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venerdì 26 febbraio 2021

Shame on Youth! - Human Obsolescence

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock
Spaccano di brutto questi Shame On Youth!, quartetto originario di Bolzano che mette il punto esclamativo non solo alla fine del proprio monicker ma anche della propria performance sonora. 'Human Obsolesence' è il loro debut a cinque anni dalla loro fondazione, un disco che miscela alla grande punk hardcore con il garage rock, il tutto certificato già dall'opener "Got No Choice" che irrompe in tutta la sua frenesia punk rock senza rinunciare a bordate stoner e che prosegue anche nelle ritmiche fortificate della successiva "The Show Must Go Wrong". Contraddistinta da una bella carica di groove nei suoi giri fuzzati di chitarra e nelle elucubrazioni del basso, si presenta anche con quei chorus che invitano a lanciarsi in un pogo infernale. Le due asce non si sono certo dimenticati di come si facciano gli assoli, brevi, efficaci nel loro stamparsi nel cervello e dal classico taglio heavy rock. "Seed" ha un intro poco rassicurante, per poi lanciarsi in una cavalcata tesa ed incazzata che invoglia solo un headbanging frenetico, di quelli che ti aggiustano la cervicale, a meno che non ve la rompiate prima durante una danza ipercinetica. Ma la traccia rallenta pure, s'incunea in versanti dark, per poi ripartire di slancio ancor più rabbiosa negli ultimi 45 secondi dove i nostri vi faranno vedere i sorci verdi. E si prosegue sulla falsariga anche nella successiva "Mr. Crasher", più lineare e meno convincente a mio avviso, quasi che l'effetto sorpresa si sia esaurito con la precedente 'Seed'. E allora avanti con più curiosità per ascoltare "A Bunch of Crap (I Don't Care About)" e sperare di essersi sbagliati. Nel suo chorus iniziale mi ricorda un coretto di un vecchio disco dei Rostok Vampires, poi la canzone ha un piglio più old style che sembra depotenziare quella verve micidiale dei primi pezzi. Il basso velenoso di Matteo Cova apre "Uniform", un pezzo quasi hardcore, dotato di una pesantissima linea di chitarra che unita a quel cantato rabbioso opera di tre ugole, la rendono forse il brano più efferato del platter. "Fluke of Faith" è un breve inno al punk, cosi come "Premium 9,99", punk rock'n roll sufficiente per farci fare gli ultimi salti prima della conclusione affidata a "Demons are Right". La song, all'insegna di un ruvido garage rock, ci regala gli ultimi imprevedibili giri di orologio di 'Human Obsolesence', un buon biglietto da visita dei nostri italici portatori di vergogna. (Francesco Scarci)

sabato 16 gennaio 2021

The Flop - Underground Slaves

#PER CHI AMA: Punk Rock/Post Grunge
Mi sa tanto che la label Wings of Destruction non si sia sbagliata e mi abbia anzi di proposito inviato tutte le proprie release dalla notte dei tempi a oggi. Si perchè quello che ho fra le mani è un lavoro del 2012, anche se riproposto nel 2020 dalla stessa etichetta russa. Sto parlando dei The Flop, un nome un programma, che ci propongono nove tracce di garage punk rock. Non certo il mio genere preferito, però nel corso della mia lunga carriera di scribacchino, album del genere ne ho masticati diversi. E allora sapete già fondamentalmente a cosa andiamo incontro. Brevi e scanzonati pezzi, attitudine simil Sex Pistols, però il tutto rapportato ai giorni nostri. Almeno questo è quanto mi dice "Go Home", traccia in apertura di 'Underground Slaves'. La seconda "Black Sheep" è infatti già diversa, ossia la ritmica è più lenta e mortifera, esiste forse una forma di punk doom? Si perchè qui c'è un po' meno da divertirsi, essendo un pezzo più decadente e maledettamente alcolico, quasi i nostri siano in preda ad un delirium tremens bello pesante. E "White & Sticky", iniziando con un giro di chitarra stile System of a Down, si incunea in un sound malinconico, una sorta di post grunge di (primi) Nirvana memoria, imbevuto di una dose non indifferente di alcolici e sostanze psicotrope, per un cocktail servito a sole anime disperate. Anche "The USA" sembra uscito da un disco dei Nirvana, con la voce del frontman qui un po' meno tormentata. Inoltre la song è più controllata, fatta eccezione per la parte di coro. Più ostica da digerire "Hello My Dear", dissonante e con un assolo flebilmente accennato in chiusura. Con "Fucking Children" si torna al punk della traccia d'apertura, anche se questa volta non sembra gioioso come nell'opener. Più cantilenante "Own Priest" ma con un riffing più lineare e pesante. "Alice" è un pezzo semplice con la voce accompagnata dalla sola chitarra acustica. Mentre la conclusiva "The Toilet" beh, darebbe adito ad una battuta scontata stile Fantozzi, ma in realtà è l'ultimo pezzo punk oscurissimo e malato di questo 'Underground Slaves', un album non proprio indispensabile nella collezione di tutti ma per chi ama il genere, perchè non dargli una possibilità? (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2012/2020)
Voto: 63

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/underground-slaves

giovedì 22 ottobre 2020

Mad Dogs - We Are Ready To Testify

#PER CHI AMA: Hard Rock
Non è facile evitare di cadere in certi pregiudizi o clichè da trito e ri-trito, se nell’Anno Domini 2020 ci troviamo per le mani un disco hard rock. Ma bisogna pur ammettere che si avverte, eccome, quando le corde sono fatte vibrare con il cuore e con passione. O quando a prevalere über-alles è la trascinante carica di certe schitarrate, che ti obbligano a scuotere la testa, senza un preciso motivo. Lo fai e basta. Questa nuova uscita per la Go Down Records, nonché terzo album in studio per i Mad Dogs, racchiude appieno il rock’n’roll sanguigno e genuino della band, senza mezze misure. Di derivazione spiccatamente seventies, ma con un’energia affilata e straripante. L’opener del disco, “Leave Your Mark On What You Do”, si presenta già con un richiamo Zeppeliniano negli stacchi di batteria iniziali. Semplice riscaldamento muscolare prima delle folli cavalcate che ci attendono, scandite da una raffica di groove: reminiscenze australiane in questa direzione, ma senza scomodare Bon Scott e compagni una volta tanto. Citiamo piuttosto le influenze dei Radio Birdman per affinità (con i cui componenti tra l’altro, i Mad Dogs hanno condiviso il palco). Siamo a bordo ormai, su questa locomotiva che corre all’impazzata: i rockers marchigiani non cedono di un beat e si prosegue a tutta birra. Le sei corde sono letteralmente “on fire” e senza tregua danno vita a riff diretti e travolgenti ed assoli irrefrenabili. Bad Religion e MC5, saltellando freneticamente tra garage rock e street punk, poi una rapida apparizione delle tastiere nella title-track, ma sempre e comunque guidati dallo stesso filo conduttore, unico vero e proprio credo: il Rock. Anticipato dall’uscita di tre singoli ("Not Waiting", "Hard Fight" e "Postcard From Nowhere"), 'We Are Ready To Testify' è la consacrazione del rock’n’roll secondo la visione della band italica e allo stesso tempo ne incarna appieno il messaggio. Si respira a pieni polmoni la devozione che i nostri hanno da sempre dedicato alla loro vera fede. E non si può che apprezzare la semplice caparbietà con cui scelgono di imboccare questa strada: testa bassa, pochi giri di parole e qui si suona sul serio. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/maddogsrnr/

mercoledì 22 luglio 2020

The Mills - Cerise

#PER CHI AMA: Alternative Garage Rock, The Strokes
Pronti partenza via. Tempo un annetto di rodaggio motori e i The Mills, formatisi appunto nel 2019, sono già pronti per entrare in studio di registrazione con il loro primo album, sotto l'egida della Overdub Recordings. Morris e soci non si sono lasciati scoraggiare dal lockdown e hanno dato alle stampe 'Cerise', distribuito a partire da fine aprile sulle piattaforme digitali. Sette i brani usciti dalla penna del founder e arrangiati con l’apporto di Augusto Dalle Aste (basso, contrabbasso) e Giovanni Caruso (chitarra solista). Sette tracce che hanno molto l’aspetto di un super-tributo a certi grandi nomi del passato, lampanti ispirazioni per il suond dell’attualmente-quartetto vicentino (che, senza perdere tempo, si sta già dando da fare con una serie di live). D’altro canto, il vocalist e fondatore del progetto lo afferma chiaramente, come con questo disco gli sia “servito rielaborare il passato per meglio concepire il presente”. Le influenze dei nostri sono decisamente british, dal garage al punk londinese dei The Clash, irrorati a pioggia con brit-pop e ritornelli squisitamente beatlesiani, più o meno evidenti. Già con “Invain”, il brano d’apertura, si sente attingere a piene mani da questi generi, chiamando in causa da Graham Coxon ai Blur passando dagli Oasis. Pochi orpelli di forma o struttura: le note scorrono fluenti e con ruvida decisione. E così anche in una “Camden Town”, dal titolo decisamente simbolico, ci si lascia avvinghiare da rapide schitarrate e cori d’oltreoceano, in stile The Strokes / Ramones. “I Barely Exist” invece sa molto di richiamo alla “Californication” della West Coast, con i suoi costanti fraseggi di basso, di cui Flea potrebbe essere orgoglioso, tolta la ritmica più lineare. Molti spunti che fra loro possono sembrare anche abbastanza disparati, ma che inevitabilmente ci riconducono ad una casa base. 'Cerise' sembra suonare appunto come un nostalgico capitolo, più che una reale evoluzione fondata su solide radici. Grinta e mordente che probabilmente si sposano bene con l’immediatezza ricercata dal progetto, ma si sente la mancanza di qualche spunto o idea che potrebbero essere metabolizzati in modo efficiente. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(Overdub Recordings - 2020)
Voto: 66

https://www.facebook.com/The_Mills-357560558192782/

sabato 27 giugno 2020

Mother Island - Motel Rooms

#PER CHI AMA: Indie/Surf Rock
Uscito esclusivamente in vinile, "Motel Rooms" è il terzo album dei vicentini Mother Island, entità al sottoscritto completamente sconosciuta, complice un genere che non bazzico poi cosi di frequente. Stiamo parlando di un psych rock sensuale e dalle tinte western, che ha saputo conquistare anche la mia anima estrema. Mi sono messo comodo, rilassato, fatto partire il disco senza essere troppo prevenuto nei suoi suoni e via "Till The Morning Comes", con la voce femminile della frontwoman Anita Formilan a farmi da guida, le calde melodie avvolgenti e quelle atmosfere psichedeliche che ci riportano a fumosi party in terra statunitense di fine anni '60. Queste le immagini che mi sovvengono ascoltando l'apertura di questo lavoro dai suoni sicuramente vintage (la cui definizione stilistica orbita in realtà dalle parti del jangle pop), ma comunque traslati in un contesto attuale più ricercato e dal risultato sicuramente piacevole. Più movimentata la seconda "Eyes Of Shadow", che mantiene intatto quello spirito surf rock "made in USA", già ampiamente apprezzato nell'opening track che di sicuro mai mi farebbe collocare le origini di questa band nelle lande venete. Detto questo, proseguo nel mio ascolto del disco, facendomi sedurre dalle melodie di "And We’re Shining", cosi come dalla vena prettamente seventies di "Summer Glow", un brano un po' più deboluccio rispetto ai precenti episodi dell'album. "We All Seem To Fall To Pieces Alone" è una ballad country parecchio malinconica che mi ha evocato nell'utilizzo dei fiati, certe cose sperimentali degli *Shels (ma anche una certa vena morriconiana), riproposti in una chiave decisamente più soft. Ancora una manciata abbondante di brani, ove vi segnalerei l'inquieta "Santa Cruz" che nelle sue corde ha un che di proto-punk e la conclusiva e suadente "Lustful Lovers" che chiude con le sue note languide e lisergiche un disco che ascoltato cosi, d'emblée, senza conoscere i pregressi della band, me ne ha fatto apprezzare proposta e attitudine. Per ora lascio un giudizio su un disco senza conoscere la precedente discografia della band, spero solo di non dovermi rimangiare le parole in futuro. (Francesco Scarci)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 69

https://www.facebook.com/Motherisland/

sabato 16 maggio 2020

VV. AA. - 2003-2020

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
Lo dichiaro immediatamente, non amo le compilation dove sono inserite più band, uno strumento utile solo per le etichette per fare propaganda al proprio roster, noioso per chi come il sottoscritto, deve ascoltare alla rinfusa brani scelti a rappresentare in modo totalmente casuale e poco approfondito, le varie band incluse. Fatte la dovuta premesse, dirò anche che non è assolutamente mia intenzione fare un track by track, non ne avrebbe alcun senso considerato poi che molte delle 28 band incluse in questa carrellata infinita, sono già state recensite su queste stesse pagine con i rispettivi album. La Go Down Records per celebrare i 17 anni di vita (non poteva aspettare i 20, mi domando) ha pensato bene di rilasciare questo lavoro, che si apre col blues rock mellifluo degli Alice Tambourine Lover e con la delicata ugola della sua frontwoman. Poi a ruota, il garage rock degli Ananda Mida con un estratto da 'Cathodnatius', il surf rock dei Diplomatics e il desert rock dei Fatso Jetson. Il comun denominatore lo vedete pure voi, è solo uno, il rock appunto, in ogni sua forma e manifestazione, un genere di cui la Go Down Records ne è assoluta alfiere. E allora nella giostra di questa raccolta non potevano mancare le divagazioni prog jazz de Glincolti o il più robusto stoner degli Humulus. C'è un quantitativo esagerato di musica, tutti pezzi assai brevi per un'ideale abbuffata di musica di facile presa, rock'n roll, di che altro stiamo parlando altrimenti. E allora ecco l'acid rock dei Mother Island, freschi di un nuovo album in uscita (cosi come l'hard rock dei Beesus), il punk-rock dei The Morlocks, per divertirsi in leggerezza in poco meno di tre minuti, la psichedelia dei Vibravoid, o lo sludge dei Jahbulong e ancora, per identificare un mio pezzo preferito, "Raul" dei Maya Mountains, probabilmente la band, più delle altre, in grado di differenziarsi dal marasma sonoro qui contenuto, per un ascolto però alla fine, comunque distratto. Inutile dare un voto ad un simile prodotto, ne avrebbe francamente molto poco senso. Non posso far altro che augurarvi un buon ascolto. (Francesco Scarci)

Beesus - 3eesus

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Le vie dello stoner sono infinite. Almeno così pare, osservando la prolifica scena underground del belpaese, in costante fermento ultimamente per quanto riguarda le ruvide sonorità fuzzate e le frequenze ultrabasse. La trasposizione del copione poi, può risultare anche altamente personalizzata, nel caso intervenga una sapiente lungimiranza dell’interprete. Ne sono un esempio i Beesus, gruppo laziale attivo da una decina di anni, che pubblica quest’anno il terzo LP. Dopo qualche burrascoso cambio di line-up occorso negli ultimi anni, la formazione si assesta sull’attuale essenziale power-trio. Non si può dire però che '3eesus' sia altrettanto essenziale. Abituata a sperimentare incessantemente per dare forma alle varie visioni allucinogene, la band capitolina riconferma la propria tendenza ad assimilare elementi delle più disparate provenienze, dal doom allo psych, fermandosi talvolta ad un “lo-fi-pit-stop”. Quello che forse traspare da quest’ultimo lavoro rispetto alle due precedenti uscite, è probabilmente il raggiungimento di una maggior compattezza e organizzazione sonora, per quanto possibile. Ci si scrolla di dosso qualche sporcatura punk da 'Sgt. Beesus… And The Lonely Ass Gangbang!' (2018), senza però perderne l’attitudine. Il primo impatto con “Reproach” è un vero pugno nello stomaco, con riff annichilenti da far tremare le interiora. Energia catalizzata in ritmo e potenza. Compaiono anche i primi cori ed intrecci a tre voci, come novità. Se pensate poi che non sia possibile sentire Melvins e The Doors in uno stesso brano, vi invito ad ascoltare “Sand for Lunch”. Uno dei più emblematici del disco sicuramente, dal titolo già di per sé evocativo. Ci troviamo inizialmente immersi in una tipica allucinazione morrisoniana, a sorvolare distese aride e desolate, per poi riscoprire nella seconda parte della track, le antiche tracce dei pionieri, quelli del già più riconoscibile Palm Desert. Se è vero che i Kyuss hanno interrato un seme estremamente vigoroso, è altrettanto vero che i germogli che crescono assumono le forme e le dimensioni più varie in assoluto. “Flags of the Sun” rappresenta un’altra dimostrazione di come il trio romano abbia concepito la propria impronta sonora per questo disco. Oltre alla viscerale sintesi dello stoner, qui si scorge qualche ispirato fraseggio dalle intenzioni blueseggianti. Le atmosfere psych sempre a fare da cornice, anche nella lisergica “Gondwana”. Forte anche di un’ottima produzione, più pulita e diretta, '3eesus' vanta l’interessante privilegio di essere stato registrato in presa diretta dal vivo. Pootchie (Guitars/Vocals), Johnny (Bass/Vocals) e Mudd (Drums/Vocals) hanno infatti avuto l’occasione di eseguirlo niente meno che al Monk Club, famoso locale da concerti della capitale. Questo grazie anche alla disponibilità di Giacomo Serri che ha reso possibile la realizzazione di questo notevole lavoro. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

(More Fuzz Records/GoDown Records/New Sonic Records - 2020)
Voto: 77

https://beesus.bandcamp.com/album/3eesus

domenica 12 gennaio 2020

The DogHunters – Splitter Phaser Naked

#PER CHI AMA: Indie/Psych Rock
Arriva da Colonia questo secondo album dei The DogHunters, ricco di spunti retrò e voglia di buona musica che sicuramente dai più verrà accolto con una certa diffidenza. Dico retrò perché mi piace pensare alla band tedesca come una riedizione del talento che fu di Lloyd Cole and the Commotions ai tempi di 'Rattlesnake' quando alla fine degli anni ‘80, la neo psichedelia si intrecciava al rock, al garage, al folk e alla new wave, costruendo favole sonore uniche, cadute ahimè nel dimenticatoio troppo in fretta. Questo paragone lo faccio per sottolineare che i The DogHunters sono un’entità anomala nel calderone psichedelico attuale, pescando a piene mani dal pop psichedelico, con una cantabilità fuori dal comune ed una costruzione musicale tanto classica quanto intuitiva ed efficace, figlia più delle correnti neo psych di fine anni ‘80-inizio ‘90, piuttosto che dagli originali anni ‘60 o ‘70. I nostri si portano appresso tracce dei primi The Charlatans e degli Happy Mondays, un che dei Kasabian in "Make it Happen (Love Ain’t in Vain)", quando la band calca un po' troppo la mano alla ricerca del brano radiofonico a tutti i costi, ma il suono migliora (sicuramente più concreto e più personale ora che nel loro primo full length) e prende spessore quando si rende più underground e garage, con spinte acide di un tempo che fu. Il lato più melodico e pop dei The (T4) si muove leggiadro tra un brano e l’altro fungendo da ottimo collante, ampliando e colorando il raggio d’azione del quintetto teutonico. Anche certi umori spettrali degli Shadows (e penso a "How do you Know?") si celano dietro il loro sound, conferendo una vena rock di tutto rispetto, pur non calcando mai il piede sull’acceleratore e sulle distorsioni, alla fine sempre ben controllate e lisergiche al punto giusto. La produzione non è esplosiva e pur essendo buona, ricorda assai i lavori ipnotici e allucinogeni della scuola garage rock, cosi sotterranei ed esoterici (tipo 'Easter Everywhere' dei The 13th Floor Elevators), rivisitati però con una vena più soft, moderata e per certi aspetti anche moderna. Sono 12 le canzoni contenute in 'Splitter Phaser Naked', mai troppo lunghe, sempre orecchiabili e ben suonate, e che guardano all’indie quanto al rock psichedelico. Non possiamo parlare di un disco originale ma certamente di un album ispirato, e di un suono in esso contenuto che non mostra segni d'innovazione ma che presenta una buona cura ed una ricerca di suoni ad effetto. La band comunque suona bene ed il matrimonio tra rock ed eleganza sonora è alla fine perfettamente riuscito anche grazie ad un vocalist dalla timbrica calda e liquefatta ed un sound avvolgente in tutte le scorrevoli song. Forse non tutti li apprezzeranno ma come i loro compatrioti Love Machine,  anche i The DogHunters sapranno soddisfare chi avrà il coraggio di avvicinarsi alla loro musica così intrisa di umori rock acidi, per un album tutto da scoprire! (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 73

https://www.facebook.com/thedoghunters/

domenica 15 dicembre 2019

7am - Benefit for Iggy´s Shirt

#FOR FANS OF: Punk/Garage Rock
'Benefit for Iggy's Shirt' is the 2019 release from Slovenian alternative rockers 7am - lead by Anabel on vocals and bass, Mico on guitar and vocals and Devor on drums. 7am are punk rockers at heart who play their instruments and wear their influences on their sleeves, delivering a sound reminiscent of Northern England's indie rock scene of the early 2000's with hints of Weezer and with a taste of The Ramones thrown in for good measure. Fronted by Anabel on lead vocals and bass it differentiates 7am from the male dominated vocalists of the genre making their sound fresh. Singles "Ugly Life" and "Everytime" kick off proceedings and immediately deliver a sound you can get excited about. In the midst of dull generic sounding rock pop it's great to find something authentic you can stomp your feet to. Single "I Can't Believe" transitions nicely into power rock pop whilst enjoying every sound the guitar can create. Tracks "At Least I Tried" and "Nevermore" see 7am showing their more minimal side with the sound feeling more intentional. 7am capture their raw live sound on this record mixing messy aggressive guitars, head bobbing base lines and sweet vocals with depth that set their sound apart from music in the alternative rock genre - delivering an enjoyable record from start to finish. (Stuart Barber)

sabato 12 ottobre 2019

Acid Brains - As Soon as Possible

#PER CHI AMA: Grunge/Punk Rock
Gli Acid Brains sono una storica band toscana, formatasi addirittura nel 1997 e dedita ad un alternative-punk rock, che torna a farsi largo sulla scena con questo nuovo sesto album dal titolo ben chiaro, 'As Soon as Possible'. Appena possibile quindi date un ascolto a questo lavoro che si muove dall'ipnotica opening track, "Our Future", giocata su profonde partiture di basso e voce, a cui segue una bella e potente linea di chitarra. Con "Go Back to Sleep", le carte sul tavolo si sparigliano e si torna a parlare di un classico punk rock, orecchiabile e canticchiabile quanto basta per farci venire voglia di saltare e urlare come pazzi, proprio come lo sguaiato urlo che il frontman riversa verso la fine del pezzo, mentre le ritmiche corrono arrembanti e ci conducono con furia a "Sinners". Il motivetto di chitarra e voce iniziali entrano nella testa e da li non se ne escono grazie a quella graziata ritmica che contraddistingue la song. Suoni leggeri che sfiorano addirittura la psichedelia in "Really Scared", un pezzo che mostra un'apertura quasi di scuola floydiana, prima che la song s'incanali in una linea melodica più lineare rispetto alle precedenti, sicuramente più seriosa e meno scanzonata, quasi a dire che gli Acid Brains vanno presi sul serio. Ma l'eterogeneità è parte del DNA dei nostri e allora in "Not Anymore", eccoli proporre un sound decisamente più roccioso e grunge oriented (penso ai Nirvana più rozzi e cattivi), e non a caso questa sarà anche la mia song preferita del lotto. C'è tempo ancora per un paio di canzoni cantate questa volta in italiano, "Capirai" e "Canzone di Settembre": la prima, nonostante il riffing bello compatto che chiama in causa i System of a Down, perde potenza quando si palesa il cantato in italiano. La seconda, è un esempio di pop rock che ho fatto più fatica a digerire, cosi lontana dai miei canoni sonori, ma ci sta considerata appunto l'ecletticità degli Acid Brains. Discreto ritorno, peccato solo che la durata del cd sia piuttosto risicata, avrei optato almeno per un paio di pezzi in più. (Francesco Scarci)

martedì 20 agosto 2019

Jesus Franco and the Drogas – No(w) Future

#PER CHI AMA: Garage/Punk, Queens of the Stone Age, Iggy Pop
Se pensavate che al mondo i seguaci degli ultimi QOTSA fossero solo dei cloni inespressivi, allora dovrete ricredervi ascoltando questo disco dei Jesus Franco and the Drogas (uscito per la Bloody Sound Fucktory). 'No(w) Future' è divertente e ben fatto, intossicato dall'irriverente verve degli Eagles of Death Metal ed in perfetta sintonia con la follia degli ultimi dischi della band di Josh Homme ("Acufene"), carico di emozioni psych di tutto rispetto tra the Dukes of Stratosphere, Hey Satan e Nudity, con una voce gogliardica in puro stile Captain Beefheart ("No Talent Show") per cui non rimarrete delusi. La cosa che più convince in questo quinto disco della band di Ancona è la ricerca e la volontà assidua di sperimentare in campo psichedelico, sempre ai confini della realtà, tra orecchiabilità rock'n roll ("Right Or Wrong") e pupille dilatate, con una capacità esagerata di riuscire a rendere accessibili anche divagazioni allucinogene complicate ed indigeste. Tutti i brani sono un pugno allo stomaco altamente tossico, adrenalinici e deviati, a volte dai toni in salsa psych estrema ("Some People") o sparati come se il mondo non dovesse mai fermarsi e, cosa che risulta assai gradevole, è che oltre ad essere ben suonati e prodotti con un suono tipicamente garage, non risparmiano l'ascoltatore, cercando di stupirlo in continuazione, sfornando uno dopo l'altro, pezzi pieni di vita e mai banali, devastanti ed incendiari, la perfetta colonna sonora per un sequel di 'Paura e Delirio a Las Vegas'. Questi abili musicisti giocano con il garage punk ed esplodono nella psichedelia claustrofobica, il garage rock'n roll è una base solida e mai nome di una band è stato più azzeccato, per una musica figlia del più vizioso ed anfetaminico Iggy Pop ("Blast-o-Rama"). Si ritorna sui toni storti e sperimentali del divino capitano in "Brain Cage", mischiandolo ad un tono vagamente più heavy e pesante alla stregua di certi pezzi degli Amen, anche se suonati in chiave più ipnotica e meno hardcore. Nel concludere, la band anconetana inserisce il brano più soft della raccolta, "Wake Up" che aspira ad una forma di alienazione e prende le distanze dalle precedenti composizioni proponendo un volo psichedelico assai avvolgente con una voce che ricorda molto da vicino il mito sotterraneo di Mark Stewart and the Mafia. In sostanza, 'No(w) Future' è un album prezioso nel panorama sotterraneo italiano, pieno di colori e divagazioni lisergiche di varia forma e tipologia, un caleidoscopio esaltante, un disco ben fatto! (Bob Stoner)

(Bloody Sound Fucktory - 2019)
Voto: 73

https://www.facebook.com/jesusfrancoandthedrogas/

lunedì 22 luglio 2019

Cleisure – Hydrogen Box

#PER CHI AMA: Indie Alternative Rock/Shoegaze
Il primo album dei Cleisure è un concentrato di energia indie che non lascia indifferenti, una bella scarica di adrenalina che fa del pop una virtù e del rock d'oltremanica di scuola Wire, un tocco di classe. Il gruppo di Colin Newman è infatti un'icona da cui i tre musicisti campani traggono la spinta più ruvida del post punk, rendendola una costante compositiva associata al concetto di funk nello stile dei The Rapture che dona molta vitalità al disco. In questo 'Hydrogen Box' convive poi una buona porzione di rock emotivo e spirituale, con spirali shoegaze che escono solo a tratti, ma in generale, è la forza pulsante e ritmica che fa da padrona di casa tra i brani. Il risultato sonoro è un prodotto molto British con somiglianze vicine alla meteora The Music, un'attitudine astratta in stile Kula Shaker (epoca 'Peasants, Pigs & Astronauts') e un richiamo molto rock pari ai primi Stereophonics. Senza dubbio la commistione di tipologie musicali, toccate dai Cleisure, incuriosisce molto ed il fatto che l'album sia stato masterizzato a Boston da Nick Zampiello (al lavoro già con band molto più aggressive come Agnostic Front e As I Laying Dying) è molto particolare. In effetti, il sound di tutti i brani, pur non avendo attitudini hardcore, risulta molto dinamico e presente soprattutto nella sezione ritmica che si mette in bella evidenza costantemente. Le composizioni, tutte cantate in lingua d'Albione da una bella, nasale ed urticante voce maschile, sono fatte per essere ascoltate, ballate e cantate, ma la verve migliore di questa band parte dal quarto brano, "Pollution", che apre veramente le danze, e si estende fino alla fine del disco dove le incursioni punk funkoidi, diciamo da buoni nipotini del Pop Group ("Whay"), si amplificano e si moltiplicano mescolandosi ad un indie più forsennato e psichedelico ("Television is a Trap for Kids") dando tanto colore (e calore) alla musica. Potrebbero essere anche cugini degli Arctic Monkeys in "Mask Attack", mentre a chiudere il box, in dolcezza e melodia, la conclusiva "Across the Stormwalk", che mostra il lato più romantico e meno spinto dei Cleisure. In sostanza, 'Hydrogen Box' è un album variegato e assai ritmico, sospeso tra indie rock e new wave, magari un po' nostalgico ammicante quei gruppi che hanno fatto grandi i 90's britannici risultando alla fine ben fatto, con una produzione pregevole, un artwork a tema, anche se lo avrei reso più accattivante. Le canzoni si prestano ad un ascolto attento e ad alto volume, sfoderando un rock trasversale, ribelle, a tratti tagliente, a volte più cool, mai banale e ben suonato. Forse non saranno perfettamente al passo con le mode musicali attuali ma il trio ha tutta la forza per emergere e far ricordare che la scena alternativa italiana offre tanta musica ben fatta ed intelligente. Ascoltare per credere! (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2019)
Voto: 70

https://www.facebook.com/Cleisureofficial/

mercoledì 15 maggio 2019

The Mighties - Augustus

#PER CHI AMA: Punk/Garage Rock, Ramones
Non sono proprio la persona più indicata a recensire questo genere di suoni, ma visto che il lavoro è finito tra le mie mani (si tratta di un vinile), mi adatto e vi racconto quello che ho sentito. Sicuramente quello che si evince da "Caprice de la Drama", la opening track di 'Augustus', opera prima dei The Mighties, è che il disco dei nostri (non certo degli sprovveduti, avendo all'attivo già quattro EP ed una miriade di concerti alle spalle) abbia voglia di portarvi indietro di una cinquantina di anni e farvi divertire con il loro garage rock. Immaginatevi un po' la sigla di Happy Days, la sit com americana famosa a cavallo degli anni '70-80 per Fonzie e compagni, e quei ragazzi che ballavano il rock'n'roll, ecco l'intento della band umbra, ovvero quello di immergervi in quei suoni, riportando in voga il rock di quegli anni e diventando prodromico del punk che in paio di lustri si sarebbe sviluppato. E allora balliamo selvaggiamente al ritmo incalzante di "Chinese Drop", che ammicca ad un che dei Ramones, mentre con la successiva "Everybody's Doing" lasciatevi trascinare dal groove infuocato dei nostri per poi trovarvi a cantare a squarciagola col ritornello assai catchy della song. Non è musica certamente impegnata quella che ci offre 'Augustus', accogliendo un sound caldo e divertente, che la maggior parte dei giovani di oggi crederà appena concepito o peggio, inventato dai Blink-182, mentre in realtà affonda le radici proprio negli anni '60. Alquanto inusuale, almeno per il sottoscritto, è "Church of R'n'R", rilassata quanto affascinante nel suo sinuoso incedere. Le mie song preferite però sono "Girl in the Zoo", cosi oscura e maledettamente rock, sebbene nel suo refrain ci senta un che di "Seven Nation Army" dei The White Stripes e "Casablanca", scanzonata ma seria allo stesso tempo, con un assolo conclusivo davvero incazzoso. Insomma, con 'Augustus' c'è da divertirsi non poco per scoprire o riscoprire la freschezza di suoni che alcuni di noi pensavano persi nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

(We're at Fruit Records/SOB Records - 2019)
Voto: 72

domenica 12 maggio 2019

No Man's Valley – Outside the Dream

#PER CHI AMA: Psych Rock, Danzig
Gli olandesi No Man's Valley con questo nuovo album (edito dalla Tonzonen Records) hanno fatto un passo avanti da vero gigante, in assoluto il loro miglior lavoro, un disco che comprende composizioni carismatiche, compatte e avvolgenti, canzoni abbaglianti sotto l'egemonia del garage rock psichedelico più ricercato, cosmico e solare che spazia tra Fuzztones e On Trial, tra The Church e The Spacious Mind, tra Giobia e Crime & the City Solutions, tra il primo Danzig e i The Doors. La musica è intrigante e nasconde sotto la matrice garage anche una punta di stoner vecchia scuola europea, stile 7Zuma7 o The Heads. Il suono si esalta e mette a segno il miglior colpo con l'imponente e sulfurea "From Nowhere", dove è d'obbligo l'associazione alla mitica e irraggiungibile "Skeleton Farm" dei Fuzztones, ed è doveroso aggiungere, che la band dei Paesi Bassi, pur ricordando vari maestri del genere psych, si assume la pesante responsabilità di una originalità di grande valore. I suoni sono praticamente perfetti, curati in maniera maniacale, luminosi, profondi, lisergici e allucinati quanto basta per sentirne il vero calore e tutta la reale efficacia sonica. Il canto è sofisticato, coccolato dagli effetti vintage, il beat scalpita ed offre un sapore antico sulla rotta dei 60s, in un mood incantato che emana poesia e magia in tutte le sue tracce anche quando si surriscalda sulla via del buon vecchio Glenn Danzig, modalità canora "She Rides" (ascoltate "7 Blows"), facendolo rientrare nel finale, in un contesto sonoro stile "The End" dei Doors. Un lavoro importante, fantasioso e rispettoso allo stesso tempo, per quelli che sono i canoni preimpostati del garage rock/psichedelia di qualsiasi annata, musica per lasciarsi trasportare, per immergersi in un viaggio, liberare la mente e gioiosamente godere di un rock stralunato (ascoltate il fantastico ritornello di "Lies" in salsa Crime & the City Solutions, periodo 'Shine') suonato alla grande, una cascata di suoni luccicanti pronta ad investirvi con un taglio dark molto coinvolgente. La copertina del digipack è fantastica, surreale, allucinogena ed il disco è bellissimo senza alcuna caduta di stile, un caleidoscopio di colori tutto da scoprire. I No Man's Valley si affacciano all'altare del rock internazionale in maniera splendida e credibile. Ascolto imperdibile! (Bob Stoner)

martedì 22 gennaio 2019

Ananda Mida - Cathodnatius

#PER CHI AMA: Psych-rock '70s/Stoner/Garage, Brant Bjork
Gli Ananda Mida sono una creatura strana: il collettivo veneto è guidato da Max Ear (ex OJM) e Matteo Pablo Scolaro, entrambi coinvolti direttamente nell’etichetta GoDown Records. Da un primo, acerbo EP del 2015 a questo secondo full–length (che segue l’ottimo 'Anodnatius'), i due hanno suonato con line-up modulari, con o senza cantanti, aggiungendo tastiere, organi, percussioni a seconda delle necessità. Le coordinate musicali degli Ananda Mida, pur con la dovuta maturazione, sono tuttavia sempre rimaste costanti: l’ispirazione settantiana è fortissima, e premia una attitudine più garage che stoner (“Blank Stare”, con quel rullante insistentemente in battere), e sicuramente più psichedelica che metallara. Le vocals — c’è un ottimo Conny Ochs al microfono — sono calde, coinvolgenti, persino mistiche (la ballad acustica “Out Of The Blue” ne è un ottimo esempio). Melodia e timbrica ricordano da una parte il Jim Morrison dei The Doors, e dall’altra i recenti lavori di Brant Bjork — con i quali gli Ananda Mida condividono anche una certa passione per il rock/blues tinto di roots (“Pupo Cupo”). Fra i cinque brani di cui è composto 'Cathodnatius' spiccano i 22 minuti di “Doom and the Medicine Man”, che chiude il lavoro: una sorta di manifesto degli Ananda Mida, una suite lisergica dalle tinte southern (intendiamoci: qui di doom c’è solo l’ispiratissima lentezza dei bpm!), guidata dalle ottime chitarre di Matteo e Alessandro che trasudano delay e riverberi mentre macinano riff, accordi e soli. Bisognerà attendere la metà del brano per la prima accelerazione verso sonorità più stoner e spinte — ma il feeling è sempre lo stesso: occhi chiusi, braccia al cielo e testa che ciondola a tempo — per chiudere poi in un finale strappa-mutande dove a spiccare è nuovamente la voce del bravo Conny. Un lavoro scritto, arrangiato, registrato e prodotto con una precisione maniacale, che conferma gli Ananda Mida come vero gioiellino del panorama italiano. (Stefano Torregrossa)

mercoledì 14 novembre 2018

The Rambo - The Past Devours Everything

#PER CHI AMA: Noise/Post-Punk/Rockabilly/Country/Garage Rock
Ascoltarli è una goduria e accostarli ad un solo genere è compito arduo e impossibile. I The Rambo, band di Lodi al terzo lavoro, proseguono la loro folle corsa verso una commistione di musiche allucinate e scapestrate fatte di garage punk, derive noise, post punk, country e rockabilly, ben intuibili anche dall'artwork scherzoso di copertina. Il tutto viene gestito benissimo con un'irruenza nevrotica e un sano tocco di pazzia tanto caro alla Captain Beefheart, con tanto di vocals degenerate, paranoiche e indigeste. I primi tre brani impazziti di questo 'The Past Devours Everything', volano che è un piacere e ci mostrano ballerini country intenti a pogare, lanciando per aria il loro cappello texano, poi si entra con il ritmo rumoroso, ipnotico e malato di "Rope of Sorrow" e qui si sventolano alte le bandiere in onore del psychobilly alla Cramps. Il disco prosegue con la bellissima "The Past Returns" e si continua sulle coordinate schizoidi tra punk e no wave, corrosiva e tagliente, mentre ci si arresta nei ritmi di "Napalm", brano dai connotati blues, tanto vintage alla Stones vecchia maniera che amplifica e mette in risalto le già note capacità compositive della band lombarda. Siamo a metà dell'opera e un titolo assurdo "Wh_T's Th_S S_Ckn_Ss?", ci porta una ventata di festoso quanto strampalato country da saloon che fa da apripista alla sbilenca, e diciamo per certi versi, etnico-balcanica, "The Devil Lurk in the Holy House". Il tutto seguendo sempre i canoni stilistici psicotici e rumorosi del gruppo che afferma ad ogni brano la propria personale visione dei generi toccati volta per volta. Accenno di ottimo post punk a ritmo di ballo liscio per la breve e sfuggente "Deadline Show" e finale esplosivo acido e perverso con la conclusiva "Shining Light". Una carrellata di generi e stili in circa mezz'ora di musica piena di energia e originalità, brani brevi e veloci, vitali e taglienti, un attitudine punk e un piglio compositivo da far invidia, che non sempre emerge nelle band italiane di certa musica trasversale. Non saranno di facile ricezione ma il buon intenditore saprà apprezzarli per bene. Ottimo album. Buona follia a tutti! (Bob Stoner)

(Dischi Bervisti/Wallace Rec/Cloudhead Rec/Villa Inferno/Il Verso del Cinghiale Rec - 2018)
Voto: 70

https://dischibervisti.bandcamp.com/album/the-past-devours-everything

lunedì 17 settembre 2018

Tommy and the Commies – Here Come

#PER CHI AMA: Garage Punk Rock
Questo disco riafferma che il buon vecchio punk rock non morirà mai e continuerà a dare ottime emozioni e scossoni ritmici al fulmicotone. Tommy and the Commies, un power trio, un nome provocatorio, un canonico e vintage modo di intendere il punk, una carica esplosiva per una manciata di brani irresistibili che vi faranno ringiovanire nei soli sedici minuti di durata dell'album. I brani sembrano usciti dal cassetto di punk band leggendarie come i The Undertones, con accorati cori pop stradaioli ed un vocalist dal canto rubato al mito di Howard Devoto e i suoi indimenticabili The Buzzcocks; aggiungete poi l'assalto sonico di Johnny Thunder ed i suoi Heartbreakers ed il disco perfetto è servito. Un brano migliore dell'altro, dall'iniziale "Devices" ai successivi "Permanent Fixture", "Suckin' In Your 20's" e alla magnifica "So Happy" (dal finale peraltro splendido), confermano come il primo lavoro di questo trio proveniente dall'Ontario, s'inserisca a meraviglia nel cast di chicche punk, psych e garage, dell'instancabile etichetta canadese, Slovenly Recordings, che sicuramente è tra le punte di riferimento nel settore underground ed alternativo per i generi in questione. Il tempo non sembra essere passato ed il punk, musicalmente parlando, per questa band, che suona davvero bene, non si è mai evoluto, anzi si è fermato al 1977 con quella grande passione ed accanimento, una fede che ha fatto rimanere i tre musicisti canadesi ancora dei teenager duri e puri come si faceva qualche decennio fa, con un'attitudine che esalta l'egregia qualità di questa release fulminante. Niente di nuovo, anzi, lacero e vecchio ma elettrizzante, accattivante, indomabile punk rock old school. Produzione ottima per un disco breve, d'assalto, otto canzoni che in un'altra epoca sarebbero state delle hit da alta classifica. Ascolto obbligato. (Bob Stoner)

sabato 21 luglio 2018

La Scatola Nera - Istantanea Estesa

#PER CHI AMA: Garage/Alternative/Punk Rock
La giovane Brigante Records & Productions continua il suo percorso di crescita nell'ambito delle etichette italiane e oggi propone un'altra band molto interessante, La Scatola Nera e il loro nuovo album 'Istantanea Estesa'. Dopo aver recensito gli ottimi "briganti" Omza, Macabra Moka e Cruel Experience, non nascondo che ero curioso di ascoltare anche questo quartetto brianzolo attivo da quasi dieci anni e devoto ad un garage/alternative/punk rock. Andando a ritroso e ascoltando qualche vecchio pezzo della band (nella loro discografia compaiono anche un album ed un EP), salta subito all'orecchio un sound vicino al Teatro degli Orrori, passando per i Ministri contaminati dai vecchi QOTSA. 'Istantanea Estesa' alza il tiro, cerca meno pacche sulle spalle e sorrisoni dagli amici, mettendoci più introspezione, evolvendo in uno stile proprio e maturo. "Moby" è un'entrée che suona leggera ed eterea, grazie al cantato (in italiano) carico di riverbero, come le chitarre che si sporcano leggermente per dare maggiore enfasi, mentre la sezione ritmica ci mette il giusto groove per avere un brano da ballare in modo lascivo sotto una luna rossa. Dopo essere stati cullati amabilmente, si passa a "Cocktail", che ci agguanta subito grazie alla linea di basso profonda e ininterrotta. In progressione, si arriva al ritornello con chitarre più energiche, ma sempre con quel pathos sospeso tra pop teso e rock rilassato, sensazione che comincia a svanire in "Roche", dove il quartetto comincia a picchiare con più vigore e convinzione. I break e gli arrangiamenti di chitarra convincono e ci regalano il brano più riuscito di 'Istantanea Estesa'. Anche il cantante si sente più a proprio agio ed esprime al meglio la sua rabbia mista a frustrazione. Ci sta pure un bell'assolo finale che non fa altro che confermare il pregio di questa traccia. "51 Pollici" è una bel ceffone in faccia da meno di due minuti di durata che gira all'impazzata con un discreto carico di groove. Una vera e propria sveltina ma fatta con stile e quindi con tanta soddisfazione. In "Scogliera" e "Tringhe", la band si concentra su sonorità soft da dopo sbronza con degli interessanti giochi di voce e strumenti, entrambe delle ballate che potete ascoltare quando il cerchio alla testa non vi concede tregua. La Scatola Nera si è sicuramente evoluta con questo nuovo album, l'impatto sonoro è meno vigoroso a beneficio di atmosfere a momenti rilassate e subito dopo impazzite, con un filo conduttore basato su suoni, riff e cantato. Se prima li si ascoltava con una birra da supermercato in mano, adesso preparatevi un gin tonic di qualità oppure un vino rosso corposo e piacevole. (Michele Montanari)

(Brigante Records - 2018)
Voto: 70

giovedì 8 febbraio 2018

Electric Beans - De Retour en Noir

#PER CHI AMA: Punk Rock
La gradevolissima, fanculosa copertina Hellacotterizzata (avete in mente "Supershitty to the Max"? No? Molto male), ancorché un cicinino troppo nitida, tipo effetto aerografo, suggerisce atmosfere garage-punk, pareti annerite, odore di lubrificanti, diluente, piscio e muffa. Eppure la direzione intrapresa dall'album appare opposta, perlomeno concettualmente: un neoclassicismo rock che-più-neoclassicismo-di-così accompagnato da testi sagaci e decisamente ficcanti, al limite del comedy ("Jeudi" è la indovinata riscrittura di "Jodie", secondo singolo de Les Innocents, storica pop-wave band fransé anni-secondi-80. Mai sentiti? Nemmeno io). Altrimenti, street-punk americano dalle parti di Social distortion ("De Retour en Noir") o Ramones ("J'ai Perdu Mon Télephone") o blandamente punk-blues ("Berceuse Éléctrique"). I mid-tempo ("Moeurs Cathodiques", ma soprattutto "Jack") invece vi potrebbero ricordare un Meat Loaf rimbambito di croissant che frontmaneggia dei Guns n' Roses strafatti di pastis. Ascoltate questo terzo album dei Fagioli Elettrici mentre sistemate lo scaffale dei CD domandandovi come tradurreste in inglese il titolo dell'album, oppure mentre sistemate i vostri romanzi di Philip K. Dick in ordine cronologico domandandovi se per caso "do electric beans release magnetic farts"? (Alberto Calorosi)

venerdì 15 settembre 2017

Hypnotic Drive - Full Throttle

#PER CHI AMA: Heavy/Stoner, Black Sabbath, Alice in CHains
Ovunque, monolitiche architetture di conglomerazione lapalissianamente sabbatiana ("Voodoo Witch" vs. "Black Sabbath", la canzone; "Darkened White" vs. qualcosa a caso di 'Master of Reality', per esempio "Lord of this World"), sabbatianamente psych anche nel modo altrettanto sedimentario, tanto caro agli Alice in Chains, di rarefarsi improvvisamente e generare repentini stati di sospensione emotiva ("Barbwire"). I toni digressivamente vintage (alla Wolfmother, giusto per dirne una) di canzoni come "Heading South" lasciano dubbi sull'intenzionalità, forse in realtà semplicemente heavy-southern (perlomeno a giudicare dal titolo). Un approccio ortodosso ed eccessivamente devozionale nei confronti di quello che è universalmente noto come il sottogenere più monolitico della storia del rock (quindi occhio agli sbadigli), impreziosito però dalla introduttiva deflagrante "Five Regrets", una canzone che emana monossido di carbonio prima ancora di cliccare sullo Start, che al contrario è indebolito da un'incerta performance vocale sempre dubbiosa, al confine tra il rauco e il clean e a tratti disgraziatamente prossima a certi mugugni alla tardo-Glen-catetere-Danzig, specialmente quando lo skyline melodico si fa più accidentato (cfr. "Crossroads"). (Alberto Calorosi)

Voto: 65

A sentirli non si direbbe che la loro base operativa sia nella capitale francese, tanto è il sudore, l'asfalto caldo e la polvere che emana il loro primo album. Con intelligenza e maestria la band parigina, nel suo piccolo, stravolge le regole dello stoner, del metal e del doom. Gli Hypnotic Drive mantengono una certa originalità pur mischiando le carte dei generi citati in precedenza senza pretendere di spacciarsi per innovatori ed il risultato li premia, perché questo loro primo lavoro nasconde paragoni stilistici distanti tra loro ma uniti dalla voglia di questi musicisti di comporre brani fuori dagli schemi, diversi dalle mille band fotocopia che popolano il panorama internazionale. Per cominciare citiamo gli Alabama Thunder Pussy che suonano caldi e sudati, uniti al piglio ancestrale di certi album dei Candlemass (vedi "Dactylis Glomerata"), Wino e Down, con la graffiante verve punk dei Damned della prima ora e la malattia per i motori e le strade desertiche che li accomuna all'hardcore/hard rock degli Zeke. Gli Hypnotic Drive non prediligono la psichedelia, che in questo album è praticamente assente, hanno un tiro assai spinto di scuola Motorhead anche se il tono particolare della voce, che per certi aspetti ricorda il mai dimenticato, spettacolare, Dave Vanian degli esordi con picchi più aggressivi che spopolano in territorio Sixty Watt Shaman, li rende molto interessanti e credibili. Una produzione piacevole dona infine il tocco sotterraneo e pesante all'intero lavoro e la copertina rispecchia bene l'intento della band. Echi di classic metal escono dal pentagramma del combo transalpino e non guastano, anzi li spingono in territori molto vintage rock che ben si sposano con l'idea di rinnovare ed ampliare l'immagine dello stoner rock. Disco adrenalinico, da apprezzare a volume alto, curato e indipendente, fuori dagli schemi di chi si aspetta il solito categorico stoner rock, decisamente un buon album per chi ama il suono duro e polveroso. Dei buoni musicisti, un groove potente e la voglia di andare oltre. "Voodoo Witch", "Crossroad" e "Barbwire" i brani più incisivi. Bel disco! (Bob Stoner)