra del duo di asce formato da Andrey e Valentin, che ci regalano un favoloso assolo conclusivo; ma nella song si può ascoltare la cantante anche in una veste decisamente più pulita e inconsueta. Visibilmente scosso dalla nuova direzione intrapresa dal combo ucraino, mi avvicino a "Insidious" con una certa titubanza mista a curiosità, non sapendo cosa aspettarmi: e in effetti, una nuova sorpresa é ancora dietro l'angolo, con i Deathember Flower che si travestono da heavy thrash band, con vocals quasi speed metal. Ma che diavolo sta succedendo: controllo che in realtà "Architect" non sia una raccolta di più artisti, ma non posso che confermare che questo rappresenti il debut della band di Zaporizhia. E allora corro veloce ad ascoltare gli altri pezzi: "Chaos Theory" è un pezzo di techno death con vocals che si rifanno quasi alla nostrana Cadaveria, stridule e aggressive, mentre la musica viaggia su ritmiche serrate, ricche di cambi di tempo e stop 'n go. "Nano" è un'altra song interessante, in cui oltre a metter in mostra le doti canore della eclettica vocalist, brava sia in chiave clean che in quella growl, decisamente vicina per timbrica ad Angela Grossow, degli Arch Enemy, i nostri presentano anche un suono dall'attitudine più alternativa, che mantiene un certo contatto con la musica estrema solo nelle sue ritmiche cadenzate e pesanti. Il death/thrash di "See No Future" finisce per richiamare anche le sonorità degli Arch Enemy anche se è sempre la performance di Christina a tener banco, mentre il sound incalzante, mostra anche le eccelse doti tecniche degli altri membri della band. I nostri picchiano che è un piacere anche con il trittico conclusivo di song, che palesano anche altre influenze, non del tutto identificabili in un movimento ben definito, ma che in realtà rappresentano un po' la summa di quello che è il Deathember Flower sound: un concentrato inpetuoso di techno death, swedish, thrash, speed e heavy metal, insomma una fusion che nella conclusiva strumentale "A New Era" potrà forse dare risposta a tutte le domande che mi frullano in testa. Complimenti per il coraggio. Da tenerli monitorati, please... (Francesco Scarci)

sabato 1 dicembre 2012

Penthagon - Penthagon

#PER CHI AMA: Thrash, Speed
Dice: Alberto, ma a te non va mai bene quasi nessun disco, c’avrai mica la puzza la naso? Sarai mica uno dei quei criticoni mai contenti? Oddio, volete fare un album che mi piaccia? Non saprei dirvi perché dovreste, nel caso potete prendere tranquillamente spunto da questo esordio dei bresciani Penthagon. Il gruppo nasce nel 2008 e, cresciuti a pane e metal statunitense, ci scodellano la loro prima fatica: a me è piaciuta. Un lavoro che definirei di un thrash compatto e diretto, non troppo ricercato o barocco, ma con quella giusta dose di varietà (ora più verso lo speed, ora più verso l’heavy) che serve a non rendere noioso l’ascolto. Molto azzeccati i riff al rasoio delle chitarre, notevole la parte ritmica sempre con un buon equilibrio. Il singer Marco Spagnuolo è la caratteristica più notevole dell’ensemble. Una voce dirompente, particolarmente duttile che si esprime in tutta la sua ampiezza, sebbene non sempre con risultati del tutto convincenti. Tra le canzoni indicherei “Labyrinth of Fire” e “Shine Like the Sun” come le meglio riuscite. Come non citare la cover finale di “Innuendo” dei Queen; i nostri rimaneggiano il classico (classico? oddio sono vecchio!) in maniera originale. Il cantante riesce a portare la sua performance su di un binario tale da evitare confronti col compianto Freddy Mercury. Una pecca del ciddì la si trova nella produzione non particolarmente pulita, che nasconde purtroppo la bontà del prodotto. Un vero peccato per un disco d’esordio, dove tutto dovrebbe essere al massimo per scuotere il globo terraqueo. Consiglierei anche di asciugare un pochino le song, più brevi credo guadagnerebbero in potenza. Aspetto fiducioso i Penthagon al varco con la loro prossima fatica. Ecco, come vedete non è che serva poi molto per fare un ellepì che mi piaccia... no aspettate, sono davvero un criticone incontentabile. (Alberto Merlotti)

(Punishment 18)
Voto 70

http://www.penthagon.net/

mercoledì 21 novembre 2012

Menace - Heavy Lethal

#PER CHI AMA: Heavy Metal, Judas Priest, Anvil
“Back to the 80s”… Così si potrebbe sintetizzare l'esistenza stessa dei Menace e questo "Heavy Lethal" è il manifesto di una strada controcorrente che l'heavy metal ("hard and pure" come direbbero gli Skanners) della band vicentina, percorrere ormai da tempo. Nati alla fine degli anni ’90, i nostri danno alla luce, dopo numerosi cambi di line-up, l'EP "Quake Metal" nel 2003, e da poco hanno rilasciato questo full length, sotto My Graveyard Productions. Dopo il primo ascolto la prima reazione è un'improvvisa voglia di farmi ricrescere i capelli, cercare i bracciali di borchie, il chiodo e gli anfibi che usavo quando ero magro, e cominciare a girare per le strade guardando male chi non è vestito come me, ovviamente con la maglietta degli Iron Maiden indosso, t-shirt che ora come ora potrei usare più come top o bandana. L'unico aggettivo che può andar bene per descrivere qualsiasi particolare di questo disco è "heavy metal": l'artwork è heavy metal, il sound è heavy metal, tutte le immagini del cd sono heavy metal, le liriche sono heavy metal, il font è heavy metal. Oltre che heavy metal, questo debut è genuino e personale, completamente autoprodotto, sia in fase di registrazione che di mixaggio, senza nessun ausilio di diavolerie tecnologiche, e ciò fa trasparire tutta la vecchia scuola del gruppo che ci fa scapocchiare, con i suoi travolgenti riff di matrice NWOBHM, le vocals figlie di Rob Haldford e King Diamond, ed una batteria che si lascia scappare up-tempos adrenalinici; peraltro, la rabbia e la potenza che scaturiscono dalle composizioni di “Heavy Lethal” è quella d'altri tempi, ed ogni componente sa dare il suo prezioso contributo a questa eccelsa rappresentanza di classicità. Non c'è molto da dire, se non che questo lavoro, che può sembrare alquanto obsoleto, ci fa notare la più totale mancanza di una solida base nel metal delle nuove generazioni e rappresenta uno spirito ed una devozione alla musica che oramai è difficile da ritrovare; ovviamente vi suggerisco di non perdervi assolutamente un loro concerto, dato che sono rarissime le apparizioni live. Consigliato a tutti quelli che girano ancora con le braghe in pelle. (Kent)

(My Graveyard Productions) 

martedì 18 settembre 2012

Morphing Into Primal - Principios de Autodestrucción

#PER CHI AMA: Swedish Death, Thrash, Speed Metal
Interessanti i riferimenti alla psicanalisi freudiana che ci conducono al titolo della release di quest’oggi, il cui idioma spagnolo ci potrebbe indurre a pensare a qualche band sudamericana, ma il cui genere (death melodico) e monicker, mi spingono invece inequivocabilmente verso i nostri cugini di Spagna. I Morphing Into Primal sono una band di Ciudad Real che, con questo "Principios de Autodestrucción” giungono al loro debutto, uscito poco più di un anno fa, che ci consegna un lavoro di arrembante death (di scuola svedese) e thrash metal (stile americano). Citavo nella prima riga il riferimento alla psicanalisi freudiana e proprio al principio di pulsione di vita e pulsione di morte, desunti dal pensiero di Empedocle, sul dissidio cosmico tra bene e male, amore e odio, potrebbe ispirarsi quest’opera. La furia distruttiva del death, quello melodico ed energico, quello che vede in Dark Tranquillity ed Arch Enemy, sembrerebbe rappresentare la maggiore fonte di ispirazione dei nostri guerrieri; tuttavia il quartetto iberico, nel corso della release, intraprende un proprio percorso che ci permette di esplorare altri territori, come lo speed metal di “It’s Time” (l’unica traccia cantata in inglese), un qualcosa che non sentivo da tempo immemore. I nostri spingono per tutto il disco come forsennati grazie ad una ritmica costantemente spinta a manetta, grazie ad un drumming martellante (opera di Chus) e a killer riffs, ben eseguiti dalle due asce Luis e Arturo, mentre il vocalist Jose (niente male) alterna un cantato in growl con qualche altra divagazione estemporanea, in territori più oscuri. “Mi Valkiria” è un’altra traccia che non concede tregua, un’epica cavalcata con un riffing di chitarra assai catchy ed una melodia che velocemente si incunea nella nostra scatola cranica fino ad imprimersi nelle nostre teste. Melodia, si tanta, violenza forse ancor di più, ma costantemente tenuta sotto controllo, linearità e semplicità dei brani, rappresentano i punti cardine di "Principios de Autodestrucción”, un album che pur non inventandosi nulla di nuovo, ha comunque il pregio di lasciarsi ascoltare e conquistare tutti gli amanti di sonorità swedish death, ma anche brutal, basti infatti ascoltare “Renuncio a la Fé” per capire di cosa stia parlando. Insomma, un album senza tanti fronzoli, ideale per l’uomo che non deve chiedere… mai. Incazzati. (Francesco Scarci)

mercoledì 30 marzo 2011

Dewfall - V.I.T.R.I.O.L.


La copertina del cd, il titolo che richiama il debut dei redivivi blacksters statunitensi ABSU e i primi 30 secondi di questo disco, mi hanno fatto presagire di trovarmi tra le mani qualcosa di black epico, ma mai cosi tanto fu sbagliata la mia previsione. I Dewfall infatti propongono un corposo heavy metal, che ha, in alcune sue accelerazioni o nelle growling vocals, la sola componente death. Per il resto, “V.I.T.R.I.O.L.” (acronimo di Visita Interiora Terræ Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem) è un calderone di sonorità che rischia di accontentare tutti o forse nessuno. Il lavoro parte con lo speed metal di “Free Entrance to Hell”, dove accanto ai vocalizzi estremi di Valerio Lore, si affiancano quelli melodici (stile primi Helloween) di Matteo Capasso; ecco forse sta proprio qui il problema della band: io, da buon death metallers, che accetta tranquillamente le clean vocals stile Soilwork o In Flames, ho mal sopportato quelle stridule voci (peraltro insopportabili in “Forever Ghost”) che richiamano decisamente il power, ah vade retro!! Quindi chi non tollera questo genere di vocalizzi, smetta subito di leggere la recensione. Gli altri proseguano pure, perché se avete amato alla follia “Keeper of the Seven Keys II” dei già citati Helloween, troverete pane per i vostri denti nelle successive tracce. La musica, muovendosi costantemente su binari speed/thrash, sfoggia eccellenti aperture progressive con delle melodiche rasoiate, passando dalla semiballad “Skeleton’s Rising” a mid-tempos thrasheggianti, nella vena dei mai dimenticati Anacrusis, da epiche ambientazioni a passaggi maideniani. Non so, tecnicamente i ragazzi ci sanno fare, ma c’è qualcosa che non riesco ad accettare nel loro sound e non mi permette di apprezzare appieno questo valido cd. Ci sono ottime idee, si respira un buon feeling, ottime le linee di chitarra, ma purtroppo continuo a detestare l’impostazione vocale di Matteo. Avrei preferito mantenere molto più gli screaming o il growling con qualche inserto pulito qua e là e invece la scelta optata dai quattro giovani secondo me, penalizza non poco, la fetta di ascoltatori che andranno ad ascoltare questo debut cd, perché credo che alla fine né i defenders né i deathster apprezzeranno “V.I.T.R.I.O.L.”, disco alla fine un po’ troppo ruffiano... Sono giovani e presto troveranno la loro strada. (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65